In attesa di Giustizia: la fabbrica dei reati
Lo scorso fine settimana si sono tenute le cerimonie di apertura dell’Anno Giudiziario: per prima a Roma e subito dopo in tutti gli altri capoluoghi di Corte d’Appello. In un momento dedicato alla sintesi del lavoro svolto nei diversi territori, i dati sulla produttività degli Uffici sono stati commentati con l’accompagnamento di una sorta di fil rouge rappresentato dalla diffusa (e comprensibile) lamentazione sulle carenze di organico tanto della magistratura quanto delle funzioni amministrative.
Il Ministro della Giustizia ha rassicurato che – con il concorso già in essere per 400 posti – e quelli prossimi venturi entro un paio d’anni le scoperture relative a giudicanti e requirenti saranno colmate: beato lui che ci crede ancora mentre, con qualche lodevole eccezione come il Distretto di Perugia, il piatto piange e si consolidano pendenze ed arretrati che – viceversa – si sarebbero dovuti abbattere con le riforme approvate per conseguire gli agognati fondi del PNNR. Tanto per la cronaca, Roma è in testa a questa classifica di demerito. Dimentica, però, il Guardasigilli che proprio la sua proposta di istituire un Collegio Giudicante per decidere sulle richieste di arresto assicurando maggiori garanzie agli indagati ha suscitato le perplessità della Ragioneria dello Stato perché non si sa bene dove rovistare in fondo alla cavagna per pagare gli stipendi del maggior numero di giudici necessario che andrebbero a sommarsi a quelli già oggi mancanti.
In tutto questo, e se ne è già trattato in precedenti occasioni, il legislatore esita a dare il via libera ad una corposa ed ancor possibile depenalizzazione, che libererebbe da penosi incombenti la Polizia Giudiziaria e sgombrerebbe Procure e Tribunali dalla gestione di una moltitudine di “reati nani” che riguardano comportamenti di nessun allarme sociale e nessun disvalore meritevole della sanzione penale, tutt’al più di una multa al pari del divieto di sosta: dall’esercizio abusivo della professione di custode di condominio alla falsificazione del marchio “salame di Varzi”, tanto per fare un paio di esempi (ma sono centinaia).
Per soprammercato, mentre il sovraffollamento carcerario torna ad essere un’emergenza, quella che può definirsi “la fabbrica dei reati” sforna a ciclo continuo nuove e fantasiose fattispecie di delitto che hanno come capostipite l’inutilissimo e confuso decreto anti rave party cui hanno fatto seguito l’omicidio nautico, l’abbandono scolastico, la resistenza passiva a Pubblico Ufficiale e molte altre ancora che trovano i loro spunti opportunistici nei più disparati fatti di cronaca contribuendo solo ad abbassare, se esistesse, il PIL del diritto penale liberale di cui Carlo Nordio è sempre stato un alfiere…ma qualcuno, evidentemente rema contro e – pochi lo sanno, poco se ne sa ed ancor meno se ne parla – il suo Capo di Gabinetto, un Magistrato chiamato a quel ruolo cruciale per la dimostrata capacità organizzativa del Tribunale di cui era Presidente, ha rappresentato l’intenzione di dimettersi anche per le continue ingerenze del suo vice.
Nel frattempo, l’Associazione Nazionale Magistrati, invece di offrire un contributo costruttivo, sembra preoccupata solo di criticare l’operato del Guardasigilli, preoccupata essenzialmente di scongiurare la separazione delle carriere.
A proposito di ANM: in questi giorni si è conclusa la revisione del processo in favore di Beniamino Zuncheddu (anche di questa vicenda si è occupata la rubrica) che, con 33 anni di carcere da innocente ha conquistato il triste Guinness dei Primati di settore e che dovrebbe essere nominato senatore a vita diventando la memoria per il nostro futuro perché, come dice Primo Levi, chi dimentica il passato è condannato a riviverlo e nessuno vuole che si ripetano vicende come quelle di Enzo Tortora e Beniamino Zuncheddu. Ma a costui, risultato vittima di conclamata insipienza, incompetenza, inadeguatezza di chi lo aveva malamente giudicato, l’ANM non chiede scusa, difendendo la bugia secondo cui la responsabilità dei giudici mortificherebbe la loro indipendenza, sempre pronta a protestare se si prova a negare alla magistratura un potere assoluto ed incondizionato che schiaccia gli individui nella morsa tra la fabbrica dei reati e quella parodia di Stato di diritto che siamo diventati.