Afghanistan

  • Dall’Afghanistan all’Occidente alla ricerca di idee e di azioni mentre le donne soccombono

    Sappiamo che una donna poliziotto, incinta di otto mesi, è stata trucidata dai talebani davanti ai suoi famigliari, sappiamo che i talebani hanno bastonate un gruppo di donne che volevano testimoniare il loro diritto allo studio e al lavoro, non sappiamo quante donne siano state uccise, rapite, picchiate, violentate in questi ultimi giorni. Sappiamo però con certezza che oggi ogni donna in Afghanistan è a rischio e che la comunità internazionale continua a preferire il dialogo con gli integralisti assassini lasciando senza armi ed aiuti le poche forze nazionaliste che combattono per la libertà sotto la guida del giovane Massoud. Come abbiamo già detto e ridetto, scritto e riscritto la storia si ripete come 20 anni fa.

    Questo Occidente così pronto a fare guerre che partono già come sconfitte, ad esportare il proprio modello di democrazia senza conoscere la storia dei paesi nei quali arriva, questo Occidente straboccante di armi e di probabili buone intenzioni e che poi abbandona nel caos più totale popoli e paesi, cosa ha da dire di fronte a questa nuova tragedia? Questo Occidente le cui forze politiche e sociali manifestano per problemi superabili o inutili, per falsi pretesti per gli pseudo diritti di pochi che vogliono prevaricare i molti, questo Occidente confuso tra genitore uno e genitore due, più teso a confondere e dividere che ad unire cos’ha ora da dire e soprattutto cosa può, cosa vuole fare? Questo Occidente che parla molto e conclude poco così che l’Europa, dopo decenni, non è ancora unita politicamente, gli immigrati sono ancora abbandonati ai trafficanti di esseri umani, i produttori di armi da guerra, almeno in alcuni paesi come gli Stati Uniti, risultano in grado di decidere al posto dei governi, come sarà in grado di rispondere all’espansionismo cinese, al cinismo della Russia, al delirio egemone di Erdogan, alla fame dell’Africa, alla pochezza di visione geopolitica dei propri governanti, al predominio della finanza sull’economia, al dissesto ambientale che ha messo in crisi l’intero ecosistema?

    Ci vogliono visioni, idee politiche ed economiche, ci vogliono scelte anche ideali e perciò occorrono conoscenze oggettive delle realtà che ci circondano, quelle realtà geopolitiche che, sappiamo bene, fanno ancora oggi troppo prevalere l’interesse per le materie prime rispetto al diritto, alla libertà ed alla giustizia che ogni popolo, ogni persona dovrebbe avere garantiti. Ci voglio fatti garantiti da idee e le idee, come ben sappiamo, camminano con le gambe degli uomini e delle donne perciò, visto che non possiamo, un po’ in tutto il mondo, dopo tante delusioni, contare sulle gambe di chi dovrebbe rappresentarci possiamo solo sperare che proprio dai popoli più oppressi, da coloro che hanno pagato e pagheranno col sangue la conquista dei più elementari diritti, arrivi anche a noi un guizzo di dignità che ci aiuti a risollevare noi stessi e ad accorgerci degli altri.

  • La Ue prepara un piano e stanzia oltre un miliardo per smistare gli afghani in arrivo

    Aiuti umanitari all’Afghanistan e assistenza finanziaria ai Paesi della regione per i profughi: il piano dell’Ue per allontanare il fantasma di una nuova crisi migratoria è delineato, ma ora occorre mettere in piedi l’impalcatura, convincere Iran e Pakistan per ora riluttanti ad accogliere, e trovare il denaro necessario per ‘compact’ tagliati su misura. Accordi che comunque saranno sulla falsariga di quanto già fatto con la Turchia per i richiedenti asilo siriani, nel 2016. Sul tavolo ci sono almeno 1,1 miliardi di euro.

    Le cifre note per il momento sono i 200 milioni di euro di aiuti umanitari annunciati dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla fine di agosto, che dovranno affluire attraverso le organizzazioni non governative ed il sistema delle Nazioni Unite. Ma a questi si aggiungono almeno 600 milioni di euro per l’Afghanistan, accantonati ad inizio anno sotto Ndici, lo strumento per il finanziamento delle politiche di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, per il periodo 2021-2025. Risorse che ora si pensa di ridistribuire in modo massiccio ai Paesi del vicinato per aumentare le capacità di accoglienza, passando da un approccio bilaterale Ue-Afghanistan ad una strategia regionale che includa Pakistan e Iran, ma con l’aggiunta di ulteriori aiuti, ancora tutti da quantificare. Anche perché il 10% dei 79,5 miliardi di Ndici è riservato alla priorità della gestione delle migrazioni, e proprio da qui dovrà arrivare anche buona parte dei 3,5 miliardi per rinnovare l’intesa con Ankara sui richiedenti asilo. Al conto si potrebbero poi aggiungere i 300 milioni di euro per i 30mila reinsediamenti di profughi che Bruxelles conta di fare fino al 2022, totalizzando così fino ad 1,1 miliardi di euro. Ma anche nel caso dei 300 milioni occorre ricordare che la cifra è generale, non dedicata nello specifico ai profughi afghani, e anche in questo caso destinata probabilmente a lievitare.

