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Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano

La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante come trovare riparo durante un attacco aereo.

George Orwell

L’efferata aggressione russa in Ucraina continua, mietendo migliaia di vittime innocenti, a causare ingenti danni materiali. Una inconfutabile e purtroppo orribile testimonianza della spietatezza degli invasori russi è stata resa pubblicamente nota domenica scorsa. Nella cittadina di Bucha, che si trova nelle vicinanze della capitale ucraina, è stata scoperta una fossa comune dentro la quale sono stati trovati dei cittadini uccisi, alcuni addirittura con le mani legate dietro la schiena e con un colpo d’arma da fuoco dietro la testa. Il capo dei soccorsi locali, che ha organizzato ed attuato il recupero dei corpi, secondo fonti mediatiche, ha dichiarato: “Qui, in questa fossa, sono sepolte 57 persone”. Le orrende e crudeli immagini di quello che è stato subito considerato e denominato come il massacro di Bucha hanno suscitato l’indignazione e la reazione dell’opinione pubblica ed istituzionale a livello internazionale. Quelle immagini potrebbero rappresentare un’ulteriore prova e testimonianza a supporto delle accuse di genocidio attuato da parte delle forze armate russe in Ucraina. Ovviamente, e come hanno fatto dall’inizio della guerra in Ucraina, lo scorso 24 febbraio, i rappresentanti istituzionali e la propaganda governativa russa hanno negato tutto, scaricando tutte le responsabilità ed incolpando gli ucraini. Una strategia mediatica e propagandistica quella, scelta consapevolmente ed attuata accuratamente, dall’inizio di quella che il dittatore russo, sempre per motivi propagandistici, ha denominata “operazione speciale”. E non solo con delle dichiarazioni smentite dalla vera, vissuta e tragica realtà, ma anche con una continua diffusione di notizie false. Dopo il massacro di Bucha, il ministro degli Esteri ucraino ha chiesto la presenza, al più presto possibile, di una missione della Corte penale internazionale (il Tribunale per i crimini internazionali con sede all’Aia, in Olanda; n.d.a.). Il ministro, durante un’intervista, ha dichiarato: “Urge che la Corte penale internazionale e altre organizzazioni inviino missioni a Bucha e nelle altre città e villaggi liberati della regione di Kiev per lavorare con la polizia ucraina nella raccolta di ogni possibile evidenza dei crimini di guerra russi”. Nel frattempo il presidente ucraino continua a denunciare le atrocità dei russi, che hanno causato migliaia di vittime e immensi danni materiali e a chiedere degli aiuti di ogni genere. Il presidente ucraino ha chiesto anche ieri “aiuto, ma non col silenzio”. Mentre, riferendosi all’orrendo massacro, ha detto: “…Voglio che ogni madre di ogni soldato russo veda i corpi delle persone uccise a Bucha…”. La spietata ed orribile aggressione russa in Ucraina, proprio quella che il dittatore russo classifica e chiama, con irritante ed offensivo cinismo, “operazione speciale”, giustamente sta attirando tutta la dovuta ed indispensabile attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni internazionali e dei singoli Stati. Anche il nostro lettore, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, è stato sempre, continuamente, oggettivamente e responsabilmente informato da molti validi colleghi. Compreso anche l’autore di queste righe che, nel suo piccolo, ha cercato di dare il suo modesto contributo. Ragion per cui egli si ferma qui, per trattare, nei seguenti paragrafi, un caso che è ritornato la scorsa settimana all’attenzione dell’opinione pubblica, prima in Italia e poi anche in Albania. Un caso che evidenzia le misere bugie e le ingannevoli messinscene, messe in atto due anni fa, che continuano però ad accusare e che continueranno a farlo, finché la vera giustizia, al di sopra delle parti, non sia attuata e rispettata.

