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In attesa di Giustizia: parole, parole, parole

Nei giorni scorsi il Presidente MATTARELLA si è nuovamente insediato al QUIRINALE, prestando giuramento alle Camere e pronunciando il tradizionale discorso che, altrettanto tradizionalmente, è di alto contenuto istituzionale ma dai contenuti prudentemente generici nel rispetto del ruolo di garanzia che gli è affidato cui corrispondono l’autonomia del Parlamento e del Governo.

Questa volta, diversamente dal passato, qualcosa di nuovo e di buon auspicio – rispetto ai soliti richiami alla nobiltà della politica, ai principi costituzionali, la solidarietà verso i più deboli… –  si è colto nelle parole del Presidente: una forte sollecitazione alla necessità di riformare la giustizia.

E’ un tema sul quale MATTARELLA, nei sette anni precedenti, ha mantenuto un atteggiamento che eufemisticamente si potrebbe definire cauto: sette anni di disgrazie, tra l’altro, caratterizzati dall’“affaire” Palamara, dall’occultamento di prove a favore di imputati da parte della Procura di Milano e dai molti altri scandali che hanno assestato colpi formidabili alla autorevolezza della magistratura (m, rigorosamente minuscola).

Sette anni nei quali il garante della Costituzione ha firmato leggi di evidente incostituzionalità: da quella sulla legittima difesa (in questo caso, invece di opporre il veto, ha tiepidamente suggerito – restando inascoltato – di rivedere alcuni punti non del tutto allineati con la Carta Fondamentale dello Stato) a quella sulla prescrizione, a tacere di quella sul congelamento della prescrizione per i processi precedenti alla riforma da celebrare al Tribunale di Bari, crollato perché, in sostanza, edificio abusivo e privo di manutenzione. Ma gli esempi potrebbero essere anche altri, partitamente nel ruolo di Presidente del C.S.M..

Colpisce, allora, l’inedita forza degli argomenti, le sollecitazioni affinché la magistratura recuperi credibilità da parte dei cittadini che “neppure devono avvertire il timore per il rischio di decisioni arbitrarie ed imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone”.

Non bastasse, il Presidente ha auspicato che la le riforme siano frutto di un costruttivo confronto tra magistratura (m sempre minuscola, per ora) ed Avvocatura con un richiamo esplicito al ruolo cruciale che quest’ultima riveste in un serio percorso riformatore.

E ancora: il sovraffollamento carcerario è visto come intollerabile offesa alla dignità umana. Bravo Presidente, bravo anche chi gli ha scritto e/o suggerito il discorso ma la impennata di orgoglio non può che essere applaudita.

Non da tutti, ovviamente: il Fango (con la g, certo) Quotidiano, commentando il discorso di Mattarella, ha titolato “applausi soprattutto contro i giudici” e l’editoriale di Travaglio trabocca di bile con commenti astiosi.

In questi giorni si celebra – si fa per dire – il trentennale di “Mani Pulite” che, probabilmente, sarebbe meglio definire “Indagini opache”, l’inizio della fine del giusto processo, e c’è da sperare che la vigorosa sollecitazione del Presidente della Repubblica, con attenzioni rivolte sul versante non solo di chi amministra la amministrazione della giustizia ma di chi ne subisce la preponderante forza, non resti un sussulto isolato.

C’è da sperare, più che nel Parlamento attuale – infestato da Cinque Stelle cadenti – in quello che verrà, che queste, come in una celebre canzone di Mina, non restino parole, parole, parole, soltanto parole…

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