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Stabilità a scapito della democrazia

L’unico stato stabile è quello in cui tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge.

Aristotele

 Parlando dello stato dell’Unione nel 2017, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, durante il suo discorso ufficiale, ha reso nota la visione del futuro europeo per i Paesi dei Balcani occidentali. Egli ha dichiarato che “…Se vogliamo che nel nostro vicinato regni maggiore stabilità, dobbiamo anche mantenere prospettive di allargamento credibili per i Balcani occidentali”.

Perciò la visione della Commissione europea per i Paesi dei Balcani occidentali è quella di Paesi stabili. Il che significa far sì che si verifichino meno problemi possibili in quei territori, costi quel che costi. Il che significa, perciò, che tra l’obiettivo strategico della stabilità e quello della democrazia, la scelta è stata quella della stabilità. Basandosi, però, nelle esperienze degli ultimi decenni, relative ai sostegni e/o agli interventi internazionali in determinati Paesi e/o regioni del mondo, due sono gli approcci geopolitici adottati: quello dell’instaurazione di una democrazia istituzionale, oppure quello di garantire la stabilità, permettendo ai locali di governare con una mano forte. Scegliendo la stabilità potrebbe garantire, a breve e medio termine, meno problemi e preoccupazioni per le istituzioni dell’Unione europea. Sia per quanto riguarda l’adempimento dei sacrosanti interessi di sicurezza dei Paesi membri dell’Unione, che per il raggiungimento degli obiettivi preposti dall’Unione europea, nell’ambito della Strategia dell’allargamento. Ma a lungo termine cosa accadrà? Perché la storia ha dimostrato che non sempre la scelta della stabilità, a scapito della democrazia, ha minimizzato i problemi. Anzi, la storia ci insegna che si sono generati più problemi di quelli che si prevedeva fossero “azzerati” con la scelta della stabilità. Basta riferirsi a quanto sta succedendo, da tempo ormai, nella regione del Medio oriente, nell’Africa settentrionale, o in determinati Stati dell’America centrale e quella latina. Ragion per cui bisogna tenere presente che non sempre la scelta della stabilità, invece che della democrazia, sia una scelta lungimirante.

Optando però per la stabilità, le istituzioni dell’Unione europea sembra abbiano deciso di “chiudere un occhio” a quello che accade e/o accadrà realmente nei singoli Paesi dei Balcani occidentali. Permettendo così ai già problematici dirigenti politici locali di continuare a governare indisturbati, diventando, perciò, dei piccoli despoti. Cosa che ormai si sta verificando. Riferendosi alle diverse realtà vissute attualemente nei Balcani, un simile atteggiamento da parte delle istituzioni europee appoggia, nolens volens, i regimi totalitari che si stanno costituendo nei singoli Paesi della regione.

Sempre parlando dello stato dell’Unione nel 2017, il Presidente della Commissione europea non poteva, però, non sottolineare anche i gravi problemi che si sono verificati e che “…nei negoziati i Paesi (dei Balcani occidentali; n.d.a.) candidati all’adesione devono conferire la massima priorità allo Stato di diritto, alla giustizia e ai diritti fondamentali”. Il che significa che nelle Istituzioni europee sono consapevoli di quelle priorità che risulterebbero essere, innanzitutto, le vere preoccupazioni e le reali sfide da affrontare e, possibilmente, vincere nei singoli Paesi dei Balcani occidentali. In un simile contesto però, sembrerebbe esserci mancanza di coerenza tra quanto dichiarava Juncker sulla “maggiore stabilità” che dovrà regnare nei Balcani occidentali e le “massime priorità” sopracitate. Perché il funzionamento dello Stato di diritto, della giustizia indipendente, incontrollata e incondizionata, nonché il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali sono garantiti solo e soltanto in una società dove sono instaurate e funzionano le istituzioni democratiche. Mentre la stabilità non sempre significa e presuppone anche una vera e funzionante democrazia. Anzi! Perché lo Stato di diritto, la giustizia e i diritti fondamentali vengono regolarmente e continuamente ignorati e calpestati dai dirigenti politici totalitari che governano in alcuni Paesi dei Balcani occidentali. Perché le tante esperienze attuali che si segnalano da quella regione dimostrano che le connivenze tra la “stabilità” socio-politica e le istituzioni democratiche sono problematiche e spesso si escludono l’un l’altra. Ecco perché, tenendo ben presente quello che realmente accade in determinati Paesi dei Balcani occidentali, potrebbero sembrare privi di coerenza, quanto ribadiva il Presidente della Commissione europea, parlando dello stato dell’Unione nel 2017.

Mancanza di coerenza evidenziata anche dalla stessa strategia dell’Unione europea per l’allargamento dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali. Strategia presentata e discussa il 6 febbraio scorso a Strasburgo, in una seduta del Parlamento europeo. Strategia, nella quale si evidenziava, tra l’altro, che “… I politici dei sei Paesi – Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia – devono prendere con più serietà l’attuazione del dominio della legge, la lotta contro la corruzione, la sconfitta della criminalità organizzata”. Il che significa e conferma quello che ormai si sa benissimo. E cioè che coloro che governano in quei Paesi non sono dei “santi”. Anzi! Perciò sarà difficile che essi possano rispettare e “…conferire la massima priorità allo Stato di diritto, alla giustizia e ai diritti fondamentali”. Mentre loro potrebbero facilmente gioire e trarre enormi vantaggi dall’attuazione della scelta strategica, secondo la quale bisogna che “…nel nostro vicinato [dell’Unione] regni maggiore stabilità”.

Basterebbe tenere presente la vissuta realtà albanese per rendersi conto di quanto sopra. Perché l’Albania rappresenta un eloquente esempio dell’approccio sbagliato da parte delle istituzioni dell’Unione europea. Almeno in questi ultimi anni. Sarebbe sbagliato e poco lungimirante, se si decidesse sull’apertura dei negoziati con l’Albania come Paese candidato basandosi su altri “criteri”, ingorando i meriti. I meriti dovrebbero essere l’unico criterio. Una simile scelta sarebbe nell’interesse, sia dell’Albania, che della stessa Unione europea. Ogni altro criterio che punterebbe alla stabilità a scapito della democrazia, nel caso dell’Albania, aiuterebbe soltanto all’instaurazione di un regime totalitario. Lo sta dimostrando molto bene anche quanto sta accadendo in questi ultimi giorni, testimoniando l’arroganza totaliatria del primo ministro. Ci sono sviluppi in corso che saranno seguiti e riferiti in seguito.

Sono tante le ragioni perché chi scrive queste righe continua ad essere convinto di quanto aveva scritto prima (Patto Sociale n.269). E cioè che “…Un Paese democratico, nonostante problemi passeggeri, può ritornare ad essere stabile. Perché la stabilità è parte integrante della democrazia, mentre il contrario non è sempre vero e fattibile. Cioè, la stabilità non sempre presuppone la democrazia. Ci sono tanti esempi di Paesi stabili ma non democratici. Basta riferirsi alle dittature”. Aristotele, dall’antichità, ci ammonisce ricordandoci che l’unico stato stabile è quello in cui tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge.

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