Feder: a frequentare le vie del bosco di Rogoredo sono ormai i giovanissimi grazie anche a sostanze smerciate 24 ore al giorno a prezzi stracciati
Ogni mercoledì sera lo si può incontrare al bosco di Rogoredo, il non-luogo di Milano noto alle cronache per essere una piazza di spaccio a cielo aperto e divenuto sinonimo di degrado e solitudini. Lui è Simone Feder, psicologo, da anni impegnato nelle strutture della comunità Casa del Giovane di Pavia dove è coordinatore dell’Area Giovani e dipendenze, che da tempo incontra e si confronta con i tanti giovani, e non, che popolano quell’area, soprattutto quando cala la sera, offrendo loro aiuto e ascolto. Da questa esperienza ha scritto, nel 2020, il libro ‘Alice e le regole del bosco’. Oggi in quello spazio, grazie all’interesse degli abitanti e al lavoro costante di chi vi opera, la situazione è migliorata., ma c’è ancora tanto da fare. Per aiutare il Team Rogoredo, qualche sera fa, è stato organizzato, a Milano, un evento di solidarietà in cui, grazie al passaparola, in tanti hanno incontrato Feder e ascoltato i suoi racconti, i suoi progetti e il suo invito a partecipare tutti attivamente per provare ad arginare un fenomeno solo apparentemente sopito.
Qual è attualmente la situazione al bosco di Rogoredo?
L’emergenza si è spostata fisicamente dal bosco di cui siamo abituati a parlare. Quella che non è cambiata e permane è la disperata situazione di vita di molti giovani, sempre più devastati da sostanze e prigionieri di una vita che non lascia scampi né respiro.
Chi sono gli operatori del Team Rogoredo e quali sono gli interventi che abitualmente svolgete?
Come team Rogoredo, di cui fan parte ‘Casa del Giovane’, ‘La Centralina’, ‘Milano sospesa’, ‘Vispe’, ‘Cisom’, ci occupiamo fondamentalmente di aggancio e di accoglienza. Un’accoglienza che non è fatta di porte da aprire, ma di parole da ascoltare e mani da tendere. Il nostro appuntamento fisso del mercoledì sera è volto a creare un primo aggancio con chi abita il bosco, un segnale che possa risvegliare nell’altro il desiderio di riprendere in mano la propria vita. Vuole essere un modo per condurlo con i tempi necessari alla cura e alla presa in carico di un malessere che rischia altrimenti di diventare pervasivo.
Ricevete appoggio e collaborazione dalle istituzioni e dalle Forze dell’Ordine?
L’appoggio maggiore e più importante ci arriva soprattutto dalle associazioni che ruotano intorno al bosco e da tutta la gente che ha scelto di avvicinarsi alla nostra realtà. Sono giovani, studenti e lavoratori che, inciampati per qualche motivo nelle richieste di aiuto provenienti dal bosco, decidono di non essere indifferenti e impegnarsi in prima persona ad essere soggetti attivi di una rivoluzione cultuale sempre più necessaria.
Qual è la fascia di età che maggiormente fa uso di stupefacenti e quanto è facile acquistarli? Sappiamo che i prezzi si sono abbassati e con essi la qualità dei prodotti, se si può usare un’espressione simile…
Gli ospiti del bosco sono di appartenenze trasversali sia per età che per classe sociale, ormai non esiste più lo stereotipo del dipendente, adulto e appartenente a fasce più povere della società, a cui le narrazioni passate ci hanno abituati. Molti sono ormai i giovanissimi che frequentano le vie del bosco, in un continuo viavai favorito anche da sostanze smerciate 24 ore al giorno a prezzi stracciati. La droga al bosco si acquista con le monetine che facilmente si possono reperire scollettando in stazione.
Le famiglie, alla fine anch’esse vittime delle droghe, come si relazionano con la vostra realtà? Vi cercano? Propongono di collaborare?
Riceviamo continue richieste da parte di genitori disperati che ci chiedono notizie dei loro figli dispersi. Sono mamme e papà abbandonati da tutti, che cercano aiuto per strappare i loro cari dai sentieri del bosco, senza neanche sapere se sono ancora vivi.