    Riuniti il 31 agosto dalla commissaria europea agli Interni, Ylva Johansson per discutere della questione dei rifugiati e dei fuggitivi afghani, i ministri degli Interni dei 27 Paesi dell’Ue hanno convenuto, come ha spiegato la stessa commissaria, che occorre ” evitare una crisi umanitaria per evitare una crisi migratoria: dobbiamo aiutare gli afghani in Afghanistan. Ci sono persone sfollate internamente che hanno cominciato già a rientrare nelle proprie case”. Della questione, la commissaria ha parlato anche col segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e col segretario americano alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas. “L’Un Women sostiene ad esempio case sicure per le donne, ci sono tante cose che noi possiamo sostenere in Afghanistan e dovremmo farlo. Così come dobbiamo sostenere i Paesi confinanti che finora non hanno visto grandi movimenti di afghani ma questo potrebbe cambiare”, ha detto ancora la Johansson. “Dobbiamo anche dare protezione alle persone che hanno immediato bisogno di protezione internazionale, diversi Stati membri hanno già evacuato donne procuratrici, attiviste per i diritti umani, giornalisti, autori, e altri che sono in pericolo immediato”, ha evidenziato. “Dobbiamo prevenire che le persone si inseriscano nelle rotte dei trafficanti verso l’Unione europea lavorando con le persone in Afghanistan, nei Paesi confinanti. Ma dobbiamo prevenire le rotte irregolari. Sono per il 90% uomini quelli che prendono queste rotte invece noi dobbiamo dare protezione ai vulnerabili, donne e ragazze”, ha aggiunto Johansson.

    Il medesimo concetto è stato esposto molto chiaramente anche nelle dichiarazioni conclusive approvate dai ministri: “L’Ue e i suoi Stati membri sono determinati ad agire congiuntamente per prevenire il ripetersi di movimenti migratori illegali su larga scala incontrollati affrontati in passato, preparando una risposta coordinata e ordinata”, si legge nel documento. “Si dovrebbero evitare incentivi all’immigrazione irregolare”. E per farlo “l’Ue dovrebbe rafforzare il sostegno ai Paesi dell’immediato vicinato dell’Afghanistan per garantire che coloro che ne hanno bisogno ricevano un’adeguata protezione principalmente nella regione”. La parola d’ordine è “non deve ripetersi uno scenario del 2015”, in cui centinaia di migliaia di persone hanno preso la rotta per l’Ue.  “La necessità di una comunicazione esterna ma anche interna unificata e coordinata è fondamentale” e “dovrebbero essere lanciate campagne informative mirate per combattere le narrazioni utilizzate dai trafficanti, anche nell’ambiente online, che incoraggiano le persone a intraprendere viaggi pericolosi e illegali verso l’Europa”, si legge nel documento.

    La linea era stata anticipata dai ministri di Austria, Danimarca e Repubblica Ceca al loro arrivo alla riunione: “Siamo disponibili ad aiutare gli afghani ma devono restare nella regione”, avevano dichiarato. E i ministri dell’Ue per evitare “pull factor” non hanno voluto fornire numeri sulla disponibilità di reinsediamenti, nonostante la volontà di diversi Stati membri ad aumentarli.

    Oltre che dal forum di alto livello a cui sta lavorando la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, la gestione dei rifugiati afghani passa per l’impegno del premier Mario Draghi e del presidente francese Emmanuel Macron, che si sono visti a inizio settembre a Marsiglia. L’asse tra Roma e Parigi appare infatti come la nuova leadership in grado di trainare l’Unione dopo l’uscita di scena della cancelliera Angela Merkel. Alla vigilia dell’incontro con Macron Draghi ha parlato anche col segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, soffermandosi sugli ultimi sviluppi della crisi afghana, con approfondimenti sulle prospettive dell’azione della comunità internazionale nei diversi fori, incluso il G20, convenendo sul ruolo centrale che l’Onu può svolgere in relazione soprattutto all’assistenza umanitaria.

    I contatti sono stati frenetici anche a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Solo per fare alcuni esempi, l’Alto rappresentante Josep Borrell ha sentito i ministri degli Esteri pakistano e iraniano. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato col premier di Islamabad, Imran Khan. Mentre il capo della diplomazia tedesca Heiko Maas ha incontrato l’omologo pakistano Shah Mahmood Qureshi e lo stesso ha fatto il giorno dopo la ministra olandese Sigrid Kaag.

    Occorre fare presto. Secondo il Financial Times infatti l’Afghanistan è prossimo al collasso finanziario. I prezzi dei beni di prima necessità come farina, olio e carburante sono schizzati alle stelle, e gli stipendi non vengono più pagati. Le code di fronte alle banche e agli sportelli automatici per prelevare pochi spiccioli si fanno di giorno in giorno più lunghe. E senza sbocco sul mare e dipendente dalle importazioni, il Paese è tagliato fuori dal mondo: i suoi confini sono per lo più chiusi ed i talebani non sono in grado di accedere a circa 9 miliardi di dollari di riserve di valuta estera congelate. I donatori, inclusi gli Stati Uniti, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno interrotto i finanziamenti, in uno Stato dove gli aiuti esteri rappresentano oltre il 40% del prodotto interno lordo.

