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Il progresso non è solo far camminare più velocemente il treno, è anche tirare il freno quando serve

Gianfranco Fini

A riprova di quanto sia illusorio, in presenza di eventi storici, ritenere che l’immediato futuro sia migliore del recente passato, è sufficiente ricordare anche per sommi capi cosa è accaduto dall’ultimo decennio del XX secolo al secondo decennio del XXI.

In soli trent’anni è radicalmente mutato il mondo intero, da ogni punto di vita: geopolitico, economico, sociale, culturale, scientifico…

Dal 1989 ad oggi: cade il muro di Berlino, scompare l’Unione Sovietica, finisce la guerra fredda…L’undici settembre, il terrorismo internazionale, Al Qaeda e Isis, la invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, le stragi islamiste in Europa, le primavere (?) arabe, riesplode il conflitto Israele/arabopalestinese, le due intifada e l’uccisione di Rabin, la guerra civile in Siria e Libano, il pericolo della teocrazia iraniana, la strage del 7 ottobre e le note, attuali conseguenze.  E ancora: l’imperialismo neozarista di Putin, l’invasione della Crimea e dell’Ucraina, l’ascesa al rango di potenza globale della Cina capitalcomunista, truppe nordcoreane a fianco dei russi…La Brexit e la debolezza dell’Unione europea….

Contemporaneamente a questi enormi sconvolgimenti geopolitici, in Vaticano si succedono tre papi, due dei quali sono tali contemporaneamente…Il fallimento della Lehman Brothers e la crisi dei mutui subprime determinano una recessione economica globale con enormi ripercussioni sociali non solo nell’Occidente liberalcapitalista. Inoltre, il Covid fa rivivere la peste dei secoli bui mentre la scienza apre nuove frontiere e pone inediti quesiti etici nel campo medico (utilizzo delle cellule staminali), in quello filosofico (intelligenza artificiale), in quello culturale (realtà virtuale e fake news dei socialmedia).

Assodato che, con buona pace di Fukujama, la storia non è finita nel 1990, anzi…non è difficile comprendere perché oggi la società occidentale è e si sente disorientata, priva di solidi ancoraggi valoriali, di certezze che infondano sicurezza (o almeno non generino paure). Viviamo tempi oggettivamente ansiogeni e agli sconvolgimenti del passato più recente si sommano cupe, ma non necessariamente infondate, previsioni circa il rischio di una nuova guerra mondiale, di ondate migratorie di enorme consistenza, dell’imminente tracollo dell’ecosistema globale. E c’è finanche chi teorizza che il futuro sarà segnato dal postumanesimo.

Tutto ciò spiega perché nelle società occidentali sono sempre meno coloro che confidano nelle “magnifiche e progressive sorti” dell’umanità e sempre più numerosi sono coloro che pensano che “il progresso non è solo far camminare più velocemente il treno, è anche tirare il freno quando serve” (Benjamin Franklin).

Negli ultimi anni, sul piano politico elettorale, il “freno” è stato individuato dagli europei prevalentemente nelle forze di destra, molto diverse tra loro e non sempre tra loro compatibili, ma con un profilo culturale e valoriale caratterizzato da alcuni importanti elementi comuni. A partire dalla difesa della identità delle comunità nazionali: una identità formatasi nel tempo sulla base di valori e tradizioni, usi e c costumi, condivisi perché da sempre trasmessi di padre in figlio, una generazione dopo l’altra.

Avere coscienza della propria identità, cioè sapere in ragione di quali radici profonde, che non gelano, “si è quel che si era e si sarà” (Roger Scruton) rassicura, protegge dal timore di un futuro peggiore del presente. La destra l’ha compreso perché lo ha sempre saputo e quasi ovunque (ma le eccezioni ci sono e vanno denunciate) ha ben chiara la differenza valoriale tra uguaglianza ed omologazione, tra patriottismo e nazionalismo, tra etnia e razza, tra integrazione e cosmopolitismo, tra laicità e laicismo, tra libero mercato e finanziarizzazione dell’economia, tra europeismo e burocrazie di Bruxelles…

Al contrario la sinistra, almeno nella sua componente riformista e liberale, non più postcomunista e non più  anticapitalista, paladina dei diritti civili ma dimentica dei diritti sociali e del tutto insensibile all’armonia tra diritti e doveri…La sinistra che “parla di becero populismo ogni qualvolta si accorge che il popolo non la segue più” (Jean Michel Naulot) non annette alcuna importanza alla identità come valore, come caratteristica  positiva da armonizzare, come tratto distintivo di ogni essere umano e di ogni popolo…E così, mentre la società europea chiede al macchinista (la politica) di azionare il freno, la sinistra lo invita ad accelerare la corsa verso ..il nichilismo assoluto. Esagerazione? Non è forse vero che l’ultima versione della sinistra liberal auspica la cancellazione della storia?  Quindi via le statue di Colombo e l’effige di Lincoln (proprietario di piantagioni di cotone e quindi schiavista), basta con le definizioni di caucasico, africano, asiatico perché razziste, abolizione della distinzione di genere perché sessista…. e tante altre assurdità “politicamente corrette”.

È anche in ragione di ciò che, come ha scritto Luca Ricolfi nel suo bel libro La Mutazione, “0ggi la destra culturalmente può contare di una sorta di valore aggiunto…la difesa dei deboli e la libertà d’espressione sono migrate a destra…”

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