accordi

  • Accordo tra società europee ed algerine per produrre idrogeno verde

    Sonatrach (Algeria), Sonelgaz (Algeria), Vng (Germania), Snam (Italia), SeaCorridor (partnership tra Eni e Snam) e Verbund Green Hydrogen (Austria) hanno firmato il 14 ottobre un memorandum d’intesa per condurre gli studi necessari e valutare la fattibilità e la redditività di un progetto integrato per la produzione di idrogeno verde in Algeria al fine di rifornire il mercato europeo attraverso il SoutH2 Corridor. Lo si apprende da un comunicato stampa di Sonatrach. La cerimonia di firma si è svolta presso il Centro congressi di Orano ed è stata presieduta dal ministro dell’Energia e delle Miniere algerino, Mohamed Arkab, alla presenza del presidente e amministratore delegato del Gruppo Sonatrach, Rachid Hachichi, del presidente e amministratore delegato di Sonelgaz, Mourad Adjal, del Chief International Officer di Snam, Sergio Molisani, del presidente e amministratore delegato di SeaCorridor, Francesco Caria, dell’amministratore delegato di Verbund Green Hydrogen, Franz Helm, e di Hans-Joachim Polk, membro del Consiglio di amministrazione di Vng.

    Il memorandum d’intesa consentirà alle parti di esaminare congiuntamente l’opportunità di realizzare un progetto integrato multi-stakeholder lungo la catena del valore dell’idrogeno verde utilizzando il SoutH2 Corridor, si legge nella stessa nota. Il corridoio “svolgerà un ruolo fondamentale nella riduzione della dipendenza energetica dalle energie fossili e nella promozione di una transizione energetica verso un’economia sostenibile e a basse emissioni di carbonio. La realizzazione di questo ambizioso progetto ha il potenziale per soddisfare il fabbisogno europeo di energia verde e permetterà di rafforzare la posizione dell’Algeria come importante fornitore di energia all’Europa”, conclude la nota.

  • L’applicazione della politica commerciale garantisce prosperità e crescita alle imprese dell’UE

    Secondo la relazione annuale sull’attuazione e l’applicazione della politica commerciale dell’UE appena pubblicata, nel 2023 il valore degli scambi commerciali dell’UE coperti dalla vasta rete europea di 42 accordi con 74 partner è stato superiore a 2,3 miliardi di €, con un aumento di oltre il 30% negli ultimi cinque anni.

    Le esportazioni dell’UE verso i partner commerciali preferenziali registrano un aumento più costante rispetto alle esportazioni complessive – gli accordi preferenziali con Corea del Sud e Canada, ad esempio, generano ciascuno una crescita media delle esportazioni del 7% all’anno – e hanno reso l’UE più resiliente di fronte alle sfide globali, fornendo fonti di approvvigionamento più sicure e diversificate per le importazioni e mercati per le esportazioni.

    Tra il 2018 e il 2022 la Commissione europea ha inoltre eliminato 140 ostacoli alle esportazioni dell’UE in oltre 40 paesi, il che ha sbloccato ulteriori 6,2 miliardi di € di esportazioni dell’UE nel solo 2023.

  • Benefici e conseguenze di un’alleanza

    L’uomo non può prendere due sentieri alla volta.

