Chi va là? Altolà! Fermo o sparo!
Era, ed è, questa la formula che le sentinelle delle nostre Forze Armate devono impiegare prima di aprire il fuoco contro un intruso sospetto avvistato nelle vicinanze di una installazione militare e, in caso di mancata risposta o disobbedienza, il fuoco deve essere aperto innanzitutto in direzione delle gambe e non verso parti vitali del corpo.
Ora, in via sperimentale e in una dozzina di città, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e Carabinieri sono stati dotati di TASER, acronimo con cui si identificano i cosiddetti dissuasori elettrici: un’arma da fianco ritenuta non letale rispetto ad una da fuoco ma perfettamente idonea agli impieghi della polizia di prevenzione potendo garantire l’immobilizzazione del soggetto attinto di cui fa contrarre i muscoli.
In realtà, lo strumento, non è così innocuo come può sembrare: a prescindere dal fatto che l’ONU lo ha inserito tra gli strumenti di tortura per l’uso distorto cui può essere destinato, le morti a seguito di scarica elettrica da TASER sono oltre un migliaio solo negli Stati Uniti dove è in dotazione da più tempo; ciò dipende dal fatto che condizioni psico-fisiche non conosciute né conoscibili dall’utilizzatore possono rendere micidiale la scarica ad alto voltaggio…e tanto è vero che le regole di ingaggio declinate ai nostri agenti cui è stato, per ora, fornito unitamente ad apposito addestramento prevedono che solo dopo un quarto avvertimento (contro i tre delle sentinelle ricordati all’inizio) e solo se attaccato l’operatore può dirigere l’arma contro l’aggressore.
Arma a tutti gli effetti tanto è vero che la vendita è consentita solo a chi sia dotato di licenza, potenzialmente micidiale e come tale da impiegare con la cautela destinata a una pistola tradizionale.
Tutto sommato e nonostante le premesse, se impiegato senza eccessiva disinvoltura e in casi estremi come previsto dal nostro regolamento, uno strumento non suscettibile di eccessive critiche.
Però…c’è un però: uno dei sottosegretari alla Giustizia ne ha ipotizzato la dotazione agli agenti della Polizia Penitenziaria lasciando intendere che il TASER dovrebbe essere portato anche all’interno degli istituti di pena. In verità, l’Ordinamento Penitenziario vigente vieta che gli agenti siano armati solo se di servizio sugli spalti o all’esterno, in casi limite – per esempio una sommossa – solo su ordine e responsabilità del Direttore; la ragione è ovvia: inferiori per numero ai detenuti è inopportuno metterli a rischio che vengano sopraffatti e disarmati con conseguenze immaginabili.
Ma questo il sottosegretario dovrebbe saperlo: viene da domandarsi se non si sia al cospetto di un mero esercizio “muscolare” da parte di esponenti del Governo volto a rappresentare una svolta che soddisfi le istanze securitarie dei cittadini e che fa il paio con altri interventi preannunziati. Il carcere non può restarne fuori: tanto è vero che il nuovo Capo Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria ha già parlato di un programma che critica aspramente le linee guida della riforma sulle misure alternative alla detenzione studiata nella precedente legislatura ma fatta abortire all’esordio di quella attuale. Più carcere, più carceri, meno trattamenti premiali e – quindi – minor rispetto di principi costituzionali di ispirazione illuminista e liberale a dispetto delle statistiche che parlano di abbattimento significativo della recidiva rispetto a coloro che hanno goduto di rieducazione adeguata inframuraria e benefici. In compenso più armi, fossero solo i TASER, a dimostrare il dato che si sta “buttando via la chiave”, come se si possa pensare che un condannato senza un tentativo adeguato di recuperarlo una volta tornato libero – perché prima o poi ci ritorna – sia migliore e non piuttosto ancora più disperato e incattivito verso il sistema, quel sistema che resta disperatamente in attesa di Giustizia.