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In attesa di Giustizia: ossimori

La settimana scorsa, nelle ore più convulse per varare in Consiglio dei Ministri la riforma del processo penale riveduta e corretta dalla Guardasigilli, un convitato di pietra attendeva l’esito della battaglia tra giacobini e liberali standosene discretamente nella sua stanza d’albergo: il Commissario Europeo alla Giustizia, giunto a Roma con l’imperativo categorico di riportare l’Italia nel novero dei Paesi dotati di un impianto processuale democratico oppure di tagliare i fondi europei.

Il Premier, uomo di grande buon senso ed assistito nell’opera di Governo da figure di altro profilo come Marta Cartabia, ha intuito tutti i sottesi a quella presenza e si è battuto per rintuzzare i rigurgiti inquisitori della compagnia di giro pentastellata.

Il risultato più ostico da raggiungere è stato quello sulla riforma del regime della prescrizione, che nella formulazione attuale era stato fortemente voluto dai grillini, ponendo rimedio allo scandalo di processi che durano per tutta la vita di un imputato o di una parte offesa.

E, d’altra parte, l’Europa ha fatto bene ad imporci il cambiamento, pena la perdita dei finanziamenti: siamo il Paese più condannato per violazione dei diritti convenzionali. Abbiamo un sistema che non garantisce il rispetto della presunzione di innocenza, anzi la mortifica col pericolo concreto che l’attesa di giustizia per un imputato sia destinata ad un percorso di lunghissima ed imprevedibile durata: e fosse anche colpevole nulla cambia dal punto di vista della previsione costituzionale sulla ragionevole durata del processo.

Intanto, e la dice lunga su come la pensano gli italiani, prosegue con un successo forse al di là delle attese la raccolta di firme per i referendum sulla Giustizia tra i quali è centrale quello relativo alla separazione delle carriere tra Giudice e Accusatore: solo in Giudice che non abbia vincoli di carriera o, peggio, di cordata associazionistica col Pubblico Ministero, potrà essere indipendente e terzo.

Proprio in merito a quest’ultimo tra i vari quesiti referendari non è fuor di luogo ricordare che alle Camere giace un disegno di legge – oltretutto di origine popolare – fortemente inviso e perciò boicottato dai soliti noti delle solite note forze politiche: dare la parola al corpo elettorale è, dunque, l’ultima opportunità.

Tornando al progetto di riforma licenziato da Palazzo Chigi, è importante che si sia partiti con il piede giusto ma vi è da pensare, guardando anche al precedente appena richiamato, che sarà durissima la strada del confronto parlamentare.

La tenzone cui si appresta la fronda giacobina, infatti, è stata immediatamente preannunziata con il furore intellettuale e dialettico che gli è proprio dall’indimenticabile cabarettista Cinque Stelle assurto al soglio del Ministero della Giustizia grazie alla benedizione di Giuseppi Conte: uno che, evidentemente, da come riconosce i giuristi conosce e capisce il diritto come l’aramaico.

Bene ma non benissimo, dunque: certamente un po’ preoccupa che le sorti di una cosa seria come la Giustizia dipendano anche dai voti provenienti da un Movimento dilaniato da lotte intestine per la mediazione delle quali il Capo Comico ha selezionato un comitato composto da sette saggi.

Sette saggi che non sono certo Talete, Solone, Periandro, Cleobulo, Chilone, Briante e Pittaco ma il meglio del meglio di quel manipolo di parlamentari nelle cui mani è affidato – tra le altre cose – il futuro del processo penale. Come dire: ossimori, e un fondato timore resta.

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