In attesa di GiustiziaRubriche

In attesa di Giustizia: giustizia creativa

Nello scorso numero, commentando la sentenza definitiva nel processo c.d. “Trattativa Stato-Mafia” si è parlato di reato inesistente: con quel termine si intendeva alludere ad una imputazione talmente campata in aria che per disperdere tutta l’aria fritta su cui si poggiavano i teoremi accusatori ci sono voluti una dozzina di anni ed un discreto dispendio di energie e risorse economiche.

E’uno di quei casi in cui si parla di giustizia creativa, senza che a quella creatività debba essere riconosciuto alcun pregio artistico e che si ha quando vengono applicate regole che non ci sono oppure non applicano quelle esistenti. A Milano si è, addirittura, coniato un termine omnicomprensivo delle “licenze poetiche” concesse (non si sa da chi) in sede giudiziaria: rito Ambrosiano, come la Messa.

Un paio di esempi possono contribuire a comprendere meglio; prendiamo come spunto il furto in abitazione: uno sgradevole evento i cui contorni ognuno conosce e che nel codice penale è descritto come il fatto di “chiunque si impossessa della cosa altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora“. Privata dimora: se la lingua italiana non è un’opinione è un luogo in cui qualcuno svolge attività proprie della sua vita privata, appunto, e nel quale altri non possono accedere senza il suo consenso.

Ebbene: la Corte di Cassazione, non il Giudice di Pace di Capracotta, ha considerato “privata dimora” anche una farmacia durante l’orario di apertura, il ripostiglio di un esercizio commerciale, l’interno di un bar ed altri fantasiosi luoghi così da imporre l’intervento regolatore delle Sezioni Unite, nel 2017. Quasi spassoso è un altro esempio e riguarda il reato di sostituzione di persona, che è commesso da “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno“. Ebbene, tutto ci si aspetterebbe tranne che questo crimine venga attribuito al “marito fedifrago che si finge divorziato per carpire nuove conquiste“.

Per la Cassazione, nell’anno del Signore 2016, quella non è una menzogna da balera ma un reato caratterizzato dal dolo di profitto. L’elenco potrebbe continuare a lungo ma fermiamoci qui.

Per concludere con una nota di colore che richiama sia quello che abbiamo chiamato “rito Ambrosiano” sia profili di cosiddetta giustizia domestica dei magistrati (più o meno creativi): sappiano i lettori di questa rubrica che  il Consiglio Giudiziario di Milano – una istituzione locale, del cui apporto il C.S.M poi si avvale nel valutare i progressi in carriera e la professionalità dei magistrati – ha gratificato con “eccellente” l’operato del Procuratore Aggiunto Fabio De Pasquale: proprio quello che è sotto processo a Brescia, sospettato di avere occultato le prove a favore degli imputati (comunque tutti assolti nonostante gli sforzi nel truccare le carte) del processo denominato “ENI – Nigeria”, un’indagine di presunte ed inesistenti tangenti massacrata dalle fondamenta prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello. L’uomo, tuttavia, sembra essere pronto per assumere incarichi ancor più di rilievo e prestigio.

A fronte di un simile esempio di eccellenza non servono parole di commento ma viene da domandarsi chi siano – se mai ve ne sono – ed in quale abisso di inettitudine siano relegati quelli scarsi.

Mostra altro

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio