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In attesa di Giustizia: vergogniamoci per loro

Qualcuno tra i lettori de Il Patto Sociale ricorderà, probabilmente, il settimanale satirico “Cuore” in edicola dal 1989 al 1996 che – tra le varie rubriche – annoverava quella intitolata “Vergogniamoci per loro: servizio di pubblica utilità per chi non è in grado di vergognarsi da solo”.

Questa settimana lo spunto viene proprio da quella esperienza dando ad “In attesa di Giustizia” i connotati di “Vergogniamoci per loro”. Solo che questa non è satira bensì una realtà che supera la fantasia, con la differenza che non c’è nulla da ridere. Se non amaramente.

Ancora fresca di stampa la sentenza della Cassazione che mette definitivamente fine alla carriera in magistratura di Luca Palamara, ecco che l’ex Presidente dell’A.N.M. annuncia la propria candidatura, con un simbolo e un movimento politico nuovi e tutti suoi, alle elezioni suppletive previste in ottobre per un seggio alla Camera dei Deputati; seggio rimasto vacante dopo la nomina della On. Del Re a rappresentante speciale della UE per la tormentata regione sub sahariana dello Shael.

Sia ben chiaro, Luca Palamara ha pieno diritto a “scendere in campo” e sottoporsi al giudizio popolare né devono intendersi come ostativi le imputazioni ed il processo a suo carico pendente a Perugia: per lui come per tutti vale la presunzione di innocenza.

Fatto chiaro questo aspetto, non deve però dimenticarsi che lui stesso ha confessato di essere un “maneggione” per usare termine di uso corrente a descrivere quello che, ormai, è noto come sistema di gestione amicale/clientelare delle nomine a capo degli uffici giudiziari.

Qualcuno infine lo voterà nel collegio romano dove si presenta e non è detto che siano suoi amici o parenti stretti. Dunque, vergogniamoci (in anticipo) per loro, per chi penserà che un uomo con simili trascorsi di contenuta trasparenza comportamentale – per usare un eufemismo – possa essere l’ideale di rappresentante. Chissà, potrebbe persino ottenere quel seggio: del resto il corpo elettorale è imprevedibile come dimostra l’ampio consenso  per l’uomo che – assurto poi al soglio di Ministro della Giustizia – ha dato un volto al brocardo latino “risus abundat in ore stultorum”.  E un po’ vergogniamoci anche per Palamara che, potrebbe essere visto anche come un coraggioso ma è molto forte la sensazione che abbia la faccia come il lato B.

Vergogniamoci anche per Marco Travaglio che – dopo aver “gufato” l’Italia alle Olimpiadi  e  smentito da un medagliere storico – è  tornato a dedicarsi alla disciplina di cui è campione indiscusso: l’insulto. Questa volta destinato alla Ministra Cartabia ed alla legge delega di riforma (“schiforma” secondo la sua definizione) del processo penale recentemente approvata dalla Camera e prossima al varo di Palazzo Madama. Oltre che con personalissime considerazioni, con una vignetta pubblicata in prima pagina offre alla platea di raffinati intellettuali del Fango Quotidiano l’immagine di una Guardasigilli con la testa vuota.

Dopo qualche frainteso è tornata l’armonia e Travaglio prende per buone ed esalta tutte le uscite di Giuseppe Conte. Il celeberrimo giureconsulto di Volturara Appula, in prima battuta ha tentato di spacciare come una grande vittoria sua e del Movimento modeste ed ininfluenti modifiche apportate al testo originario del disegno di legge delega sulla giustizia proponendosi come un moderno San Giorgio capace di domare e sconfiggere i Draghi.

In seguito è tornato parzialmente sui suoi passi annunciando che appena la formazione politica di cui ha assunto la guida avrà i voti, quella legge (approvata anche dai suoi ministri) sarà cambiata. Aspetta e spera…

Nessuno dei due, però, si addentra in una valutazione complessiva di un progetto varato che, con diverse soluzioni, mira a spezzare il tradizionale circuito vizioso indagine-carcere-processo-pena attraverso  istituti innovativi volti ad incidere non solo sulla ragionevole durata dei processi ma anche valorizzando meccanismi di giustizia riparativa nei confronti delle vittime di reati.

L’attenzione, invece, si  è soffermata sul punto più dolente per i grillini e cioè a dire il superamento della modifica della prescrizione fortemente voluta da Fofò Bonafede e durata, come merita, l’espace d’un matin.

Una visione un po’ miope, dunque, e passi per Travaglio e la sua combriccola di illetterati adoratori del carcere ma dall’ex avvocato degli Italiani sarebbe stato logico aspettarsi qualcosa di più, magari fino al punto – la speranza è l’ultima a morire – di accorgersi che le sue critiche incappano nella modalità di fallacia studiata dagli psicologi cognitivisti Kanheman e Tverskij: la cosiddetta rappresentatività con cui erroneamente si  eleva un particolare (in questo caso di una riforma) a simbolo del tutto.

Vergogniamoci, dunque, per Giuseppi  e, un po’ anche per chi gli ha fatto superare il concorso di professore ordinario di diritto.

Alla prossima, il sipario non cala ancora.

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