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In attesa di Giustizia: accadde diciotto anni fa

E’ molto interessante una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (l’ultima pronunciata sotto la Presidenza di Giuliano Amato) che ha riconosciuto un perimetro più ampio ai danni risarcibili come conseguenza di quella responsabilità civile dei magistrati che è  già molto parsimoniosamente riconosciuta.

Evitando ai lettori i dettagli tecnici, la Corte ha stabilito che le vittime di un ingiusto processo o di una ingiusta indagine hanno diritto, oltre che al risarcimento dei danni patrimoniali, a quello dei danni non patrimoniali derivanti dalla lesione di fondamentali diritti della persona diversi – ecco la novità – dal diritto alla libertà personale. In sostanza, la decisione rileva che un cittadino “messo alla gogna” da una accusa ingiusta, anche se non arrestato, subisce egualmente la compressione di diritti non meno importanti quali quello alla dignità, alla reputazione personale e professionale ed alla salute fisica e mentale.

Vediamo cosa è successo partendo dal presupposto che la Corte Costituzionale, generalmente, si pronuncia sulla costituzionalità di una legge laddove un’Autorità Giudiziaria abbia sollevato la questione durante un processo…e la legge in discussione è una delle meno applicate e meno ancora “digerite” dalla magistratura italiana. Scritta (malissimo) nella originaria versione da Giuliano Vassalli dopo il vergognoso massacro giudiziario di Enzo Tortora ed il conseguente referendum, fu poi blandamente rafforzata nel 2015.

Il caso in questione ha una particolarità: la vittima della ingiusta ed infamante inchiesta giudiziaria all’origine della causa di responsabilità è a sua volta un magistrato. La vicenda origina in Calabria ed ha come protagonista negativo, l’allora PM Luigi De Magistris – meglio noto come Gigi Flop per il miserevole score delle sue indagini – in buona compagnia con il Procuratore Capo Mariano Lombardi di Catanzaro ed al collega di Ufficio, Mario Spagnuolo: alle 5 di mattina del lontano 11 novembre 2004 costoro mandano la Guardia di Finanza a perquisire l’abitazione del dott. P.A.B., magistrato di origini calabresi in servizio presso la Corte di Cassazione con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa; il magistrato non riuscì nemmeno a comprendere il senso della incolpazione provvisoria confusamente descritta nel decreto di perquisizione e sequestro e non solo perché scioccato visto che l’estensore era De Magistris, noto altresì come “Il Pubblico Mistero”, uomo aduso a formulare ipotesi delittuose che forse lui stesso faticava a comprendere. Dopo questa incursione, tranne lo sputtanamento, non accadde più nulla: nemmeno una convocazione per essere interrogato. Nulla di nulla, e siamo sempre nell’ambito di diffusi (mal)costumi giudiziari di questo Paese, e di alcune sue Procure in particolare. Quando finalmente, dopo due anni, la posizione di questo sventurato venne trasmessa all’Autorità competente (già: erano anche territorialmente incompetenti), cioè la Procura di Roma, chi lesse le fumisterie incomprensibili della imputazione provvisoria  richiese subito, ottenendola, l’archiviazione e il dott. P.A.B. diede avvio al giudizio nei confronti dello Stato per la sua responsabilità sussidiaria ed ottenendo la liquidazione dei danni patrimoniali, ma non quelli morali perché il dott. P.A.B. non era stato arrestato. Si va avanti ed infine la terza sezione civile della Cassazione ritiene di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale: ora la vittima di quella ingiustizia avrà diritto anche al risarcimento dei danni non patrimoniali.

Tuttavia mi sembra di sentire che ciascuno di voi, letta questa storia, si stia chiedendo: ma se la vittima non fosse stato un magistrato, sarebbe andata nello stesso modo? La stessa domanda che mi stavo ponendo anche io, al netto dei diciotto anni di attesa di giustizia.

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