accordi

  • Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale

    L’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo.

    Robert Emil Lembke

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato sul vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, svoltosi a Tirana il 16 marzo scorso. Un vertice al quale hanno partecipato, oltre all’anfitrione, il primo ministro albanese, anche due alti rappresentanti della Commissione europea. I due illustri ospiti erano l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ed il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Dopo il vertice si è tenuta anche una conferenza congiunta con i giornalisti. Chi conosce la realtà albanese, nonché l’innata e viscerale abilità del primo ministro albanese di mentire e di ingannare, non poteva avere dubbi che lui avrebbe fatto di nuovo quello che sta facendo da anni in simili occasioni. E cioè che avrebbe di nuovo mentito ed ingannato spudoratamente, cercando di presentare per vera solo una immaginaria e virtuale realtà. Una realtà che niente ha a che fare con quella vera, vissuta e sofferta quotidianamente dalla maggior parte degli albanesi. Una realtà che, proprio perché è tale, da alcuni anni ha costretto, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione residente in Albania a lasciare tutto e tutti e cercare una vita migliore in altri paesi europei ed oltreoceano. Ma purtroppo anche i due illustri ospiti europei, trascurando, loro sanno perché, la vera realtà albanese, hanno parlato di “successi” mai raggiunti, anzi! Una realtà, quella albanese, che da anni è stata descritta con dei dettagli anche dai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, comprese alcune dell’Unione europea. Chissà perché i due alti rappresentanti della Commissione europea non erano stati informati del contenuto di quei rapporti dai loro collaboratori?! Riferendosi a quelle irreali dichiarazioni durante la congiunta conferenza con i giornalisti, dopo il sopracitato vertice del 16 marzo scorso, il nostro lettore è stato informato del fatto che “si è ripetuto però e purtroppo lo stesso scenario. Come in tante altre precedenti occasioni durante questi ultimi anni, anche giovedì scorso, nonostante la vera, vissuta, sofferta e scandalosa realtà albanese, gli illustri ospiti europei hanno parlato di “successi” (Sic!). Ma a quali “successi” si riferivano?”. Ed in seguito l’autore di queste righe faceva una lunga serie di domande, mettendo in evidenza l’eclatante contrasto tra la vera realtà e quella immaginaria e illusoria, dovuta ai tanti “successi” del primo ministro albanese e del suo governo. “Successi” ai quali si riferivano i due alti rappresentanti della Commissione europea (Ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei; 20 marzo 2023). “Successi” che non solo non hanno convinto nessuno ma, evidenziando proprio l’ipocrisia e l’irresponsabilità dei due alti rappresentanti della Commissione europea, hanno messo in repentaglio la serietà stessa delle istituzioni dell’Unione europea.

    Durante il vertice di Tirana del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, oltre alle sue solite bugie ed inganni verbali riguardo l’immaginaria e illusoria realtà albanese, il primo ministro ha fatto riferimento allo stato in cui si trova l’Albania nel suo percorso europeo. Ed anche in questo caso ha mentito. Ha prima espresso il suo riconoscimento ed ha ringraziato, per il loro continuo appoggio, i due alti rappresentanti della Commissione europea, i quali, in seguito, hanno parlato dei “successi” dovuti all’impegno del primo ministro e del suo governo. Poi, parlando anche lui di “successi e della fruttuosa ed apprezzabile collaborazione tra le parti”, il primo ministro albanese ha detto che era contento perché “…l’atmosfera di questo vertice è stata estremamente positiva”. Parlando del processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea, lui ha detto che “…noi oggi siamo molto felici mentre constatiamo che le cose sono andate secondo le previsioni: non abbiamo avuto nessun ritardo e non abbiamo nessun problema”. Una bugia bella e pura, detta dal primo ministro come al suo solito, senza batter ciglio. Si, perché fatti accaduti, documentanti e pubblicamente noti alla mano, comprese anche le ripetute decisioni del Consiglio europeo di questi ultimi anni, il processo europeo dell’Albania ha avuto solo ritardi e rinvii ed è stato contrassegnato da tantissimi seri e preoccupanti problemi. Riferendosi alla collaborazione con la Commissione europea, il primo ministro, contento e fiero, ha confermato che “…. abbiamo un pieno accordo in tutto l’asse di questa collaborazione strategica”. E poi, sempre fiero e contento, lui ha aggiunto che finalmente “…l’Albania adesso non è più in coda del treno dell’integrazione [europea], bensì alla testa.” (Sic!). In seguito si è rivolto all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza che, da Tirana, doveva andare direttamente, l’indomani, nella Macedonia del Nord per assistere ai difficili negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. “… Mi permetta di dire che noi guardiamo con ammirazione i suoi sforzi per la normalizzazione dei rapporti tra il Kosovo e la Serbia”, ha dichiarato riconoscente il primo ministro albanese. Proprio lui che è molto fiero e contento anche del ruolo dell’Albania nella regione dei Balcani. Un ruolo che “…viene valutato come un modello per l’aspetto della promozione della pace, del dialogo e della normalizzazione”. E sicuramente era una dichiarazione autoreferenziale e di autostima, suscitata dal suo subconscio, perché lui non perde mai occasione di apparire come uno dei veri promotori della pace, della collaborazione e della stabilità nella regione dei Balcani occidentali. Anche la vanità è una sua caratteristica innata e viscerale. Lui rivendica anche la paternità, insieme con il suo “caro amico”, il presidente serbo, dell’iniziativa Open Balkans. Un’iniziativa che contrasta un’altra iniziativa europea, sempre nella regione dei Balcani occidentali, quella che dal 2014 è nota come il Processo di Berlino. Un’iniziativa fortemente voluta ed appoggiata sia dalla Germania, quale promotore dell’iniziativa, sia dagli altri Stati membri dell’Unione europea e dalle sue istituzioni. E anche dai Paesi dei Balcani occidentali, alcuni dei quali, come la Serbia e l’Albania, magari formalmente. Mentre l’iniziativa Open Balkans è stata promossa e sostenuta soltanto da tre dei sei Paesi dei Balcani occidentali, e cioè dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre il Montenegro, il Kosovo e Bosnia ed Erzegovina hanno contrastato l’iniziativa, ribadendo, convinti, che portava vantaggi soltanto alla Serbia. Il nostro lettore è stato informato diverse volte e a tempo debito anche dell’occulta e pericolosa iniziativa Open Balkans, del suo ideatore, un multimiliardario e speculatore di borsa da oltreoceano e di chi gli sta dietro, compreso il presidente serbo ed il primo ministro albanese  (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 202; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022 ecc…).

    Come prestabilito, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, dopo il sopracitato vertice di Tirana l’indomani, il 17 marzo scorso, era già ad Ohrid, una nota città della Macedonia del Nord, in riva al omonimo lago. Una città dove, dopo il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso, era previsto lo svolgimento di un altro incontro, sempre con la mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea, tra il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Un incontro nell’ambito di quello che, dal novembre 2022, è ormai noto come il piano franco-tedesco per la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo. Ohrid è la città dove, il 13 agosto 2001, sono stati sottoscritti anche quelli che da allora vengono riconosciuti proprio come gli Accordi di Ohrid. Accordi che hanno messo fine ad un pericoloso conflitto armato, avviato all’inizio del 2001, tra le due etnie, quella macedone e quella albanese, parti integranti della popolazione macedone. Chissà perciò se la scelta di Ohrid è stata fatta anche come un buon auspicio per l’esito delle trattative, promosse dall’Unione europea, sulla normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo? Ma non sempre servono e funzionano i buoni auspici.

