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In attesa di Giustizia: nel paese del diritto è talvolta buio fitto

Nel libro dell’Apocalisse, il giorno del giudizio viene fatto coincidere con la fine del mondo; spigolando in un decreto legge in fase di emanazione proprio in quella che viene considerata la sua culla si direbbe che si voglia far corrispondere la fine del mondo del diritto e del giusto processo con il giorno in cui si celebra l’ultimo grado di giudizio e più nella sede giurisdizionale più alta del nostro sistema: la Corte di Cassazione, le cui decisioni sono finalizzate ad interpretare della legge e valutare la sua corretta applicazione.

Così è se vi pare, e se non vi pare è così lo stesso: l’articolo 12 del Decreto Infrastrutture, intitolato modifiche al codice di procedura penale per l’efficienza del procedimento penale senza considerare che efficienza non è sinonimo di efficacia (che sarebbe preferibile), può ritenersi una sorta di iniezione letale somministrata al terzo grado del processo che trasforma la solennità della discussione davanti alla Corte di Legittimità, che si vorrebbe ricca di spunti e approfondimenti in contraddittorio, l’ultima fermata in attesa di giustizia, in un anodino scambio di e-mail tra i difensori, il Procuratore Generale ed il Giudice Relatore. Siamo di fronte alla mutazione genetica della Corte in un sentenzificio.

I lettori penseranno: ma con le infrastrutture tutto questo cosa c’entra? Secondo le peggiori tradizioni della nostrana sciatteria normativa, questa disciplina che impatta sull’effettività del diritto di difesa è frammista, anzi in coda, alla regolamentazione di concessioni autostradali, al rafforzamento della capacità tecnica della fondazione lirico sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari, alle misure per il sostegno della presenza delle imprese italiane nel continente africano ed altre disposizioni totalmente disomogenee rispetto al rito penale.

Una tecnica (parola grossa) normativa che richiama alla memoria la riforma del Testo Unico sugli stupefacenti comportante notevoli aggravamenti delle pene che fu inserita in un decreto legislativo avente ad oggetto aspetti organizzativi delle Olimpiadi Invernali del Sestrière con un eccesso di delega che non sarebbe dovuto sfuggire neppure a chi avesse studiato diritto costituzionale alle scuole serali…al buio ma che provocò per anni decine di migliaia di sentenze illegali prima che qualcuno se ne accorgesse ed alle quali fu solo in parte possibile porre rimedio. Andatelo a raccontare a chi ha scontato lunghe detenzioni a causa di una legge che, semplificando il concetto, non poteva neppure essere emanata. Non in quel modo, perlomeno, e fu fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale.

Parola d’ordine, dunque: efficienza, l’efficacia può attendere. Pervenire ad un tale risultato è impossibile in un sistema in perenne debito d’ossigeno con le risorse umane ed economiche e allora cosa c’è di meglio che sfrattare – un termine diverso non sovviene – gli avvocati dalle aule di cui sono considerati, all’evidenza delle riforme e della prassi, un orpello fastidioso, purtroppo costituzionalmente irrinunciabile, che fa perdere tempo tanto è vero che vi è stato anche chi, recentemente e con la solennità derivata dello scranno di provenienza, ha sollecitato i difensori alla massima sintesi perché con la discussione sottraggono tempo alla camera di consiglio ed alla ponderata decisione dei ricorsi. Tradotto: cari avvocati, non servite a niente.

Ed allora, addio alle aule sostituendo un turbinoso intreccio di posta elettronica ai difensori che le scriveranno con impegno e passione non meno che amarezza mentre i Sostituti Procuratori Generali potranno redigere requisitorie severe ma giuste da spedire comodamente dal terrazzo di casa mentre sorseggiano un limoncello dopo cena e la lettura delle quali stimolerà il furore intellettuale dei Giudici relatori che potranno esprimere la loro diuturna applicazione allo studio estendendo ponderate relazioni anche dalla vasca idromassaggio.

Tutto o quasi può, quindi, farsi senza l’incomodo di dover far presenziare gli avvocati in udienza e  – in barba al diritto di difesa – sono stati anche sensibilmente ridotti i termini di legge per la proposizione di motivi di ricorso nuovi e memorie: così “si fa prima”. Il segnale che viene dato non è equivocabile.

Sia dunque benvenuto “l’avvocato in Costituzione” per garantire l’effettività della tutela dei diritti e quello inviolabile alla difesa come proposto da un’altra riforma messa in cantiere ma purché lo faccia senza disturbare più di tanto il manovratore che ha già tanti pensieri che alimentano il tormento della decisione. Come diceva qualcuno: nel Paese del diritto è talvolta buio fitto.

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