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Cronaca di un verdetto preannunciato

Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano,
mentre le piccole ci restano impigliate

Honoré De Balzac

Sì, era proprio la cronaca di un verdetto preannunciato quello della Corte per i Reati Gravi, letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che riguardava l’ex ministro dell’Interno albanese (2013 – 2017). Proprio quello che nel 2015 era stato accusato, per primo, da un funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo e sotto protezione in un paese europeo, perché perseguitato per quella ragione. Proprio quell’ex ministro che è stato accusato in seguito e con altri fatti concreti dall’opposizione e dai media non controllati, per la cannabizzazione dell’Albania e per il suo diretto coinvolgimento con un noto gruppo criminale che coltivava e trafficava la cannabis. Proprio quell’ex ministro però, per il quale, dopo aver, finalmente, “rassegnato le sue dimissioni” l’11 marzo 2017, l’attuale primo ministro dichiarava che lui “era il nostro campione che ha trasformato la Polizia [di Stato] da quella che era, all’istituzione più credibile”. Quanto è successo da allora in poi, dati e fatti alla mano, dimostra però l’esatto contrario sulla credibilità della Polizia di Stato e sulle falsità delle dichiarazioni del primo ministro.

I veri grattacapi dell’ex ministro dell’Interno cominciarono il 17 ottobre 2017, quando in Italia sono stati arrestati i membri di un ben strutturato gruppo criminale che trafficava stupefacenti dall’Albania in Italia. Tra gli arrestati c’era anche il capo del gruppo e parente dell’ex ministro. Proprio uno di quelli che aveva denunciato nel 2015 il funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo, dopo essere stato perseguitato in Albania. Il 18 ottobre 2017 la Procura per i Reati Gravi aveva chiesto ufficialmente al Parlamento di avviare le procedure per permettere l’arresto dell’ex ministro, in quel periodo deputato. Da quel momento in poi, la maggioranza governativa, per motivi politici e ben altri ancora, tramite i suoi rappresentanti nelle apposite commissioni parlamentari, ha cercato di ritardare il processo per la revoca dell’immunità parlamentare all’ex ministro. Alla fin fine e grazie a tutto il necessario appoggio istituzionale e altro, per l’ex ministro non c’è stato nessun arresto. Lui ha seguito il processo giudiziario da cittadino libero. L’ex ministro, all’inizio, è apparso veramente abbattuto nelle sue uscite pubbliche. “Io verrò arrestato, io sto andando in prigione. Il Parlamento è stato radunato a votare per decidere se andrò in prigione o no”. Così dichiarava lui il 19 ottobre 2017, durante una trasmissione televisiva in prima serata e dopo che anche il primo ministro aveva fatto chiaramente capire, con una sua dichiarazione su Facebook, che aveva abbandonato il suo prediletto e “ministro campione”. Soltanto all’inizio però, perché dopo qualche giorno l’ex ministro ha cambiato completamente atteggiamento. La sua nuova strategia si basava sulle minacce tramite chiari messaggi in codice. Cosa che ha continuato a fare anche in seguito. Lo ha fatto anche prima della sopracitata seduta del 19 settembre scorso della Corte per i Reati Gravi e continua a farlo in questi giorni. Perché non si sa mai e tutto può ancora succedere. Sono dei messaggi che, tenendo presente quanto è accaduto in Albania durante questi ultimi anni, si indirizzerebbero al primo ministro e ad alcuni ex colleghi e/o alti rappresentanti della maggioranza governativa. Usando proprio delle frasi offensive, dette dal primo ministro in altre precedenti occasioni, nonché allusioni ai “fratelli” coinvolti in affari di droga. In Albania tutti sanno a quali fratelli l’ex ministro fa riferimento. Ed essendo stato titolare per quasi quattro anni del ministero dell’Interno, l’ex ministro potrebbe avere documenti, registrazioni e filmati che potrebbero coinvolgere veramente anche dei fratelli delle persone ai massimi livelli dell’attuale gerarchia politica in Albania. Lì, dove tutti sanno che se l’ex ministro dell’Interno ha fatto quello per il quale è stato pubblicamente accusato, mai e poi mai poteva farlo senza il beneplacito del primo ministro. Anzi, in Albania tutti sono convinti che l’ex ministro ha semplicemente eseguito degli ordini ben precisi, seguendo una ben dettagliata strategia. Strategia basata sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata per permettere al primo il mantenimento e il consolidamento del potere politico e all’altra ingenti guadagni miliardari. Si valuta che soltanto nel 2016 gli introiti dal traffico illecito della cannabis siano stati di circa un terzo del prodotto interno lordo dell’Albania! E si tratta soltanto di una valutazione approssimativa.

