adolescenti

  • I bambini non giocano più

    I bambini non giocano più né tra di loro né da soli, non corrono, non inventano situazioni, storie, non hanno fantasie perché fin da quando hanno un anno tengono in mano un smartphone, o almeno un cellulare collegato ad internet, dove possono vedere tutte le fantasie degli altri che li priveranno della capacità di averne di proprie.

    I bambini non devono disturbare così i premurosi genitori affidano i loro strumenti tecnologici alle piccole mani, ai piccoli occhi, alle piccole menti proprio nel periodo nel quale la formazione è più importante, l’imprinting assoluto.

    Piccole menti addestrate a guardare cose che ancora non capiscono, cose che saranno memorizzate per poi, più avanti, essere imitate, piccole menti che diventeranno lentamente sempre più incapaci di provare emozioni, sentimenti, di crescere attraverso esperienze personali e dirette perché conoscono tutto solo per via indiretta, tramite la rete.

    Ogni essere vivente cresce a tappe, per gli esseri umani ogni anno dovrebbe portare a nuove esperienze commisurate alle diverse età, ogni percorso fa affrontare sconfitte e successi, ogni confronto con gli altri abitua al confronto con se stessi e con la vita, i sentimenti si coltivano misurandosi con quanto è intorno, dalla famiglia ai libri, dai compagni di classe e gli insegnanti alle persone che si incontrano, dalle difficoltà da superare alle soddisfazioni raggiunte.

    Se così non è, e ormai da troppo tempo non è più così, l’infanzia è perduta perché tutto è sostituito dal silenzio fragoroso della rete che ha soppiantato tutto e tutti, l’infanzia è perduta impedendo così l’arrivo di una adolescenza consapevole, graduale, difficile, come tutti i momenti di crescita, ma necessaria per diventare adulti e non rimanere per tutta la vita nel limbo della dipendenza.

    La tecnologia è per le persone adulte, conscie di se stesse, non deve essere il primo, spesso unico, riferimento di un bambino.

    Le cifre parlano chiaro se non si cambia continueranno ad aumentare i rischi visto che già ora vi è un aumento esponenziale delle depressioni e dei pensieri suicidari proprio tra la popolazione più giovane. Inoltre aumentano il disinteresse verso i rapporti con gli altri, l’aggressività, l’impoverimento del pensiero, della parola, delle relazioni interpersonali.

    I più giovani, costantemente connessi, attraverso uno strumento tecnologico, a realtà alle quali non appartengono, perdono contatto con il reale intorno a loro e diventano incapaci di affrontarlo.

    Si diventa incapaci di affrontare problemi, accettare sconfitte, battersi per superare difficoltà, ogni evento rischia di diventare un dramma, di provocare un trauma personale o collettivo, le patologie psichiche aumentano, l’intera società diventa a rischio quando sono a rischio i suoi ragazzi.

    Diversi scrittori e studiosi da alcuni anni hanno lanciato il segnale d’allarme, in alcuni paesi si sta cercando con specifici divieti di arginare il problema ma occorrono iniziative più forti che possono nascere solo dalla consapevolezza che non c’è più tempo per indugiare.

    I bambini devono interagire col mondo intorno a loro, non con la rete, devono tornare a fantasticare attraverso i libri, a giocare inventandosi giochi e storie, devono parlare per fare domande ed avere risposte, domande e risposte che partano ed arrivino con voci ed intelligenze umane, da persone, grandi e piccole, capaci di guardarsi negli occhi trasmettendosi sensazioni e sentimenti non solo nozioni.

    Non si diano più ai bambini smartphone o telefonini connessi alla rete, si alzi a 16 anni l’età per collegarsi ai social, si torni a parlare con i propri figli, nipoti, studenti, si dia spazio alla cultura del dialogo, della consapevolezza, dell’esempio, si torni tutti a leggere di più e meglio cercando di capire quello che si legge e quello che è intorno e forse si riuscirà a sconfiggere quell’ansia che sta uccidendo l’infanzia e non solo.

