In attesa di Giustizia: mani pulite in salsa belga
“Non è vero che mettiamo in carcere gli indagati per farli confessare, è vero – però – che li scarceriamo quando confessano”. Così parlò, ai tempi di Mani Pulite, il Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli.
Ebbene, gli obbrobri e le forzature della legge nella gestione di quella indagine (che, forse, sarebbe più corretto denominare “mani ammanettate”), di cui scontiamo tutt’ora le conseguenze, sembrano aver trovato degli emulatori esteri.
O, forse, sarà in ossequio ai principi che regolano i rapporti tra le diverse Autorità Giudiziarie dell’UE, basati sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni che trova il suo fondamento nella reciproca fiducia che ogni Stato dell’Unione può riporre nella legislazione degli altri partner: fatto sta che Pubblici Ministeri e Giudici Istruttori belgi stanno dimostrando di avere imparato la lezione di Davigo e Di Pietro; ovvero, se preferite, di Alberto Sordi nei panni del magistrato Annibale Salvemini nel predittivo film “Tutti dentro” del 1984, che oggi fa amaramente sorridere.
Stiamo parlando, ovviamente, dell’inchiesta soprannominata “Qatargate” della quale molto si parla e molto altro si ignora o – comunque – è blandamente evidenziato dalle cronache.
Sappiamo, per esempio, che l’ex europarlamentare Antonio Panzeri ha scelto di confessare (anche, presunte, altrui malefatte: altrimenti la confessione vale poco…) e ciò gli vale un liberatorio patteggiamento alla pena di un anno, che nemmeno sconterà, per reati che in Italia ne valgono una decina malcontati e – questo sì – la confisca di una considerevole somma di denaro…magari una quota sacrificabile del totale.
Sembrerebbe, dunque, che la lectio magistralis impartita dal Procuratore di Milano negli anni ’90, richiamata all’inizio, sia stata seguita con la dovuta attenzione, soprattutto per quello che andremo subito ad illustrare.
Tra le cose di cui si tratta meno, infatti, c’è che alla ex vice presidente dell’Europarlamento Eva Kaili dopo ben ventotto giorni di detenzione è stato consentito di trascorrere un paio d’ore con la figlioletta di soli venti mesi (il cui padre, pure, è detenuto), rigorosamente in carcere neanche fosse una madre che debba rispondere di avere trucidato il fratellino o che vi sia il fondato sospetto che la bimba sia una pericolosa complice da istruire per inquinare le prove.
La netta sensazione è che – insieme alla privazione della libertà – sia questo un metodo per effettuare pressioni e conquistare l’agognata ammissione di responsabilità…possibilmente condita da qualche accusa nei confronti di altri compartecipi.
Il termine da utilizzare, di fronte a ciò è uno solo: vergogna. Allora, tanto valeva rinchiudere questa indagata in una vergine Norimberga o strapparle le unghie per vedere se confessava invece di paludarsi da Stato di diritto quando dello Stato di diritto vengono ignorate o infrante regole fondamentali; allora è fuor di luogo puntare l’indice proprio contro il Qatar perché laggiù non vi sarebbe rispetto dei diritti umani.
Ebbene, sì: par proprio che una identità culturale ed una tradizione giuridica comune tra Italia e Belgio si possano riconoscere traendo spunto da un caso come questo.
Questa è l’Europa dalle comuni radici cristiane, dell’agognato ravvicinamento dei sistemi penali dei Paesi Membri, la Mani Pulite in salsa belga.