    Proverbio africano

    I rapporti di amicizia, di collaborazione e di reciproco sostegno tra la Russia e la Serbia risalgono al medioevo. La Russia offrì rifugio ai tanti serbi che sono stati costretti a lasciare il loro paese dopo l’invasione dell’Impero ottomano nel XV secolo. Da documenti storici risulta che la nonna materna del primo zar di Russia, Ivan IV, noto anche come Ivan il Terribile (1530 – 1584), era la principesssa Anna di Serbia. I rapporti di comune amicizia tra la Russia e la Serbia sono stati in seguito ufficializzati più di due secoli fa, nel 1816, con la decisione di stabilire delle relazioni diplomatiche tra l’Impero russo ed il Principato di Serbia. I legami tra le due nazioni hanno avuto come fondamenta anche la comune appartenenza alle popolazioni slave e alle Chiese ortodosse orientali. Nonostante la forma dell’organizzazione statale, nel corso degli anni i due Paesi hanno firmato anche molti trattati e protocolli bilaterali. Ma nel corso degli anni, e soprattutto subito dopo la seconda guerra mondiale, i rapporti tra l’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia sono stati tutt’altro che buoni. Tutto dovuto alle scelte del maresciallo Tito, capo del governo jugoslavo. Lui, a partire dal 1948, scelse di allontanarsi dall’Unione Sovietica e di costituire, nel 1956, il Movimento dei Paesi non Allineati, insieme con l’India e l’Egitto. Ma dopo la morte di Tito, i rapporti tra i due Paesi ritornarono ad essere buoni ed amichevoli come prima. Dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, la Serbia dal 1992, essendo diventata ufficialmente la Repubblica di Serbia, ristabilì quei rapporti con la Russia. Rapporti che da allora ad oggi sono stati consolidati nell’ambito di una ritrovata alleanza tra i due Paesi. Con i dovuti benefici e le derivanti conseguenze. Soprattutto per la Serbia.

    Il 17 dicembre 2023 in Serbia si sono state le elezioni per rinnovare l’Assemblea nazionale, il Parlamento serbo. Elezioni che sono state vinte, con una maggioranza assoluta, dalla coalizione capeggiata dal Partito Progressista Serbo dell’attuale presidente della Repubblica. Subito dopo le opposizioni hanno contestato il risultato delle elezioni, scendendo in piazza a protestare, accusando di brogli e manipolazioni. Ci sono voluti circa cinque mesi prima che il nuovo governo si potesse insediare il 1o maggio scorso. Tra i membri del nuovo governo figurano anche due persone molto note per gli ottimi rapporti con la Russia. Si tratta dell’ex capo dell’Agenzia per le Informazioni sulla Sicurezza della Serbia, attualmente vice primo ministro, ed un proprietario di diverse aziende serbe con sede in Russia. Tutti e due però, dal 2023, sono delle persone sanzionate dal Dipartimento di Stato statunitense. Il vice primo ministro è stato accusato di coinvolgimento nel traffico di armi e di sostanze narcotiche, di abuso d’ufficio durante la sua attività pubblica, nonché per il suo contributo alla diffusione dell’influenza della Russia nella regione dei Balcani.

    Ebbene, proprio l’attuale vice primo ministro della Serbia, il 4 settembre scorso, è andato in Russia e ha avuto un incontro molto cordiale con il presidente russo. L’incontro è avvenuto nella città porto di Vladivostok, che si trova nell’estremo oriente russo, vicino al confine sia con la Cina che con la Corea del Nord. L’occasione era lo svolgimento del Forum economico orientale, organizzato dal 3 al 6 settembre scorso presso il Campus dell’Università federale di Vladivostok. Era la seconda visita ufficiale del vice primo ministro serbo in Russia dal maggio scorso, quando lui ha avuto quell’incarico istituzionale. “È un grande onore per me che ho il privilegio di parlare con lei. […] La prego di credermi quando le dico che è un grande incoraggiamento per tutti i serbi, ovunque essi siano”, ha detto il vice primo ministro serbo al presidente russo all’inizio del loro incontro, come confermano le fonti ufficiali di stampa.

    Sempre riferendosi alle fonti ufficiali di stampa, risulta che durante il loro incontro il vice primo ministro serbo abbia assicurato il presidente russo sull’amicizia che lega i due Paesi e sulla loro alleanza multidimensionale. Bisogna sottolineare però che il 29 aprile 2008 la Serbia ha firmato l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea. Un Accordo, quello, che è entrato in vigore il 1° settembre 2013. Il 1° marzo 2012 il Consiglio europeo ha deciso di dare alla Serbia lo status del Paese candidato all’adesione all’Unione. Mentre, durante la riunione del 28 giugno 2013, il Consiglio europeo ha approvato l’inizio dei negoziati d’adesione della Serbia all’Unione europea. Negoziati che sono stati avviati il 21 gennaio 2014. Ragion per cui la Serbia ha assunto ufficialmente, tra l’altro, anche l’obbligo di aderire alle sanzioni poste ad un determinato Paese da parte dell’Unione europea. Come nel caso della Russia dopo l’inizio, il 24 febbraio 2022, dell’aggressione contro l’Ucraina. Bisogna sottolineare che tutti i Paesi membri dell’Unione europea, compresi anche i Paesi che sono in fase di adesione all’Unione, hanno aderito a tutte le sanzioni poste alla Russia da parte dell’Unione europea. Tutti, tranne la Serbia.

