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Di nuovo tensione nei Balcani

I Balcani producono più storia di quanta ne possono digerire.

Winston Churchill

Winston Churchill, durante la sua lunga attività politica, ma non solo, ne aveva acquisita tanta di esperienza! Era un uomo che aveva delle distinte capacità, sia come statista che come giornalista, storico e scrittore. Ne assunse di grandi responsabilità come primo ministro del Regno Unito, dal 1940 fino al 1945, e cioè durante quasi tutta la seconda guerra mondiale. Responsabilità che ha onorato, diventando, come viene ormai riconosciuto da tutti gli studiosi, come il più noto primo ministro britannico dal secolo scorso ad oggi. Winston Churchill era un buon conoscitore anche di altri Paesi europei, oltre al Regno Unito. Compresi i Balcani. E proprio riferendosi alla storia ed agli sviluppi nella penisola balcanica dopo la seconda guerra mondiale e grazie alla sua esperienza, Churchill disse una frase rimasta ormai molto nota, significativa ed attuale. E cioè che i Balcani sono “una terra che produce più storia di quanta ne possa digerire”.

All’inizio del secolo passato, quando l’Impero ottomano si stava sgretolando, i Paesi dei Balcani, ma non solo, furono coinvolti nelle due guerre balcaniche (1912-1913). Poi, dopo la prima guerra mondiale, si ristabilirono alcuni tra i confini dei Paesi balcanici e si costituirono nuove entità statali. Altri sviluppi sono stati messi in atto nei Balcani anche dopo la seconda guerra mondiale, in seguito alle decisioni prese alla conferenza di Jalta in Crimea  (4-11 febbraio 1945). Decisioni che videro quasi tutti i Paesi balcanici allinearsi con l’Unione Sovietica, tranne la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia composta dalle repubbliche indipendenti di Serbia e Montenegro, Slovenia, Croazia, Macedonia e Bosnia ed Erzegovina. I successivi cambiamenti geopolitici nei Balcani sono stati effettuati dopo il crollo del muro di Berlino, agli inizi degli anni ’90 del secolo passato. La Jugoslavia si sgretolò e tutte le sue repubbliche che la componevano divennero, una dopo l’altra, degli Stati indipendenti.

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il Kosovo che fino al 2008 era una provincia autonoma della Serbia. Ma, prima della dichiarazione di indipendenza, tra la Serbia ed il Kosovo c’è stata la guerra del 1999. Una guerra che vide la NATO  (North Atlantic Treaty Organization; Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.) sostenere il Kosovo. Le forze armate della NATO hanno attaccato la Serbia. Per più di due mesi, partendo dal 24 marzo e fino al 10 giugno 1999, ci sono stati dei continui attacchi aerei della NATO che, alla fine, costrinsero la Serbia a rassegnarsi. E proprio il 10 giugno 1999 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 1244 con la quale si autorizzò la presenza internazionale, civile e militare, nel Kosovo. Il che ha portato all’amministrazione del Kosovo da parte delle Nazioni Unite. Sempre in base alla Risoluzione 1244 in Kosovo sono stati costituiti un governo ed un parlamento provvisorio. Il Paese è stato messo sotto un protettorato internazionale, sia da parte delle forze della NATO che dell’UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – più brevemente United Nation Mission in Kosovo; Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.). Presenze quelle che sono tuttora attive. Sull’indipendenza del Kosovo si è espressa anche la Corte internazionale di Giustizia, nota altresì come il Tribunale internazionale dell’Aia. La Corte ha deliberato che “la Dichiarazione dell’Indipendenza del Kosovo non ha violato il diritto internazionale” e che i suoi promotori “hanno agito nella qualità di rappresentanti del popolo del Kosovo”.  Il Kosovo è riconosciuto come Stato indipendente da 103 dei 193 Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Mentre dai Paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il Kosovo è riconosciuto già dal 2008 dagli Stati Uniti d’America, dalla Francia e dal Regno Unito. Invece la Russia e la Cina lo considerano ancora come la provincia autonoma della Serbia. Come era anche nell’ambito della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.

Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, durante questi ultimi anni, dei rapporti tra la Serbia ed il Kosovo, nonché degli ripetuti attriti tra di loro (Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali, 23 gennaio 2023; Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale, 27 marzo 2023; Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023 ecc..). Rapporti che, formalmente, sono stati stabiliti da alcuni accordi tra i due Paesi, con la mediazione delle istituzioni dell’Unione europea e anche degli Stati Uniti d’America. In particolare quelli del 2013 e del 2015 prima ed in seguito all’accordo di Bruxelles del 27 febbraio 2023 e poi, poche settimane dopo, l’accordo di Ohrid del 18 marzo 2023. Bisogna sottolineare che questi due ultimi accordi però sono stati soltanto verbali, ma non ufficialmente firmati, sia dal presidente della Serbia che dal primo ministro del Kosovo, nonostante quest’ultimo avesse dichiarato la sua disponibilità a firmare. L’autore di queste righe scriveva convinto allora per il nostro lettore che “…l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non a caso è stata rifiutata la firma finale” (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023). E purtroppo quanto è accaduto da allora ad oggi lo conferma.

Dieci giorni fa, il 13 settembre, il presidente della Serbia si è rivolto alla nazione con un discorso trasmesso in diretta dal palazzo di Serbia a Belgrado. Durante quel discorso il presidente serbo ha buttato in aria tutto quello che si era raggiunto, con non poche fatiche, durante tutti questi anni. Ha ignorato quello che lui stesso e/o chi per lui, in occasione delle elezioni in quattro comuni nel nord del Kosovo, con una maggioranza etnica serba, avevano dichiarato circa due anni fa ed in seguito. Anche di questo il nostro lettore è stato informato (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). Durante il suo discorso del 13 settembre scorso, il presidente serbo ha presentato quelle che sono state citate come le “cinque misure e le sette richieste” come precondizione per “tornare ad un dialogo genuino” con i rappresentanti istituzionali del Kosovo. Una delle “misure” sancisce la proclamazione, con una nuova legge, del Kosovo come una “area sociale speciale” parte integrante della Serbia. Il presidente serbo ha altresì garantito che il Parlamento approverà entro la fine del mese prossimo un’altra legge, secondo la quale tutte le istituzioni costituite in Kosovo dopo la dichiarazione dell’Indipendenza, il 17 febbraio 2008, saranno considerate illegali. Lui ha promesso che a breve comincerà una “campagna globale diplomatica” per garantire l’adempimento di queste richieste e misure presentate il 13 settembre scorso.

Dopo le dichiarazioni del presidente serbo hanno reagito, con un linguaggio “diplomaticamente corretto”, anche i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e quelli del Dipartimento di Stato statunitense. Reazioni che, come anche in passato, sono state molto ambigue. Invece la portavoce del ministero degli Esteri russo è stata chiara. Senza nessuna ambiguità, il 20 settembre scorso lei ha dichiarato che l’iniziativa del presidente serbo è l’unica via da seguire e che la Russia “appoggia totalmente le richieste presentate”.

Chi scrive queste righe, riferendosi alle nuove tensioni causate dal discorso del presidente serbo il 13 settembre scorso, semplicemente si ricorda della celebre frase di Winston Churchill. E cioè che i Balcani producono più storia di quanta ne possono digerire. Aveva proprio ragione.

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