    Le trattative, si prevedeva, dovevano essere difficili. E così sono veramente state. La mattina del 18 marzo scorso ad Ohrid sono cominciati, all’inizio, gli incontri separati tra gli alti rappresentanti dell’Unione europea e i capi delle delegazioni della Serbia e del Kosovo. L’Unione europea era rappresentata dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza e dal rappresentante speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. In seguito agli incontri separati, si è svolto anche l’incontro comune, dove hanno partecipato i due alti rappresentanti dell’Unione europea, il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Si è trattato di un lungo incontro e, da quanto riferito in seguito, si è trattato soprattutto di trattative non facili che non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi proposti dall’Unione europea. Obiettivi che si riferivano al piano franco-tedesco di undici punti, trattati senza un esito positivo anche durante il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso. Purtroppo neanche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, dopo circa dodici ore di incontri separati e di lunghe e difficili trattative tra le parti, non si è ottenuto quello era stato prestabilito dall’Unione europea. Anzi, proprio l’Unione europea, tramite i due suoi alti rappresentanti, è stata costretta a cambiare gli obiettivi per mettere d’accordo il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Alla fine è stata raggiunta una faticosa intesa tra le parti. Un’intesa che metteva insieme il testo dell’accordo, elaborato in base a quanto è stato raggiunto a Bruxelles il 27 febbraio scorso e a quanto le parti si sono concordate durante le trattative ad Ohrid, con quello che è stato intitolato “L’allegato di attuazione” dell’accordo stesso. Ma come a Bruxelles il 27 febbraio scorso, anche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, l’accordo non è stato di nuovo firmato! E sia a Bruxelles che ad Ohrid, il primo ministro del Kosovo ha affermato la sua disponibilità a firmare. Un rifiuto quello che ha messo di nuovo in difficoltà i mediatori europei e soprattutto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Perché, dalle tante esperienze legali e di giurisprudenza, sia quelle dei singoli Paesi, sia di quelle internazionali, nonché dalle ben note norme della legislazione internazionale in vigore, si sa che sono soltanto gli accordi firmati che obbligano le parti firmatarie. Mentre quelli non firmati, come quello raggiunto soltanto verbalmente il 18 marzo scorso ad Ohrid, permettono di fare scelte diverse e prendere altre decisioni in futuro. E, guarda caso, sono proprio gli accordi tra la Serbia ed il Kosovo che, pur essendo firmati, non sono stati in seguito rispettati dalle parti per delle diverse “ragioni”. Dalle esperienze di questi ultimi anni risulta che sono tanti gli impegni presi con i precedenti accordi di Bruxelles nel 2013 e 2015, che in seguito sono stati disattesi dalle parti firmatarie, la Serbia ed il Kosovo. Perciò chissà cosa succederà con l’accordo non firmato di Ohrid?! Una prima avvisaglia è arrivata da Belgrado, solo un giorno dopo le lunghe e difficili trattative di Ohrid. Il presidente serbo ha dichiarato perentorio: “Lo dico anche oggi, che nessuno può imporre un obbligo legale alla Serbia”. Aggiungendo, riferendosi all’accordo non firmato e al suo Allegato di attuazione, che “…Ci sono cose che non possiamo fare e che non sono [neanche] realistiche”. Rimane da seguire gli sviluppi successivi, ma niente fa pensare in positivo.

    Chi scrive queste righe pensa che l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non ha caso è stata rifiutata la firma finale. E si sa, come affermava il giornalista tedesco Robert Emil Lembke, che “l’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo”. E l’accordo non firmato non obbliga chi è malintenzionato.

  • Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali

    Chi nasce tondo non può morire quadrato.

    Proverbio  

    Era il 9 dicembre scorso quando ebbe inizio quello che subito dopo è stato denominato Qatargate. Una somiglianza verbale con il ben noto scandalo Watergate, riferito alla seconda parte della parola. Proprio quello che scoppiò negli Stati Uniti d’America nel 1972 e che riguardava le intercettazioni illegali alla vigilia delle elezioni presidenziali del 7 novembre 1972, mentre Qatargate ha a che fare con l’emirato arabo del Qatar. Uno Stato, quello, situato su una piccola penisola sul golfo persico. Un piccolo Paese che fino ad un centinaio di anni fa era popolato da pescatori di perle ed allevatori di cammelli, ma che, dopo le scoperte delle enormi riserve di petrolio e soprattutto di gas, all’inizio del secolo passato, divenne un territorio di grande interesse per degli investimenti occidentali. Attualmente il Qatar rappresenta uno dei Paesi più importanti nel mondo per l’approvvigionamento di gas. Dati alla mano, il Qatar rappresenta il primo esportatore globale di gas naturale con circa il 14% delle riserve mondiali. Ragion per cui è anche un Paese molto ricco. Ma è altresì un Paese dove si ignorano e si calpestano i basilari diritti civili e quelli dei lavoratori. Sono stati a migliaia i migranti morti mentre lavoravano per la costruzione degli stadi per il campionato mondiale di calcio. E proprio per cancellare quella brutta e vergognosa immagine sembrerebbe che siano stati versati ingenti somme di denaro per pagare l’appoggio dell’Unione europea e di singoli Stati occidentali. Ma non è solo la documentata violazione dei diritti civili e dei lavoratori che il Qatar ha cercato di “offuscare” con pagamenti milionari fatti ad importanti rappresentanti istituzionali. C’è anche la proposta che riguarda l’esenzione di visti per i cittadini dell’emirato di viaggiare liberamente in Europa. Ragion per cui il Qatar ha cercato in questi ultimi anni di assicurare l’appoggio a suo favore influenzando con finanziamenti occulti ed attività lobbistiche le decisioni delle istituzioni dell’Unione europea. Lo scandalo Qatargate, reso pubblico dal 9 dicembre scorso, è tuttora in corso. E da allora ci sono stati ulteriori sviluppi nelle indagini condotte dalla procura belga. Indagini che potrebbero portare ad altri coinvolgimenti, sia di persone influenti nell’ambito delle istituzioni europee e/o di altre organizzazioni, che di mandanti e finanziatori di attività lobbistiche. Finora, dalle indiscrezioni mediatiche risulterebbe che un altro Paese, il Regno del Marocco, potrebbe aver finanziato, con ingenti somme, delle decisioni prese a suo favore dalle istituzioni dell’Unione europea. L’accordo tra l’Unione europea e il Marocco sulla pesca, approvato nel 2019, è stato in seguito rifiutato dalla Corte europea perché in quell’accordo si includevano, come parte integrante del territorio del Regno di Marocco, anche territori del Sahara occidentale, contestati da altri. Un buon e convincente motivo perché si possano versare dei milioni però.

    L’autore di queste righe, riferendosi allo scandalo Qatargate, scriveva alcune settimane fa per il nostro lettore che si trattava di “…Uno scandalo tuttora in corso, nell’ambito del quale sono state arrestate alcune persone. Tra le quali anche la vice presidente del Parlamento europeo ed un ex eurodeputato italiano. Quest’ultimo è, dal 2019, anche il fondatore di una ONG (organizzazione non governativa; n.d.a.) il cui nome è Fight Impunity (Combattere l’Impunità; n.d.a.). Un nome che è tutto un programma! E chissà perché nel consiglio dei membri onorari dell’organizzazione, cioè dei garanti, hanno fatto parte, fino al 10 dicembre scorso, diverse persone note ed ancora influenti, alcune delle quali anche ex commissarie della Commissione europea.” (Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale; 19 dicembre 2022). La scorsa settimana, il 17 gennaio, proprio l’ex eurodeputato italiano e fondatore della ONG Fight Impunity ha firmato con il procuratore che sta seguendo in Belgio le indagini su Qatargate un memorandum, dichiarandosi pentito e perciò anche collaboratore di giustizia. In base a quanto prevede la legge belga, adesso lui si impegna perciò “a informare la giustizia e gli inquirenti in particolare sul modus operandi, gli accordi finanziari con Stati terzi, le architetture finanziarie messe in atto, i beneficiari delle strutture messe in atto e i vantaggi proposti, l’implicazione delle persone conosciute e di quelle ancora non conosciute nel dossier, ivi inclusa l’identità delle persone che ammette di aver corrotto”. Chissà cosa avrà da dichiarare ed informare l’ex eurodeputato pentito e collaboratore di giustizia? Si sa però che con quella sua decisione, dal 17 gennaio scorso, altre persone non sono più tranquille, essendo in vari modi coinvolte in attività che hanno beneficiato di finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali, abusando dei loro obblighi istituzionali.

