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Giustizia ingiusta

Tra il crimine e l’innocenza non c’è che lo
spessore di un foglio di carta timbrata.

Anatole France; da “Crainquebille”

“La maestosità della giustizia risiede tutta intera in ogni sentenza resa dal giudice in nome del popolo sovrano”. Così inizia “Crainquebille” di Anatole France. Un lungo racconto che attrae il lettore con la sua semplicità nel raccontare la vita quotidianamente vissuta e lo porta per le vie del quartiere parigino di Montmartre del XIX secolo. Proprio per quelle vie dove ogni giorno passava anche Jérôme Crainquebille. Essendo un venditore ambulante di ortaggi, da più di mezzo secolo lui spingeva la sua carretta dalla mattina alla sera per le vie di Montmartre, ripetendo sempre la stessa frase: “cavoli, rape, carote”. Tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti. Le massaie compravano da lui quello che ad esse serviva per cucinare, mentre lui guadagnava quello che gli serviva per vivere. E tutto questo a Crainquebille sembrava conforme alla natura delle cose.

Però un giorno, mentre scendeva per Rue Montmartre, madame Bayard, la ciabattina, uscì dalla sua bottega perché voleva comprare dei porri. Cercando di fare un prezzo comodo per se stessa, cominciò a mercanteggiare. Poi, dopo aver concordato sul prezzo, prese i porri, ma non avendo con se i soldi, andò a prenderli. Il che causò il blocco del traffico. Ragion per cui l’agente 64 chiese a Crainquebille di circolare. Cosa che lui faceva regolarmente da più di cinquant’anni; circolare dalla mattina alla sera. Con il passare del tempo aveva imparato ad ubbidire ai rappresentanti dell’ordine pubblico. Perciò quell’ordine gli sembrò normale. Era ben disposto a ubbidire all’agente 64, perché era abituato ad ubbidire alle autorità. Ma anche lui aveva però la sua buona ragione di non muoversi; attendeva i suoi soldi per i porri. E questo era un un suo diritto al quale Crainquebille non poteva rinunciare. Si trovò a decidere e scegliere tra un suo dovere e un suo diritto. E scelse il diritto di avere i suoi soldi, trascurando il suo dovere di spingere la sua carretta e non ostacolare il traffico a Rue Montmartre. Nel frattempo però la carretta di Crainquebile, ferma in mezzo alla strada, aveva intralciato il passaggio di diversi carri e altri mezzi di trasporto. Si sentivano urla e ingiurie da tutte le parti. Di fronte ad una situazione del genere all’agente 64, uomo di poche parole ma deciso nel fare il suo dovere, non rimaneva altro che agire. Tirò fuori il taccuino delle multe e si prestò a scrivere. Al che Crainquebille, con delle frasi e dei gesti disperati ma non di rivolta, cercava di spiegare all’agente 64 che attendeva i suoi soldi. L’agente però capì tutto male, credendosi insultato. E siccome per lui ogni insulto, qualunque esso fosse, prendeva nel suo cervello la forma di uno degli insulti più usati e offensivi in quel periodo dai parigini contro gli agenti, e cioè “Mort aux vaches – morte alle vacche!”, non gli rimase altra scelta. Sentendosi profondamente offeso come rappresentante delle autorità, l’agente 64 arrestò Crainquebille e lo portò al commissariato per oltraggio ad un agente della forza pubblica. Cominciò allora per Crainquebille la prima esperienza diretta con la giustizia. E quella giustizia lo dichiarò colpevole senza colpa, semplicemente perché il giudice non poteva non credere all’agente 64. Per il giudice non valse niente la testimonianza di un medico, ufficiale della Legione d’Onore, presente all’arresto, che dichiarò dietro giuramento, che Crainquebille non aveva insultato l’agente 64. Ma in quel tempo, come scrive Anatole France, “in Francia i sapienti erano dei sospetti”.