  • Apparenze che ingannano

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Madre Teresa

    L’attenzione pubblica, politica e mediatica continua ad essere focalizzata su quello che sta accadendo in Afghanistan. Anche la settimana appena passata è stata carica di avvenimenti e di sviluppi a livello locale ed internazionale. I talebani avrebbero preso il controllo del territorio. Compresa anche la Valle di Panshir, l’ultima provincia dove continuava la resistenza del Fronte della resistenza nazionale afghana. Proprio oggi, 6 settembre, riferendosi a questa pretesa vittoria, il portavoce dei talebani ha dichiarato che “…con questa vittoria il nostro Paese è completamente libero”. Non ha tardato però neanche la contestazione di questa notizia da parte dei diretti interessati: “…Le forze del Fronte nazionale della resistenza sono presenti in tutte le posizioni strategiche in tutta la valle per continuare a combattere  […] Garantiamo al popolo afghano che la lotta contro i talebani e i loro alleati continuerà fino a quando non prevarranno giustizia e libertà”. Ma comunque sia, la vera realtà si verrà a sapere presto. Il portavoce ufficiale dei talebani ha di nuovo ripetuto l’annuncio che, a breve, in Afghanistan i talebani costituiranno il loro “governo islamico e responsabile”. Un nuovo governo che sarebbe “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. Sempre secondo fonti mediatiche risulterebbe che l’Afghanistan potrebbe adottare una organizzazione statale tale che il Paese non sarebbe né una repubblica e né un emirato. Il nuovo governo talebano avrebbe due “anime”: una religiosa e una politica. In qualche modo si tratterebbe di un modello, in chiave sunnita, simile a quello adottato in Iran dopo la rivoluzione del 1979, guidata dall’Ayatollah Khomeyni. In più oggi, 6 settembre, il portavoce dei talebani ha dichiarato che ”…i talebani vogliono buoni rapporti con il mondo”. Da precedenti dichiarazioni ufficiali e da fonti mediatiche si era venuto a sapere che i talebani stavano attuando una nuova “strategia” politica e diplomatica. Loro hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che hanno rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso. E come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza. Il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore su delle similitudini tra quanto era accaduto e sta accadendo in Afghanistan e in Albania. Ma erano soltanto alcune delle molte altre, ben evidenziate, somiglianze. Somiglianze caratteriali tra le persone che hanno avuto ed hanno delle responsabilità istituzionali e governative. Ma anche somiglianze nelle “strategie dell’esportazione della democrazia” adottate ed attuate dagli Stati Uniti d’America sia in Afghanistan che in Albania (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021).

    La scorsa settimana in Albania il primo ministro ha annunciato la composizione del suo nuovo governo, il terzo, dopo la “vittoria” elettorale nelle elezioni del 25 aprile scorso. Il nostro lettore è stato informato, con la dovuta oggettività e a più riprese dall’autore di queste righe, sia prima che dopo quelle elezioni, della “strategia vincente” del primo ministro, in stretta collaborazione con la criminalità organizzata. “Strategia” che ha funzionato anche perché, guarda caso, i “rappresentanti internazionali”, presenti e molto attivi in Albania, compresi quelli statunitensi, non hanno visto, sentito e capito nulla di tutto quello che da mesi stava accadendo! Ebbene, giovedì scorso il primo ministro albanese ha ufficialmente comunicato la composizione del suo terzo governo. Ci saranno, oltre a lui e al suo vice, quindici ministri. Ci saranno soltanto tre ministri uomini, dando così a dodici donne altrettanti ministeri. E questa è l’unica somiglianza mancata con il nuovo governo afghano, la cui costituzione è stata annunciata la scorsa settimana e sarà attuata nei prossimi giorni. Una sola differenza che ha a che fare con delle diverse realtà nei rispettivi Paesi. Almeno i dirigenti afghani, però, nonostante stiano cercando di apparire diversi da quelli che erano nel 2001, non nascondono la loro mentalità fondamentalista. Mentre la scelta di apparire del primo ministro albanese si basa sulla “mentalità aperta” occidentale. Ma, fatti accaduti, documentati e testimoniati alla mano, dimostrerebbero, senza equivoci, che si tratta semplicemente di una ingannatrice apparenza. Sono e rimangono purtroppo, sempre gli stessi, sia i dirigenti talebani, che il primo ministro albanese. Nonostante le apparenze e nonostante quello che stanno cercando di fare sembrare. Sono gli stessi e/o i discendenti dei talebani che il 12 marzo del 2001 hanno barbaramente distrutto due statue colossali di Buddha, scolpite nella roccia tra il III e il V secolo nella valle di Bamiyan in Afghanistan. Ed è lo stesso primo ministro albanese che finalmente ha messo in atto un suo progetto che durava da circa venti anni. Proprio lui ha ordinato la barbara e talebana distruzione dell’edificio del Teatro Nazionale in pienissimo centro di Tirana. Una distruzione attuata vigliaccamente nelle primissime ore del 17 maggio 2020 e in pieno regime di chiusura dovuta alla pandemia da coronavirus. Il nostro lettore è stato, come sempre, informato a tempo debito di questo atto vandalico e molto significativo. In quanto alla massiccia presenza femminile nel nuovo governo albanese, tutti sanno che si tratta semplicemente di una scelta di facciata, di una “novità” mediatica e propagandistica. Perché in Albania, fatti pubblicamente noti alla mano, è convinzione diffusa che si tratta delle “marionette” manipolate dallo stesso ed unico “puparo”: il primo ministro albanese. Mentre i membri maschi del nuovo governo, tutti, primo ministro compreso, sono delle persone coinvolte in diversi scandali documentati e pubblicamente noti. In tutti i Paesi normali e democratici loro sarebbero finiti sotto inchieste giudiziarie. E ci sarebbero state tante inchieste. Veramente tante! Ma siccome il sistema “riformato” della giustizia, anche con il “beneplacito e la benedizione” dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania, è sotto il diretto controllo personale del primo ministro, e tramite lui, anche di certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali, niente di tutto ciò è accaduto e potrà accadere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il primo ministro albanese si era “offerto” tra i primi, dopo il 15 agosto scorso, ad ospitare i profughi afghani. Tutto semplicemente per pura campagna propagandistica e mediatica. Perché il governo albanese, insieme con altri governi, in diverse parti del mondo, era stato contattato, alcuni mesi fa, dall’amministrazione statunitense per la sistemazione provvisoria dei profughi. Una “mossa” propagandistica quella del primo ministro albanese che ha permesso a lui di essere intervistato da diversi media internazionali. Ed era proprio quello su cui lui puntava: rendersi “mediaticamente visibile” (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021). Ma anche durante le sue interviste il primo ministro albanese ha consapevolmente mentito, mentito ed ingannato, deformando volutamente le verità storiche, per rendere le sue dichiarazioni “impressionanti” e fare colpo. Sempre cercando di mettere in evidenza il suo essere “umanitario”, la sua “magnanimità” e la sua “compassione”, ha mentito anche quando si riferiva, per esempio, agli ebrei in Albania. Proprio quegli ebrei che sono stati nascosti e protetti per non essere presi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale in Albania. Il primo ministro, chissà perché, quegli atti di grande coraggio e di abnegazione dei semplici cittadini albanesi, che hanno messo in grande pericolo se stessi a le loro famiglie, li compara con quanto lui sta facendo in queste ultime settimane per accogliere dei profughi afghani! Quelle difficili e sofferte decisioni allora, durante la seconda guerra mondiale, sono state prese dai singoli cittadini, spinti da rispettabilissimi e molto apprezzabili sentimenti umani. Quelle decisioni non sono state prese perché richieste e/o ordinate dal primo ministro o il governo di allora. Mentre le decisioni di accogliere i profughi afghani il primo ministro albanese le ha prese personalmente, senza consultare le altre istituzioni, come previsto dalla Costituzione e dalle leggi in vigore. Si tratta di decisioni prese in totale mancanza della dovuta ed obbligata trasparenza. Tutto semplicemente per diventare, lui stesso e soltanto lui, attrattivo e visibile mediaticamente!!!

