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Incubi e pretese irredentistiche

La violenza non risolve mai i conflitti, e nemmeno
diminuisce le loro drammatiche conseguenze.

Papa Giovanni Paolo II

Giovedì scorso, 8 novembre, una cerimonia religiosa ortodossa di sepoltura, in un villaggio in cui vive in pace una minoranza greca in Albania, è stata trasformata in una manifestazione violenta antialbanese. Tutto dovuto ad interventi offensivi, intollerabili e legalmente condannabili di gruppi organizzati paramilitari di estremisti ultranazionalisti greci, venuti appositamente dalla Grecia. Espressione arrogante di pretese, incubi e richiami di irredentismo covati e mai nascosti, da più di un secolo. Mentre le frontiere tra l’Albania e la Grecia sono state definitivamente delineate dal Protocollo di Firenze delle grandi potenze del 27 gennaio 1925 e in seguito sancite, il 30 luglio 1926 a Parigi, dalla Conferenza degli Ambasciatori delle grandi potenze (Patto Sociale n.330). Ciò nonostante, le pretese greche su determinati territori albanesi continuano e si manifestano, come una costante, di volta in volta. Si tratta però, di pretese che non solo non hanno credibili fondamenta storiche, ma che, purtroppo, non di rado sono state appoggiate anche da coperture e manipolazioni religiose.

Da più di settanta anni, un fatto storico ha offerto un cavillo alla diplomazia greca e non solo, per sancire le loro rivendicazioni irredentistiche. Ai greci sono venuti in aiuto gli scontri militari tra loro e l’esercito italiano. Il 28 ottobre 1940 cominciò quella che è stata riconosciuta come la campagna italiana in Grecia. Nel frattempo l’Italia aveva invaso l’Albania nell’aprile 1939. Da allora, Vittorio Emanuele III, oltre ad essere Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia si proclamò anche il Re dell’Albania. Dal territorio albanese il Regio Esercito italiano cominciò l’offensiva contro la regione greca dell’Epiro. Ma la campagna italiana contro la Grecia risultò subito un totale fallimento. Le forze greche, in poco tempo, cominciarono un vasto contrattacco, respingendo le truppe italiane oltre frontiera. Ma non si fermarono lì. Per i greci era rappresentata una ghiotta occasione per entrare e occupare dei territori albanesi. Territori che, per i greci, facevano parte di quella regione per la quale avevano coniato il nome “l’Epiro del Nord”. L’esercito italiano comunque riuscì, a fine febbraio 1941, a tener testa all’avanzata greca. Poi tentarono una massiccia controffensiva per respingere i greci dall’Albania, che purtroppo si concluse con un altro sanguinoso fallimento. Nel frattempo la Germania, con degli interventi ben organizzati e attuati, riuscì ad invadere sia la Jugoslavia che la Grecia. Paesi che subito sono stati costretti ad accettare la capitolazione. Soltanto grazie all’intervento tedesco, la campagna italiana in Grecia si concluse il 23 aprile 1941 come vittoriosa nel finale, nonostante sia stata considerata come un grave insuccesso politico e militare.

Per la Grecia l’importanza storica del conflitto armato con l’Italia è talmente grande che come Festa Nazionale è stata proclamata non la fine della Seconda Guerra Mondiale, bensì l’inizio del conflitto con l’Italia, cioè il 28 ottobre. Una data questa che, da un anno a questa parte, è entrata ufficialmente anche nei rapporti tra l’Albania e la Grecia. In seguito anche il perché.

Stranamente però, la Grecia mantiene tuttora lo “stato di guerra” con l’Albania, mentre da tempo non lo ha più con l’Italia! E questo perché la sopracitata campagna greca cominciò dal territorio albanese! Un ragionamento questo che fa acqua da tutte le parti, ma che la diplomazia greca porta ancora avanti. Nonostante l’Albania e la Grecia abbiano anche ratificato un Trattato di Amicizia tra di loro, che è entrato in vigore il 5 febbraio 1998. Tutti questi sopramenzionati fatti storici e ufficiali non bastano però a placare, una volta per sempre, i piani irredentistici della Grecia verso determinati territori albanesi.