Dopo aver scontato la pena Crainquebille, uscito di prigione, riprese a spingere la sua carretta per le vie di Montmartre. Ma trovò tutto cambiato. Le massaie non compravano più niente da lui. Il che causò a Crainquebille tanta sofferenza e disperazione. Fino al punto di voler tornare di nuovo in prigione, perché almeno lì poteva mangiare e dormire al coperto. E siccome sapeva il trucco, perché non approfittare? Bastava trovare un agente e dirli in faccia “Mort aux vaches”. E così fece. Ma purtroppo per lui, il primo agente trovato per strada, dopo aver sentito pronunciargli in faccia “Mort aux vaches”, consigliò semplicemente a Crainquebille di continuare a camminare. E come scrive Anatole France alla fine del suo racconto, “Crainquebille, la testa bassa e con le braccia a ciondoloni, s’addentrò nell’ombra sotto la pioggia.”.

“Crainquebille” è un racconto, il cui contenuto dovrebbe servire da lezione e far riflettere tante persone, anche in Albania, su come non dovrebbe funzionare la giustizia. Soprattutto in Albania, dove la realtà con la giustizia è ben diversa e tutt’altro che normale. In Albania attualmente, prove e fatti alla mano, il sistema della giustizia risulta essere controllato dal potere politico, essendo, allo stesso tempo, radicalmente corrotto. Purtroppo attualmente in Albania ci sono tanti poveri “Crainquebille” che non trovano giustizia e vengono condannati per fatti non commessi e/o per delle accuse del tutto infondate. Tra quei tanti, ci sono anche venditori di ortaggi negli angoli delle strade di Tirana e altrove che cercando di guadagnare per sopravvivere, vengono maltrattati pubblicamente dai poliziotti e spesso finiscono anche in prigione. Proprio come accadeva a Crainquebille. Sono gli stessi poliziotti che però non osano agire contro i criminali e spesso collaborano con loro. Anche questo è un fatto ben noto ormai in Albania. Perché i criminali adesso si sentono potenti e se ne strafottono altamente sia della polizia, che dei giudici. Perché quello che importa adesso in Albania, le uniche cose che importano, sono il potere e il denaro. Con il potere, quello politico per primo, e con il denaro si fa e si controlla tutto. Anche la polizia di Stato e il sistema della giustizia.

Il nostro lettore è stato informato continuamente, durante questi anni, della grave situazione in cui versa il sistema della giustizia in Albania. Compreso anche il diabolicamente premeditato fallimento della Riforma della giustizia. La crisi profonda e il voluto fallimento di quella Riforma lo ha ultimamente documentato e denunciato anche il presidente della Repubblica, la più alta istituzione dello Stato. Anche se quello Stato attualmente è pericolosamente controllato dal primo ministro, il quale sta cercando di rimuovere dall’incarico lo stesso presidente della Repubblica, per diventare poi, un monarca onnipotente con tutte le allarmanti conseguenze. Tutto ciò in seguito ad una strategia per non far funzionare, tra l’altro, da ormai quasi due anni, la Corte Costituzionale e la Corte Suprema. Tutto ciò dopo che tutte le procure ubbidiscono umilmente e vergognosamente agli ordini politici partiti da molto in alto. E tutto ciò con il continuo consenso e il dichiarato supporto dei soliti “rappresentanti internazionali”. I quali, però, avranno sulla coscienza, se ne hanno una, le loro malefatte in Albania a scapito degli albanesi. Ma, secondo le cattive lingue, loro avranno comunque tanti milioni per i servizi resi. E le cattive lingue spesso non parlano a vanvera.

Chi scrive queste righe valuta che la situazione in Albania sta diventando sempre più grave e critica. Egli lo ripete da tempo ormai, ma soprattutto durante gli ultimi mesi. Credendo di conoscere le cause, egli è altresì convinto che senza sradicare definitivamente anche la giustizia ingiusta in Albania le cose andranno di male in peggio. Perché, come scriveva Anatole France riferendosi alla giustizia giusta, “Quando cresce un potere illegittimo, essa non ha che riconoscerlo per poi renderlo legittimo”. E se no, spetta soltanto agli albanesi decidere cosa fare.

 

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