  • Cyberbullying: One in six teenagers report harassment online

    Nearly one in six adolescents have experienced cyberbullying, an international study has found.

    More school-aged children have reported being cyberbullied than before the pandemic, according to the report by the World Health Organization (WHO).

    The study surveyed more than 279,000 young people from 44 countries and regions.

    In Wales, where nearly 37,000 young people were surveyed, 17% reported experiencing cyberbullying.

    The Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) survey suggests the proportion of adolescents who reported being cyberbullied has increased since 2018, from 12% to 15% for boys and 13% to 16% for girls.

    In England, where more than 4,200 young people were surveyed, nearly one in five (19%) reported being cyberbullied at least once or twice in the past couple of months, and 11% reported cyberbullying others.

    In Scotland, where more than 4,300 young people were surveyed, 18% said they had experienced cyberbullying and 11% reported cyberbullying others.

    The report said there was an “urgent need” to educate young people, families and schools of the forms of cyberbullying and its implications.

    Dr Hans Henri P. Kluge, WHO regional director for Europe, said: “As young people’s social engagement switched to the online environment during the Covid-19 pandemic lockdowns, so it appears that perpetration and experience of cyberbullying increased.

    “Focusing on virtual types of peer violence is now an urgent priority to safeguard the health and wellbeing of populations of adolescents and young people, and cyberbullying must be viewed as a major issue for societies.

    “With young people spending up to six hours online every single day, even small changes in the rates of bullying and violence can have profound implications for the health and wellbeing of thousands.

    “This is both a health and a human rights issue, and we must step up to protect our children from violence and harm, both offline and online.”

    ‘A real concern’

    Sarah Hannafin, senior policy adviser for school leaders’ union NAHT, said: “These figures showing an increase in cyberbullying among children are a real concern, and while schools work hard to help keep pupils safe, online bullying can take place anywhere, at any time.

    “Schools alone cannot tackle the issue and the government must ensure the Online Safety Act is implemented swiftly and properly enforced, while social media platforms must do much more to provide a safe online environment.”

    A UK government spokesperson said: “The Online Safety Act will make the UK the safest place in the world for children to be online, requiring companies to take robust action to protect children from harmful content, illegal activity, and abuse – including keeping children safe from bullying.

    “Companies that do not comply with the new can face fines of up to 10% of their global annual revenue, potentially up to billions of pounds.”

  • Quasi 250mila ragazzini si lanciano in sfide impossibili per cercare gloria online

    Secondo una ricerca realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità svolta nell’ambito del progetto Dipendenze comportamentali nella Generazione Zeta, circa 243mila gli studenti tra 11 e 17 anni hanno partecipato almeno una volta nella vita a una sfida social pericolosa. Si tratta del 6,1% della popolazione analizzata, con una maggior propensione tra i giovanissimi (11-13 anni) rispetto ai compagni di 14-17.

    Per social challenge si intendono giochi online presentati sotto forma di sfida. Il singolo partecipante si registra con uno smartphone o con una webcam e si esibisce in una serie di attività pericolose invitando gli altri a superarlo. L’obiettivo è duplicare velocemente il numero degli sfidanti. Il social più gettonato è TikTok.

    I challenge cambiano in continuazione, si fa fatica a tenersi aggiornati. Si va dalle cose in macchina all’uso su se stessi della gomma per cancellare fino a bruciare la pelle, dalla masticazione di 10 cubetti di ghiaccio in 30 secondi all’ingestione di una certa quantità di alcol tutto d’un fiato.

    Per la ricerca sono stati intervistati 4mila studenti tra 11 e 13 anni ed altrettanti tra 14-17. Il questionario è stato compilato dagli intervistati a scuola, perlopiù durante l’ora di informatica negli istituti che hanno aderito all’iniziativa anche col beneplacito degli insegnanti.