    Il primo ministro albanese mente consapevolmente anche quando dichiara che l’Albania non sta prendendo finanziamenti per la sistemazione dei profughi. Mente spudoratamente! Sono tanti i dati e i fatti che lo testimonierebbero. Lo dimostra palesemente anche una dichiarazione, alcuni giorni fa, del presidente francese Macron. Parlando dei flussi dei profughi afghani, lui ha detto: “…cosa dobbiamo fare noi quando gli Stati Uniti evacuano gli afghani, che poi dopo sono stati spostati in Albania, o in altri paesi, dietro pagamento?”! Invece il primo ministro albanese, alcuni giorni fa, riferendosi a dei pagamenti, dichiarava ad un media internazionale che “…noi ci stiamo appoggiando soltanto a delle persone con un cuore ricco”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto, anche in questo caso, tanti altri argomenti da trattare. Con tutta probabilità lo farà nelle prossime settimane, altri attesi sviluppi politici permettendo. Egli però ricorda al nostro lettore che l’inizio di settembre segna anche due date importanti riguardo la Santa Madre Teresa. Il 4 settembre 2016 rappresenta il giorno della sua santificazione, mentre il 5 settembre 1997 rappresenta il giorno in cui la Madre ci ha lasciati. Essendo anche lei albanese, che sia la vita della Santa Madre un esempio da seguire nella sua patria d’origine. Purtroppo però, gli usurpatori del potere e delle istituzioni in Albania useranno il nome della Santa semplicemente per demagogia, per delle apparenze che ingannano. Come sempre! Si perché, come era convinta madre Teresa, “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania

    Esistono delle menzogne così vergognose, da provare

    maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

    Jacques Deval

    Era il settembre del 2015 quando l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”. Riferendosi ad un’intervista rilasciata in quel periodo dall’allora ministro tedesco degli Interni, che evidenziava il grande flusso dei richiedenti asilo provenienti dall’Albania, l’autore di queste righe sottolineava che “…Quello che, però, colpisce è che gli albanesi vengono secondi solo ai siriani! E bisogna tenere presente che la popolazione albanese è di circa 3 milioni di abitanti, mentre quella siriana, secondo il World Population Review per il 2015, è di circa 22 milioni di abitanti!”. Evidenziando, però, anche che “…Mentre in Siria ed altri paesi confinanti si combatte e si muore quotidianamente, in Albania non succede lo stesso”. Tutto ciò mentre nel periodo 2010 – 2013, dati ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate alla mano, risultava che “…i cittadini albanesi erano i penultimi o gli ultimi, come richiedenti asilo in Germania, e sempre con cifre di alcune centinaia”! Bisogna sottolineare che dopo le elezioni politiche del 23 giugno 2013 in Albania, l’attuale primo ministro ha vinto il suo primo mandato governativo. Sono bastati soltanto due anni di malgoverno per costringere gli albanesi a scappare e chiedere asilo. Come i siriani, gli afgani ed altri che scappavano però dalle guerre ed altre atrocità. Questo fenomeno ha attirato in quel periodo anche l’attenzione dei media internazionali. Riferendosi allora ad uno di quei media che aveva trattato l’argomento, l’autore di queste righe citava: “… Questo dimostra che l’Albania, soprattutto nelle aree rurali, è colpita da una profonda crisi socio-economica. I cittadini di tutte le età e categorie socio-professionali abbandonano il Paese, senza sapere, in realtà, dove andranno e cosa faranno. I principali responsabili sono i politici, i quali tentano di sdrammatizzare la situazione agli occhi del mondo con una leggerezza inquietante. Politici senza esperienza, che occupano posti chiave, abusano con il dovere, rubano i fondi pubblici, con un passato legato al crimine, senza essere capaci di rianimare l’economia, che prendono in giro i cittadini durante le campagne elettorali, stanno portando l’Albania verso il fallimento” (Accade in Albania; 7 settembre 2015).

