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In attesa di Giustizia: chi entra, chi esce

Storie di questi giorni, apparentemente diverse ma con un minimo comune denominatore: si tratta di un arresto ed una scarcerazione, entrambe fanno scalpore ed entrambe fanno gridare all’ingiustizia ma – in realtà –  c’è giustizia in entrambi i casi.

Emilio Fede stava scontando una condanna definitiva in regime di detenzione domiciliare nella sua abitazione di Milano. Essendo un beneficio consentito dall’ordinamento penitenziario, aveva chiesto al Magistrato di Sorveglianza di potersi recare a Napoli per incontrare la moglie che non vede da tempo e festeggiare con lei il suo ottantanovesimo compleanno.

Dando per scontata l’autorizzazione (in effetti l’istanza era priva di controindicazioni), il giornalista si organizza la trasferta: Frecciarossa, pernottamento in un albergo sul lungomare e una cena romantica con vista sul Borgo dei Pescatori. Senza aspettare che gli venga notificato quel permesso cui aveva diritto, Emilio Fede esce di casa e parte in direzione Napoli: una città che, con la sua struggente bellezza, può essere complice di amori mai sopiti o da ritrovare.

Non doveva e non poteva andare così: l’impazienza doveva essere contenuta e misurata sul provvedimento del Magistrato e, attenzione, perché da noi, quando vuole la Giustizia sa essere implacabile e rapidissima: più che altro, in questo caso, l’evasione viene scoperta – perché tale, tecnicamente è – in quanto Emilio Fede aveva avvisato i Carabinieri di Milano che sarebbe partito; viene così individuato senza difficoltà, definirlo latitante è pure tecnicamente corretto e quindi viene  prelevato da ben quattro uomini delle Forze dell’Ordine che lo riconducono in albergo con obbligo di permanervi fino a nuove determinazioni dell’autorità giudiziaria. Per tutta una serie di ragioni, anche queste corrette, che per brevità vengono omesse non viene condotto in carcere. A quasi novant’anni, per una pizza annunciata insieme alla moglie sarebbe stato anche un po’ troppo…

Giustizia, dunque è fatta non senza richiamare il brocardo dura lex sed lex: qualcuno su questa vicenda ci ridacchia e passa oltre, qualcuno sicuramente pensa che “se l’è cercata e gli sta bene”.

L’altra storia, invece, è quella che ha sgomentato il Guardasigilli facendo gridare allo scandalo uno stuolo di indignati in servizio permanente effettivo: Massimo Carminati, imputato principale del processo c.d. Mafia Capitale è stato scarcerato perché si è fatto cinque anni e sette mesi di custodia cautelare, senza che nei suoi confronti sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna. Lo prevede la legge, prima ancora la Costituzione: non si può restare detenuti in eterno nell’attesa di una sentenza definitiva, ci sono dei termini e non sono nemmeno brevi. Quando la condanna di Carminati diventerà irrevocabile tornerà in carcere, sempre che la Corte d’Appello di Roma gli infligga una condanna ad un periodo di reclusione superiore alla carcerazione già subita, dal momento che la Cassazione ha detto quello romano non era un aggregato mafioso. Implacabile anche lui, il Ministro della Giustizia ha subito mandato gli Ispettori per verificare cosa fosse successo ma in fondo bastava procurarsi un codice di procedura, pochi articoli dal 303 in avanti e se per l’Eccellenza Bonafede un codice è troppo, per calcolare la durata massima della carcerazione preventiva può bastare qualcuno che gliela spiega e un calendario. Morale? Due storie tanto diverse e tanto simili, come si diceva all’inizio anche se un po’ complicate da capire per i non addetti ai lavori che, forse, su queste colonne si è contribuito a comprendere verificando che, nonostante tutto, conserviamo un barlume di Stato di diritto, pure per i malacarne.  Ancora difficile da comprendere per i giacobini de noantri? Può darsi e viene in mente il pensiero di un vecchio, grande, avvocato: il diritto è una materia ostica per me, figuratevi per voi.

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