Numerose sono anche le famiglie che si avvicinano al mondo del volontariato e con buona volontà ci aiutano e sostengono con donazioni
Tra i giovani che incontra c’è ancora la speranza di imbattersi in una nuova Alice?
Nessuno è irrecuperabile, sono profondamente convinto che assolutamente in tutti c’è parte bella nascosta. Certo, sarebbe bello non avere più necessità di incontrare un’altra Alice, sarebbe bello pensare che non esista più nessuna Alice nel bosco che necessita di una mano per essere tirata fuori da quel luogo.
Dobbiamo però essere pronti ad ascoltare la loro richiesta, anche quando non è espressa, a cogliere i segnali che diano appigli per riaccendere la speranza. Essere in prima persona ‘accoglienza’ e fare il possibile per porci in questa ottica.
Negli anni scorsi c’è stato molto clamore mediatico attorno al bosco di Rogoredo, poi solo qualche notizia sporadica (e di mezzo il covid) che indurrebbe a far pensare che l’emergenza si sia ridotta, ma sappiamo bene che non è così. Come se lo spiega?
Nell’ultimo periodo si è ridotto il tam tam mediatico su giornali e televisioni, il disagio fa audience solo se presentato in termini sensazionalistici, atteggiamento da cui siamo sempre rifuggiti, preferendo un diverso tipo di comunicazione.
Quello che invece è sempre più in aumento è, per fortuna, la risposta di chi desidera aiutarci. Tanti sono i donatori che ci sostengono con forme più diverse, a seconda delle proprie disponibilità.
Da diversi anni all’interno dei servizi si dice che è ora di cambiare paradigma, noi lo stiamo facendo partendo dal basso, andando incontro alle persone nel nascondimento e con costanza, con il sostegno di molti volontari che ci credono insieme a noi.
Che aiuto concreto possono dare i cittadini al Team Rogoredo?
L’aiuto più importante e necessario è quello di aiutarci a diffondere la cultura dell’accoglienza verso il prossimo, generare quella sensibilità necessaria a creare il giusto senso di responsabilità condivisa che è il primo motore di un cambiamento.
Per il resto prosegue da alcuni anni la nostra iniziativa ‘dona un libro al bosco’, che prevede la raccolta di libri inviati da tutta Italia, con una dedica per i giovani del bosco, che andranno poi a riempire la nostra biblioteca.
Nell’ultimo anno abbiamo poi iniziato la raccolta di vestiti che, specialmente nei mesi invernali, sono preziosi per combattere il freddo pungente.
Negli Stati Uniti da qualche tempo è allarme Fentanyl, droga 30 volte più potente dell’eroina che sta uccidendo migliaia di persone. In Italia che rischio corriamo?
Da diverso tempo al bosco abbiamo le prime avvisaglie dell’arrivo di diverse sostanze, mai viste prima, che danno effetti nuovi tra cui lacerazioni sulla pelle devastanti. Sono sperimentazioni sotto gli occhi di tutti al bosco, costantemente ci imbattiamo in persone preda di sostanze nuove o non sostanze perchè non conosciamo l’eziologia di certi comportamenti e manifestazioni fisiche e non.
Il mercato si muove anche nel mondo della droga seguendo un’unica logica: risparmiare. Il Fentanyl è più pesante dell’eroina, i suoi effetti sono diverse volte più forti e con una dose piccolissima ottieni già effetti devastanti: è più conveniente per i venditori di morte.
Lei è conosciuto per il suo impegno nella lotta alle ludopatie. Quanto l’uso, se non compulsivo ma abituale, dei social ha aggravato la situazione?
Oggi il disagio si esprime attraverso forme sempre più trasversali e variegate. Oltre alle sostanze pensiamo all’azzardo, all’autolesionismo, ai disturbi alimentari… tutte forme di malessere in aumento esponenziale anche nei giovanissimi.
Sono tentativi di lenire un dolore che è per loro devastante, non ha una risposta e non viene facilmente intercettata.
Questo ci richiede di rivedere costantemente il nostro essere operatori oggi, ci interroga sulla nostra presenza e sul nostro modo di rispondere ad una sofferenza che rompe gli argini. Il termometro oggi non è cosa usi, ma perchè lo fai. In questo i social sono una potente cassa di risonanza, troppo spesso fuori controllo.