    Purtroppo, da allora, e cioè dal 2015, il flusso dei richiedenti asilo in Europa e provenienti dall’Albania continua. Si calcola che dal 2015 ad oggi i richiedenti asilo albanesi siano circa un sesto dell’intera popolazione. Il che rappresenta un serio e preoccupante problema: l’allarmante spopolamento dell’Albania. Ma il flusso dei richiedenti asilo albanesi da anni è diventato un serio problema anche per diversi Paesi europei. Tant’è vero che ormai si è inserita in una delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania prima di aprire i negoziati come Paese candidato all’adesione nell’Unioine europea. L’autore di queste righe ha informato spesso il nostro lettore di questa preoccupante ed insopportabile realtà per centinaia di migliaia di cittadini albanesi. Realtà causata dal consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis. Una dittatura gestita dal potere politico in connivenza con la criminalità organizzata ed alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. L’autore di queste righe ribadisce spesso questa sua convinzione. Ma non è soltanto lui che è convinto di tutto ciò. E non solo in Albania.

    Venerdì scorso a Scilla, provincia di Reggio Calabria, la Fondazione Magna Grecia ha aperto i lavori dell’evento “La narrazione del Sud”. Durante le due serate dell’attività hanno partecipato il magistrato Nicola Gratteri, l’esperto di mafia Antonio Nicaso e lo scienziato Robert Gallo. Come ha ribadito anche il presidente della Fondazione Magna Grecia, quella scelta non era un caso perché “…parleremo di due settori importanti come la legalità e la sanità. Per la legalità non ci può essere ospite migliore del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che da decenni ha messo la propria vita a disposizione degli altri. Chi come lui mette a disposizione della collettività la propria vita, la propria famiglia e la propria libertà deve essere emulato dai giovani, che devono imitare questi esempi positivi, sia qui che all’estero […] Per la sanità, invece, durante la seconda serata avremo lo scienziato Robert Gallo….”. Durante il suo intervento Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, ha ribadito che da almeno tre anni dice “che in Europa c’è una mafia emergente, quella albanese. L’Albania è un Pese corrotto, dove è facile corrompere i funzionari pubblici. Se poi esco dall’Albania e ho già un potere economico riesco a rafforzarmi come mafia internazionale”. Una diretta accusa quella del procuratore Gratteri, il quale, a più riprese, ha ribadito ed evidenziato una simile e preoccupante realtà. Realtà che da anni sta preoccupando molto e non solo in Albania. Realtà che è stata seriamente presa in considerazione da vari Paesi europei e ha trovato espressione anche in alcune delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania.

    Da più di due settimane ormai l’attenzione dell’opinione pubblica, mediatica e politica, a livello internazionale, è stata giustamente e doverosamente focalizzata su quanto è accaduto e sta accadendo in Afghanistan. Soprattutto dopo la caduta di Kabul sotto il controllo dei talebani. Durante questi giorni, si stanno evidenziando anche le dirette responsabilità di una simile, drammatica e sofferta situazione. Sono state tante le opinioni espresse, gli articoli scritti, le analisi dettagliate e i dibattiti svolti. Ed è soltanto l’inizio. Ma ormai uno dei grandi problemi da risolvere rimane quello umanitario. Sono tante le persone che sono riuscite a scappare da quella drammatica e pericolosa realtà tramite i voli organizzati da diversi Paesi. Come purtroppo sono tante, tantissime le persone che non riusciranno ad avere la stessa fortuna, visto che tra due giorni i talebani dovrebbero prendere il controllo dell’aeroporto di Kabul. Le immagini trasmesse dai media sono molto significative ed eloquenti.

    Ad accogliere quei profughi si sono offerti diversi Paesi, così come altri ne hanno posto delle condizioni o, addirittura, hanno negato l’ospitalità. E guarda caso, tra i primi che si è offerto ad ospitare i profughi provenienti dall’Afghanistan è stato il primo ministro albanese. Proprio lui, che è il diretto responsabile, almeno istituzionalmente, del continuo, crescente e preoccupante flusso, tuttora in corso, dei cittadini albanesi verso i Paesi europei. Proprio lui, il primo ministro albanese, che si offre ad ospitare i profughi che scappano dall’inferno in Afghanistan ma che è il diretto responsabile dell’inferno creato per gli albanesi nella loro madrepatria! Proprio lui che ancora non ha mantenuto, tra le tantissime altre, neanche le promesse pubblicamente fatte dopo il terremoto del novembre 2019 e non ha rispettato gli obblighi istituzionali verso migliaia di cittadini albanesi che da quel terremoto hanno perso tutto. Hanno perso delle persone care e tuttora vivono in condizioni misere, con sopra le teste soltanto dei teloni malandati e con pochissimi mezzi di sopravvivenza. Ma il primo ministro ha ormai da tempo dimenticato le sue bugie e promesse fatte ai terremotati. Dal 15 agosto scorso lui si è “offerto” ad ospitare gli afgani in Albania. Lo ha fatto senza contattare e consultare nessuno, come è istituzionalmente obbligato. Ma lo ha fatto, soprattutto, come suo solito, e cioè senza la minima e dovuta trasparenza in questo caso. Lo ha fatto soltanto e semplicemente per “creare un diversivo” e spostare l’attenzione pubblica e mediatica in Albania da tantissimi preoccupanti problemi, da tanti scandali che si sovrappongono quotidianamente. Lo ha fatto cercando ed ottenendo anche l’attenzione mediatica internazionale. Chissà come però?!