    Il 18 gennaio scorso, il gruppo parlamentare dell’Alleanza progressista di socialisti e democratici ha ufficializzato una sua richiesta al Parlamento europeo. Essendo presa in considerazione quella richiesta, il Parlamento europeo chiede, a sua volta, lo svolgimento di “…un’indagine indipendente e imparziale sul Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato”. In più si prende in considerazione il fatto che il Commissario europeo potrebbe aver violato il Codice di condotta dei membri della Commissione europea durante il suo operato nei Balcani occidentali. Ragion per cui la richiesta fatta è stata inclusa nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune. E proprio nel pomeriggio del 18 gennaio scorso, l’Assemblea plenaria del Parlamento europeo ha adottato quel rapporto con 407 voti a favore, 92 contrari e 142 astenuti. In quel rapporto, tra l’altro, si evidenziava che “…il Parlamento europeo rimane profondamente preoccupato per le notizie secondo cui il Commissario per l’Allargamento cerca deliberatamente di agitare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Unione europea”. E si fa espressamente riferimento al comportamento del Commissario nel caso della crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina all’inizio dell’anno scorso. Da sottolineare che il Paese è uno di quelli candidati dei Balcani occidentali. Ma per l’Unione europea, e non solo, da più di un anno, il comportamento ufficiale ed i rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), che è una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza serba, sta preoccupando le istituzioni dell’Unione europea. Con le sue scelte e le sue decisioni, il presidente della Republika Srpska sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quegli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia. Ma, fatti accaduti e resi pubblici alla mano, risulterebbe che oltre al presidente della Republika Srpska, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato abbia degli ottimi rapporti anche con il presidente della Serbia. E si sa che c’è proprio la Serbia dietro tutte le “iniziative” del presidente della Republika Srpska. Si sa anche che la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione alla Russia, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il 24 febbraio scorso. Ragion per cui i promotori della richiesta rivolta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo hanno espresso anche la loro preoccupazione riguardo i rapporti del Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di vicinato sia con il presidente della Serbia, che con quello della Republika Srpska. Secondo i promotori della sopracitata richiesta il Commissario tende a relativizzare i comportamenti e gli atti antidemocratici del presidente della Serbia, mentre appoggia gli atti separatisti del presidente della Republika Srpska.

    Già un anno fa, il 12 gennaio 2022, trenta eurodeputati hanno inviato una lettera alla Commissione europea, tramite la quale chiedevano di verificare su “…possibili violazioni dell’imparzialità e neutralità” del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato, in riferimento ai concreti e sopracitati tentativi secessionistici del presidente della Republika Srpska. Mentre il 18 gennaio scorso, un anno dopo, con l’approvazione dal Parlamento europeo del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune, si mette in evidenza che l’operato del Commissario europeo costituisce “…una violazione del Codice di condotta per i membri della Commissione e degli obblighi del Commissario, ai sensi dei Trattati”. Bisogna sottolineare che, tra l’altro, il Codice di condotta sancisce il modo in cui i commissari europei debbano attuare in concreto i loro obblighi istituzionali di indipendenza ed integrità. In quel Codice si prevede e si sancisce, altresì, che “I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni”. In più si sancisce che loro, durante tutto il periodo dell’esercitazione del mandato conferito “assumono l’impegno solenne di rispettare gli obblighi derivanti dalla loro carica”. Rimane da seguire e di conoscere le conclusioni delle indagini che svolgerà la Commissione europea nei confronti del Commissario per l’Allargamento e la Politica di vicinato. Chissà però se siano vere le accuse a lui fatte. E se così sarà allora viene naturale pensare: lo ha fatto per sua propria convinzione, oppure in seguito a delle attività lobbistiche. Si sa però che la Serbia da anni finanzia “gruppi di interesse” e attività lobbistiche a suo favore. Sono note anche le relazioni di “vecchia amicizia” che la Serbia ha con alcuni Paesi europei. Ma, fino alla pubblicazione delle conclusioni dell’indagine della Commissione europea, bisogna essere garantisti.

    Leggendo il testo della sopracitata richiesta fatta il 18 gennaio scorso al Parlamento europeo e del rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune dallo stesso Parlamento, nel quale era inserita integralmente la richiesta, ad una persona che conosce i Paesi dei Balcani occidentali, non poteva non pensare anche all’Albania. Pur non essendo stata citata, alcune affermazioni del rapporto sono attuali e si verificano quotidianamente in Albania. Soprattutto quando si tratta del rapporto che il primo ministro ha con i principi della democrazia. Come anche il presidente della Serbia, al quale lo legano degli ottimi rapporti di “amicizia e fratellanza”. E non a caso lui, il primo ministro albanese, ha fatto “l’avvocato” della Serbia, anche nelle istituzioni dell’Unione europea. Lo ha fatto anche la scorsa settimana, durante il vertice economico di Davos. Durante quel vertice il primo ministro albanese, cercando di essere “originale”, ha fatto anche una gaffe, rivolgendosi alla presidente del Parlamento europeo e riferendosi allo scandalo Qatargate. Ha citato fuori contesto il detto “Il karma è una puttana”, senza però aggiungere la rimanente parte del detto “che agisce sul lungo termine”. Con ogni probabilità non conosceva il vero significato del detto.

    Il nostro lettore è stato spesso informato della vera, vissuta e sofferta realtà albanese. L’Albania è uno dei Paesi più poveri, se non il più povero, dell’Europa. In Albania, durante questi ultimi anni si sta consolidando una nuova dittatura sui generis. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato. Ma nonostante tutto ciò, il primo ministro ed i suoi “alleati”, i capi della criminalità organizzata e i rappresentanti di certi raggruppamenti occulti locali ed/o internazionali sono ricchissimi. Ragion per cui possono anche spendere molto.

    Chi scrive sueste righe è convinto che anche il primo ministro albanese può pagare tangenti miliardarie per “ripulire” la sua imagine. Proprio come hanno fatto i suoi simili in Qatar ed in Marocco, pagando e comprando alti funzionari e deputati del Parlamento europeo ed altre Istituzioni dell’Unione. Sono ormai noti anche i rapporti entusiastici e ottimisti di progresso della Commissione europea sull’Albania. Comprese anche le dichiarazioni dell’attuale Commissario dell’Allargamento. Di colui che, dal 18 gennaio scorso è sotto indagine dalla Commissione. Chissà se anche le sue dichiarazioni sull’Albania non siano “condizionate” da altro?! Si sa però che, come ci insegna la saggezza popolare, chi nasce tondo non può morire quadrato.

  • Cina e Arabia sempre più vicine

    Riceviamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 22 dicembre 2022

    La recente visita del presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita, con i suoi riverberi commerciali e politici, dimostra, ancora una volta, che la strategia unipolare americana di isolare i potenziali sfidanti e avversari, con l’avallo di un’Europa miope, non funziona.

    La Cina ha siglato importanti accordi di fornitura di petrolio e di gas. E non solo. Negli incontri di Riyad ha rinforzato la partnership e la cooperazione con i Paesi del Golfo produttori di petrolio e con quelli della Lega Araba. Per questa ragione si è parlato di una visita storica.

    La prospettiva, naturalmente, è di far arrivare in queste regioni e nel Mediterraneo la nuova Via della seta, la Belt and Road Initiative (Bri) con tutti i suoi progetti infrastrutturali, tecnologici e industriali.

    Cina e Arabia Saudita hanno firmato un memorandum per coordinare le iniziative economiche della succitata Bri con il programma saudita «Vision 2030» di sviluppo industriale e manifatturiero. Gli accordi prevedono la cooperazione nei settori spaziali, nucleari, missilistici, delle nuove energie come l’idrogeno, e delle grandi infrastrutture tra cui la costruzione di «Neom», una città super moderna da 500 miliardi di dollari.

    Tra i contratti firmati vi è quello con Huawei, il gigante delle telecomunicazioni, che, nonostante l’opposizione americana, ha già degli accordi per la rete 5G con quasi tutti i Paesi del Golfo.

    È, quindi, naturale che la Cina abbia proposto di utilizzare lo yuan nei pagamenti per le forniture di energia e più in generale per gli scambi commerciali. Per i prossimi anni la Cina avrà bisogno di importare, non solo dalla Russia, grandi quantità di petrolio e di gas. D’altra parte, il 72% del petrolio e il 44% del gas consumati in Cina sono importati.

    Nel 2021 il commercio tra Cina e Arabia Saudita è stato di 87,3 miliardi di dollari, con un aumento del 30% rispetto all’anno precedente. Di questi, 44 miliardi sono per il petrolio. Il 25% del petrolio saudita va verso la Cina. Si noti che nel 2021 l’Arabia Saudita era già il primo esportatore di petrolio in Cina, davanti alla Russia.

    Del resto i rapporti economici con la Cina sono in crescita da tempo. Nel 2010 la China Railway Construction Corp. ha costruito una ferrovia di oltre 18 km per trasportare i pellegrini alla Mecca. Più recentemente è stato siglato un accordo di lungo termine sull’energia tra la Sinopec e l’Aramco, le rispettive compagnie petrolifere nazionali.

    In uno studio del Ministero degli esteri cinese «China-Arab cooperation in the new era» si propongono una cooperazione monetaria con le banche centrali della regione e l’uso delle monete nazionali nei pagamenti.

    Dell’utilizzo dello yuan se ne parla da anni. Nel 2018 i cinesi hanno introdotto contratti petroliferi in yuan nel tentativo di internazionalizzare la loro moneta. I sauditi considerano di includere contratti future denominati in yuan nei modelli di formazione del prezzo del petrolio dell’Aramco.

