L’Autonomia Differenziata non dividerà il Paese solo a condizione che vengano applicate le regole già previste nella Costituzione
On. Nicola Bono
Nel precedente tentativo di attuazione dell’Autonomia Differenziata, con i referendum plebiscitari di Lombardia, Veneto ed Emilia e Romagna e l’accordo tra Governo Gentiloni e Governatori delle tre regioni referendarie, l’operazione non funzionò perché chiaramente basata sull’aggiramento delle norme preesistenti. Infatti quella proposta violava i principi costituzionali ed inventava una procedura mai codificata da nessun provvedimento legislativo, con un unico obiettivo, e cioè di concedere l’agognata scissione finanziaria alle ricche regioni del Nord, a discapito delle più povere regioni del Sud. In cosa consisteva la truffa? Semplicemente sulla inversione dei termini già codificati di prevedere la definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) ed i loro costi standard, nonché la costituzione del fondo perequativo tra le Regioni, proprio a garanzia della solidarietà tra Regioni di diversa condizione economica. Una impostazione chiara e corretta che però era impattata sulla mancata definizione negli anni appunto dei costi standard dei LEP, necessari per l’avvio solidale della norma, eliminando qualsiasi pericolo di divisione del Paese. Ma i promotori evidentemente più che all’Autonomia Differenziata ambivano alla secessione finanziaria e, piuttosto di chiedersi perché non erano stati determinati i costi standard dei LEP, pensarono bene di aggirare la norma inventando una procedura mai passata dal Parlamento, basata su non meglio definite “intese bilaterali” tra Governo Gentiloni, ed i Governatori Fontana, Zaia e Bonaccini che attribuiva subito le nuove competenze alle regioni, e rinviava i LEP e i costi standard entro i tre anni successivi. Una vera furbata arricchita da altri vantaggi inediti come il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti i surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi e, soprattutto la clausola che, se nei tre anni previsti non si fosse riuscito a concordare i costi standard (dimostrando che non ci credevano neanche loro) si sarebbe proceduto a garantire i servizi a costi pari alla media nazionale. Un vero colpo di genio che, aggiunto alla inesistenza di qualsivoglia ipotesi di costituzione del fondo perequativo tra le Regioni, di fatto diventava, se approvato, il delitto quasi perfetto con cui la Lega avrebbe realizzato i suoi obiettivi di scissione finanziaria e quindi i presupposti per una inevitabile spaccatura del Paese. Per fortuna quella operazione non fu perfezionata, perché giuridicamente insostenibile e siamo arrivati all’attuale proposta, che però non sembra lontanissima da quella fallita nel 2019. Ha un bel dire il Ministro Calderoli che non tollera chi lo accusa di avanzare proposte che potrebbero spaccare il Paese, visto che non aiuta né quello che dice, né quello che scrive. Infatti basta leggere la sua intervista al Corriere della Sera del 17 gennaio 2023, dove fa due affermazioni che smentiscono clamorosamente tutte le sue rassicurazioni. La prima è la risposta, abbastanza inverosimile, proprio alla domanda se stia proponendo una legge contro il Sud alla quale replica chiedendo di indicare un solo punto una riga o un comma della legge in cui si affermi il danneggiamento delle regioni meno ricche e, in tal modo conferma il contrario, poiché mai nessuno scriverebbe esplicitamente una legge con tali presupposti, mentre i danni sono evidenti dalla analisi del combinato disposto del contenuto delle norme stesse. Ma è la seconda affermazione che costituisce una confessione perché alla domanda di dove sia il fondo perequativo, afferma di avere lavorato sul tema con il Ministro Fitto e lo immagina implementato con le risorse europee destinate alla coesione e, quindi, con risorse già disponibili dalle Regioni del Sud. Una gaffe enorme nel furbesco tentativo di glissare il principio costituzionale che al contrario lo vede come un fondo perequativo tra le Regioni con finalità di riequilibrio economico delle disparità tra Nord e Sud. E che dire in merito alle previsioni dei costi standard che prevede il lavoro per un anno di una commissione composta dal gotha nazionale di esperti? Che accadrà se passato l’anno i costi standard non fossero definiti? Esattamente la stessa cosa del 2019 e cioè che l’Autonomia differenziata partirebbe ugualmente e in tutte le materie, e ogni regione, in base alle sue ricchezze, affronterebbe autonomamente la gestione delle sue nuove competenze spaccando il Paese. Ecco perché non si possono effettuare né consentire fughe in avanti, ma piuttosto attuare in maniera rigorosa le norme costituzionali vigenti, senza scorciatoie né furbizie truffaldine, perché la posta in gioco è altissima e non consente errori. Per questo dopo oltre vent’anni, nel corso dei quali un solo LEP è stato definito in termini di costi standard e cioè quello degli asili nido, si proceda senza indugio a definire analiticamente gli stessi, essendo fondamentali per la realizzazione del dettato costituzionale e la definizione dei criteri e delle risorse da destinare al fondo perequativo, che non potrà mai essere finanziato con i fondi di coesione. Allo stesso modo appare una pretesa del tutto ingiustificata della Lega, la richiesta di approvazione urgente da parte del Consiglio dei Ministri della Autonomia Differenziata, quale grazioso cadeau prima delle elezioni regionali, poiché è più che evidente l’impossibilità di approvare alcuna norma sull’Autonomia senza avere prima fissato i costi standard dei LEP, come sancisce la costituzione. C’è da auspicare che, fino a quando non saranno realizzati questi adempimenti propedeutici, nessun Consiglio dei Ministri approvi alcunché, perché ogni fuga in avanti in materia sarebbe ragione di sospetto sulle vere intenzioni che si vogliono perseguire e, conseguentemente una minaccia alla unità Nazionale.