Parte integrante di questi piani, sembrerebbe sia anche la presenza di alcuni cimiteri militari dei caduti greci in territorio albanese durante la controffensiva del 1941. Cimiteri distribuiti nel sud e sud-est dell’Albania, in seguito a lunghe trattative tra l’Albania e la Grecia. Ma secondo credibili testimonianze storiche e/o di anziani abitanti, spesso nei luoghi scelti per i cimiteri non è stato mai combattuto! In questo ambito non sono mancati neanche gli scandali. Scandali condannabili non soltanto legalmente, ma soprattutto moralmente. Si è trattato di consapevoli riempimenti di bare non con le ossa dei soldati greci, bensì con scheletri di bambini e donne. Scandali che sono diventati ancora più clamorosi perché sono stati coinvolti anche alcuni preti ortodossi, sia albanesi che greci, e altri rappresentanti delle due chiese. Fatti gravi, evidenziati e resi pubblici in diverse parti del territorio albanese, sempre nell’ambito della costruzione dei cimiteri militari per i caduti greci. Da una delibera del 13 dicembre 2017 del governo albanese è stata stabilita anche la data della ricorrenza: ogni 28 ottobre. Tutto questo e altro ancora è storia vissuta.

Tornando alla realtà di queste ultime settimane, il 28 ottobre scorso, durante la ricorrenza per i caduti greci del 1941, in un villaggio della minoranza greca nel sud dell’Albania, un abitante ha provocato e ha sparato con un mitra, prima in aria e poi verso una macchina della polizia. Dopo alcune ore, continuando a non consegnarsi e sparando contro i poliziotti, l’aggressore è stato ucciso dalla polizia albanese. Si è saputo in seguito, secondo fonti mediatiche, che la vittima era un estremista e ben addestrato per l’uso delle armi e non solo. Tutto ciò è diventato subito un caso diplomatico tra i due paesi. A gettar benzina sul fuoco è servita anche una irresponsabile dichiarazione del Primo Ministro albanese. E, guarda caso, un giorno dopo le tante discusse dimissioni del ministro degli Interni. Un’ottima opportunità per spostare l’attenzione pubblica e mediatica.

Dopo le dovute verifiche e le procedure legali, è stato dato anche il nulla osta per la sepoltura. La cerimonia ha avuto luogo nel villaggio natale della vittima, l’8 novembre scorso. Un villaggio di pochi abitanti ormai. Ma durante la cerimonia, oltre ai familiari, i parenti e i compaesani erano in tanti, alcune migliaia, quelli venuti dalla Grecia. E, purtroppo, si trattava di persone con degli obiettivi ben definiti e che poco avevano a che fare con la pacificità e la sacralità della cerimonia di sepoltura. I manifestanti, tenendo delle gigantesche bandiere della Grecia, gridavano “ascia e fuoco contro i cani albanesi”. Altri tenevano dei grandi manifesti offensivi nei quali, tra l’altro, era scritto “Qui è Grecia”. Inequivocabili incitamenti dell’odio nazionale e testimonianze dell’offesa nazionale. In seguito sono arrivate le dovute reazioni diplomatiche da entrambe le parti. La faccenda non è chiusa ancora, almeno mediaticamente.

Chi scrive queste righe, riferendosi a quanto sopra e ad altri precedenti avvenimimenti, considera quanto è accaduto una grave e aggressiva offesa fatta alla dignità nazionale albanese sul proprio territorio. Egli è convinto anche dell’incapacità dei politici albanesi, e soprattutto del primo ministro, di affrontare come si deve situazioni del genere. Essendo altresì convinto che, come diceva Papa Giovanni Paolo II, la violenza non risolve mai i conflitti, e nemmeno diminuisce le loro drammatiche conseguenze.

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