    La supremazia del dollaro rimane, ma fortemente indebolita. Esso è usato nell’80% del commercio mondiale del petrolio. Tutto il petrolio saudita è ancora commerciato in dollari. Nelle riserve monetarie di Riyad vi sono più di 120 miliardi di dollari in Treasury bond americani. Non di meno, è opportuno notare che, dall’inizio del 1990, le importazioni Usa di petrolio dall’Arabia Saudita si sono ridotte a un quarto.

    Molti Paesi, anche alcuni tra gli alleati degli Usa, sono stati fortemente colpiti dal fatto che il sistema finanziario basato sul dollaro sia stato usato come arma di guerra nelle sanzioni contro la Russia, facendo venir meno la certezza di garanzia e di sicurezza.

    È ancora aperta, ma forse per poco, la «window of opportunity», cioè la possibilità di riorganizzare l’intero sistema economico, monetario e commerciale globale su una base moderna e più equa. È necessario però, che gli Usa abbandonino la pretesa primazia unilaterale per preparare con le altre nazioni, a cominciare dai Paesi del Brics, un nuovo Accordo di Bretton Woods. Tale necessità ci sembra sempre più urgente.

    L’Europa potrebbe avere un ruolo centrale in tale iniziativa multilaterale. Lo ripetiamo da tempo: il ruolo dell’Europa non può essere ancillare rispetto agli Usa. Ha tutte le carte in regola per essere protagonista attivo nella realizzazione di un nuovo assetto, multipolare, del mondo. Altrimenti, le tensioni geoeconomiche e geopolitiche potrebbero acuirsi a tal punto da rendere possibile un conflitto catastrofico.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica

    Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare,

    ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

    Proverbio cinese

    “Non facciamoci illusioni. Siamo in un mare agitato. All’orizzonte si intravede un inverno segnato dal malcontento globale. […] Le persone soffrono e quelle più vulnerabili soffrono di più. La Carta delle Nazioni Unite e gli ideali che rappresenta sono in pericolo. Abbiamo il dovere di agire, ma siamo bloccati da una disfunzione colossale e globale.. Così ha dichiarato, tra l’altro, il Segretario generale delle Nazioni Unite, il 19 settembre scorso, durante il suo intervento all’apertura dei lavori della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una sessione svoltasi dal 19 al 26 settembre 2022 presso la sede centrale dell’Organizzazione delle Nazioni unite a New York. Durante quella settimana capi di Stato e di governo, nonché altri rappresentanti delle più importanti istituzioni internazionali, hanno presentato le loro opinioni e le loro priorità sulle principali sfide globali. Come tali sono la guerra in Ucraina, le crisi energetica e quella alimentare scatenate proprio da quella guerra, ma anche la lotta contro il cambiamento climatico ed altre ancora. In quei giorni ci sono stati tanti anche gli incontri ufficiali ed informali tra i più alti rappresentanti delle singole nazioni. Non sono mancati neanche gli accordi discussi, alcuni dei quali firmati poi in seguito. Come l’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera. Un’accordo quello firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo. All’indomani della firma dell’accordo anche il presidente serbo ha incontrato il ministro russo degli affari esteri. Tutto ciò, mentre quasi tutti i capi di Stato e di governo che sono intervenuti durante i dibattiti della 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno condannato l’aggressione russa in Ucraina. Compreso il presidente serbo. In più lui ha condannato, il 28 settembre scorso, anche i referendum svolti tra il 23 e il 27 settembre nelle quattro autoproclamate repubbliche nel sud dell’Ucraina. La Serbia “non può e non riconoscerà” l’annessione alla Russia di quelle quattro repubbliche separatiste. Nel frattempo però si sa che la Serbia, nonostante abbia firmato le convenzioni delle Nazioni Unite, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione europea alla Federazione Russa proprio in seguito all’aggressione in Ucraina. Un obbligo quello per la Serbia, visto che ha firmato con l’Unione europea l’accordo stabilizzazione e associazione già dal 29 aprile 2008. E poi, in seguito, il Consiglio europeo ha approvato il 1o marzo 2012 anche lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione europea per la Serbia. Ma nonostante ciò la Serbia sempre ha rifiutato di aderire alle sanzioni. Durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il presidente serbo non ha risparmiato delle accuse neanche alla stessa Organizzazione, dichiarando che “…La serietà del momento mi obbliga di condividere con voi delle parole difficili, ma vere. Ogni cosa che stiamo facendo oggi qui sembra impotente ed incerta. Le nostre parole hanno un vuoto eco comparate con la realtà con la quale ci stiamo affrontando. E la realtà è che qui nessuno ascolta nessuno. Nessuno [qui] non si impegna a [attuare] dei veri accordi, alla soluzione dei problemi”. E tutto ciò secondo il presidente serbo, perché “…tutti tengono presente solo i propri interessi”.

    Subito dopo la firma dell’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera, è arrivata anche la ferma condanna dell’Unione europea. Il portavoce della Commissione europea, riferendosi al sopracitato accordo, ha sottolineato che un simile accordo è stato firmato proprio mentre la Russia continua la sua aggressione contro l’Ucraina. Proprio mentre la Russia ogni giorno“…sta violando il diritto internazionale, le sue truppe stanno attuando crimini contro i civili e nei territori occupati sta organizzando dei referendum illeciti”. In seguito alla sua dichiarazione ufficiale, il portavoce della Commissione europea ha ribadito che “…se in simili circostanze notiamo che il ministro serbo degli esteri firma un accordo, con il quale si impegna per delle consultazioni con lo Stato che genera atti come questi, allora questo è un segno che la Serbia sta rafforzando i rapporti con la Russia.”. Aggiungendo che tutto ciò non può non creare delle serie preoccupazioni. Perché secondo il portavoce della Commissione europea “…i rapporti [della Serbia] con la Russia non possono essere trattati come se niente fosse. Tutto ciò noi [Commissione europea] lo consideriamo come molto serio”. Il portavoce della Commissione, sempre riferendosi all’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera ha dichiarato che “…l’Unione europea è stata completamente chiara con tutti i Paesi membri e i partner, compreso anche un Paese candidato come la Serbia, che i rapporti con la Russia non possono essere un affare comune sotto l’ombra dell’occupazione non provocata e irragionevole in Ucraina”. Mentre nel frattempo e dopo le dichiarazioni del portavoce della Commissione europea, il ministro serbo degli affari esteri, rispondendo il 25 settembre scorso ai giornalisti, ha detto che “…tutto ciò che ha a che fare con le critiche” ma anche con l’accordo stesso, è legato alla “ricerca delle ragioni per attaccare e per biasimare la Serbia”.

    L’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il primo documento diplomatico che la Serbia e la Russia hanno firmato dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina. Ma non è l’unico accordo tra i due Paesi durante questi ultimi mesi. Si, perché proprio il 29 maggio scorso, durante un colloquio telefonico, il presidente serbo ed il presidente russo si sono accordati di continuare “il partenariato strategico tra la Russia e la Serbia” e la fornitura della Serbia di gas e petrolio russo con dei prezzi vantaggiosi. Un “partenariato strategico” quello tra la Russia e la Serbia ribadito chiaramente anche dal ministro degli Interni serbo, in visita ufficiale in Russia il 22 agosto scorso. Lui ha considerato come “sbagliato e inutile” il tentativo dell’isolamento della Russia, durante un incontro con il Segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia. Perché, secondo il ministro serbo, la Russia “…come territorio è il più grande del mondo”. Il ministro serbo degli Interni ha avuto il 22 settembre scorso un incontro anche con il ministro russo degli affari esteri. Dopo l’incontro il ministro serbo ha dichiarato che “…la Serbia è l’unico Paese in Europa che non ha attuato delle sanzioni contro la Russia e non ha partecipato all’isteria antirussa”. In più il ministro serbo degli Interni ha dichiarato che la Serbia “…non dimentica la fratellanza secolare [con la Russia]”. Durante l’incontro del ministro degli Interni serbo e il ministro russo per gli affari esteri è stato confermato che “…anche in tempi di grandi sfide, la Serbia e la Russia hanno delle straordinarie relazioni diplomatiche e una collaborazione bilaterale di successo”. Così come anche i due presidenti, quello russo e quello serbo “hanno delle relazioni personali straordinariamente buone”. Più chiaro di così!