    Chi scrive queste righe continuerà ad informare in nostro lettore delle messinscene mediatiche del primo ministro albanese riguardo l’ospitalità offerta ai profughi afgani, le ragioni per le quali lo sta facendo e tanto altro. Come tratterà anche il ruolo dei “rappresentanti internazionali” in Albania. Soprattutto quello dei rappresentanti diplomatici statunitensi. Quanto è accaduto durante questi venti anni e, soprattutto, quello che è accaduto e sta accadendo da qualche settimana in Afghanistan, hanno evidenziato molte cose. Sono fatti che rafforzano la convinzione ormai espressa dall’autore di queste righe, anche per il nostro lettore, sulle conseguenze della “strategia dell’esportazione della democrazia” adottata ed attuata in Albania dai rappresentanti statunitensi. Per il momento egli si è limitato a mettere in evidenza soltanto alcune delle tante similitudini tra l’Afghanistan e l’Albania. Mentre, riferendosi alle continue bugie ed inganni del primo ministro albanese, si potrebbe dire quello che pensava Jacques Deval. E cioè che esistono delle menzogne così vergognose, da provare maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

  • Scappare è vergogna ma salva la vita

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono pubblicato sul Quotidiano La Sicilia del 21 agosto 2021

    Questo antico detto siciliano è la perfetta sintesi di ciò che sta accadendo In Afghanistan, dove non siamo in presenza di una guerra perduta onorevolmente, ma, come nel 1975, ad una fuga disordinata e all’avallo di fatto del genocidio di milioni di persone lascate in balia dei sanguinari e vendicativi vincitori. Ma di chi la colpa?

    Non c’è dubbio che la colpa principale sia di Trump e chi lo difende dovrebbe avere il pudore di ricordarsi che è stato lui a disporre la liberazione del Mullah Abdul Ghani Baradar, già numero due dei Talebani, vice del defunto capo storico Mullah Omar, dalle carceri Pachistane nel 2018, dove stava da otto anni, per farlo tornare a guidare il suo movimento estremista nelle trattative di pace di Doha.

    E’ stato sempre Trump, ha sollecitare la conclusione delle trattative, affinché si arrivasse in tempo per il novembre 2020 ad utilizzarle per la sua rielezione a presidente degli USA e, per questo motivo, di accettare di chiudere l’accordo con la sola fissazione di due oscene condizioni e cioè che i Talebani si impegnassero a non attaccare più le forze americane ed alleate fino al loro definitivo rientro, e che si impegnassero a non dare più asilo ad organizzazioni terroristiche islamiche.

    Nient’altro. Quindi avrebbero potuto, come hanno fatto, attaccare le forze afgane che, nel frattempo tutti sapevano che da sole non avrebbero resistito.

    Dunque se è evidente che Trump avesse solo un interesse personale elettorale, peccato che poi ha ugualmente perso le elezioni per la scellerata gestione della pandemia e che ha del tutto ignorato la sorte dei collaboratori Afgani, ciò nondimeno Biden sapeva che sarebbe finita male e probabilmente, con un po’ più di coraggio, avrebbe potuto mettere le cose in modo tale da organizzare per tempo un esodo, almeno dei soggetti più esposti, ed evitare agli USA la ripetizione della tragedia dell’abbandono degli alleati al loro destino, con conseguente grave perdita di credibilità come alleato fedele e affidabile.

    Ma Biden, altrettanto egoisticamente, si è solo preoccupato di non dare agli americani la sensazione di volere prolungare la permanenza in Afghanistan.

    E invece questo massacro annunciato doveva essere evitato dagli USA in primo luogo e da tutte le altre potenze europee, così come appare insopportabile il silenzio di chi non perde occasione per sostenere le politiche di accoglienza  dei migranti di ogni genere e che davanti a questa tragedia non parla, facendo finta di ignorare che la più importante e umana prova di solidarietà, oltre che obbligo morale e giuridico perché imposto dalla legge, è l’accoglienza e l’assistenza  dei rifugiati e dei profughi da zone di guerra, oltre che perseguitati per qualsiasi ragione dalle autorità dei propri paesi, a maggior ragione  se la colpa è di avere collaborato con chi senza vergogna li abbandona

    Ma la vera morale di questa vicenda è che gli USA non amano perdere, anche se le sconfitte sono frutto dei loro stessi errori e, quando decidono di chiudere una partita in perdita, lo fanno a velocità supersonica e senza guardarsi indietro.

    Dopo il Vietnam, gli USA hanno capito come sia difficile riconquistare la fiducia di alleati alla luce delle conseguenze dei loro egoistici comportamenti.

    Ma la storia, con la caduta dell’URSS, ha dato loro la possibilità di quasi 20 anni di dominio incontrastato nel mondo, come unica super potenza mondiale.