  • Ansia da estetica social: i ragazzi non si accettano per come sono

    Secondo lo studio l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dal titolo Satisface patrocinato dal Comune di Milano e condotto su 120 adolescenti tra i 12 e i 16 anni di cui il magazine Sette ha fornito anticipazioni i ragazzi della Generazione Z sono preda di ansia di ben figurare sui social network tanto da fare prove davanti allo specchio per capire come uscire bene in foto, controllare più volte il proprio aspetto su qualsiasi superficie che può riflettere l’immagine, toccarsi in continuazione i capelli con le dita, cambiare postura ed evitare le luci intense per impedire che vengano notati i dettagli dell’aspetto che non piacciono. Il 22% dei giovani intervistati per la ricerca lo fa sempre/spesso, il 12% qualche volta, il 66% raramente/mai. Ancora: il 18% degli intervistati non fa selfie, ma tra gli altri il 37% ne scatta da due a cinque prima di ottenere quello che pubblicherà, l’11% da cinque a dieci e un altro 11% più di dieci. Solo il 23% è soddisfatto al primo colpo. Un adolescente su due degli intervistati ammette di ritoccare le proprie foto, uno su quattro vuole nascondere difetti come i brufoli, uno su 10 desidera apparire più magro. La maggior parte dichiara di modificare l’immagine direttamente all’interno del social (47,5%) o dalle foto dello smartphone (32,2%), ma c’è anche chi già ricorre ad app apposite come Facetune, Perfect365 o Camera360.

    I ricercatori mettono in luce il meccanismo perverso che si può innescare: «I ragazzi che usano i social per più di 4 ore, ossia 1 su 3 di quelli intervistati (34,2%), hanno punteggi significativamente più alti nelle scale che misurano il grado di manipolazione fotografica, il controllo della propria immagine in foto e il livello di ansia da aspetto» spiega Chiara Brombin, professore associato di Statistica e coordinatrice dello studio. «In parallelo diminuisce in modo considerevole l’autostima nei confronti del proprio corpo». In sintesi: più tempo sui social equivale a una manipolazione più frequente dei selfie, più controllo dell’immagine in foto, più aspettative, più ansia da aspetto e peggiore percezione della propria immagine corporea. Per quanto riguarda la manipolazione della foto, in una scala da 8 a 40, chi usa i social per più di quattro ore ha un punteggio di 15 contro quello di 11 di chi sta meno di due ore. E per quanto riguarda il controllo della propria immagine, in una scala da 16 a 80, il punteggio di chi sta sui social per più di quattro ore è di 38 contro quello di 22,5 di chi sta meno di due ore. Il 5% mostra un controllo borderline.

    Per contrastare questo fenomeno un rimedio può essere quello di togliere i filtri, come ha già fatto BeReal, social francese che vieta i filtri e abolisce i like e una volta al giorno invita gli utenti, dandogli solo due minuti di tempo, a condividere una foto con la fotocamera frontale e posteriore in modo da fare vedere davvero dove si trovano.

  • Psicofarmaci nuovo sballo per un giovane su dieci

    Psicofarmaci utilizzati per lo ‘sballo’, ovvero non per curare una patologia ma come nuova forma di svago. E’ la moda che sta dilagando tra gli adolescenti, già a partire dai 13-14 anni, e che gli psichiatri segnalano con preoccupazione: ben un teen-ager su dieci, avvertono, usa questi medicinali a scopo ‘ricreativo’, andando incontro a seri rischi per la salute. L’allerta è arrivato dagli esperti riuniti per il XXIV Congresso nazionale della Società Italiana di Neuro-Psico-Farmacologia (Sinpf), tenutosi a Milano e Venezia.

    Le cure farmacologiche nel campo della salute mentale, anche dei bambini e degli adolescenti, sono fondamentali ma diverso, avvertono gli psichiatri, è il problema dell’uso di psicofarmaci sottratti e utilizzati senza alcun controllo, per uso ricreativo: un nuovo modo di superare i limiti ma che può mettere a rischio la vita. Un fenomeno in crescita costante, tra il 15% e il 20% negli ultimi cinque anni, grazie anche alla loro facilità di reperimento. Secondo uno studio del Cnr, infatti, questi farmaci sono troppo spesso disponibili in casa (42%), acquistati facilmente su Internet (28%), recuperati per strada (22%), sfuggendo così al controllo di adulti e medici.

