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In attesa di Giustizia: Il potere dei più buoni e altre sconvenienze

Questo è il titolo della più recente produzione scientifica dell’Avvocato Lorenzo Zilletti, responsabile del Centro Studi “Aldo Marongiu” dell’Unione delle Camere Penali e potrebbe ben essere una raccolta di argomenti che sono stati trattati in questa rubrica: giurisprudenza creativa, disarmonie di sistema, legislazione indigeribile. In due parole: attesa di giustizia.

Ridotto nelle dimensioni ma ricco di contenuti, con una prosa cinica e lucidamente disincantata, il libro affronta temi di attualità coniugando impegno civile e ironia.

In attesa di giustizia, dunque: sullo sfondo vi è il malfunzionamento del sistema penale, caratterizzato da un grottesco “rovescio comico della terribilità”.

Dall’abuso sistematico delle intercettazioni in salsa gossip con la indebita diffusione di materiale penalmente irrilevante sui media nazionali (fenomeno ben descritto ricorrendo all’espediente narrativo di “dieci conversazioni che vorrebbero restare riservate”) e raccontando l’episodio di un praticante inesperto per poi affrontare con una tragicomica riproposizione “all’italiana” del processo a Dominique Strauss-Kahn immaginando come sarebbe andata a finire se avessero processato l’ex ministro dell’Economia francese nella penisola invece che oltreoceano.

L’ironia, come anticipato, non manca e rende gradevole la lettura anche ai non addetti ai lavori; vi è anche una porzione dello scritto in cui si affronta il principio di legalità penale e processuale che è definito, nel suo irresistibile “vocabolario semiserio” – a cui è dedicata una sezione della seconda parte -, come “materia di studio nei corsi di laurea in archeologia”.

E proprio a questo principio è dedica tutta la parte finale del pamphlet, o meglio, ne viene celebrato il funerale. Non solo a causa di un legislatore sempre più sciatto, incapace e schiavo del populismo penale, ma anche e soprattutto per via di chi applica, o dovrebbe applicare, le leggi: il giudice. Per Ailletti l’organo giudicante è ormai divenuto un “burocrate creativo” che, abbandonata la sua naturale funzione di arbitro, e quindi di decisore terzo ed imparziale, ha deciso di sfidare il principio di legalità creando nuove norme, aggirandosi “disinvolto nel labirintico sistema multilivello delle fonti fabbricando la regola secondo le proprie preferenze politiche e culturali”.

D’altronde il titolo è eloquente, proprio come quello di questa rubrica: non c’è spazio per le illusioni, non esistono poteri buoni.

Qualcosa di molto simile lo disse anche Fabrizio De André secondo il quale certo bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni.

Forse il pensiero del cantautore non era rivolto esclusivamente al settore del diritto ma si attaglia perfettamente alla amara considerazione secondo la quale solo apparentemente il giudice sta nel mezzo, sul confine che separa il bene dal male. In ogni caso, egli si annovera tra i buoni.

Raccomandatissimo, buona lettura…in attesa di Giustizia.

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