    Durante il sopracitato incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo il 4 settembre  scorso a Vladivostok, l’ospite ha garantito, tra l’altro, all’anfitrione che “…la Serbia guidata da Aleksandar Vučić (presidente della Serbia; n.d.a.) è una Serbia la quale non diventerà mai un membro della NATO, non imporrà mai sanzioni alla Federazione Russa e non permetterà mai che il suo territorio venga usato per qualsiasi azione anti-russa”. Il vice primo ministro serbo ha confermato al presidente russo che lui, come il presidente serbo, è convinto che “…le sanzioni contro la Russia danneggerebbero gli interessi  nazionali della Serbia”. In più l’ospite serbo ha confermato al presidente russo che “…la Serbia non è solo un partner strategico della Russia. La Serbia è anche un alleato della Russia. E questa è la ragione per cui la pressione dell’Occidente contro di noi è [così] grande”.

    Subito dopo l’incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo, il 4 settembre scorso a Vladivostok in Russia, sono arrivate anche le reazioni ufficiali dall’Unione europea. Il portavoce del Servizio europeo d’azione esterna ha dichiarato: “Ci aspettiamo che la Serbia si astenga dall’intensificare i rapporti e i contatti con la Russia. […]. Tutti i membri del governo serbo rispettino gli impegni che la Serbia si è assunta volontariamente nel processo di adesione all’Ue, compreso l’allineamento con le decisioni e le azioni di politica estera dell’Unione. Mantenere relazioni forti o, addirittura, rafforzarle con la Russia durante la sua aggressione illegale contro il popolo ucraino non è compatibile con i valori dell’Unione europea e con il processo di adesione all’Unione”. Il portavoce ha aggiunto che le istituzioni dell’Unione notano con preoccupazione le azioni e le dichiarazioni del vice primo ministro serbo. In più lui ha definito “…abbastanza indicativo quanto spesso [il vice primo ministro serbo] sia a Mosca e quanto raramente sia invitato nell’Unione Europea”. Un fatto quello che “…va contro l’obiettivo dichiarato della Serbia di aderire all’Unione”.

    Chi scrive queste righe trova veramente incoerente e contraddittorio l’atteggiamento della Serbia. Un paese che, firmando l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea, ha assunto volontariamente anche tutti i derivanti obblighi. Obblighi però che consapevolmente ha ignorato quando si tratta dei rapporti con la Russia. Ma anche dei suoi interessi. Si tratta proprio di benefici e di conseguenze di un’alleanza. L’uomo non può prendere due sentieri alla volta. Così recita un proverbio africano. E neanche un Paese può farlo. Come cerca di fare la Serbia.

  • L’UE avvia procedimenti per la risoluzione delle controversie nei confronti dell’Algeria per difendere le imprese europee

    L’UE ha avviato un procedimento per la risoluzione delle controversie nei confronti dell’Algeria e ha richiesto consultazioni con le autorità algerine per affrontare le diverse restrizioni imposte alle esportazioni e agli investimenti dell’Unione. L’UE ritiene che, imponendo tali misure commerciali restrittive dal 2021, l’Algeria non rispetti i suoi impegni in materia di liberalizzazione degli scambi nel quadro dell’accordo di associazione UE-Algeria.

    L’obiettivo dell’UE è impegnarsi in modo costruttivo con l’Algeria al fine di eliminare le restrizioni in diversi settori di mercato, dall’agricoltura all’industria dell’autoveicolo. Le restrizioni includono un sistema di licenze di importazione che ha l’effetto di un divieto di importazione, sovvenzioni vincolate all’uso di fattori di produzione locali per i costruttori di autovetture e un massimale relativo alla proprietà straniera per le imprese che importano beni in Algeria.

