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In attesa di giustizia: falsa ripartenza

Nei giorni scorsi si è riunito per la prima volta il tavolo di lavoro convocato dal Ministro della Giustizia il cui compito è studiare le migliori modalità di ripresa dell’attività giudiziaria nella seconda fase dell’emergenza sanitaria ma anche su un progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario e del funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura.

Con il lock down ormai alle spalle l’attività nei Tribunali sarebbe dovuta riprendere, in particolare la celebrazione delle udienze, ma tutto ciò si è verificato solo in misura minima.

Ferma restando la disomogeneità sul territorio delle linee guida alla riapertura dei palazzi di giustizia (di cui abbiamo già trattato), sono molti i problemi che continuano a frapporsi al ritorno ad un regime normale di funzionamento che – quando tutto va bene – è a tre cilindri: è tutt’ora necessario chiedere appuntamenti  via mail, non sempre riscontrate, per poter accedere alle cancellerie e alle segreterie – aperte con orario e personale ridotto – e l’attività di udienza non supera il 15 – 20% dei ruoli.

Lo stallo deriva per larga misura dal collocamento in smart working della maggior parte del personale amministrativo che, peraltro, da casa non può accedere né ai fascicoli né ai registri essendo precluso l’accesso all’intranet ministeriale per motivi di sicurezza. Più che di smart working si dovrebbe parlare di no working  o ferie retribuite…ma dirlo pubblicamente non è politicamente corretto e delude i fautori dell’“andrà tutto bene”; si aggiunga che i sindacati dei funzionari amministrativi fanno resistenza ad un ritorno alla normalità lamentando pericoli persistenti per la salute connessi al ritorno sul posto di lavoro “fisico” e accusano la lobby degli avvocati di fare pressioni in senso contrario a tutela dei propri interessi economici.

Certo gli avvocati, in assenza di uno stipendio fisso ma con costi, invece, costanti vorrebbero tornare a lavorare, ma non hanno obiettato nulla nei momenti di maggiore criticità e migliaia di loro negli ultimi cento giorni si sono dovuti accontentare (chi è riuscito ad ottenerla) della elemosina da 600€.

I problemi, tuttavia, sono ben altri e tutte le rappresentanze dell’Avvocatura li hanno evidenziati durante la consultazione dal Ministro della Giustizia, sottolineando come l’attuale contesto con la leva del motore della giustizia su “avanti adagio” sia privo di giustificazione, viste le modalità generali della ripresa delle attività nel Paese e la concreta situazione epidemiologica. L’organizzazione giudiziaria è un servizio pubblico e il suo sostanziale fermo si risolve in una negazione dei diritti ai cittadini. La babele dei tanti provvedimenti dei capi degli Uffici – ed a cascata dei singoli giudici – si è rivelata una risposta inadeguata al ripristino della funzione.

Curiosamente, a questo tavolo di lavoro non hanno partecipato rappresentanti della Associazione Nazionale Magistrati che, forse, avrebbero potuto collegarsi da remoto (soluzione che piace tanto alla magistratura associata) almeno durante l’ora d’aria.

L’Unione delle Camere Penali ha sollecitato un intervento diretto da parte del Governo per consentire – mentre già incombono le ferie giudiziarie –  in tempi rapidi il ritorno alla normalità sia pure nel rispetto delle regole sanitarie che valgono per tutti, con l’ulteriore previsione della possibilità di tenere udienze ovunque anche nel pomeriggio, recuperando se del caso la giornata del sabato e financo  il periodo ordinariamente coperto dalla sospensione feriale: misure necessarie per aggredire da subito l’enorme arretrato, acuito dalla chiusura. Il Ministro si è riservato di adottare l’iniziativa politica dopo avere ascoltato ragioni, critiche  e suggerimenti. Vedremo che ne sarà, certo è che l’attesa di Giustizia sta allungando i tempi e di molto meglio per gestire l’emergenza si sarebbe potuto fare già durante il lock down. Ne riparleremo.

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