    Aumenta così la dipendenza tra i più giovani, spesso associata anche agli effetti collaterali di altre sostanze psicoattive come tabacco, energy drink, benzodiazepine e stupefacenti, con lo sviluppo di comportamenti pericolosi. Questi psicofarmaci, afferma Matteo Balestrieri, Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente Sinpf, «rappresentano per molti un’ancora di rassicurazione per aumentare le performance scolastiche e i livelli di attenzione, per migliorare l’aspetto fisico quando combinati a farmaci dietetici, per potenziare i livelli di autostima, per sentirsi in forma, migliorando sonno e umore, e molti giovani sono dunque spinti ad assumerli sfuggendo al controllo in famiglia». Detto questo, prosegue Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf, «gli psicofarmaci, insieme ad un percorso terapeutico a 360 gradi, sono fondamentali per curare le malattie mentali anche nei giovani e nei e non bisogna averne paura. Molte patologie curate per tempo nei giovani, garantiscono loro un futuro. Se invece queste cure vengono usate con modalità e intenzioni diverse non aiutano e soprattutto possono avere ripercussioni negative». Da qui la necessità di avviare campagne di sensibilizzazione sul fenomeno ed i rischi associati alla possibile dipendenza da abuso di psicofarmaci, tanto più grave se fuori controllo medico, e di azioni educazionali che ne favoriscano il contrasto anche col coinvolgimento della scuola e della classe medica.

    La tipologia di psicofarmaci maggiormente utilizzata nel corso dell’ultimo anno, secondo i dati del Cnr, è quella dei farmaci per dormire (5%). Seguono quelli per l’umore e le diete (1,7% per entrambe le tipologie) e quelli per l’attenzione (1,2%). Le studentesse utilizzano in percentuale maggiore tutte le tipologie di psicofarmaci analizzate. Inoltre, il 18% degli studenti ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso del 2021; il 2,8% ne ha fatto un uso frequente e quasi il 10% degli studenti è un ‘poliutilizzatore’, abusando di almeno 2 sostanze negli ultimi 12 mesi. La sostanza illegale più diffusa è la cannabis, seguita dalle cosìddette New Psychoactive Substances, sostanze sintetiche che mimano gli effetti di altre sostanze più note. Dagli psichiatri, infine, cinque consigli per contrastare l’abuso: no al ‘fai da te’ e rivolgersi sempre al medico; non sottovalutare le ricadute collaterali; tenere gli psicofarmaci fuori dalla portata di chiunque possa fare un cattivo uso; avviare campagne di sensibilizzazione; in caso di disturbi come ansia, depressione, disturbi dell’umore, seguire sempre le indicazioni dello specialista.

