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In attesa di Giustizia: libertà

Libertà, parola che molti considerano fuori moda, pronti ad accettare anche l’affossamento ingiustificato dei diritti fondamentali o la loro limitazione con criteri interpretativi affidati alle FAQ della Presidenza del Consiglio o al Carabiniere che ferma i passanti con il mitra spianato. Parola bellissima che invece dobbiamo sempre avere come stella polare di riferimento; per tutti è l’estremo di una privazione sino ad ora mai sperimentata e che deve far riflettere su quanto possa essere afflittiva.

Ed una riflessione particolare merita un’emergenza nell’emergenza: quella carceraria perché il carcere è luogo per eccellenza di privazione della libertà ed è parte del territorio.

Una società civile si deve occupare di chi da solo non può farcela soprattutto nei momenti di difficoltà e di fronte al dilagare del Covid-19 è stato da subito evidente quanto fosse necessario intervenire nei luoghi di detenzione perché in quei luoghi c’è chi da solo non può farcela perché la sua volontà e capacità dipendono da altri, nello specifico dallo Stato nelle sue articolazioni competenti.

A fronte delle sollecitazioni provenienti dalle più diverse voci volte a segnalare che le precarie condizioni delle carceri italiane non consentono un’adeguata gestione della pandemia intramuraria anche a causa del sovraffollamento, le risposte adottate dal governo sono state di mera facciata.

I provvedimenti di scarcerazione adottati dalla magistratura di sorveglianza sulla base della normativa vigente, contrariamente a quanto erroneamente riportato da alcuni quotidiani, hanno riguardato un numero limitato di detenuti, alcune – ancora meno – hanno fatto scalpore per la caratura criminale dei beneficiati e la complessiva gestione della criticità ha portato alle dimissioni del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che presto sarà sostituito con funzionario di sicura fede manettara.

Non si può, tuttavia, sottovalutare questa bomba epidemiologica ad orologeria che sono gli istituti di pena: sono necessari interventi  strutturali a livello nazionale, ma anche soluzioni concrete a livello territoriale, quali spazi ove ospedalizzare i detenuti positivi ed alloggi da mettere a disposizione di coloro che non riescono a beneficiare di misure alternative alla detenzione solo perché non ne hanno uno.  In questa ottica si è mosso il Comune di Milano con approvazione a larga maggioranza di un ordine del giorno sull’emergenza carcere,  e che si è reso disponibile ad offrire alloggio presso le case di sua proprietà ad una ventina di carcerati nonché a riceverne altre  positive al Covid-19  presso l’hotel Michelangelo.

Ma è di vitale importanza individuare nuovi spazi ove poter ricevere e curare le persone detenute con sintomi di infezione virale.

In un momento di grave pericolo quale quello attuale, la situazione drammatica delle carceri e della diversa umanità che per ruolo e ragione la compone, è un’emergenza che nessuno, nell’ambito delle proprie specifiche competenze, può esimersi dall’affrontare nell’interesse non solo dei detenuti (il che, ormai, appare sempre politicamente scorretto) ma degli operatori penitenziari e della collettività tutta perché nessuno o quasi – contagiato o no – è detenuto per sempre.

La Costituzione vale anche per i detenuti, garantisce il diritto ad una pena giusta ed improntata al senso di umanità, il loro diritto alla salute non è affievolito e la custodia cautelare in carcere per chi è ancora in attesa di giudizio è espressamente prevista dal codice come residuale: principi da non dimenticare finché si aspira a restare nel novero delle democrazie in cui Giustizia non resti una parola vuota di significato.

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