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Doverose riflessioni in questo inizio anno

Non far nulla senza riflessione, alla fine dell’azione non te ne pentirai.

Dal Siracide, libro dell’Antico Testamento

Lunedì scorso, 8 gennaio, Papa Francesco ha incontrato i rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Durante l’udienza, tra l’altro, il Santo Padre ha fatto riferimento alla situazione nel mondo, sottolineando l’importanza della pace. Una “…parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato”. La pace che “… è primariamente un dono di Dio”. Ma che “…nello stesso tempo è una nostra responsabilità”, ha ribadito il Pontefice. Poi ha ricordato quanto aveva detto papa Pio XII alla vigilia di Natale del 1944, mentre la seconda guerra mondiale stava finendo. Pio XII ne era convinto che già allora si sentiva “…una volontà sempre più chiara e ferma: fare di questa guerra mondiale, di questo universale sconvolgimento, il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo”. Sono passati ormai quasi ottant’anni dalla fine di quel conflitto mondiale, ma le vere realtà vissute e spesso sofferte in diverse parti del mondo sono tali da far riflettere tutti e responsabilmente. Papa Francesco ha sottolineato lunedì scorso che purtroppo “…la spinta a quel “rinnovamento profondo” sembra essersi esaurita e il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale”. In seguito, durante l’udienza, il Pontefice ha fatto un’analisi della situazione in diverse parti del mondo, dove sono in corso dei conflitti armati. Come quelli in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Ma anche nel Caucaso Meridionale, dove continauno gli attriti tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Papa Francesco ha analizzato anche la preoccupante situazione tutt’ora in corso nel continente africano, dove sono diversi i Paesi in conflitto. Così come ha fatto con la situazione dell’America del Sud. Rivolgendosi ai rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Pontefice ha ribadito che “…la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana. […]. La via della pace esige il rispetto dei diritti umani, secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”. Il Pontefice ha poi espresso la sua ferma convinzione, secondo la quale “…Il dialogo, invece, dev’essere l’anima della Comunità internazionale”. Sottolineando che “…L’attuale congiuntura è anche causata dall’indebolimento di quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale”. Il Papa ha ribadito altresì che “…Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali”. Spirito e valori come quelli che hanno evidenziato e proclamato sia gli autori del “Manifesto di Ventotene”, che altri Padri Fondatori dell’attuale Unione europea. Coloro che hanno ideato e attuato il 18 aprile 1951 la costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Proprio quei Padri Fondatori che sei anni dopo, lungimiranti, convinti e determinati hanno firmato, il 25 marzo 1957, il Trattato di Roma che diede vita alla Comunità Economica Europea, la quale, con il Trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992, divenne l’attuale Unione europea.

Purtroppo, non devono preoccupare solo i diversi conflitti armati attualmente in corso, evidenziati da Papa Francesco lunedì scorso, l’8 gennaio, durante l’udienza con i rappresentanti del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Devono preoccupare seriamente anche i molti regimi dittatoriali oppressivi ed attivi in diversi Paesi del mondo. Si tratta di realtà vissute e sofferte che generano la morte, causando tantissime vittime umane, come anche i conflitti armati. Con solo una differenza. Si, perché per le vittime delle guerre si tengono delle evidenze più o meno esatte, mentre per le vittime delle dittature, per centinaia di migliaia di persone che perdono la vita in “silenzio”, nel corso degli anni, in seguito alle numerose violazioni, sofferenze e privazioni, spesso non si sa niente. Si tratta di realtà, quelle legate alle dittature, dove l’individuo, l’essere umano, deve soltanto e semplicemente ubbidire al regime, oppure deve subire tutte le conseguenze. Si tratta delle realtà di cui non sempre si parla e si sa pubblicamente quello che accade, soprattutto fuori dai confini del paese. Si tratta purtroppo di realtà vissute, sofferte e note solo lì dove il regime esercita il suo potere dittatoriale. Ma durante questi ultimi decenni ci sono delle realtà che hanno cominciato ed essere note anche in altre parti del mondo. Sono delle realtà evidenziate e rese pubbliche, tra l’altro, sia da giornalisti coraggiosi, che da cittadini scappati da quelle dittature. Realtà rese pubblicamente note, altresì, da alcune istituzioni internazionali specializzate che da anni analizzano lo stato della democrazia nella maggior parte dei Paesi del mondo. Lo ha fatto dal 2006 anche l’Economist Intelligence Unit Index of Democracy (L’Unità d’intelligenza dell’Economist, parte del noto settimanale britannico The Economist che prepara e pubblica l’Indicatore della Democrazia nel mondo; n.d.a.). Oggetto dello studio, dell’elaborazione dei dati e delle analisi specializzate sono 167 diversi Paesi. Facendo riferimento allo stato  reale della democrazia, i Paesi vengono classificati in quattro categorie, denominate come “democrazie complete”, “democrazie imperfette”, “regimi ibridi” e “regimi autoritari”. Lo studio si concentra su cinque diversi obiettivi principali, che sono il processo elettorale ed il pluralismo, le libertà civili, il funzionamento del governo, la partecipazione politica e la cultura politica/democratica.

