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Nuovo provvedimento allo studio di Pechino rinfocola le tensioni con Hong Kong

La Cina si avvia a imporre una nuova legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, gettando le basi per nuove tensioni con gli attivisti pro democrazia dell’ex colonia, dopo le dure e violente proteste del 2019. La norma è in discussione a Pechino, ma il presidente degli Stati Uniti Donald Trump – sempre più in rotta con la Cina su diversi fronti, a cominciare dalle accuse sulle responsabilità cinesi sulla pandemia da Covid-19 – ha già avvertito: se la nuova legge entrerà in vigore, gli Usa reagiranno con forza. Mentre l’Unione europea insiste sul principio ‘un Paese, due sistemi’ e su un “dibattito democratico a Hong Kong e il rispetto dei diritti e delle libertà”.

L’obiettivo di Pechino è quello di “istituire un quadro giuridico e un meccanismo di applicazione migliorati per la protezione della sicurezza nazionale” nell’ex colonia, ha detto nella conferenza stampa tenuta in tardissima serata da Zhang Yesui, portavoce del Congresso nazionale del popolo, in merito ai temi che saranno discussi da domani nella sessione plenaria dell’assemblea parlamentare cinese i cui lavori si chiudono il 28 maggio. Pechino ha chiarito più volte, con maggiore insistenza negli ultimi tempi, di volere una nuova legislazione sulla sicurezza da applicare a Hong Kong dopo le turbolenze dello scorso anno, tra proteste sfociate in autentici scontri violenti, sulla base della considerazione che la situazione dell’ex colonia rappresenti un buco nella sicurezza nazionale del Dragone.

La proposta rafforzerebbe i “meccanismi di applicazione” della delicata normativa nell’hub finanziario, ha osservato Zhang. E farebbe leva sull’articolo 23 della mini-costituzione di Hong Kong, la Basic Law, secondo cui la città deve emanare leggi sulla sicurezza nazionale per proibire “tradimento, secessione, sedizione (e) sovversione” contro il governo cinese. La clausola non è mai stata applicata a causa dei profondi timori che potesse produrre la riduzione dei diritti e dello status speciale di Hong Kong, dove è ad esempio tutelata la libertà di espressione, nell’ambito degli accordi siglati da Cina e Gran Bretagna prima del passaggio dei territori sotto la sovranità di Pechino nel 1997. Un tentativo di emanare l’articolo 23 nel 2003 fu bruscamente accantonato dopo che mezzo milione di persone scese per le strade a protestare. Ora, il controverso disegno di legge è ritornato sul tavolo in risposta all’ascesa del movimento democratico nell’ex colonia britannica.

Dai senatori repubblicani Ted Cruz e Mitt Romney all’ex consigliera di Obama, Susan Rice, è un coro bi-partisan quello che si è alzato negli Stati Uniti in difesa di Hong Kong e di condanna alla Cina. Sui social da ieri notte si moltiplicano i messaggi di critiche a Pechino, dopo la decisione di inasprire le leggi che prevedono l’arresto, nella regione autonoma, di chiunque venga accusato di “tradire la Cina”. Romney scrive: “Io sto con il popolo di Hong Kong nella continua ricerca di libertà e autonomia”.  Critiche alla Cina arrivano anche dal senatore Josh Hawley, tra i promotori del documento di condanna bi-partisan del Congresso e dal senatore, ed ex candidato presidenziale, Cruz secondo il quale le “nuove leggi imposte da Pechino segnano la fine dell’autonomia di Hong Kong”. Rice, ex consigliera di Barack Obama e ambasciatrice Usa all’Onu, “La Cina sta marchiando ciò che è rimasto della democrazia di Hong Kong. E cosa ha fatto o detto finora Trump? Niente. Lascia che se ne occupi il ragazzo Mike Pompeo. Trump dimostra ancora quanto sia debole e spaventato da Pechino”.

Sottolineando in una nota che “l’Ue ritiene che il dibattito democratico, la consultazione delle principali parti interessate e il rispetto dei diritti e delle libertà a Hong Kong rappresenterebbero il modo migliore di procedere nell’adozione della legislazione nazionale in materia di sicurezza, come previsto dall’articolo 23 della legge di base” l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell ha affermato che la stessa Ue “sostiene al contempo l’autonomia di Hong Kong e il principio ‘un Paese due sistemi’ e continuerà a seguire da vicino gli sviluppi”.

Gran Bretagna, Australia e Canada hanno a loro volta espresso “profonda preoccupazione” per la legge sulla sicurezza che la Cina intende introdurre a Hong Kong. Attraverso una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri, Dominic Raab, Marise Payne e Francois-Philippe Champagne che è stata diffusa dal Foreign Office, i tre Paesi ricordano gli impegni “legalmente vincolanti” sull’autonomia di Hong Kong firmati nelle dichiarazione congiunta che segnò la restituzione alla Cina della ex colonia britannica.

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