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In attesa di Giustizia: due pesi e due misure

Ormai da giorni tiene banco sui principali quotidiani l’indagine giudiziaria che vede coinvolto Luca Palamara, magistrato della Procura di Roma, ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati e già componente del C.S.M.: sospettato di corruzione per avere accettato regalie, viaggi omaggio e – forse – anche denaro per pilotare, quando era al Consiglio Superiore, nomine gradite ai vertici di talune Procure ed altri favori non meglio precisati e con Palamara risultano indagati a titolo diverso altri appartenenti all’Ordine Giudiziario.

Evidentemente una vicenda che risulta paradigmatica di un certo modo, discutibile, di fare informazione che trova il suo presupposto nella permeabilità di quello che dovrebbe essere se non il segreto almeno il riserbo investigativo.

L’affaire Palamara” è un boccone ghiotto perché contiene tutti gli ingredienti che suscitano interesse e una punta di morbosità nel lettore: storia di veleni interni alla Magistratura, potere, denaro e – mai farselo mancare – anche un pizzico di sesso.

Sono diverse le riflessioni che tutto ciò suscita. Innanzitutto il clamore, senz’altro dovuto alla notorietà del protagonista principale: sbattere il mostro in prima pagina aumenta le copie vendute ma è meglio se è riconoscibile ed il suo essere trascinato nella polvere faccia più notizia; tanto è vero che i tre soggetti all’origine di questo scandalo sono assai meno conosciuti alle cronache sebbene anche tra costoro vi sia un Pubblico Ministero (che, si badi, ha già patteggiato una pena severa per corruzione e, a breve, andrà in carcere) un avvocato e l’immancabile “faccendiere”, uomo di imprecisata funzione professionale e competenza al di là del traffico di influenze.

Vi è poi il livello di dettaglio con cui vengono dispensate le evidenze raccolte durante le indagini e che generose fonti confidenziali hanno fatto pervenire nelle redazioni: destinazione dei viaggi omaggio, valore dei soggiorni, prezzo di altre regalie, intestazione delle carte di credito usate per i pagamenti e, ovviamente, nome e cognome di chi avrebbe condiviso la camera con Palamara senza esserne la legittima consorte.

Sarà tutto vero, sarà tutto, le fonti saranno affidabili? O nei fascicoli si trovano anche elementi di prova di segno diverso o giustificazioni?

Certo è che Luca Palamara viene già presentato come uno per cui sarebbe superfluo spendere tempo, risorse e denaro per fare un processo: qualche testata ha persino commentato l’affanno con cui avrebbe tentato di giustificarsi in occasione di un interrogatorio fiume a riprova della solidità dell’impianto accusatorio.

Sia ben chiaro: non è intenzione di chi scrive abiurare alla presunzione di non colpevolezza a sfavore del Dott. Palamara ed, a maggior ragione, perché gli atti non sono conosciuti se non nella misura in cui vengono propalati dagli organi di informazione: tuttavia qualcosa di opaco in taluni rapporti intrattenuti dal magistrato sembra esserci, qualcosa che – magari – potrà essere chiarito inducendo tutt’al più un giudizio di sconvenienza ma non di responsabilità penale.

Vi è anche di che compiacersi che Palamara non sia stato arrestato: un cittadino comune, di regola, finisce in carcere molto in fretta  per molto meno e con molto meno di ciò che si dice gravante a carico del Pubblico Ministero romano (anche al netto di esagerazioni o fraintesi giornalistici): e questo non va bene, per il cittadino comune ovviamente, non è rispettoso della tutela da offrirsi alla libertà personale. Due pesi e due misure, soprattutto se la bilancia è quella della Giustizia non sono accettabili.

 

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