    Ma da oltre un decennio non è più esattamente così e l’epilogo tragico dell’Afghanistan potrebbe costare caro in futuro agli USA, essendoci altre due super potenze concorrenti e alla ricerca famelica di nuovi alleati.

    Ma che mondo sarebbe quello governato dai tre imperi, in concorrenza perenne tra loro e con i singoli Paesi Europei costretti alla costante ricerca individuale di alleanze, da pagare a caro prezzo soprattutto in termini di cessione di sovranità?

    Ecco perché il sovranismo interpretato in chiave nazionalista è un errore. E perché soprattutto i popoli europei dovrebbero stare attenti alla assoluta ed indifferibile necessità di dare vita ad una Federazione degli Stati Uniti d’Europa, per superare l’inadeguatezza strutturale oltre che politica dell’Unione Europea, con cui mettere finalmente insieme economie e potenza militare, per edificare la quarta super potenza mondiale e ridare al vecchio continente il ruolo che gli spetta nel mondo.

    Restare con l’attuale status quo è rimanere in balia degli eventi, dei desiderata e dei calcoli di interesse delle superpotenze e personali dei loro Presidenti, con il rischio che, come nell’Italia preunitaria, agli Stati Europei non resterebbe che diventare il prossimo terreno di scontro dei tre grandi, per il dominio delle loro ricchezze, perché nessun Paese dell’Unione, restando da solo sarebbe in grado di difendersi.

    Il futuro è sovranista solo nella dimensione federale dei 27 Paesi che attualmente compongono l’Unione, o di chi tra questi ci vuole stare, in condizione di assoluta parità, perché in democrazia l’uguaglianza è garantita dal diritto di cittadinanza e, quindi, dal diritto di voto ad eleggere il governo, preferibilmente Presidenziale e il Parlamento, creando finalmente quella unificazione dei popoli europei che senza una visione federale, rischia solo di essere una inutile ed ingannevole utopia.

    Già sottosegretario per i BB.AA.CC.

  • Afghanistan e i corsi e ricorsi storici

    Nella primavera di 20 anni fa il comandante Massoud, con incontri anche al Parlamento europeo, aveva invano chiesto all’Occidente le armi necessarie per combattere il Mullah Omar, i talebani e il loro alleato: l’organizzazione terrorista guidata da Bin Laden. Ovviamente non fu ascoltato nonostante gli si riconoscesse di essere non solo un eroe ed uno stratega militare ma anche un uomo politico capace di far convivere l’Islam con le riforme. Massoud aveva progetti urbanistici, voleva che le donne non fossero più segregate ed umiliate, credeva che il suo paese dovesse essere libero ed indipendente dal terrorismo come da certi signori della guerra che anche oggi, accordandosi con gli attuali talebani, controllano parti del territorio e della coltivazione dei papaveri. Il comandante fu ucciso il 9 settembre da due terroristi, provenienti da Bruxelles che, fintisi giornalisti, riuscirono ad ottenere un’intervista e si fecero esplodere davanti a lui. Due giorni dopo vi fu l’attacco alle due torri, il tragico 11 settembre che, di riflesso, cambierà anche le nostre vite.

    Vent’anni sono passati nei quali l’Occidente in Afghanistan ha speso molte vite, mezzi economici e militari per tentare di portare nel paese una parvenza di democrazia e legalità. Anche molti afgani sono morti negli attentati terroristici organizzati dai talebani mentre in tante città, non solo europee, l’Isis, il terrorismo, hanno distrutto altre centinaia di vite. Ora tutto è finito, si ritorna al passato, in molti muoiono tentando di fuggire da Kabul, molti sono giustiziati, imprigionati, torturati e le donne stanno subendo più di tutti il nuovo potere dei talebani. Vent’anni e ancora una volta un nome rappresenta, dalla valle del Panshir l’unica forma di resistenza, Massoud, il figlio dell’eroe che aveva costretto alla ritirata gli invasori sovietici, che bambino aveva visti partecipare al funerale del padre più di 100.000 persone, ha anche lui chiesto armi per difendere la propria gente, per dare una speranza di libertà all’Afghanistan. E nuovamente la risposta non c’è stata e le armi le hanno invece i talebani. La storia si ripete nella sua drammaticità e nel silenzio di quelle potenze i cui governi in parte ignorano proprio la storia ed in gran parte, per interessi geopolitici ed economici, sono disposti ad ogni indegna trattativa. Inutile nascondere la testa: in ballo ci sono interessi immensi dalle terre rare, presenti sul territorio, al commercio di droga ed armi, agli equilibri tra paesi imperialisti o che imperialisti vorrebbero diventare e non ultimo c’è il califfato, quello che è il sogno non solo di Erdogan. Le diverse etnie che compongono l’Afghanistan, uno stato nato circa 300 anni fa, hanno dimostrato più volte di non tollerare invadenze straniere sul loro territorio e, nello stesso tempo, di non riuscire, tra di loro, a trovare una strada per una convivenza civile nel rispetto dei più elementari diritti umani. Se a questo sommiamo la legge coranica interpretata in modo da schiavizzare intere popolazioni si capisce bene che seguire gli interessi economici porta su una strada diversa da quella che intraprende chi crede nel rispetto della vita e della libertà.