    L’UE è il principale partner commerciale e il principale mercato degli scambi internazionali dell’Algeria (circa il 50,6 % nel 2023). Alla luce degli sforzi infruttuosi per risolvere la questione in via amichevole, l’UE ha compiuto questo passo per tutelare i diritti degli esportatori e delle imprese dell’UE operanti in Algeria che hanno subito ripercussioni. Le misure algerine danneggiano anche i consumatori algerini, a causa di una scelta indebitamente limitata di prodotti.

    Nel 2002 l’UE e l’Algeria hanno firmato un accordo di associazione, entrato in vigore nel 2005, che stabilisce un quadro di riferimento per la cooperazione UE-Algeria in tutti i settori, compresi gli scambi. Qualora non si riuscisse a raggiungere una soluzione, l’UE avrà il diritto, in virtù dell’accordo, di chiedere la costituzione di un collegio arbitrale.

     

  • Amicizia senza limiti tra due potenti alleati geostrategici

    La cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

    Eschilo

    Domenica scorsa, anche in piazza San Pietro a Roma, gremita di credenti, è stata celebrata la festa di Pentecoste. Si tratta di un importante evento del cristianesimo, che si riferisce all’effusione dello Spirito Santo. Dopo la preghiera del Regina Coeli Papa Francesco ha detto che “lo Spirito Santo è Colui che crea l’armonia, l’armonia! E la crea a partire da realtà differenti, a volte anche conflittuali”. E ha pregato lo Spirito Santo di donare ai governanti “…il coraggio di compiere gesti di dialogo, che conducano a porre fine alle guerre”. In seguito il Santo Padre ha ricordato “le tante guerre di oggi” dove si combatte e si perdono vite, tante vite di persone innocenti. Ragion per cui Papa Francesco, rivolgendosi non solo alle persone in piazza San Pietro, ha chiesto: “…pensiamo all’Ucraina. Il mio pensiero va in particolare alla città di Kharkiv, che ha subito un attacco due giorni fa. Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele. Pensiamo a tanti posti dove ci sono le guerre. Che lo Spirito porti i responsabili delle nazioni e tutti noi ad aprire porte di pace!”.

    Si continua a combattere, dal 24 febbraio 2022, in Ucraina. E mentre molti Paesi del mondo, così come l’Unione europea e le più importanti organizzazioni internazionali, hanno condannato quell’aggressione, ci sono altri Paesi che non solo non lo hanno fatto, ma stanno attivamente collaborando, in vari modi, con la Russia. Uno di questi Paesi, che da alcuni decenni sta esercitando un ruolo geopolitico e geostrategico sempre più importante a scala globale, è la Cina. I rapporti di collaborazione tra i due Paesi sono tra i migliori, compresi quelli politici. Ed ottimi sono anche i rapporti di stretta amicizia tra i due presidenti. Lo hanno affermato di persona ed in più occasioni anche loro due. E non a caso. Si perché oltre a vari interessi economici, geopolitici e geostrategici, loro si somigliano anche per il modo autocratico della gestione del potere. Si sono incontrati per la prima volta nel marzo del 2010, poi nel 2013, quando l’attuale presidente cinese, appena ricevuto il suo primo mandato, ha deciso di effettuare la sua prima visita ufficiale proprio in Russia. E dopo essere rieletto, nel marzo dell’anno scorso, come presidente della Repubblica popolare cinese, ha fatto di nuovo la stessa scelta: la sua prima visita ufficiale lo ha fatto proprio in Russia. Risulterebbe che in questi ultimi dieci anni i due presidenti si sono incontrati circa quaranta volte ed in varie occasioni.

