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In attesa di Giustizia: liberté, egalité, ospitalité

Pietrostefani, Tornaghi, Manenti ed altri ancora sono nomi noti alle cronache sebbene a lungo dimenticati, almeno fino a quando non è sembrato che la Francia – Paese nel quale avevano trovato da decenni  rifugio – si fosse determinata ad estradarli verso l’Italia per scontare le pene a cui erano stati condannati per gravi reati di sangue e di eversione contro l’ordinamento dello Stato.

Hassan Iquioussen, invece, è un personaggio sicuramente meno conosciuto, almeno al di qua delle Alpi Graie, e si tratta di un Imam nei cui confronti il Ministro dell’Interno francese aveva recentemente emesso un decreto di espulsione in quanto considerato pericoloso: vicino ai Fratelli Musulmani, che in varie occasioni non ha mancato di manifestare apertamente antisemitismo, omofobia, xenofobia e di legittimare l’omicidio di chi avesse tradito la fede musulmana, spesso abilmente impiegando i termini usati salvo poco tempo fa quando gli è sfuggita la frase “taglieremo loro le teste prima che loro taglino le nostre”. Chi siano i destinatari di tale auspicio è piuttosto chiaro: siamo noi, gli infedeli.

Dunque, una personcina che sarebbe stato di tutta opportunità rispedire al suo Paese di origine ma… grazie ad un tempestivo ricorso, il Tribunale amministrativo ha annullato la decisione ministeriale e l’Imam può serenamente continuare a risiedere nella sua zona prediletta, al confine con il Belgio.

La sentenza è un inno all’ospitalità affermando che qualche parolina di troppo, per quanto di esplicita provocazione non può giustificare l’espulsione di chi mantiene il pieno diritto di condurre una normale vita famigliare con i suoi congiunti nella terra che ha scelto come sua residenza.

Insomma, tiene famiglia ed i  francesi, si vede, non hanno il corrispondente diritto a sentirsi un po’ più sicuri di non incappare in qualche giovanotto (Iquioussen è un idolo nella fascia di età andante dai quindici ai quarant’anni) indottrinato al taglio delle teste.

Molto ospitali, i giudici francesi: per chi non lo sapesse anche gli ex brigatisti italiani, alla fine, non sono stati consegnati alla nostra giustizia perché – in fondo – è ormai storia vecchia, questi gentiluomini si sono comportati bene per tanti anni, hanno messo su famiglia pure loro, hanno un lavoro e qualche ammazzatina a fondamento ideologico anni ’70 non può certo giustificare la prigione proprio adesso che sono dei miti pensionati o quasi. Figuriamoci, poi, in Italia! Dove – sempre secondo la Corte parigina – non vi è garanzia che siano stati sottoposti ad un giusto processo nel quale non hanno neppure potuto difendersi personalmente. E, certo: hanno preferito restare serenamente seduti in qualche barettino della Rive Gauche a sorbirsi un Pernod o a gustarsi un croque monsieur piuttosto che accomodarsi sulle panche di una Corte d’Assise.

Liberi tutti, allora! Del resto siamo nella terra della libertà, della uguaglianza ed – evidentemente – della ospitalità.

Far scontare una pena, tuttavia, non equivale a riparare le vittime di un delitto o i loro famigliari ma non è neppure vendetta sociale, anche se sono passati molti anni dai fatti: è semplicemente quella giustizia degli uomini che prima o poi ci si aspetta che arrivi e si manifesti con uno dei suoi esiti possibili.

Non sempre è così, e i lettori di questa rubrica lo sanno bene: se poi il Presidente di un Collegio giudicante – come quello che si è occupato dei nostri terroristi – si chiama Belin, forse non ci si deve sorprendere più di tanto delle idee che gli passano per la testa. Una testa di Belin, appunto, con licenza parlando.

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