    L’autore di queste righe informava nel giungo scorso il nostro lettore di una visita non realizzata il 5 giugno scorso a causa del blocco degli spazi aerei da tre Paesi balcanici per un aereo russo a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo. Lui, insieme con una delegazione da lui guidata doveva andare a Belgrado per degli incontri con le massime autorità della Serbia. I tre Paesi che hanno chiuso gli spazi aerei, la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro, sono dei Paesi i quali, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Ebbene, il 6 giugno scorso il ministro russo degli affari esteri ha dichiarato che “…è accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Lui però ha ribadito altresì la sua convinzione, e cioè che “la cosa più importante è che nessuno potrà distruggere i nostri legami con la Serbia”! L’autore di queste righe informava il nostro lettore che il ministro russo ha dichiarato anche che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Mentre il ministro serbo degli Interni dichiarava allora che “…Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace è un mondo in cui non c’è la pace”. Lui ha sottolineato anche che era rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Per poi ribadire in modo diretto e perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”! Ma il ministro russo degli affari esteri, dopo essere rientrato a Mosca, il 6 giungo scorso, durante una sua conferenza online con i media, ha dichiarato, senza mezzi termini, che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Durante la stessa conferenza con i giornalisti il ministro russo degli affari esteri ha parlato anche di un’iniziativa della quale l’autore di queste righe da più di due anni sta informando il nostro lettore, l’iniziativa non a caso chiamata Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano, 28 giugno 2022; Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà, 4 luglio 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022). Ebbene, il ministro russo degli affari esteri, parlando il 6 giugno scorso dell’iniziativa Open Balkans ha scoperto, anche la “paternità” dell’iniziativa. L’autore di queste righe ha riportato le frasi del ministro russo in merito. Lui, riferendosi all’Unione europea, ha detto che “…Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkan per l’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. L’autore di queste righe sottolineava allora che il ministro russo degli affari esteri “ha confermato proprio l’appoggio russo all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans”. Aggiungendo in seguito che lui “…ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto.” (Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto; 13 giugno 2022).

    Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore anche del “sostegno incondizionato”, nonché della “avvocatura gratis” che il primo ministro albanese ha dato/fatto alle scelte della Serbia nei confronti della Russia. Lui, il primo ministro albanese, ha sempre giustificato la scelta della Serbia di non aderire alle sanzioni poste alla Russia dall’Unione europea, obbligatorie anche per la Serbia (Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà; 4 luglio 2022). Il primo ministro albanese lo ha fatto anche durante la 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Chi scrive queste righe è convinto, fatti alla mano, che le scelte della Serbia, ma anche dell’Albania sono delle pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica a fianco della Russia. Ma condivide anche la saggezza del proverbio, secondo il quale noi possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

  • Terzo polo per tornare alla politica

    Da sempre siamo convinti che gli ultimi sistemi elettorali, basati sull’imposizione del bipolarismo e togliendo agli elettori il diritto di scegliere direttamente i propri rappresentanti, abbiano portato alla confusione politica ed all’astensionismo di questi anni.

    Anche questa volta andremo alle urne con una legge sbagliata che invita i partiti a raggrupparsi non su progetti comuni ma solo sulla speranza di battere lo schieramento opposto. Questo è un pessimo presupposto per la prossima legislatura che vedrà un parlamento ancora meno influente e meno capace di rappresentare gli elettori prima dei capi partito.

    Per cercare di vincere sia lo schieramento di destra che di sinistra hanno creato cartelli elettorali tra partiti che hanno diversità sostanziali di vedute sul presente e sul futuro dell’Italia, anche nel contesto europeo ed internazionale.

    I cartelli elettorali sono stati creati solo per cercare di ottenere più seggi dello schieramento avversario, pur sapendo che incolmabili divergenze, dall’ambiente all’economia, dalle riforme strutturali e sociali alle necessarie posizioni da prendere di fronte a guerre che incalzano alle nostre porte, non consentiranno comuni azioni di governo o di opposizione ma porteranno a continui conflitti e veti incrociati.

    La nascita di un terzo polo, da tempo annunciato ma in continuo divenire, anche per responsabilità di alcuni, potrebbe essere l’inizio di una nuova stagione e portare ad un parlamento consapevole della necessità di una nuova legge elettorale, nel segno della democrazia e del rispetto degli elettori. Un parlamento che dovrebbe anche cominciare a parlare della democrazia che manca all’interno dei partiti.

    I prossimi giorni ci diranno chi avrà il coraggio di uscire dall’ambiguità rischiando numericamente, forse, meno seggi ma ottenendo consensi propri e chiari così che si possa riprendere a fare politica e non soltanto ottenere somme di interessi contrapposti.

    Guardiamo con interesse a coloro che non vogliono annullare le proprie idee, che le condividiamo o meno, nel cartello di chi ha come unico obiettivo chiaro e primario quello di sconfiggere gli altri e poi, nonostante promesse varie, non sarà in grado di fare nulla.

  • Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto

    La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

    Epitteto

    Il 5 giugno scorso tre Paesi balcanici hanno chiuso i rispettivi spazi aerei ad un aereo russo, a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo e una delegazione da lui guidata. Il volo era diretto a Belgrado, capitale della Serbia, dove il ministro russo, l’indomani, doveva incontrare il presidente, il ministro degli Interni ed altri alti funzionari serbi. Una programmata visita ufficiale durante la quale si doveva concludere l’accordo tra i due Paesi per il rinnovo, per altri tre anni, del contratto sulla fornitura alla Serbia del gas russo a condizioni molto vantaggiose. Tutto dopo che precedentemente i termini dell’accordo sono stati resi pubblicamente noti, dopo un colloquio telefonico, avvenuto il 29 maggio scorso, tra il presidente russo e quello serbo. I Paesi che hanno impedito il volo dell’aereo sul quale viaggiava il ministro russo con la sua delegazione erano la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro. Tutti e tre sono Paesi che, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia, dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Parte di quelle restrizioni riguardano anche il presidente russo ed il ministro degli Esteri. Loro due, insieme con tanti altri, dal 25 febbraio, un giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, che il presidente russo considera cinicamente come “un’operazione militare speciale”, sono stati inseriti nella lista delle persone colpite dalle sanzioni. Una di quelle sanzioni è anche “il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati”. Da sottolineare che la Serbia è uno dei Paesi dei Balcani occidentali che ha avviato la procedura di adesione all’Unione europea dal 2008, con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Mentre il 1o marzo 2012 il Consiglio europeo ha riconosciuto alla Serbia lo stato del Paese candidato all’adesione nell’Unione. La Serbia è anche uno dei 141 Paesi che, il 2 marzo scorso, hanno votato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la quale si condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Ebbene, nonostante ciò, la Serbia non ha aderito però alle sanzioni restrittive contro la Russia. Una scelta quella della Serbia che è stata criticata e contestata dai massimi rappresentanti dell’Unione europea e di alcuni singoli Stati membri, soprattutto la Germania. Il ministro tedesco degli Esteri dichiarava a metà aprile scorso che “…Se la Serbia vuole aderire all’Unione europea, deve sostenere la politica estera degli altri membri dell’Unione […] e quindi imporre alla Russia le sanzioni necessarie”. Il 16 maggio scorso, si è svolta una riunione dei 27 ministri degli Esteri dell’Unione europea. In una loro comune dichiarazione ufficiale pubblicata dopo la riunione, riferendosi alle sanzioni restrittive contro la Russia, i ministri dell’Unione hanno ribadito che “…Chi non l’ha fatto, come la Serbia, dovrà adeguarsi il prima possibile alle sanzioni”. Un simile e determinato appello è stato fatto, il 10 giugno scorso, anche dal cancelliere tedesco, in visita ufficiale a Belgrado. Lo ha confermato, durante la conferenza stampa dopo l’incontro, lo stesso presidente serbo. Secondo lui “In maniera decisa e tagliente, il cancelliere [tedesco] ha chiesto alla Serbia di aderire alle sanzioni contro la Federazione Russa, cioè di sostenere le misure restrittive che l’Unione europea ha già adottato nei loro confronti”.

    Il 6 giugno scorso, dopo l’impedimento di arrivare a Belgrado, il ministro degli Esteri russo durante una conferenza online con i media da Mosca ha considerato come inimmaginabile la chiusura degli spazi aerei, il 5 giugno scorso, da parte dei tre sopracitati Paesi balcanici che hanno impedito a lui e alla sua delegazione di arrivare a Belgrado. “È accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Ma ha espresso anche la sua ferma convinzione che “La cosa più importante è che nessuno potrà distruggere il nostri legami con la Serbia”. Durante quella conferenza il ministro russo degli Esteri ha attaccato l’Unione europea e, più in generale, quello che ha chiamato “l’Occidente”.  Lui ha dichiarato convinto che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Dopo l’impedimento al ministro russo di arrivare a Belgrado hanno subito reagito anche il presidente serbo ed il ministro degli Interni. Il presidente serbo, tramite un comunicato stampa ufficiale, pubblicato soltanto in lingua serba, ha espresso la “sua insoddisfazione” per l’impedimento della programmata visita del ministro russo e della sua delegazione. Ma ha ribadito la sua determinazione a mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico” da parte della Serbia, nonostante i negoziati d’adesione del suo Paese nell’Unione europea. Mentre il ministro serbo degli Interni, sempre riferendosi alla mancata visita della delegazione russa a Belgrado, ha detto che “Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace, è un mondo in cui non c’è la pace”. E poi ha aggiunto di essere rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Il ministro degli Interni serbo ha ribadito perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”. Più chiaro di così non lo poteva dire un ministro serbo!