    Durante queste due ultime settimane, sia il presidente cinese che quello russo sono stati molto attivi. Prima il presidente cinese ha cominciato una settimana di visite ufficiali in Europa, con quella in Francia il 6 e 7 maggio scorso, e poi in Serbia ed in Ungheria. Il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe delle tre visite e di quanto è stato discusso e deciso in ciascuno dei Paesi (Scelte che evidenziano determinati interessi geopolitici; 13 maggio 2024). Mentre la scorsa settimana, il 16 e 17 maggio, è stato il presidente russo ad effettuare la sua visita in Cina. Visita che è stata anche la prima, dopo la sua rielezione come presidente nel marzo scorso. Una visita che coincide anche con un periodo in cui l’esercito russo ha circondato e sta attaccando la città ucraina di Kharkiv. Città che ha ricordato domenica scorsa Papa Francesco, pregando per i suoi abitanti. Bisogna però ricordare che dopo l’aggressione russa in Ucraina, più di due anni fa ormai, i rapporti tra la Russia e la Cina si sono ulteriormente rafforzati e la loro collaborazione multilaterale sta diventando sempre più stretta e attiva. Una collaborazione che viene determinata anche da interessi, sviluppi e congiunture geopolitiche e geostrategiche. Si tratta di interessi che portano, in modo inevitabile, allo scontro con alcuni Paesi occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti d’America.

    Ebbene, durante la sua visita della scorsa settimana in Cina, il presidente russo è stato diretto ed ha dichiarato che sia la Russia che la Cina  “…respingono i tentativi occidentali di imporre un ordine basato su bugie e ipocrisia, su alcune regole mitiche create da nessuno sa di chi”. Ed è proprio per affrontare “i tentativi occidentali” che la Cina e la Russia sono stati due tra i quattro primi Paesi fondatori di un raggruppamento economico ben strutturato, ufficializzato nel 2010. Un raggruppamento al quale si è aggiunto subito dopo anche il Sudafrica che da allora è noto come BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; n.d.a.). A questa struttura internazionale, all’inizio di quest’anno, si sono uniti anche l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti. Oltre a BRICS, la Russia e la Cina fanno parte anche di quella che, dal 2001, è comunemente nota come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Un’organizzazione della quale fanno parte anche quattro altri Paesi, ex repubbliche dell’allora Unione sovietica; Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan. Ebbene, la scorsa settimana, durante la sua visita ufficiale in Cina, il presidente russo ha sottolineato, riferendosi a questi due raggruppamenti internazionali, che loro “…si sono ben affermati come pilastri chiave dell’emergente ordine mondiale multipolare”. Aggiungendo, che “…possono essere citati come vividi esempi di cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Sono diventati piattaforme internazionali affidabili e dinamiche i cui partecipanti costruiscono politiche costruttive”.

    Il presidente cinese, sempre durante la visita ufficiale in Cina del suo omologo russo, ha ribadito, tra l’altro, che la collaborazione tra i due Paesi sta progredendo come tra “buoni vicini, buoni amici e buoni partner”. Assicurando che la Cina rispetterà sempre il cosiddetto “rapporto senza limiti”. Facendo proprio riferimento a quello che il presidente russo annunciò nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’inizio dell’aggressione contro l’Ucraina. Un rapporto che si basa anche su “un’amicizia senza limiti”, come hanno più volte confermato i due presidenti in questione. La scorsa settimana hanno concordato anche sulla “soluzione” della guerra in Ucraina. Tutto si basa su una proposta di dodici punti, annunciata l’anno scorso dalla Cina. Una proposta, la quale prevede negoziati di pace partendo dallo status quo. Una proposta quella, ben accolta dalla Russia, che però è in palese contrasto con la proposta di trattative presentata dal presidente ucraino. Per lui le trattative tra l’Ucraina e la Russia non possono essere avviate senza il ritiro della Russia dalle regioni di Donbas e di Crimea, invase nel 2014. Bisogna sottolineare che la proposta cinese è ben diversa da quella che verrà discussa in Svizzera il 15 e 16 giugno prossimo. Si tratta di una conferenza nella quale i rappresentanti della Russia non saranno presenti, mentre la Cina non ha ancora confermato la partecipazione dei suoi rappresentanti. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe ha trattato per il nostro lettore solo alcuni argomenti discussi ed accordati durante l’incontro dei due potenti alleati geostrategici, il presidente cinese e quello russo. Alleati legati anche da un’amicizia senza limiti. Ma chissà se e quanto durerà questa amicizia. Perché, come affermava circa venticinque secoli fa Eschilo, il noto drammaturgo della Grecia antica, la cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

  • Bandiera bianca e la forza della diplomazia

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Come ha specificato Matteo Bruni, direttore della sala stampa del Vaticano, “Il Papa usa il termine bandiera bianca, riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato”.