Ebbene, dall’ultimo rapporto dell‘Economist Intelligence Unit pubblicato nel febbraio del 2023 e che si riferisce ai dati del 2022, raccolti ed elaborati nel ambito del Democracy Index, risulta che solo circa la metà della popolazione mondiale, e cioè il 45.3%, vive in un Paese con un sistema democratico, in una delle sue note e studiate forme. Dallo stesso rapporto per il 2022 risulta però e purtroppo che il 36.9% della popolazione mondiale vive in un Paese dov’è attivo un regime autoritario. L’Afghanistan risulta essere il Paese ultimo classificato. Tutto dovuto al ritorno dei talebani al potere, dopo il ritiro vergognoso delle truppe internazionali da Kabul, il 15 agosto 2021. Un ritorno quello che ha di nuovo restaurato il loro regime. Dall’ultimo rapporto dell‘Economist Intelligence Unit risulta che il Paese che ha avuto il peggior andamento nel mondo, dal punto di vista dell’adempimento dei principi democratici, è stato la Russia. Il Paese, una delle maggiori potenze mondiali, ha perso 22 punti rispetto alla sua posizione del 2021, fermandosi al 146o posto. Nel rapporto si elencano anche tutti gli altri Paesi oggetto dello studio, le loro posizioni ed il perché di quei risultati. Il rapporto dell‘Economist Intelligence Unit, pubblicato dal settimanale britannico The Economist, termina con la frase: “Nonostante alcuni miglioramenti globali, la democrazia resta minacciata”. Una preoccupante constatazione questa che deve far riflettere seriamente tutti coloro che hanno delle responsabilità politiche ed istituzionali, sia in ogni singolo Paese, che a livelli più ampi.

Anche in Europa, come in altre parti del mondo, ci sono dei Paesi nei quali non si rispettano i principi dalla democrazia, non si rispettano i diritti innati dell’essere umano ed altri sacrosanti diritti acquisiti. Paesi dove non si rispetta il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario). Un principio che rappresenta anche un criterio di valutazione del funzionamento del sistema democratico in un determinato Paese. Un principio quello della separazione dei poteri noto già dall’antichità ed ovviamente adattandosi alle condizioni storiche e sociali dell’epoca. Un principio che è stato elaborato in seguito, durante il diciottesimo secolo, da Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, un filosofo, giurista, nonché studioso di storia e del pensiero politico francese e non solo, meglio e semplicemente noto Montesquieu. L’autore di queste righe, mentre tratta ed analizza per il nostro lettore argomenti che hanno a che fare con la democrazia e/o i regimi autocratici e dittatoriali, ha spesso fatto riferimento al principio della separazione dei poteri. In un suo precedente articolo egli trattava ampiamente proprio questo principio. “Un principio che si basa sulla necessità di garantire la sovranità dello Stato e che individua tre poteri, i quali devono essere sempre attivi e ben indipendenti uno dall’altro, proprio per non permettere abusi di potere che danneggerebbero il normale funzionamento di uno Stato democratico”, scriveva l’autore di queste righe per il nostro lettore a fine ottobre 2023. Cercando di risalire alle origini storiche del principio, egli scriveva: “Il principio della separazione dei poteri era già noto dall’antichità, sia in Grecia che, in seguito, anche nella Roma antica. Un principio trattato da Platone, nella sua nota opera “La Repubblica” e da Aristotele, nella sua opera “La Politica”. Un principio che venne adottato anche nella Costituzione della Roma antica. Ma un trattamento dettagliato del principio della separazione dei poteri in uno Stato democratico è stato fatto secoli dopo. Prima da John Locke, nella sua opera “Due trattati sul governo”, pubblicata nel 1690, in seguito Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, dopo un lungo e impegnativo lavoro, durato per ben quattordici anni, pubblicò  nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato “Spirito delle leggi” (De l’esprit des lois; n.d.a.)”. E poi aggiungeva che “…Ovviamente Montesquieu, quando ha scritto la sua opera prendeva in considerazione l’organizzazione statale di quel tempo, tenendo presente soprattutto l’organizzazione statale nel Regno Unito e la sua Costituzione. Perciò affermava che il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece, per quanto riguarda il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre, riferendosi al potere giudiziario, Montesquieu ribadiva che doveva essere rappresentato ed esercitato da “…giudici tratti temporaneamente dal popolo”. Il potere giudiziario dovrebbe, altresì, “…essere sottoposto solo alla legge, di cui deve riprodurre alla lettera i contenuti”. Secondo lui il potere giudiziario, doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.)”. Così scriveva l’autore di queste righe per il nostro lettore (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 30 ottobre 2023). È ormai ben noto il pensiero di Montesquieu, filosofo e giurista francese del Settecento, attuale anche adesso. Ed è ben nota una frase con la quale egli spiegava anche l’indispensabilità della separazione del potere esecutivo da quello legislativo e dal potere giudiziario. L’indispensabilità che quei tre poteri siano sempre indipendenti l’uno dall’altro. Montesquieu era convinto che “…Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Purtroppo attualmente sono non pochi coloro che, avendo del potere da esercitare, ne fanno uso ed abuso. Lo testimoniano fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo in diversi Paesi del mondo, alcuni dei quali anche in Europa. Così come lo testimoniano inconfutabilmente, tra l’altro, anche gli studi e i rapporti ufficiali pubblicati da diverse istituzioni internazionali specializzate; compresa l‘Economist Intelligence Unit.

Chi scrive queste righe ha valutato di fare e di condividere con il nostro lettore alcune doverose riflessioni in questo inizio anno. Egli, nel suo piccolo, continuerà a trattare questi argomenti anche in futuro. Chi scrive queste righe è convinto che ciascuno deve fare di tutto per sostenere i processi democratici. Ma, allo stesso tempo, deve contrastare qualsiasi tendenza che porta ad un regime autocratico. Perché verrà un giorno in cui ognuno deve rendere conto alla propria coscienza.

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