    Due settimane fa l’autore di queste righe, informava il nostro lettore su un’iniziativa regionale occulta; quella che ormai è nota come Open Balcan (facendo riferimento alla denominazione ufficiale e all’ortografia usata dai promotori; per essere corretti però, visto che si usa la lingua inglese, si dovrebbe, invece, scrivere Open Balcans – Balcani aperti; n.d.a.). Egli ha trattato questo tema, a tempo debito, anche in precedenza. In quell’articolo l’autore di queste righe evidenziava, tra l’altro, che “…L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire ‘L’area economica comune dei Balcani occidentali’. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan”. In seguito egli specificava che “…A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità!”. A proposito, l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il giovane figlio del multimiliardario speculatore di borsa statunitense “è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan”. E di fronte a quel “giovane rampollo ereditario” i firmatari dell’iniziativa, i tre “amici” di suo padre, stanno ‘sull’attenti’. Chissà perché?! L’autore di queste righe due settimane fa informava altresì il nostro lettore, riferendosi all’iniziativa occulta Open Balcan, che si trattava di “un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi.” (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022).

    Ebbene, il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, il ministro russo degli Esteri non ha parlato, con toni offensivi, soltanto dell’Unione europea e, più in generale, di quello che ha chiamato “l’Occidente”. Il ministro russo degli Esteri ha ribadito che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Lui, guarda caso, ha parlato anche dell’iniziativa Open Balcan e della paternità di quell’iniziativa. E così facendo lui ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto. Bisogna sottolineare che, dal 2014 ad oggi, i massimi rappresentanti dell’Unione europea e di singoli Stati membri hanno sempre appoggiato istituzionalmente quello che è noto come il Processo di Berlino. Mentre i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan e cioè il presidente serbo, il primo ministro albanese e il primo ministro macedone, hanno continuamente e consapevolmente mentito, dichiarando e “giurando” che Open Balcan ha tutto l’appoggio dell’Unione europea! Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022 ecc…)

    Riferendosi però all’iniziativa Open Balcan e alludendo anche alla visita impedita, il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso che “Quegli che stanno tirando i fili a Bruxelles non hanno voluto questo, non hanno voluto che noi esprimessimo il nostro appoggio a Belgrado”. E subito dopo ha smascherato anche la vera paternità dell’iniziativa Open Balcan.  Il ministro degli Esteri russo ha confermato pubblicamente quello che si sapeva già. Sempre riferendosi all’Unione europea lui ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Sì, ha confermato proprio l’appoggio russo “all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan”. Dichiarando così che l’iniziativa occulta è stata promossa dalla Serbia, avendo anche l’appoggio della Russia. Così facendo, il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso ha smascherato, una vota per sempre, tutte le ingannevoli dichiarazioni pronunciate dal 2019 ad oggi, dai “tre amici” del multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Che poi è il vero ideatore del progetto per i Balcani Aperti. Proprio lui, il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta che sono attive, dagli inizi degli anni ’90, anche nei Paesi balcanici. Serbia, Albania e Macedonia del Nord compresi. E non a caso è stato usato anche lo stesso aggettivo, ‘aperto’, come testimonianza e firma dell’autore! Il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, che “…Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcan in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.)!

    La scorsa settimana, il 7 e l’8 giugno, a Ohrid (Macedonia del Nord) si è svolto il vertice di turno dell’iniziativa Open Balcan. E nonostante quanto ha dichiarato il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso, i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan hanno continuato le loro messinscene, le loro bugie e i loro inganni pubblici. Con un “piccolo cambiamento di programma” però. Hanno cercato di far “combaciare” Open Balcan con il Processo di Berlino. Anzi, per il primo ministro albanese Open Balcan è “un’unità del Processo di Berlino”! I bugiardi, gli ingannatori, gli ipocriti senza scrupoli non smettono mai di essere “innovativi”. Nel frattempo però e proprio il 10 giugno scorso, dal Kosovo, il cancelliere tedesco, ha dichiarato senza equivoci che “In quanto al Open Balcan, voglio chiaramente dire che noi diamo grande priorità al Mercato Comune Regionale (parte integrante del Processo di Berlino; n.d.a.), che crediamo debba progredire”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare, con la dovuta oggettività, questo argomento per il nostro lettore. Ma egli è convinto che non mancheranno altre occasioni. Per il momento però condivide il pensiero di Epitteto che la verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

  • Saltato l’accordo tra Cina e Paesi del Pacifico

    E’ saltato il progetto di Pechino per il Pacifico che aveva messo in allarme sia gli Usa sia l’Australia: i Paesi del Pacifico meridionale hanno rifiutato di sottoscrivere l’ampio accordo regionale economico e di sicurezza proposto dalla Cina, dopo l’incontro virtuale tenuto il 30 maggio nelle isole Figi dai ministri degli Esteri delle parti coinvolte.

    “Continueremo ad avere discussioni e consultazioni per formare più consenso sulla cooperazione”, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in una conferenza stampa congiunta con il premier delle Figi, Frank Bainimarama, hanno riferito i media australiani.

    I contenuti dell’accordo, trapelati la scorsa settimana e rivolti a coagulare un consenso con 10 Paesi insulari, avevano copertura molto vasta, passando dal libero scambio alla fornitura di aiuti umanitari e anti-Covid fino a delineare la visione di Pechino per un rapporto molto più stretto con il Pacifico meridionale, in particolare in materia di sicurezza, tra la formazione delle forze di polizia, la cybersecurity, la mappatura marina sensibile e un maggiore accesso alle risorse naturali.

    L’ambasciatore cinese alle Figi ha riferito che, malgrado un “sostegno generale”, l’accordo è stato messo da parte dopo che alcuni Paesi hanno espresso diverse preoccupazioni. Bainimarama ha alluso al dissenso emerso durante l’incontro, osservando che il gruppo dei partecipanti puntava a trovare “prima il consenso”.

    Il rifiuto dell’accordo è maturato nel mezzo di un tour de force diplomatico di Wang nella regione con la visita di otto Paesi in dieci giorni, in un viaggio che gli esperti di sicurezza hanno descritto come una mossa per imprimere una forte impronta all’influenza cinese nella regione contro Usa, Australia e Nuova Zelanda.

    Cina e Figi, quest’ultimo Paese nel frattempo ha aderito al piano economico Indo-Pacifico lanciato a Tokyo dal presidente americano Joe Biden per contenere Pechino, hanno firmato almeno tre accordi dopo l’incontro, che secondo Wang amplieranno la cooperazione su economia, commercio, agricoltura, pesca, turismo, aviazione civile, istruzione, forze dell’ordine e gestione delle emergenze, assicurando che Pechino avrebbe fornito assistenza ai Paesi insulari senza “nessun vincolo politico”.

    Bainimarama ha riaffermato l’importanza del cambiamento climatico per il Pacifico, affermando che le nazioni delle regione non erano interessate “alle questioni geopolitiche”, esortando la Cina a prendere impegni più forti sul riscaldamento del pianeta. Lo stop ai piani di Pechino è arrivato appena dopo un mese dalla firma del controverso accordo bilaterale sulla sicurezza firmato da Isole Salomone e Cina, causando allarme in tutto l’Occidente e motivando visite diplomatiche di alto livello da parte di Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.

  • Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale

    Tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente!

    Publilio Siro

    L’uomo crede vero tutto ciò che desidera. Ne era convinto Demostene, uno dei più noti oratori della Grecia antica. Una constatazione, quella, fatta più di ventitré secoli fa che rimane sempre attuale. E anche se non lo crede, spesso l’uomo cerca di convincere se stesso che quello che lui desidera è anche vero. Ma non di rado, consapevole della vera verità, l’uomo cerca con l’inganno di convincere gli altri che è vero proprio tutto ciò che lui desidera appaia come tale. E poi quando quell’uomo ha delle responsabilità pubbliche e gestisce la cosa pubblica, allora le conseguenze dei suoi inganni potrebbero diventare ben più gravi se non si reagisce, presso chi di dovere, in tempo e con determinazione. Denunciare e discreditare pubblicamente tutte le ingannevoli farse montate ad artem da persone che hanno delle responsabilità istituzionali diventa un sacrosanto diritto ed un dovere, un obbligo civico per tutti i cittadini onesti che apprezzano la verità e la libertà.