  • Mala tempora currunt et peiora parantur

    Al Festival di Sanremo, evento ormai da tempo diventato internazionale e visto anche da adolescenti, due personaggi hanno mimato, in prima fila, un atto sessuale anale, poi si sono baciati lingua in bocca. Si è poi saputo che non si è trattato di deprecabili improvvisazioni ma di gesti programmati, per fare notizia tutto è consentito.
    Ormai basta andare in certi comuni e si può cambiare sesso sulla carta d identità, femminile, maschile, liquido, neutro, chi ha più fantasia si faccia avanti.
    Si è festeggiato come un grande evento la comunicazione di un noto calciatore della sua omosessualità, cosa c’è di nuovo? L’hanno già fatto in tantissimi in ogni categoria sportiva, dello spettacolo e della società, stupisce l’enfasi decisamente inutile se non per ragioni di proselitismo, pratica che non ha nulla a che vedere con l’individuale diritto alla libertà di scelta. Anche le sette fanno proselitismo, vogliamo che la differenza sessuale dia spazio a nuove sette, nuove lobby? Ma di fatto è già così.
    Decine di migliaia di adolescenti, senza avere ancora raggiunto la maturità fisica, oltre quella anagrafica, modificano irreversibilmente il proprio corpo: cambio di sesso, tatuaggi molto invasivi e spesso con sostanze pericolose, drastiche operazioni estetiche le conseguenze delle quali si fanno sentire negativamente dopo qualche anno. E molti, dopo qualche anno, vogliono tornare al sesso precedente.
    Nessuno è più contento di come è, non si tratta di aggiustare qualche  difetto fisico o di migliorare un po’ il proprio aspetto, il problema è che nessuno vuole più essere se stesso, bisogna diventare qualcun altro, usare il proprio corpo per modellare un’altra persona.
    In alcuni Stati americani ed europei è consentita, ed è anche di moda, la sepoltura green, sembra che consista nel congelare il corpo del defunto per poi sminuzzarlo in pezzetti e buttarlo sotto un po’ di terra e di foglie, così diventa concime naturale.
    La violenza, specie adolescenziale, è in continuo aumento alimentata dalla rete, dalla confusione tra il virtuale ed il reale, dall’insoddisfazione crescente, dall’incapacità di autorevolezza, di esempio positivo di scuola, famiglia, istituzioni, mass media.
    Il covid non ha insegnato nulla e neppure la ferocia della guerra in Ucraina, la tragedia del terremoto in Turchia e Siria, il sempre più evidente pericolo di un conflitto allargato e di una siccità che sta mietendo migliaia di vittime in Africa procurando una imminente escalation dell’immigrazione.
    Più i pericoli aumentano, più sarebbe necessario ritrovare un senso alla nostra vita, individuale e collettiva, e più ci si rifugia nella ricerca di una diversità spesso costruita a tavolino, ricercata come fonte di una pace interiore che non può esserci quando tutto diventa esteriorità ed il pensiero, l’introspezione, la conoscenza dei problemi, l’empatia verso gli altri, la consapevolezza di se sono banditi.
    Mala tempora currunt et peiora parantur

  • Chi sevizia od uccide un animale è già un criminale e presto potrà diventare un assassino

    Ormai da tempo anche gli studi scientifici hanno rilevato come la maggior parte delle persone che commettono gravi violenze contro altri esseri umani abbiano, in precedenza, commesso atti violenti e crudeltà verso gli animali. Già dal 1996 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva inserito, tra i disturbi comportamentali, il maltrattamento degli animali.

    In Italia l’associazione link-Italia si occupa di monitorare il legame tra devianze, violenze verso gli animali e violenza verso gli umani, spesso le violenze contro le donne ed i femminicidi sono preceduti da violenze contro gli animali, anche quelli di casa.

    Chi sevizia od uccide un animale è già un criminale e presto potrà diventare un violentatore e un assassino in una escalation di violenza verso chi è più debole ed indifeso. Per questo è molto importante che ciascuno di noi impari a non voltarsi da un’altra parte quando vede qualcuno che commette violenza contro un animale, ogni violenza va denunciata anche nella speranza di impedire un futuro delitto contro un essere umano.

    È molto importante che in famiglia e nella scuola si insegni il rispetto per tutto quello che è vivo intorno a noi, si ricreino le condizioni perché tutti tornino a provare sentimenti di empatia affinché nessuno ignori la sofferenza altrui.

    Siamo in una società difficile, spesso violenta e perciò proprio i bambini e gli adolescenti devono essere guidati, indirizzati sulla strada del rispetto dell’altro, in questi anni anche l’aumento del bullismo nelle scuole dimostra purtroppo come ci sia molto da ricostruire e costruire per arrivare ad una società meno permissiva e tollerante di fronte a tante violenze e tanti soprusi.

  • La pandemia porta ad un’impennata del 30% dei disturbi

    Sono responsabili di circa 4mila decessi all’anno in Italia, tra i giovani, persone under 30. I disturbi del comportamento alimentare, come anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata, colpiscono circa 3 milioni di italiani e sono in aumento con la pandemia, di circa il 30%. Lo confermano alcuni dati di una survey nell’ambito del Progetto CCM dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare del Ministero della Salute. Secondo i dati della Survey nel primo semestre del 2020 sono stati rilevati nei 230.458 nuovi casi, nel primo semestre 2019 erano 163.547.