In seguito ai primi messaggi in codice dell’ex ministro, che si pensa siano stati direttamente indirizzati al primo ministro, quest’ultimo ha cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti. Ha cominciato ad attaccare a spada tratta, come suo solito, i media e i procuratori che si stavano occupando del caso. Procuratori i quali, nella sopracitata richiesta ufficiale indirizzata al Parlamento, chiedendo l’avvio delle procedure per l’arresto dell’ex ministro, erano convinti che lui fosse coinvolto, appoggiasse e facilitasse le attività del sopracitato gruppo criminale. Riferendosi ai procuratori del caso, ai quagli all’inizio chiedeva soltanto di fare giustizia fino in fondo, dopo i messaggi in codice dell’ex ministro, il primo ministro ha cambiato radicalmente opinione. Lui si “meravigliava” e si chiedeva “…dove è stato trovato questo zelo sconoscituo da una Procura per i Reati Gravi, che non ha mosso un dito da quando è stata costituita….?”.

Da allora in poi tante cose sono cambiate radicalmente, anche per “salvare” l’ex ministro. Perché salvando lui il primo ministro salva tante altre cose e, secondo le cattive lingue, salva anche se stesso. E tutto ciò in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore e nell’ambito dell’ormai pubblicamente fallita “Riforma di Giustizia”. Così, violando quanto stabilisce la Costituzione, è stato votato in Parlamento, o meglio dire nominato, il nuovo procuratore generale provvisorio, termine quello inventato appositamente, perché non esisteva da nessuna parte. Poi, in seguito, è stato nominato il capo della Procura per i Reati Gravi. Tutti e due delle persone ubbidienti agli ordini politici del primo ministro, come i tanti fatti ormai accaduti lo dimostrerebbero. Tra i primi atti ufficiali dei nuovi nominati ci sono state le rimozioni dal caso del ministro dell’Interno, di tutti i procuratori. I nuovi incaricati per più di un anno e mezzo, guarda caso, non sono riusciti a portare alla Corte per i Reati Gravi delle prove per sostenere l’accusa formulata dai loro colleghi, precedentemente rimossi dall’incarico. E le prove, secondo chi se ne intende, sono state tante e convincenti. Tutto per arrivare ad un preannunciato verdetto. Quello letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che ha condannato l’ex ministro soltanto per “abuso d’ufficio”. A causa del rito abbreviato la condanna è stata ridotta a 3 anni e 4 mesi di affidamento in prova al servizio sociale e il divieto di svolgere funzioni pubbliche. Sono state respinte “per mancanza di prove” le accuse di “traffico di sostanze stupefacenti” e “associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga”!

Chi scrive queste righe è convinto che il processo a carico dell’ex ministro dell’Interno rappresenta un’ulteriore testimonianza del totale fallimento della Riforma della giustizia e del pieno controllo del sistema e dello Stato da parte del potere politico. Purtroppo con il preannunciato verdetto del 19 settembre scorso si è verificato in Albania quanto scriveva Balzac circa due secoli fa. E cioè che le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano, mentre le piccole ci restano impigliate.

 

23 settembre 2019

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