    In Albania l’attuale primo ministro, da quando gli sono state conferite delle responsabilità istituzionali, prima come sindaco della capitale e poi, dal 2013, come capo del governo, ha cercato sempre di convincere tutti su delle “verità” e “realtà” che lui voleva che venissero credute come tali. Mentire ed ingannare, come se nulla fosse, sono dei vizzi innati che contraddistinguono il suo modo di fare. Lo dimostrerebbe palesemente tutto il suo operato. Lo ha dimostrato anche una delle sue ultime farse, con la quale il primo ministro e la sua potente e ben funzionante propaganda governativa e mediatica hanno cercato di ingannare di nuovo l’opinione pubblica. Una farsa ingannevole che, per renderla più “convincente” possibile, lo hanno denominata la “Consultazione nazionale”, portata avanti dal 19 gennaio fino al 31 marzo scorso. I risultati della farsa sono stati poi pubblicati una settimana dopo, il 7 aprile. Una populistica messinscena quella della “Consultazione nazionale”, presentata sotto forma di un questionario di 12 domande, che erano state ideate dallo stesso primo ministro e/o da chi per lui e rese pubbliche con il questionario mandato per posta ai cittadini nelle loro abitazioni, ma che si poteva trovare anche in rete e nei gazebo allestiti appositamente in diverse piazze. Le risposte delle domande però, come è stato affermato ufficialmente, sono state in seguito elaborate dal Istituto albanese delle Statistiche. Affermazione questa che ha evidenziato la palese violazione della legge in vigore che regola proprio l’attività dell’Istituto delle Statistiche. In più, siccome a quel questionario, secondo quanto è stato “ufficialmente confermato”, ha risposto non più del 25% della popolazione, allora il risultato, qualsiasi esso fosse, non poteva essere preso in considerazione. Solo questi due fatti sarebbero stati più che sufficienti per denunciare la falsità e la farsa di tutto il processo della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta dal primo ministro. Le cattive lingue da allora hanno affermato, convinte, che la “Consultazione nazionale” era stata ideata, programmata e attuata come una messinscena, per poi dare la possibilità al primo ministro di affermare proprio quello che lui voleva ed aveva bisogno di affermare. Il che, purtroppo, non rappresenta quello che sente e pensa la maggior parte degli albanesi. Ma il loro pensiero, le loro risposte, anche se siano state espresse durante la “Consultazione nazionale”, non sono state prese poi per niente in considerazione. Come in molte altre occasioni precedenti. Questo e ben altro hanno detto le cattive lingue dopo la pubblicazione dei “risultati ufficiali” della “Consultazione nazionale” e, soprattutto, dopo i lunghi, entusiastici, ottimistici e rassicuranti monologhi del primo ministro, commentando proprio quei “risultati”, prefabbricati negli uffici che prendono ordini direttamente da lui.

    La farsa della “Consultazione nazionale”, è stata presentata come una “vasta consultazione con il popolo”, con i cittadini per avere la loro diretta espressa opinione, il loro parere, su alcune questioni che “interessano molto” al primo ministro. Ma alcune di quelle questioni vanno oltre gli “interessi” che “stanno molto a cuore” allo stesso primo ministro. Si perché, fatti da anni accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dimostrerebbero palesemente che si tratta degli “interessi” della criminalità organizzata e di certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Una delle domande riguardava la legalizzazione della cannabis per “uso medicale”. Il vero obiettivo è di legalizzare definitivamente la coltivazione ed il traffico illecito della cannabis. Una seria preoccupazione che va oltre i confini dell’Albania. L’Italia è uno dei Paesi che stanno subendo il traffico illecito della cannabis e di altre droghe, cocaina compresa. Ma non solo l’Italia, essendo quella un’attività ben strutturata ed organizzata, grazie alla stretta collaborazione della criminalità organizzata albanese con altre simili organizzazioni criminali internazionali. Sono tanti i rapporti ufficiali delle altrettante note istituzioni specializzate internazionali, quelle dell’Unione europea e di singoli Stati, che hanno evidenziato e denunciano la connivenza, in Albania, dei massimi livelli del potere politico con la criminalità organizzata. Ma che hanno evidenziato anche il supporto di quelle attività criminali da parte proprio di quelle strutture che le dovevano impedire e combattere; la polizia di Stato ed altre simili. Gli stessi rapporti evidenziano anche le problematiche che si stanno ormai generando dalle strutture specializzate del sistema “riformato” della giustizia. Strutture che hanno chiuso gli occhi, le orecchie e i cervelli di fronte ai “pesci grandi” e si accontentano dei “pesciolini”. Strutture che però, e guarda caso, vengono presentate come “una storia di successo” dai soliti “rappresentanti internazionali’. Non a caso una delle dodici domande del questionario della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta e osannata dal primo ministro e dalla sua propaganda, riguardava proprio il sistema “riformato” della giustizia. Un’altra domanda con la quale il primo ministro ha voluto avere “l’opinione del popolo”, si riferiva alla spinosa questione del rifiuto, da anni ormai, del Consiglio europeo di aprire i negoziati dell’Albania. Negoziati che, nonostante il continuo e ripetuto “parere positivo” della Commissione europea, sono stati bloccati perché l’Albania ha fallito nell’adempimento dei 15 criteri posti da alcuni anni proprio dal Consiglio europeo.

    La dodicesima domanda del questionario della “Consultazione nazionale”, tramite la quale il primo ministro albanese era “desideroso ad avere l’opinione del popolo” riguardava l’iniziativa regionale ormai nota come Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di questa iniziativa in questi ultimi due anni. La domanda era stata formulata come di seguito: “Ci sono delle persone le quali credono che la creazione dell’iniziativa Open Balcan tra l’Albania e i Paesi dei Balcani occidentali è nell’interesse dell’Albania. Altre [persone] dicono che quest’iniziativa non porta dei profitti all’Albania. Che ne pensate?”. Ebbene, la domanda è stata formulata consapevolmente in modo ingannevole. Perché solo tre dei sei Paesi balcanici hanno aderito all’iniziativa. Secondo i “risultati ufficiali” 303.018 albanesi sono favorevoli all’iniziativa; 134.879 sono contrari, mentre 79.666 non si sono espressi.  In totale, sempre secondo i “risultati ufficiali”, sono stati 517.563 i cittadini che hanno risposto alla domanda. Circa un quarto degli aventi diritto! Ma le cattive lingue hanno detto convinte che tutti i risultati della “Consultazione nazionale” del primo ministro con il “suo popolo” sono stati inventati di sana pianta e non hanno niente a che fare con la vera verità.

    L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire “L’area economica comune dei Balcani occidentali”. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan. A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità! Il nostro lettore è stato informato del contenuto del articolo e delle tesi che stanno sulle fondamenta dell’iniziativa ormai nota come Open Balcan. Così come è stato informato che l’ereditario del multimiliardario statunitense, il suo giovane figlio è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan. Era presente anche durante il vertice di Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre 2021. Dopo il vertice è stata pubblicata una fotografia scattata in quei giorni. L’autore di queste righe scriveva allora che “…In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stanno “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani.” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021).

    L’iniziativa denominata ormai Open Balcan, nonostante si presenti come un’iniziativa dei Balcani occidentali, è stata firmata solo dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre tre altri Paesi, e cioè la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro ed il Kosovo hanno pubblicamente rifiutato di essere parte all’iniziativa. I massimi rappresentati istituzionali di questi tre Paesi hanno ufficialmente e ripetutamente dichiarato che loro credono ed aderiscono ad un’altra iniziativa, quella che dal 2014, è nota come il Processo di Berlino. Si tratta di un progetto presentato per la prima volta a Berlino, su iniziativa dell’allora cancelliera tedesca. Un processo che non solo include tutti gli obiettivi dell’iniziativa Open Balcan, ma va ben oltre. In più finanzia molti progetti regionali nei Balcani occidentali, cosa non prevista dal Open Balcan. Un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. L’autore di queste righe ha trattato questi argomenti per il nostro lettore (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021 ecc…). Quanto sta accadendo anche solo in queste ultime settimane conferma i rapporti della Serbia con la Russia e i suoi alleati, nonché con la Cina. L’accordo di due giorni fa per delle forniture sicure e a prezzi vantaggiosi di gas russo per la Serbia ne è una eloquente testimonianza, come lo sono altri accordi militari e commerciali precedentemente firmati tra i due Paesi. Ma anche come l’invio in Serbia dalla Cina di armamenti speciali, l’aprile scorso, nonché altri accordi tra i due Paesi. Il che dimostra da che parte sta la Serbia, l’unico Paese balcanico che trae grandi vantaggi dall’iniziativa Open Balcan. Verità che testimoniano perché i tre “alleati balcanici” stanno cercando di boicottare il processo di Berlino.

