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Il fallimento voluto ed attuato di una riforma

Quando la legge non può far valere i propri diritti, rendete almeno

legittimo che la legge non impedisca di infliggere i torti.

William Shakespeare; da “Re Giovanni”

La riforma del sistema della giustizia in Albania, ad oggi, risulterebbe essere una delle più negoziate, discusse e contestate. Ma purtroppo, fatti realmente accaduti alla mano, risulterebbe essere un fallimento voluto e programmato come strategia d’azione per essere, in seguito, anche attuato. Sono tanti, ma veramente tanti tutti quei fatti accaduti, evidenziati e noti pubblicamente che dimostrerebbero e testimonierebbero questa affermazione. L’autore di queste righe, a più riprese, ha trattato l’argomento durante questi anni, cercando di informare sempre il nostro lettore in modo oggettivo, riferendosi soltanto ai fatti pubblicamente noti ed accertati.

Che il sistema di giustizia in Albania avesse bisogno di essere riformato nessuno l’ha messo mai in dubbio. Che il sistema subisse delle ingerenze politiche, ignorando consapevolmente la sua indipendenza, anche questo era un dato di fatto. Che il sistema fosse considerato corrotto e che la giustizia venisse data in funzione del “miglior offerente”, si sapeva bene. Soprattutto da coloro che perdevano ingiustamente e clamorosamente cause soltanto perché l’altra parte poteva pagare o perché era politicamente raccomandata. Che il sistema avesse “contribuito” che le proprietà dei cittadini, soprattutto quelle costituite prima dell’avvento della dittatura comunista nel 1944 e poi, dopo il crollo della dittatura, ereditate dai veri proprietari, attualmente risultino “alienate”, anche questo è un dato di fatto. Lo sanno bene adesso tanti proprietari che vengono considerati, sarcasticamente e ingiustamente, come “ex proprietari” e che non riescono ad appropriarsi delle loro proprietà. Ma adesso, sempre dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe anche che il sistema della giustizia sia pericolosamente e politicamente controllato da una sola persona. E cioè dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che è proprio l’opposto contrario degli obiettivi strategici posti e che dovevano essere raggiunti con la Riforma del sistema di giustizia in Albania, uno dei quali prevedeva la reale e garantita indipendenza del sistema dagli altri poteri istituzionali. L’altro prevedeva la fine dell’impunità dei politici corrotti e colpevoli, i quali costituiscono, purtroppo, una combriccola molto numerosa in Albania.

Il funzionamento di uno Stato democratico, o che mira a diventare tale, si basa sulla separazione dei poteri. E per poteri si intendono il potere legislativo, quello esecutivo ed il potere giuridico. In più, tutti i tre poteri devono essere indipendenti l’uno dall’altro. E proprio l’indipendenza tra i tre poteri garantisce il buon funzionamento di uno Stato democratico, impedendo ingerenze ed abusi di potere, nonché fenomeni di corruzione. La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio quello della divisione dei poteri che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu. A quest’ultimo si attribuisce la formulazione dell’attuale teoria della divisione dei poteri. Per Montesquieu era indispensabile la separazione dei tre poteri, rendendoli indipendenti l’uno dall’altro, in modo da evitare l’assolutismo e salvaguardare la libertà dei cittadini. Lui era convinto che “… chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”, Ragion per cui, secondo Montesquieu, in modo che “… non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere” (Spirito delle leggi; 1748). E per garantire che tutto ciò funzioni, in tutti gli Stati democratici, o che mirano a diventare tali, vengono prese tutte le necessarie misure legali che garantiscono il funzionamento del principio “Check and balance – Controllo e bilanciamento [reciproco]”. Un principio questo che prevede il funzionamento di strutture e meccanismi, basati sulla legge, per mantenere e garantire sempre l’equilibrio tra i tre poteri che operano in uno Stato.

Ovviamente quando si parla di un sistema di giustizia, si fa riferimento all’insieme delle strutture necessarie che lo compongono e a tutto l’organico che fa funzionare quelle strutture. In Albania era diventato indispensabile l’avvio di una seria e ben concepita riforma radicale del sistema della giustizia. Da anni se ne parlava e finalmente, a fine del 2014, si diede inizio alla riforma. Adesso però, a fatti accaduti e compiuti alla mano, risulterebbe che quella riforma è stata voluta e attuata non per riformare e mettere finalmente ordine sul sistema, ma per far controllare quel sistema dal potere esecutivo. Le cattive lingue però ne parlarono già da allora. E il tempo adesso sta dando loro ragione. In Albania il potere esecutivo controllava pienamente il potere legislativo, soprattutto dal febbraio del 2019, quando i deputati dell’opposizione scelsero di consegnare i loro mandati parlamentari. Attualmente però controlla anche il potere giudiziario. Ed essendo ormai, purtroppo, una realtà facilmente verificabile che il potere esecutivo in Albania, dal 2013, viene identificato nella persona del primo ministro, allora risulterebbe che lui controlla tutti e tre i poteri che, secondo Montesquieu garantiscono il funzionamento di uno Stato democratico. Da sottolineare però che quando Montesquieu formulava la sua teoria della separazione dei poteri non esistevano i media come un quarto potere, come ormai vengono definiti. Sempre dati e fatti accaduti ed ufficialmente denunciati alla mano, da anni ormai il primo ministro albanese controlla personalmente, o tramite persone a lui legate, anche i media. Una preoccupante e pericolosa realtà questa che si sta evidenziando e si sta aggravando in Albania, giorno dopo giorno! Tutto il resto è semplicemente e vistosamente un disperato tentativo propagandistico per nascondere questa realtà vissuta e sofferta quotidianamente dalla maggior parte dei cittadini albanesi.

Tornando al fallimento voluto ed attuato della riforma del sistema di giustizia, diventa doveroso evidenziare anche il ruolo che hanno avuto in tutto ciò i “rappresentanti internazionali”. Anche di questo l’autore di queste righe ha scritto spesso ed ha informato sempre il nostro lettore. Come sopracitato, uno degli obiettivi della riforma era la reale e garantita indipendenza del sistema dagli altri poteri istituzionali. L’altro prevedeva la fine dell’impunità dei politici corrotti e colpevoli. Proprio di quei politici che uno dei “rappresentanti internazionali” chiamava i “Pesci grandi”. Ma purtroppo la Riforma ha fallito, anche sotto gli occhi dei “rappresentanti internazionali”, in tutti e due suoi basilari obiettivi. Non solo, ma addirittura ormai non si parla più dell’indipendenza del sistema di giustizia dagli altri poteri. “Stranamente”, da qualche tempo ormai, sia il primo ministro albanese e i suoi rappresentanti che i “rappresentanti internazionali” parlano soltanto e semplicemente della lotta contro la corruzione! Niente più “indipendenza del sistema”! E niente più “politici corrotti e colpevoli”! Un “diabolico” cambiamento di strategia di comunicazione pubblica le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Tranne che del primo ministro e dei “rappresentanti internazionali”, che parlano di successi raggiunti dalla “Riforma”!

Chi scrive queste righe, anche questa volta, avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per evidenziare e analizzare quanto è accaduto e sta accadendo con la “Riforma” di giustizia in Albania. Promette però di riprendere e trattare di nuovo questo argomento molto importante; il fallimento voluto ed attuato di una riforma. Nel frattempo suggerisce a tutti gli autori della “Riforma” e ai “rappresentanti internazionali” quanto scriveva Shakespeare nel suo Re Giovanni. E cioè che quando la legge non può far valere i propri diritti, rendete almeno legittimo che la legge non impedisca di infliggere i torti.

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