    A marzo, il 15, si tiene la giornata del fiocchetto lilla, dedicata a questi disturbi, ideata nel 2012 dall’Associazione “Mi Nutro di Vita”. L’iniziativa parte da un padre, Stefano Tavilla, che ha perso la figlia Giulia a soli 17 anni per bulimia e ricorre il 15 marzo, proprio nel giorno della sua scomparsa. “La pandemia – aggiunge Tavilla – ha mostrato che questi che non sono disturbi ma vere e proprie malattie non sono solo appannaggio dell’età adolescenziale: c’è una forbice allargata, che ricomprende molto con l’isolamento anche la fascia pediatrica, con anche tanti maschi. La forbice si estende poi anche verso l’alto, con persone di 40-45 50 anni, in cui le ristrettezze hanno fatto da detonatore di una malattia con cui già convivevano magari da 30 anni”. “Nella lotta per il riconoscimento di queste malattie-specifica- abbiamo individuato uno strumento legislativo nei Lea, i livelli essenziali di assistenza. Se queste patologie venissero inserite nei Lea le Regioni sarebbero obbligate a un percorso e reti di cura. In Italia non si muore perché malati anoressia e bulimia, ma per il non accesso alle cure, un problema acuito dalla pandemia”.

    Di “blackout terapeutico con la pandemia” e una ripresa delle visite a settembre dopo il primo lockdown, vedendo in pieno gli effetti con nuove diagnosi, parla anche Laura Dalla Ragione, direttore della rete USSL 1 dell’Umbria e referente del Ministero della Salute per i disturbi del comportamento alimentare. “È un’epidemia – conclude – adesso bisognerà mettere insieme un sistema di cure diffuso. Serve una rete completa di assistenza, e metà delle Regioni non ce l’ha. Il messaggio però è che da queste malattie si può guarire. Con una diagnosi precoce le probabilità di guarigione sono di circa l’80%”.

  • Il Codacons presenta un esposto al Garante Privacy e all’Antitrust contro TikTok per truffa aggravata

    Il Cosacons ha presentato un esposto al Garante per la Privacy e all’Antitrust contro il social network TikTok, per chiedere «l’adozione di misure urgenti tese a tutelare i minori e una maxi-sanzione nei confronti della società valutando il sequestro e l’oscuramento del social network e il coinvolgimento della magistratura laddove dovessero profilarsi ipotesi penalmente rilevanti». La decisione è stata presa perché ci sarebbe, come si legge nel testo, “il mancato rispetto da parte di TikTok delle disposizioni dell’Autorità in tema di minori che accedono al social, e la possibilità per i minori di 13 anni di registrarsi alla piattaforma ricorrendo a semplici sotterfugi». Secondo il Cosacons gli impegni presi da TikTok non sarebbero in alcun modo “sufficienti a tutelare i minori dalle insidie e dai pericoli che possono trovare sui social network» perchè, continua l’esposto, “i minori che frequentano i social possono essere esposti a contenuti inappropriati o sconvolgenti, come commenti o immagini cattivi, aggressivi, violenti o sessuali. Non secondari sono le ricadute in termini di pubblicità ingannevole o occulta presente sul social, specie nel caso di TikTok in cui si è già contestata l’esistenza anche di clausole vessatorie nei Termini di Servizio che si presentano poco chiari, ambigui e comportano uno squilibrio tra il professionista che fornisce il servizio e gli utenti». E ancora: “I rimedi adottati dalla società in attuazione del Provvedimento del Garante non sono affatto finalizzati ad una controllabilità certa e sicura del minore che si iscrive o accede sulla piattaforma, in quanto appaiono – proprio come le precedenti procedure – solamente formali e non effettive, né tantomeno efficaci. Ad oggi l’unico rimedio visibile e fruibile per gli utenti ed adottato da TikTok per assolvere all’obbligo di utilizzare un sistema di accertamento dell’età anagrafica dell’utente è quello della richiesta iniziale di inserimento dell’età anagrafica: chiunque, persino un bimbo di sei anni potrebbe mettere una data diversa dalla sua per accedervi». Proprio per questo il Codacons ha chiesto al Garante della Privacy e all’Antitrust di disporre il sequestro e l’oscuramento del social network, elevando una maxi-sanzione nei confronti della società per il mancato rispetto delle disposizioni dell’Autorità.