    Chi scrive queste righe è convinto che Open Balcan è semplicemente un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, della quale beneficia soltanto la Serbia e, tramite la Serbia, anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. La Serbia, nel frattempo, non ha aderito alle sanzioni imposte alla Russia. Un misero doppio gioco quello del presidente serbo, che ormai convince sempre meno. Ma lui continua a godere dell’appoggio del primo ministro albanese, anche lui impegnato in un difficile doppio gioco. Loro due però collaborano molto più in segreto, con degli accordi occulti. E si sa, ne era convinto anche Publilio Siro: tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente! Se quella è una consolazione! Perché sempre peccatori rimangono, comunque sia.

  • La diplomazia

    La diplomazia viene giustamente definita un’arte, quindi un’attività assolutamente superiore e lontana dalla banale politica quotidiana, sempre alla rincorsa, nelle proprie dichiarazioni, anche durante un periodo di guerra, di un consenso immediato da incassare e tradurre magari in un successivo consenso elettorale.

    Il mondo della diplomazia invece rifugge dai fari dei media, specialmente se social, per non precludere il raggiungimento di un accordo il quale, indipendentemente dallo specifico conflitto e dall’area geografica interessata, rimane quello iniziale di un “cassate il fuoco”.

    Questo rappresenta la base minima di partenza dalla quale poi è consentito porre le basi per un accordo politico con step progressivi e successivamente assicurare una pace, armata forse, ma duratura.

    L’unica condizione richiesta dagli operatori diplomatici, ottimamente supportati dai servizi, ruolo fondamentale nell’acquisizione di informazioni relative ai sentiment dei contendenti, anche in un’ottica di comprensione delle evoluzioni politiche, è rappresentata non solo da una discrezione assoluta ma soprattutto da una tranquillità operativa come frutto di una relativa e non troppo invasiva attività attribuibile al mondo della politica ed istituzionale soprattutto.

    In altre parole, i responsabili delle sempre difficili trattative tra nazioni in guerra e i relativi leader belligeranti richiedono, all’interno di un conflitto il cui conto viene pagato giornalmente con vite umane, una comunicazione equilibrata, per quanto possibile, soprattutto dagli organi istituzionali, anche se investiti solo marginalmente dal conflitto. Il mondo della diplomazia difficilmente potrà subire un danno nella evoluzione del percorso verso un primo accordo dalla dichiarazioni di un Letta o di un Salvini qualsiasi di un paese terzo.

    Altro effetto, viceversa, possono avere le prese di posizione dei rappresentati istituzionali dei singoli Paesi le cui dichiarazioni hanno il peso di uno Stato e come tali vengono interpretate proprio dalle parti belligeranti, ancor più se impegnate all’interno della trattativa diplomatica.

    A margine del discorso di Zelensky al Parlamento italiano, le cui interpretazioni e valutazioni si moltiplicano di ora in ora, rappresenta un errore di dimensioni COLOSSALI la successiva dichiarazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi il quale ha suggerito di fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea.

    Innanzitutto va rilevata la tempistica diplomaticamente suicida in quanto si fornisce un ulteriore argomento a conferma delle tesi russe relative ad una volontà dell’Ucraina di uscire dall’area di ingerenza dell’ex impero sovietico (si fa riferimento alla retorica putiniana la quale rappresenta una delle cause del conflitto).

    L’ avventata presa di posizione del Presidente del Consiglio ha l’effetto di rafforzare, quindi, la loro posizione negoziale riducendo, come inevitabile conseguenza, i margini operativi dei negoziatori diplomatici alla ricerca di una soluzione accettabile da entrambi i contendenti.

    In più, il peso politico di questa scellerata dichiarazione viene dal Presidente del Consiglio del nostro Paese e non da un rappresentate politico qualsiasi, quindi il peso specifico percepito dagli omologhi russi risulterà sicuramente maggiore ed avrà non solo nell’immediato contesto diplomatico ma anche nel medio e lungo termine un effetto politico ed economico pesante.

    L’arte della diplomazia, quindi, trova nel mondo della politica un sicuro avversario al quale si dimostra, tuttavia, impermeabile anche a causa delle spesso ridicole tesi e dichiarazioni dei singoli leader rappresentanti tanto a livello nazionale quanto europeo.

    Diverso si dimostra, invece, l’effetto ed il danno arrecato alle complesse trattative diplomatiche quando un Presidente del Consiglio si dimostra incapace di prevedere le ricadute delle proprie avventate dichiarazioni dimostrandosi, alla verifica dei fatti e dei comportamenti, molto simile a un qualsiasi rappresentante politico italiano.

    Si azzera, così, la percentuale di considerazione per l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi Invocato alla guida del nostro Paese come espressione di una superiore preparazione e credibilità internazionale, il quale, però, in un solo anno ha adottato i medesimi comportamenti di quella classe politica per correggere i quali era stato chiamato.

  • Il Qatar si offre come mediatore tra Usa e Iran

    In attesa di conoscere le prime mosse di politica mediorientale del nuovo presidente americano Joe Biden e di capire cosa rimarrà delle scelte prese dall’ormai ex presidente Usa Donald Trump, il Qatar si offre come possibile mediatore tra Stati Uniti e Iran, ma chiede che Washington torni a essere più presente nei vari scenari di crisi della regione, dalla Libia al Golfo passando per i Territori palestinesi.

    In una intervista con l’Ansa, la portavoce del ministero degli esteri di Doha, Lolwa al Khater ha raccontato quanto la crisi economica globale e regionale, aggravata dalla pandemia, abbia contribuito ad accelerare la fine del blocco commerciale imposto nel 2017 dall’Arabia Saudita, dall’Egitto, dal Bahrein e dagli Emirati Arabi Uniti.

    Poche settimane fa l’Arabia Saudita e gli altri tre Paesi alleati di Riad hanno deciso di metter fine assieme al Qatar alla crisi scoppiata alla metà del 2017, quando Riad e i suoi alleati avevano imposto a Doha un assedio marittimo, aereo e terrestre, accusando il Qatar, alleato della Turchia, di sostenere il terrorismo. Quelle accuse sembrano improvvisamente svanite, tanto che al Khater afferma: “Era evidente che era una crisi creata ad arte”.

    La velocità con cui si è apparentemente risolta la crisi del Golfo è stata forse dovuta al persistere di altre crisi, giudicate più dannose ai rispettivi interessi nazionali: la crisi economica, aggravata dalla crisi del Covid-19. Proprio al vertice saudita dei primi di gennaio, ricorda al Khater, tutti i paesi erano “consapevoli che questi anni di crisi (del Golfo) hanno creato perdite per tutti”. Ecco perché – ha aggiunto – ci si è accordati di riattivare i diversi progetti di cooperazione che erano stati sospesi a causa della crisi (del Golfo) e riprendere la collaborazione anche in ambito sanitario”.

    Gli occhi sono ora tutti puntati su Biden e sulla prossima politica mediorientale degli Stati Uniti. L’ex presidente Trump sarà da molti ricordato come colui che ha contribuito a esasperare le tensioni con l’Iran, che ha di recente ripreso l’attività di arricchimento dell’uranio.

    Il Qatar, a due passi dalla costa iraniana, si sente “nel cuore della questione”. Ma da Doha non si sbilanciano: “è difficile parlare in nome di un’amministrazione (Biden) che finora ha detto poco sull’argomento”. Ma si dicono pronti a svolgere un ruolo di mediatori per “abbassare la tensione”.  “Il Qatar è pronto a svolgere una mediazione tra le parti, a patto che tutte le parti ci chiedano di avere questo ruolo”, ha detto la portavoce in collegamento audio-video da Doha. Anche con i ritrovati alleati arabi del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita, arcinemica dell’Iran, il Qatar è comunque d’accordo su un punto: “nessuno vuole una nuova guerra nella regione”. Il Qatar, come molti altri attori dell’area, è coinvolto anche in Libia e nella questione palestinese. Su questo al Khater lancia un appello proprio a Biden: gli Stati Uniti devono tornare a essere presenti nella regione.

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