    In altre parole il Papa, a differenza delle interpretazioni ideologiche dei media, i quali arrivano ad accusare il Papa di esprimere una posizione filorussa, non ha interpretato la figura retorica della “bandiera banca” come una resa, ma semplicemente deve venire intesa come l’inizio di una presa di coscienza della impossibilità di un esito positivo della guerra (un esito per entrambi i belligeranti, sia chiaro) e da questa consapevolezza andrebbe considerata una inevitabile e immediata apertura di un tavolo di negoziazione.

    In questo contesto, in una sola battuta, vengono azzerate tutte le strategie dell’Unione Europea e del leader ucraino, i quali invece chiedevano e pretendono tuttora maggiori investimenti in armamenti ed equiparano la crisi russo-ucraina a quella del 1939 che diede inizio alla Seconda guerra mondiale, paragonando Putin ad Hitler. Quasi che il quadro politico-istituzionale ed internazionale prebellico della Seconda guerra mondiale potesse essere anche solo paragonato a quello attuale, una visione che definisce l’approccio puramente ideologico nella azzardata similitudine tra i due momenti storici.

    Esattamente come dovrà avvenire a Gaza, così nello scenario russo-ucraino la soluzione finale non può venire individuata in una semplice vittoria di uno dei due contendenti all’interno di una progressiva escalation bellica ed anche di spese pubbliche finalizzate alla acquisizione di maggiori armamenti.

    Viceversa, a questa strategia va affiancata un’altra che valuti da subito l’istituzione di un tavolo negoziale al quale dovranno sedersi i due nemici e i diversi negoziatori. In questo contesto si manifesta evidente la perdita di un’occasione unica per l’Europa in chiave diplomatica, avendo appoggiato sic et nunc la sola difesa dell’Ucraina, eletta a simbolo della democrazia, senza aprire un tavolo negoziale con Putin, di fatto adottando la strategia della NATO come la propria politica estera.

    Il fallimento di questa strategia è evidente in quanto la sottovalutazione della capacità di resistenza della Russia emerge chiara poiché l’economia russa crescerà nel 2024 ben quattro volte quella europea, quando dal 2022 tutti i vertici dell’Unione Europea parlavano di un prossimo default dello Stato russo.

    Queste medesime competenze europee ora spingono a favore della creazione di un esercito europeo e magari di un arsenale nucleare, del cui effetto deterrente, anche in considerazione dell’esito ottenuto con le strategie europee dal 2022 ad oggi, è legittimo dubitare.

    All’interno, quindi, di una rinnovata attenzione alla realpolitick, poco importa che sia stato Putin, come tutti sappiamo, ad iniziare il conflitto. E ricordando l’importanza, come fattore di pressione, della politica espansiva della NATO che ha accentuato questa tensione regionale, quello che risulta fondamentale adesso è individuare come si possa ottenere una pace senza arrivare ad uno scontro bellico ancora più generale.

    Se veramente si credesse che la vita rappresenti il bene supremo da tutelare, di conseguenza chiunque si adopererebbe con l’obiettivo di trovare un accordo, se non altro per interrompere la carneficina di civili.

    Tutto il resto è delirio ideologico, politico e purtroppo militare.

  • Turchia e Somalia discutono di affari e di difese militari

    Il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud ha incontrato il 2 marzo il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ad Antalya, nel quadro del Forum della diplomazia in corso. Lo ha riferito la presidenza turca, precisando che le parti hanno discusso di temi tra cui la cooperazione economica e di difesa. I due governi hanno concluso lo scorso 8 febbraio un accordo volto a rafforzare la cooperazione bilaterale e il partenariato strategico bilaterale, soprattutto nei settori della sicurezza marittima e dell’economia blu.

