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In attesa di Giustizia: a scuola di democrazia

Sembra che alle Signorie Loro l’unica cosa che piace ascoltare siano le intercettazioni: certamente non le opinioni diverse, tantomeno le critiche.

E’ capitato di recente che, per protestare contro l’iniziativa di legge del Governo per la separazione delle carriere, la sezione distrettuale dell’Emilia Romagna dell’Associazione Nazionale Magistrati abbia comunicato che non intende più partecipare ad attività formative o dibattiti organizzati dalle Camere Penali che, notoriamente, sostengono la riforma a prescindere che quest’ultima sia l’argomento di discussione: decisione degna del Consiglio di Istituto dell’asilo Mariuccia ma che ancora non mostra il digiuno di elementare grammatica della democrazia di cui è intriso il comunicato stampa della Giunta del Piemonte e della Valle d’Aosta del sindacato delle toghe con cui viene condannato “l’ennesimo attacco portato avanti nei confronti di un singolo magistrato con toni ed espressioni che di certo superano il diritto di critica” esprimendo solidarietà al P.M. di Torino Gianfranco Colace cui Il Foglio aveva dedicato un articolo elencando la sterminata serie di insuccessi delle sue indagini.

All’origine di questa diatriba c’è l’ultima prodezza del Dott. Colace che merita di essere ricordata: l’imputazione dell’ex Governatore del Piemonte Sergio Chiamparino, degli ex sindaci Piero Fassino e Chiara Appendino nonché di tutti gli ex assessori con delega all’ambiente tra il 2015 ed il 2019 accusati di inquinamento ambientale colposo per non avere adottato adeguate misure per ridurre il livello di  sostanze nocive, smog e polveri sottili  determinando in tal modo la morte di un migliaio di cittadini torinesi.

Sono stati tutti assolti un paio di settimane fa in udienza predibattimentale, cioè senza che sia stato neppure necessario arrivare ad un processo: l’incolpazione del resto, oltre che senza precedenti nella storia giudiziaria, appariva a prima vista quantomeno strampalata.

Con forbita supponenza, il comunicato dell’A.N,M. insegna che certe critiche rivolte al Pubblico Ministero sembrano fondarsi su una errata concezione del suo lavoro che “si vorrebbe gravata da una obbligazione di risultato contrastante con il fisiologico sviluppo del processo penale”; tradotto per i non addetti ai lavori significa che i processi si fanno proprio perché servono a vagliare la fondatezza delle accuse e non è scontato che il P.M. abbia sempre ragione, anzi, ma abbia invece il diritto-dovere di far valutare ad un organo giudicante le sue tesi indipendentemente dall’esito finale dei giudizi.

Tutto vero e giusto ma c’è un ma ed è il limite che incontrano le imputazioni azzardate che quando diventano una consuetudine non appartengono più alla fisiologia ma ostentano estremi patologici. Il mancato riscontro di accuse fondate su prove argillose evita fortunatamente di produrre clamorosi errori giudiziari ma  non la devastazione dell’esistenza di cittadini che nel frattempo – esposti alla gogna – perdono o rischiano di perdere onorabilità, affetti, posto di lavoro e sopportano anni di stress e costi di assistenza legale mentre sull’altro fronte le risorse dello Stato vengono spese a piene mani per intercettazioni, consulenze ed indagini inutili e di marca illiberale, sottraendo altresì la polizia giudiziaria a compiti istituzionali meno cervellotici.

A pensar male si fa peccato ma non è detto che si sbagli e dietro questa dura difesa corporativa forse si cela un’altra delle recenti preoccupazioni della casta dei magistrati: l’introduzione del “fascicolo personale” di ciascuno di loro, conservato presso il C.S.M., contenente dati, giudizi ed informazioni utili alla valutazione per i progressi in carriera; ci manca solo che alle blande critiche (quando proprio non se ne può fare a meno) provenienti dai consigli giudiziari facciano supplenza le inchieste giornalistiche!

L’A.N.M. dovrebbe tornare a scuola di democrazia perchè nel fomentare queste polemiche sembra ignorare che la giustizia è amministrata in nome del popolo, appartiene a cittadini che hanno il diritto di formarsi un’opinione e rendersi conto se vengono rispettate le regole ed i principi di uno Stato di diritto.

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