Interviste

Il teatro è adesso

Un documentario per comprendere lo stato dell’arte

Il mondo del teatro, come quello degli eventi dal vivo, è fermo da quasi un anno. I lavoratori del settore sono più di mezzo milione e a rischio non c’è solo la loro sussistenza ma tutti i benefici che le arti dal vivo (e da vivi) portano alla società. Dall’arricchimento individuale e comunitario alla capacità di elaborare e condividere gioie e dolori. Cose tutt’altro che trascurabili. Se gli italiani hanno saputo fin da subito, a differenza di altri popoli (e se pur derisi da altri popoli), esprimere dal vivo, senza inibizione alcuna, dai loro balconi, le loro migliori performance teatrali e musicali è forse proprio perché è a partire dalle relazioni dal vivo (prima ancora che social) che si è sentita la necessità di dare forza al paese e l’esigenza di esorcizzare il grave lutto per la momentanea perdita delle relazioni interpersonali. Tutti d’accordo sul fatto che la priorità sia l’emergenza sanitaria ma dobbiamo essere anche tutti d’accordo sul fatto che l’industria culturale debba essere considerata alla pari degli altri settori produttivi. Cosa che in questo momento non sta avvenendo. Sul tema ho avuto modo e il piacere di poter intervistare il giornalista RAI Alessandro Gaeta, autore di reportage per Speciale Tg1 e Tv7, da sempre vicino al mondo del teatro il quale sta aiutando il Collettivo Natasha nella raccolta fondi per concludere il documentario indipendente e autoprodotto intitolato “Il teatro è adesso”.

Come nasce il docu-film intitolato “Il teatro è adesso”?

Nasce dalla consapevolezza che sulla chiusura dei teatri avvenuta a causa della pandemia ormai un anno fa non si è acceso nell’opinione pubblica alcun campanello d’allarme. Eppure dodici mesi di stop allo spettacolo non solo vuol dire migliaia tra autori, registi, attori e tecnici rimasti senza lavoro ma rappresenta anche una ferita profonda inferta alla formazione culturale di questo paese e al suo vivere sociale. Bisogna intervenire con urgenza. Per questo il titolo richiama il pensiero dell’attrice Judith Malina co-fondatrice del Living Theater (Il Living Theatre è una compagnia teatrale sperimentale contemporanea, fondata a New York nel 1947, n.d.r.)

Secondo te perché è avvenuta questa distrazione collettiva?

Tutti presi dalle cronache della pandemia e ormai affetti dalla sindrome di chi tende a guardarsi solo dentro e attorno al proprio ombelico, i grandi mezzi d’informazione distratti dai dibattiti spesso sterili e fini a sé stessi che agitano i social, hanno abdicato al loro compito primario che sarebbe quello di far emergere i grandi problemi di questo paese. Si tratta di un grande lavoro di scavo e di interpretazione dei malesseri sociali che il giornalismo italiano ormai svolge sempre più di rado

E la politica?

La politica si alimenta sempre meno sui giornali e sempre più sui social. Insegue i like e si cura dei problemi reali solo quando riguardano o interessano grandi masse di “amici” su Facebook o di followers su Instagram. Se di un tema non se ne parla abbastanza su internet difficile che la politica se ne occupi. Con una informazione così polarizzata e superficiale è chiaro che la crisi del teatro fatica a trovare spazio.

Raccontaci del documentario

Lo sta realizzando il Collettivo Natasha, un gruppo di autori e tecnici televisivi che coltiva progetti di reportage e documentari autoprodotti. Ho raccontato loro del dibattito tra la gente di spettacolo che nel primo lockdown infiammava la piattaforma Zoom e hanno colto subito l’urgenza di dare visibilità ai rischi che corre il teatro.

Quali rischi?

I rischi sono tanti ma quello che più di altri si fa fatica a comprendere è che la chiusura dei teatri non genera solo la perdita di introiti e di migliaia di posti di lavoro molto qualificati ma ferma e sterilizza la creazione. La vita della gente di spettacolo è fatta di immateriale, di idee che nascono e si sviluppano nel tempo, contrassegnato dalle scadenze dei bandi e dai calendari teatrali. Un tempo per la creazione, che spesso non è né considerato né retribuito. A maggior ragione oggi che non si sa quando i teatri torneranno ad alzare il sipario.

È stata avviata una campagna di raccolta fondi (crowfunding)? Con quale scopo?

Non solo la possibilità di riuscire a concludere la realizzazione del documentario ma quello di rompere il silenzio attorno ai rischi che corre il teatro e in generale tutto lo spettacolo dal vivo. Ci auguriamo che i sostenitori de “Il teatro è adesso” non si preoccupino solo di finanziare questo progetto ma che si facciano portavoce delle tematiche che il documentario racconta. Per questo, come la firma sotto una petizione, tutti i sostenitori – anche quelli che parteciperanno con pochi euro- saranno citati uno per uno nei titoli di coda. Questo è il sito dove poter contribuire liberamente alla realizzazione di questo progetto: https://www.produzionidalbasso.com/project/il-teatro-e-adesso/

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