Era il 29 marzo del 2020. Un gruppo di 30 medici ed infermieri, partiti dall’Albania, arrivarono a Verona, dove sono stati ufficialmente accolti. In seguito il gruppo partì e raggiunse Brescia, dove era stato prestabilito che essi prendessero servizio, a fianco dei loro colleghi italiani. Era il periodo in cui la pandemia aveva cominciato a farsi sentire con delle gravi e preoccupanti conseguenze in Italia, soprattutto nelle regioni del nord. Era anche il periodo in cui, nonostante gli effetti della pandemia in Albania non fossero simili a quelli in Italia, la situazione doveva essere affrontata con la dovuta serietà e responsabilità. Cosa che però e purtroppo non è stata fatta. L’autore di queste righe ha informato allora il nostro lettore di tutto ciò. Così come ha evidenziato, denunciato e condannato allora anche una clamorosa, irresponsabile, vergognosa ed ingannatrice messinscena mediatica, con un unico protagonista: il primo ministro albanese.

Era il periodo in cui i cittadini albanesi erano stati costretti a rimanere chiusi in casa, abbandonati e delusi dal comportamento irresponsabile e preoccupante delle istituzioni. E tutto ciò in un Paese dove la maggior parte delle famiglie aveva delle scarsissime risorse finanziarie per affrontare degli “scenari apocalittici”, come venivano descritti dal loro primo ministro. Il quale però non diede alle famiglie bisognose nessun supporto concreto. Era un periodo però in cui, come scriveva l’autore di queste righe, il primo ministro aveva scelto “…di essere ogni giorno, e fino alla nausea, l’unico comunicatore mediatico, ‘l’uomo sapiente di tutto’ e ‘l’uomo onnipotente’ che decide di tutto e per tutti”. Era però un periodo in cui “…in tutte le sue apparizioni video, con le sue parole, consapevolmente o perché non riesce a rendersi conto, sta inculcando paura e sta generando terrore psicologico tra i cittadini segregati in casa”. Il primo ministro allora parlava soltanto di “scenari apocalittici”, di “guerre micidiali con un nemico invisibile” e di tanto altro. Ed è arrivato fino al punto di minacciare, addirittura, gli albanesi che sarebbero stati “tritati come carne di cane” dalla pandemia se non avessero ubbidito ai suoi ordini! L’autore di queste righe scriveva convinto allora, nel marzo del 2020, che “…Fatti accaduti alla mano, sembrerebbe che al primo ministro interessi soltanto l’apparizione mediatica e le immagini di facciata per usi puramente propagandistici”. E guarda caso, a fine marzo 2020, si presentò o si creò proprio l’occasione. Era il 29 marzo quando i media albanesi ed italiani annunciarono la partenza e l’arrivo in Italia di 30 medici ed infermieri che avrebbero dovuto assistere i loro colleghi italiani per combattere la pandemia. L’autore di queste righe era convinto allora, come lo è anche oggi che si trattava di “…una ghiotta opportunità per il primo ministro albanese di apparire mediaticamente a livello internazionale”. Tenendo presente la grave situazione pandemica in Italia in quel periodo, l’autore di queste righe scriveva “…I medici e infermieri che hanno scelto di affiancare i loro colleghi italiani hanno fatto un atto che merita rispetto. Ma l’uso mediatico del primo ministro è stato un atto vergognoso. E anche irresponsabile”. Allora era il periodo in cui, vista la propagazione preoccupante della pandemia, anche in Albania la presenza dei medici e degli infermieri stava diventando sempre più indispensabile. Anche perché da anni in Albania era stata evidenziata e denunciata a più riprese “…l’allarmante carenza, non solo in infrastrutture, di materiali e apparecchiature indispensabili ad affrontare la pandemia”. Così come, da alcuni anni allora, era stata denunciata a più riprese “…l’evidente carenza in risorse umane specializzate, medici ed infermieri compresi”. Si trattava di specialisti, i quali “…in seguito alle ben note e fallimentari politiche del governo nel settore della Sanità, […] hanno purtroppo scelto di lasciare il Paese ed andare a lavorare in altri Paesi, soprattutto in Germania”. E questo, allora come oggi, era ed è un fatto ben noto a tutti in Albania. Ed era proprio in una simile ed allarmante situazione pandemica che stava affrontando il Paese, quando il primo ministro albanese, decise di mandare in Italia 30 medici ed infermieri. L’autore di queste righe scriveva convinto che gli “scenari apocalittici”, di cui stava parlando da non pochi giorni allora il primo ministro albanese “non si affrontano con la propaganda, con le bugie, con gli inganni mediatici e con l’ipocrisia”. Perché “…I cittadini impauriti, psicologicamente terrorizzati, segregati in casa e minacciati di multe salatissime per le loro tasche ormai vuote hanno bisogno di certezze e garanzie. Perché i cittadini non devono sentire degli aberranti avvertimenti da parte del loro primo ministro, secondo i quali saranno “tritati come carne di cane” dalla pandemia se non obbediscono ai suoi ordini!” (Decisioni ipocrite e pericolose conseguenze; 30 marzo 2020).

