In attesa di Giustizia: insufficienza piena
Rendere visita ai carcerati è una delle opere di carità e come tutte le leggi ed i precetti contiene dei precetti sottintesi il primo dei quali – sulla premessa maggiore, tipica del cattolicesimo, che deve praticarsi il perdono – è la umanizzazione della condizione detentiva non privandola, tra le altre cose, dalla possibilità di coltivare gli affetti.
Parlando del fenomeno dei suicidi in carcere, di cui questa rubrica si è già occupata (e che non riguarda solo i detenuti ma anche gli agenti della polizia penitenziaria), la condizione in cui complessivamente versano i nostri istituti non sembra aver trovato una possibile soluzione tramite i rimedi proposti dal Governo con il “decreto carceri” che non impatta minimamente – e tantomeno in tempi rapidi – sulla condizione in cui nelle carceri italiane si vive e – soprattutto – si muore.
La tragica conta annota 53 morti dall’inizio dell’anno e non è certo l’aumento del numero consentito delle telefonate ai famigliari che potrà offrire sollievo ad anime martoriate dalla modalità inumane di esecuzione della pena.
Meno che mai può risultare utile la nuova procedura volta a riconoscere un beneficio che è già presente nel nostro ordinamento: la liberazione anticipata (45 giorni a semestre) per buona condotta. Procedura, tra l’altro, piuttosto farraginosa e con la quale, francamente, nulla si risolve nell’ottica di fronteggiare il cronico sovraffollamento.
Risibile, inoltre, rispetto alla carenza di organico, è l’impegno ad assumere 500 unità di agenti del Corpo di Polizia penitenziaria…comunque per l’anno prossimo: ahimè devono farsi sempre i conti con le esauste casse dello Stato, che impediscono sulla possibilità di incrementare l’applicazione delle misure penali di comunità e la creazione di strutture idonee per i condannati per reati meno gravi o, comunque, considerati a bassa pericolosità.
Dimenticati, una volta di più, gli interventi volti ad assicurare cura e assistenza ai soggetti affetti da fragilità e disagi psichici mentre una maggiore responsabilità nell’adozione di misure cautelari in carceri rimane affidata ad un disegno di legge in fase di esame alla Camera che ne attribuisce il potere ad un GIP non più monosoggettivo ma collegiale ed al pio desiderio che così strutturato risulti effettivo portatore di maggiori garanzie e meditata riflessione sulle richieste di cattura. Al momento, tuttavia, per il funzionamento di questo nuovo organo giudicante non vi sono neppure magistrati in ruolo in numero sufficiente e dovranno essere reclutati con un concorso dedicato: se ne riparlerà, forse, negli anni a venire e sempre che si trovino, anche in questo caso, i soldi per pagare gli stipendi.
Un recentissimo monito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha intimato l’Italia ad adottare misure efficaci per far fronte ad un numero di suicidi senza precedenti e ad assicurare luoghi di collocamento alternativi al carcere per i detenuti che soffrono di disturbi psichiatrici: il Governo ha risposto con questo provvedimento che non è neppure un pannicello caldo e merita un’insufficienza piena.
Va detto che neppure un’amnistia, un condono, sarebbero utili se non nel breve periodo come storia e statistica di queste “indulgenze” insegna ma non sarebbero neppure la resa dello Stato di cui ha parlato il Ministro Nordio, uno dal quale era lecito aspettarsi qualcosa di più: la resa dello Stato è nelle vite che gli sono state affidate e non ha saputo (o, peggio, voluto) fare qualcosa per salvare, è nella inadeguatezza delle strutture trattamentali volte alla rieducazione, istruzione, avviamento al lavoro dei detenuti e nelle condizioni di oggettiva inciviltà in cui versano le carceri in Italia al cui confronto quelle turche dell’indimenticabile “Fuga di mezzanotte” sembrano dei Club Mediterranèe.
E’ ora che la politica abbandoni gli slogan con cui denomina provvedimenti vuoti di significato e scelga di operare ponendo in essere rimedi immediati realmente sottesi all’umanizzazione della pena ed al superamento delle attuali condizioni degli istituti di pena che possono definirsi solo di sostanziale illegalità.