    Certamente se il giovane Massoud continuerà nella resistenza ai talebani ci saranno scontri sanguinosi ma la libertà ha sempre un prezzo e dovranno essere gli stessi afgani a decidere se vogliono diventare un popolo ed una nazione. Massoud potrebbe essere colui che può aiutare a riunificare le diverse etnie riunendo in se parte delle qualità di Cavour, Mazzini e Garibaldi ma l’Occidente saprà aiutarlo e l’Oriente lo consentirà?

  • Afghanistan: la beffa dei terroristi e dei talebani all’Occidente

    In Afghanistan diventano sempre più violenti e potenti i talebani mentre a Herat da giorni è in atto un vero conflitto a fuoco tra i sodati regolari e gli estremisti che continuano ad attaccarli e ad uccidere tutti coloro che, in qualche modo, hanno collaborato con gli occidentali. Era tutto prevedibile e previsto, come per altro avevamo detto appena fu annunciato il cosiddetto piano di pace voluto dagli Stati Uniti. L’accordo con le forze  militari e religiose eredi del mullah Omar era e resta impossibile, come impossibile era pensare di riportare in Afghanistan un minimo di democrazia e pace senza che prima  sul territorio rinascesse una forza simile a quella che era il comandante Massud. Il 9 settembre, pochi ricorderanno la sua uccisione per mano di terroristi provenienti, come in altri attacchi terroristici, da Bruxelles, pochi ricorderanno quanto inutilmente il comandante avesse richiesto l’aiuto dei paesi occidentali per impedire che l’Afghanistan precipitasse definitivamente nel terrore e nella barbarie riportando nuovamente indietro la storia. Molti ricorderanno invece l’11 settembre dello stesso anno, l’attacco agli Stati Uniti, la strage di innocenti cittadini ignari dell’ escalation di violenza e terrore che dal giorno della loro morte sarebbe cominciata in tutto il mondo. Sono passati 20 anni, sono state distrutte molte, moltissime vite e siamo punto e a capo, incapaci anche di salvare la vita a coloro che in Afghanistan hanno creduto in noi. Questa pace falsa, inesistente, è la nuova beffa che i terroristi ed i talebani hanno fatto all’Occidente e la nostra, purtroppo, consolidata ignavia condannerà di fatto a morte, ancora, coloro che avremmo dovuto salvare.

  • Pakistan says 4 soldiers killed in ambush by Afghan militants along border

    Four Pakistani soldiers were killed and six others were wounded along the Pakistan-Afghanistan border on Wednesday in an ambush by militants from Afghanistan, Pakistan’s military said, as the soldiers were doing controversial border fencing work.

    The soldiers were working on fencing along the border in Zhob district, an area of Pakistan’s Balochistan province, the military said in a statement. Zhob sits across from Afghanistan’s eastern Paktika province.

    Officials in Afghanistan did not immediately reply to a request for comment.

    Pakistan has said it is constructing a fence along its 2,500 km (1,500 mile) frontier with Afghanistan to secure the area, despite Kabul’s protests that the barrier would divide families and friends along the Pashtun tribal belt straddling the colonial-era Durand Line drawn up by the British in 1893.

    Security forces from the two countries occasionally exchange fire along the disputed border. In July 2020, at least 22 people were killed as crowds waited to enter Afghanistan from Pakistan at a border crossing, with both Pakistani and Afghan soldiers exchanging fire.

    In April a car bomb at a luxury hotel in the city of Quetta, the provincial capital of Balochistan, killed four people, in an attack later claimed by the Pakistani Taliban. China’s ambassador to Pakistan was staying at the hotel, but was not present during the attack.

  • Il Kazakistan fornisce aiuti umanitari all’Afghanistan

    Il Kazakistan ha fornito 46 carichi di aiuti umanitari al popolo afgano seguendo tutti gli standard sanitari ed epidemiologici. L’aiuto comprende 1900 tonnellate di farina, 500 tonnellate di pasta, 4.000 litri di olio di semi di girasole e 200.000 lattine di latte condensato, secondo una dichiarazione del servizio stampa del Ministero degli Esteri della repubblica caucasica.

    All’evento ufficiale hanno partecipato rappresentanti dell’amministrazione della provincia di Balkh in Afghanistan, il Ministero degli affari esteri afghano e l’Ambasciata del Kazakistan in Afghanistan. I prodotti alimentari saranno distribuiti dal governo tra le regioni bisognose del Paese.

  • Taliban in Kabul for prisoner exchange

    A three-member Taliban team has arrived in Kabul to begin a prisoner exchange process, agreed in the US-Taliban peace deal signed last month.

    The move is likely to kick-start talks between the group and negotiators named by the Afghan government to end the 18-year war. The US-Taliban deal also sets out an exchange of 6,000 prisoners held by the Afghan government and the group.

    “Our three-member technical team will help the process of prisoners’ release by identification of the prisoners, and their transportation”, a Taliban spokesman told the media on Tuesday, and added: “In this regard, they will do a kind of deal with the opposite side. Their practical work would start in coming days “.

    The Taliban had previously refused to speak to the Afghan government directly. The country’s president Ashraf Ghani has been locked in a feud with his main political rival Abdullah Abdullah. Ghani last week announced his 21-member team to negotiate peace with the Taliban, but Abdullah rejected it.

    The talks finally received a boost when the team was endorsed by Abdullah. “The formation of an inclusive negotiation team is an important step towards facilitating intra-Afghan negotiations”, Abdullah tweeted.

    US Secretary of State Mike Pompeo called the developments “good news”: “We’ve seen a team identified. Looks like it’s pretty inclusive, pretty broad. We’re happy about that”, Pompeo said.

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