    In base all’accordo, firmato dai rispettivi ministri della Difesa e ratificato di recente dal parlamento somalo, la Turchia fornirà addestramento e attrezzature alla Marina somala, consentendo alla Somalia di proteggere le sue risorse marine e le acque territoriali da minacce come il terrorismo, la pirateria e le “interferenze straniere”. L’accordo stimolerà inoltre lo sviluppo economico e le relazioni commerciali tra i due Paesi, poiché la Turchia aiuterà la Somalia a sfruttare il suo vasto potenziale di pesca, turismo ed energia. Il primo ministro Hamse Abdi Barre, che ha presieduto la riunione di gabinetto che ha approvato l’accordo, lo ha salutato come un risultato “storico” per il Paese e ha ringraziato la Turchia per il suo incrollabile sostegno e l’amicizia dimostrata.

    L’accordo è stato accolto favorevolmente dall’opinione pubblica somala e dalla comunità internazionale, che lo ha elogiato come un passo positivo per la pace e la stabilità della regione. La Somalia e la Turchia intrattengono relazioni strette e cordiali sin dall’istituzione di rapporti diplomatici nel 1960. La Turchia è uno dei maggiori donatori e investitori in Somalia e ha contribuito a vari settori come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e gli aiuti umanitari.

  • Von der Leyen e Sanchez rassicurano la Mauritania sul sostegno della Ue

    L’Unione europea intende sostenere lo sviluppo della Mauritania, passando per un aumento degli investimenti nel Paese ma anche per la cooperazione energetica, senza dimenticare la gestione dei migranti. Questo è quanto emerso dalla visita a Nouakchott della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e del presidente del governo spagnolo, Pedro Sanchez, l’8 febbraio. I due sono stati ricevuti dal capo dello Stato della Mauritania, Ould Ghazouani, con il quale si sono soffermati su diversi temi di interesse condiviso. Von der Leyen ha spiegato che l’Ue vuole rafforzare i rapporti con il Paese africano, in una prospettiva politica ed economica. “La nostra visita dimostra l’importanza del nostro partenariato con la Mauritania – ha detto von der Leyen-. Questa partnership è cresciuta negli ultimi anni in un contesto difficile. Penso, ovviamente, all’attuale instabilità del Sahel, ma anche all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e alle sue terribili conseguenze per il mondo, e per l’Africa in particolare. La vostra condanna verso questa aggressione – ha aggiunto – vi onora e ci avvicina”. “In un simile contesto, è naturale che desideriamo rafforzare ancora di più il nostro partenariato, e lo stiamo facendo oggi”, ha proseguito von der Leyen. In questa prospettiva, l’Ue intende lavorare per costruire un ecosistema di idrogeno verde nel Paese africano, sebbene per un progetto di questo tipo sia “indispensabile la prevedibilità”.

    La presidente della Commissione ha ricordato come le autorità della Mauritania abbiano lanciato nel 2020 la strategia nazionale di transizione energetica, e questa “è una coincidenza, perché esattamente nello stesso periodo, all’inizio del 2020, abbiamo lanciato il Green deal europeo, la nostra ambiziosa strategia per essere neutrali dal punto di vista climatico entro il 2050, facendo crescere la nostra economia pulita e circolare”. Una parte di questa economia “è rappresentata dall’idrogeno verde”, ha ricordato von der Leyen. “Per darvi due cifre, l’Unione europea vuole produrre dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030 a livello nazionale, ma sappiamo anche che dovremo importare altri dieci milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030. Quindi dobbiamo lavorare molto duramente a livello nazionale, ma abbiamo anche bisogno di partner all’estero”, ha rilevato la funzionaria tedesca, aprendo alla possibile cooperazione con la Mauritania in materia.

    Intervenendo in conferenza stampa con von der Leyen e Ghazouani, Sanchez ha ricordato come il Paese africano svolga “un ruolo fondamentale come referente per la stabilità democratica del Sahel”, una regione “cruciale per la Spagna e per l’Europa”. Il premier iberico ha evidenziato come il Paese africano sia vittima delle conseguenze dell’instabilità economica dell’area. “La Spagna e la Mauritania condividono molti obiettivi come la lotta al terrorismo, la ricerca di un’immigrazione ordinata, regolare e sicura e l’emergenza climatica”, ha proseguito il capo dell’esecutivo di Madrid. “La prosperità è il maggiore investimento per la sicurezza e la stabilità di tutta la regione”, ha aggiunto Sanchez prima di citare una serie di nuovi impegni assunti dal governo spagnolo nei confronti della Mauritania.

