In attesa di Giustizia: in attesa del giusto processo
Il furore intellettuale e la diuturna applicazione allo studio di professori reali o presunti, giuristi da Carnevale di Viareggio, politicanti giacobini e garanti della Costituzione assopiti hanno offerto un contributo forse decisivo all’affossamento del processo penale in micidiale sinergia con l’emergenza epidemiologica.
Tra ciò che è stato fatto e quello che si poteva fare e non si è fatto, sarebbe stata meno dannosa una invasione delle locuste mirata nei Tribunali: la Costituzione ha ceduto il passo ai D.P.C.M., il diritto processuale a protocolli improvvisati ed alla fascinazione di nuove tecnologie approssimativamente impiegate.
Da ultimo, con il D.L. n. 149 del 09.11.2020 si è celebrata la messa in requiem dei giudizi penali di appello nel contingente periodo di pandemia: salvo che non sia fatta espressa richiesta di trattazione in udienza e con discussione gli appelli vengono relegati a mero esame degli atti, senza contraddittorio, da parte della Corte; è una evidente manovra di abbrivio verso l’agognata eliminazione del secondo grado di giudizio.
Dalla scorsa primavera siamo, poi, stati costretti a convivere con la burocratizzazione del procedimento penale, ormai regolato da protocolli adottati in maniera del tutto disomogenea dai vari uffici giudiziari: e se è vero che – a livello locale e nell’assenza di legislazione – sono stati spesso preceduti da un vivace confronto fra tutte le parti a vario titolo coinvolte, è altresì vero che rischiano di essere il viatico verso un pericoloso appiattimento della giustizia penale agli stessi.
Il risultato finale cui si è arrivati, infatti, ha finito con l’essere ben altro rispetto a quello che i soggetti interessati nell’elaborazione dei protocolli si erano prefissati: una diffusa disparità, a tutti i livelli, distrettuale, nazionale e tra i vari uffici giudiziari. Ovvero prassi differenti e difformi, e ciò tocca inevitabilmente il principio di legalità.
Uno strumento di salvezza vi sarebbe ed è la riserva di legge – inserita nella Costituzione – che prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata dalle legge primaria e non da fonti di tipo secondario – e ancor meno da protocolli locali: bisognerebbe però, innanzitutto conoscere e poi rispettare la Costituzione, infine applicarla non senza un briciolo di buon senso nel legiferare. Ah, già, anche di competenza.
La riserva di legge assicura che in materie particolarmente delicate, come i diritti fondamentali del cittadino (quali il diritto alla difesa e al giusto processo), le decisioni vengano prese dall’organo più rappresentativo del potere sovrano, ossia dal Parlamento, così come previsto dall’articolo 70 della Costituzione.
Per quanto non sia un’assemblea arricchita dalla presenza di uomini come Einaudi e Calamandrei, il Parlamento appare emarginato e – forse – non può che imputare a se stesso tale stato poiché, pur disponendo di strumenti per aprire dibattiti, tavole di confronto e per ribadire a gran voce il proprio primato – anche politico -, annichilisce di fronte alla deriva della giustizia penale territoriale e feudale, ad una decretazione d’urgenza senza visione prospettica e strategica.
Il processo penale ha una sua sacralità che deve essere preservata e le battaglie a sua difesa, oggi più che mai, sono battaglie per i diritti. E’ un compito in cui debbono gli avvocati con atti di coraggio, tornando ad essere sentinelle della giustizia e guardando ad un orizzonte non troppo lontano da noi: la Costituzione.