  • Detective stories: Jonathan Galindo e i giochi mortali della rete

    Chi si nasconde dietro al suicidio del bambino di Napoli, gettatosi dal decimo piano?

    Secondo molti potrebbe trattarsi di Jonathan Galindo, l’ultimo spauracchio dei social network, un soggetto avvolto dal mistero che contatterebbe account di minori proponendogli di giocare insieme a lui cliccando su un link.

    Pare che in caso di accettazione, Jonathan Galindo sia in grado di monitorare continuamente il dispositivo della vittima effettuando una serie di richieste caratterizzate da una violenza esponenziale e aventi come obbiettivo la provocazione di atti di autolesionismo o l’istigazione al suicidio.

    Quello della Jonathan Galindo challenge è un fenomeno nato da qualche anno, ma giunto solo recentemente in Italia, dove si è potuto notare un incredibile aumento delle ricerche online aventi come oggetto questo nome da luglio 2020 in poi.

    Sulla rete esistono diversi profili a nome di Jonathan Galindo, molti di questi vengono aperti e chiusi dopo poco tempo, il che di per sé è alquanto esplicativo. Effettuando alcune ricerche inverse sulle immagini/foto di questi profili (dove si può notare un inquietante soggetto che indossa una maschera/protesi facciali aventi fattezze simili a quelle del personaggio Disney Pippo), è facile risalire al vero proprietario delle immagini, ovvero un make up artist e produttore di effetti speciali cinematografici presente sui social con il nome “Sammy Catnipnik”.

    Contattato da diversi youtuber e giornalisti, l’uomo ha dichiarato di essere stato il creatore di quel “trucco/personaggio”, ma di non avere alcun legame con le vicende di Jonathan Galindo e di come le sue foto gli siano state sottratte a sua insaputa.

    La realtà dei fatti è che abbiamo già conosciuto questa challenge in passato, ma con nomi diversi: Blue Whale, Momo e Samara.  A cambiare sono solo i social network di riferimento, spesso diversi per ognuna di queste challenge.

    Ci troviamo di fronte a nuovi tipi di minacce e quindi di reati dove il maggior pericolo è rappresentato non da un singolo “orco” che colpisce in tutto il mondo, ma dal rischio di emulazione di una moltitudine di soggetti che vogliono rendere reale ed essere parte integrante di un cosiddetto fenomeno “creepy pasta”.

    Da quanto trapelato dalla rete difatti, Jonathan Galindo avrebbe dapprima iniziato a colpire account presenti negli Stati Uniti, spostandosi successivamente in America Latina e solo di recente in Europa, sempre contattando le sue “vittime” utilizzando la lingua locale, il che farebbe di lui un hacker poliglotta con molto tempo a disposizione… situazione alquanto improbabile.

    Ciò è la conferma di come, salvo eccezioni, si tratti prevalentemente del tipico fenomeno emulativo di un pericoloso gioco attuato da più persone, non un singolo ma un gruppo di soggetti distinti le cui caratteristiche in determinati casi posso essere attribuibili anche a quelle di adulti esperti in tattiche di grooming che possono sfruttare il trend della parola chiave Jonathan Galindo e l’appeal che eserciterebbe sui minori.

    Per un minore a conoscenza dei rischi legati agli account di Galindo, essere contattato potrebbe essere vista come l’occasione per raccontare qualcosa di unico che gli consenta di emergere nel suo gruppo di amici, ma la situazione potrebbe presto degenerare.

    In definitiva ritengo che un vero e proprio Jonathan Galindo non esista, ciò che resta sono i pericoli cui restano esposti i nostri figli durante la navigazione della rete, per questo è giusto monitorare la loro attività sul web e proteggerli da adescatori e malintenzionati, bloccando gli account sospetti che cercano di contattarli e segnalandoli alle autorità competenti.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

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