In attesa di Giustizia: Articolo 40
No, articolo 40 non è il nome di un complesso rock e la rubrica questa settimana non si occuperà di musica: è una norma contenuta nel codice penale: prevede che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.
La riflessione su questa regola nasce dal processo a carico di Matteo Salvini, in corso a Palermo, per i fatti legati al divieto di sbarco ad Agrigento dei migranti a bordo della imbarcazione Open Arms: sei anni di reclusione chiesti dalla Procura per sequestro di persona ed altri reati “minori”; a prescindere dalla considerazione che per fatti assolutamente analoghi, l’allora Ministro dell’Interno è già stato prosciolto in udienza preliminare a Catania, colpevole o innocente che sia, con lui al banco degli imputati manca qualcuno…
I P.M. di Palermo sembrano essersi dimenticati che, prima di attraccare ad Agrigento, la Open Arms è stata filmata casualmente dall’equipaggio di un sottomarino della Marina Militare e non appariva in condizioni di pericolo imminente tant’è che il Comandante della Open Arms si allontanò in tutta fretta dal naviglio italiano ed altre opzioni di attracco e sbarco furono rifiutate: Tunisia, Spagna, Malta…abbastanza scontato se si ha a bordo un carico umano che, sembra, non stia correndo alcun pericolo. La rotta è decisa verso Italia e Sicilia in particolare ed il resto è altrettanto storia nota, con qualche interrogativo.
Perché un fatto che non è reato a Catania lo è a Palermo?
Perché si sarebbe dovuto autorizzare l’ingresso di clandestini, già messi in salvo, sul territorio nazionale?
Perché il Comandante della Open Arms non è a giudizio insieme a Salvini se, rifiutando diverse e più agevoli ed immediate opzioni di sbarco, ha ritardato l’attracco? Ammesso e non concesso che vi fosse una condizione di pericolo sin qui da escludere: ma se non c’era per lui…
E soprattutto, perché non è sul banco degli imputati in Procuratore della Repubblica di Agrigento, per intenderci quello che è salito a bordo a farsi un giretto per accertarsi come stessero equipaggio e “passeggeri” e, nonostante tutto quanto premesso ed a lui noto, ha ritenuto poi che fosse in corso un sequestro di persone?
Ecco, in base all’articolo 40 avrebbe dovuto immediatamente impedire che venisse protratta – anche di un solo minuto – la commissione del reato che ipotizzava (ed oggi costituente imputazione), liberando quelli che considerava prigionieri: lui stesso ebbe modo di dire che “la politica e l’alta amministrazione sono libere di prendere le scelte che ritengono opportune: alla magistratura resta la valutazione giuridica di quanto avviene su sfere e ambiti diversi. Ovviamente, qualsiasi limitazione della libertà personale deve fare i conti con il codice penale e di procedura penale, non si scappa”. Invece è tornato in ufficio a compilare scartoffie per una ventina di giorni prima di ordinare lui stesso quello sbarco che avrebbe dovuto e potuto disporre senza indugi, valendosi dell’ausilio della Polizia Giudiziaria: è come dire che un militare dei Carabinieri assiste a una rapina e invece che intervenire come il dovere e il codice penale gli impongono che fa? Prende il telefono, chiama la Polizia e se ne va…
In fondo, però, di tutto questo ormai interessa poco: Patronaggio è stato promosso andando a dirigere una Procura Generale, dei migranti della Open Arms non sappiamo più nulla di preciso su dove sono e cosa fanno, la giustizia per Matteo Salvini oscilla come un pendolo tra indifferenza dei diversi esiti diversi già acquisiti ed incertezza su quelli futuri, provando a dimenticare (o fingendo di farlo) quanto è emerso dal primo libro di Luca Palamara e Alessandro Sallusti e cioè che Salvini doveva essere eliminato per via giudiziaria disinteressandosi totalmente del fatto che la sua condotta non fosse penalmente rimproverabile.
Il vero problema, come dimostrano anche le ultime vicissitudini dell’ex Governatore della Liguria, è che la giustizia non è malata, è una malattia che infetta il Paese.