Riferendosi sempre all’arrivo in Italia del gruppo dei 30 medici ed infermieri, l’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che “…Quell’evento è stato accompagnato da un impressionante rendiconto mediatico, seguito da un’altisonante eco, sia televisivo che della carta stampata”. Aggiungendo però che “…Al centro di tutto ciò non erano però e purtroppo i medici e gli infermieri, come giustamente e doverosamente doveva essere. No. Era, invece, il primo ministro albanese”. Considerando, perciò, tutto come “…semplicemente l’ennesima buffonata mediatica dalla quale il primo ministro albanese ha cercato di trarre vantaggio”. L’autore di queste righe esprimeva per il nostro lettore la sua ferma convinzione, secondo la quale “…Purtroppo si è trattato di una messinscena mediatica, della quale, però, i cittadini italiani sono stati ingiustamente e immeritatamente non solo disinformati, ma anche ingannati”. Un inganno quello, nolens volens, messo in atto dai media in Italia che hanno presentato il primo ministro albanese come un “modello interessante di positività.” (Obiettivi mascherati di una messinscena mediatica, 6 aprile 2020).

Ebbene, due anni dopo e proprio il 28 marzo scorso sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo di Andrea Galli, intitolato Covid Lombardia, la missione albanese nel 2020 tra festini e multe (con un benzinaio infiltrato tra i medici). In quel articolo si denunciava che “Sopra il mar Adriatico, la squadra di Tirana viaggiò a bordo di un aereo in compagnia – non esiste nessuna indagine in quanto all’epoca e anche dopo non si vollero compiere accertamenti -, di soldi in contanti. Più di quelli, molti di più, ma tanti di più, che sarebbero serviti per vivere a Brescia, poiché gli albanesi furono ospiti come lo furono i russi, costatici 3 milioni di euro”. In seguito si evidenziava che però “…se già erano stati notori i bagordi e i festini alcolici degli albanesi nell’hotel che li ospitò a Brescia rimediando perfino surreali multe per gli assembramenti, e se anche in quel caso vi fu a monte un accordo tra il là premier (Edi Rama) e quello italiano Giuseppe Conte (con ruolo apicale del ministro degli Esteri Luigi Di Maio), ecco, bisognerà che qualcuno chiarisca cosa diavolo ci faceva un benzinaio nel gruppo di trenta medici e infermieri, al cui interno in ogni modo spiccarono giovani professionisti di valore”. L’autore dell’articolo pubblicato il 28 marzo scorso sul Corriere evidenzia, tra l’altro, che “…Analisti internazionali avevano sintetizzato l’essenza della delegazione quale mossa geopolitica, legittima e regolare, del premier Rama, classiche manovre diplomatiche per avanzare crediti e acquisire ulteriori punti nella corsa a entrare nell’Unione europea”. E non a caso egli sottolineava che “…a ritroso si deve per la cronaca evidenziare l’azione di collante del famoso avvocato albanese Engieli Agaci, difensore spesso di grossi narcotrafficanti e uomo assai ascoltato dalle nostre istituzioni”. Guarda caso però, quel “famoso avvocato albanese” è anche il segretario generale del Consiglio dei ministri in Albania e anche l’eminenza grigia del primo ministro.

Chi scrive queste righe, con ogni probabilità, continuerà la settimana prossima a trattare questo argomento, perché è convinto che aiuterà molto a comprendere la gravissima realtà albanese, dovuta al consolidamento della dittatura sui generis in Albania. Una dittatura questa basata sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti locali e internazionali.  Una realtà che la propaganda governativa cerca di “annientare”. Come sta facendo la propaganda del dittatore russo, da quando ha cominciato l’invasione dell’Ucraina. Aveva ragione George Orwell, secondo cui “La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante come trovare riparo durante un attacco aereo.

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