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Sequestrate a Princeton antichità dall’Italia

Un vaso di bucchero di oltre 2600 anni fa è tra gli undici oggetti del Princeton University Art Museum elencati in un ordine di sequestro del Manhattan District Attorney. Sei di questi oggetti, datati tra 680 e 580 avanti Cristo, tra cui il kantharos di bucchero con decorazioni incise, erano stati prestati al museo dall’antiquario romano Edoardo Almagià.

Il nome di Almagià è stato citato più volte dalle autorità italiane e americane in casi di sospetto traffico di antichità, in particolare nel 2011 quando Princeton aveva restituito all’Italia antichità greco-romane ed etrusche. “Il museo sta collaborando con le autorità. L’inchiesta è in corso e avremo ulteriori commenti al momento opportuno. Siamo grati che nuove informazioni ci hanno permesso di dar seguito alle nostre responsabilità, dando un esempio in materia di etica del collezionismo”, ha detto adesso Stephen Kim, vice direttore per le comunicazioni del Princeton Art Museum.

I sei oggetti del prestito sono vasi e fiasche più una placca di terracotta e una tegola incisa con parole del Corano. In una dichiarazione al Daily Princetonian l’antiquario ha detto che gli oggetti venivano dalla collezione della sua famiglia: «Mi spiace che li abbiamo consegnati. Non ne avevano diritto». In tutto gli oggetti sequestrati a Princeton hanno, secondo la procura, un valore di 200 mila dollari. Almagià, nato a Roma, è un ex allievo dell’ateneo americano che ha vissuto e lavorato a New York a partire dagli anni ‘80. Nel 2010, in un’intervista al Princeton Alumny Weekly, l’antiquario aveva detto di avere smesso di commerciare nel 2002, dopo la firma dell’accordo con l’Italia “stupidamente accettato dagli Stati Uniti” che a suo avviso aveva “criminalizzato e distrutto il mercato delle antichità”.

Alla fine del 2021, 150 oggetti collegati al Almagià provenienti da musei, gallerie e collezioni private statunitensi erano stati restituiti all’Italia dalla procura newyorchese. All’epoca l’antiquario aveva minimizzato il reato: «Si spendono troppi soldi a criminalizzare i galleristi quando gli stessi soldi potrebbero essere usati per riparare i musei italiani dove tanti oggetti simili sono a rischio».

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