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In attesa di Giustizia: il ritorno dei grembiuli

Questa settimana, in una rubrica che si interessa anche di legge e non solo di Giustizia, avrebbe potuto essere più divertente – si fa per dire – trattare di qualcuna delle recenti pensate del nostro legislatore: per esempio quanto previsto dalla regolamentazione delle tanto attese riaperture dei ristoranti e l’uso dei servizi igienici il cui accesso è stato consentito “solo per casi di assoluta necessità”. Chi sarà mai l’oscuro burocrate che ha pensato, e tradotto in una norma, una simile scempiaggine? E di quale autocertificazione o certificazione bisognerà essere muniti per poter andare al bagno, forse quella dell’urologo che diagnostica problemi alla prostata da mostrare (in occasione di un controllo) alle Forze dell’Ordine? Non lo sapremo mai: il Viminale, interpellato in proposito, per ora tace non meno che con riguardo al da farsi nel caso di un temporale improvviso che colga malcapitati avventori accomodati in esterno.

Purtroppo, al peggio non c’è limite e qualche gustosa considerazione su una ennesima disciplina sciatta ed approssimativa cede il passo al commento sulle inarrestabili notizie circa il dilagante malcostume (per usare un garbato eufemismo) da cui è affetta una magistratura, con la “m” rigorosamente minuscola.

Si apprende, infatti, che la Procura di Milano, oltre un anno fa, ha verbalizzato dichiarazioni dell’Avv. Amara, già noto per avere patteggiato accuse  di corruzione in qualche misura legate al cosiddetto “Sistema Palamara”, contenenti nuove rivelazioni ed illustrando – tanto per non farsi mancare nulla – l’esistenza della  loggia coperta “Ungheria”, una sorta di P2 del terzo millennio, fulcro dell’intreccio tra politica, ordine giudiziario e informazione: verbali in cui – salva la necessità di verificare la veridicità di quanto affermato da Amara – si rivolgono pesanti accuse a uomini appartenenti a diversi poteri dello Stato.

Questi atti sembra che prima siano stati opportunamente insabbiati, poi – non è chiaro a che titolo ma questa è una certezza – fatti avere (peraltro in formato word e privi di firma) da parte di un Pubblico Ministero di Milano a Piercamillo Davigo, in allora componente del C.S.M., il quale, emersa molto successivamente la circostanza, sostiene di averne trattato “con chi di dovere”. Chi, appunto: il Quirinale, il Procuratore Generale della Cassazione, il Guardasigilli?

Di tali accadimenti se ne ha notizia solo ora principalmente perché il Consigliere Nino Di Matteo, destinatario successivo di un plico anonimo con identico contenuto, ha provato a introdurre l’argomento, senza grandi risultati, nel corso del plenum di un C.S.M. sempre più delegittimato la cui difesa è affidata al suo Vice Presidente che sostiene fiaccamente essere in corso una manovra destabilizzante cui l’organo di autogoverno è assolutamente estraneo.

Sarà…ma la vicenda si colloca nella preoccupante cornice disegnata dalle rivelazioni di Luca Palamara contribuendo alla caduta verticale di fiducia nelle istituzioni ed è curioso annotare come sia la direzione de Il Fatto Quotidiano che di Repubblica (che sono gli altri destinatari di questo scottante materiale) non abbiano immediatamente incaricato di approfondire uno dei loro indignati speciali, forse temendo una polpetta avvelenata.

A monte di tutto vi è comunque la commissione di un crimine: la rivelazione di segreti istruttori e la norma non prevede eccezioni, neppure se commesso (come è accertato) da un P.M. e con destinatario un componente togato del C.S.M.. Su tale ipotesi di reato indaga la Procura di Roma ma, pare, solo nei confronti della ex segretaria di Davigo e con riferimento alla successiva spedizione dei verbali di Amara alle direzioni di testate giornalistiche. Per ora…

Anche in assenza di questi chiarificatori sviluppi è evidente che Piercamillo Davigo avrebbe dovuto presentare un esposto alla Procura della Repubblica piuttosto che trattare “con chi di dovere” (e non sappiamo chi…) facendo uso addomesticato di quanto ricevuto ed appreso perché ricevere ed utilizzare qualcosa che proviene dalla commissione di un reato integra quello di ricettazione.

C’è da temere che questa non sia l’ultima storia di corvi, gole profonde e veleni e, forse, quello che si è ipotizzato la settimana scorsa in questa rubrica circa regolamenti di conti in corso tra le toghe nel momento di massima vulnerabilità può rivelarsi un’ipotesi tristemente vera e se lo è anche il ritorno in auge di grembiuli e compassi, l’attesa di Giustizia in un sistema giudiziario fuori controllo ed irresponsabile è destinata a diventare una vana speranza.

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