    Il primo di questi impegni è la firma di un accordo di cooperazione allo sviluppo da 60 milioni di euro per progetti da attuare nei prossimi quattro anni, oltre a 40 milioni di euro aggiuntivi per altre iniziative che saranno individuate insieme alla Banca mondiale per gli investimenti. In secondo luogo, attraverso la collaborazione delle imprese spagnole, saranno mobilitati nei prossimi anni 200 milioni di euro in particolare in progetti di viabilità e di energie rinnovabili. Sanchez ha infine evidenziato come il fenomeno dell’immigrazione irregolare colpisca con particolare intensità i due Paesi. Per questa ragione, il premier ha annunciato un rafforzamento dei progetti di collaborazione già esistenti attraverso, soprattutto, il controllo delle frontiere.

  • Le giunte militari di Mali e Niger ripristinano la doppia imposizione fiscale con la Francia

    Le giunte militari di Mali e Niger hanno firmato il 5 dicembre un comunicato stampa congiunto in cui denunciano le convenzioni firmate con la Francia per il superamento della doppia imposizione fiscale. La decisione, si legge nella nota congiunta, fa seguito al “persistente atteggiamento ostile della Francia” e al “carattere squilibrato” di queste convenzioni che costituiscono “un notevole deficit per il Mali e il Niger”. Le convenzioni fiscali denunciate dalle giunte golpiste disciplinano le norme per la tassazione del reddito o delle successioni e permettono inoltre lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni, ad esempio per la riscossione delle imposte. Tali convenzioni verranno quindi abolite “entro tre mesi”, secondo quanto affermato nel comunicato. La decisione è destinata ad avere serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono un’attività in Mali o in Niger, e viceversa, con conseguenze inevitabili sia per i francesi che lavorano in Niger, sia per i maliani della diaspora in Francia, ma anche per le aziende che espatriano alcune filiali. La mossa segna una nuova tappa nel riavvicinamento tra i Paesi golpisti del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – che a settembre hanno dato vita a una coalizione militare, nota come Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

    La decisione fa peraltro seguito a quella con cui ieri la giunta militare del Niger – salita al potere dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha annunciato l’intenzione di porre fine agli accordi di difesa e sicurezza con l’Unione europea, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato pubblicato lunedì sera, il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana.

  • Il quadro ormai è chiaro

    Alle soglie di una  una nuova recessione economica ecco gli effetti disastrosi della politica economica e strategica italiana ed europea  portata avanti con cecità ideologica (https://www.ilpattosociale.it/europa/lunione-europea-ormai-e-una-zona-franca/).

    Il nostro Paese come l’intera Unione Europea in questi anni passa da una dipendenza verso i paesi produttori di petrolio (Opec), il cui unico obiettivo era quello di accumulare ricchezze, ad una di carattere non solo energetico ma soprattutto politico.

    La  totale genuflessione energetica e di interi settori industriali di fatto pone le basi di una vera e propria dipendenza verso una superpotenza (Cina) la quale dimostra strategie espansive dominanti sia politiche che strategiche ed ovviamente economiche molto invasive e preoccupanti per la nostra democrazia.

    Mentre negli anni Settanta la contrapposizione tra i due blocchi politici, quello occidentale e il socialista, era rappresentata dal  muro di Berlino, ora abbiamo fagocitato all’interno delle nostre istituzioni i nemici del nostro stesso sistema economico e politico.

    Questi  hanno assunto le sembianze dei presunti ambientalisti ma, sottoposti ad  una metamorfosi kafkiana, si sono trasformati da soggetti politici ad agenti di distruzione del nostro sistema politico, economico e sociale.

    La dipendenza della nostra economia da un sistema totalitario come la Cina rappresenta il loro vero  obiettivo politico, ottenuto attraverso l’imposizione ambientalista di una ideologia talebana.

    Una strategia che ha assunto i requisiti squisitamente politici a discapito dei veri  valori ambientalisti per i quali tutte le persone nutrono la massima attenzione.

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