Afghanistan

  • Accordo con gli Usa, i talebani aiutano Trump a ottenere un secondo mandato

    Donald Trump incassa un successo di politica estera prezioso per le elezioni presidenziali di novembre: la storica firma di un accordo di pace tra Stati Uniti e talebani getta le basi per riportare a casa le truppe Usa dall’Afghanistan e per mettere fine ad una guerra che dura da 19 anni, la più lunga della storia americana.

    Un’altra “promessa mantenuta”, può vantarsi il presidente, dopo i risultati finora incerti e in parte deludenti su altri fronti, dalla Corea del Nord all’Iran, dalla Siria al Medio Oriente. L’accordo è stato siglato in un hotel di Doha, sede dei negoziati da oltre un anno, dopo una settimana di “riduzione della violenza” concordata con Washington.

    Il segretario di Stato Mike Pompeo ha detto che l’intesa “crea le condizioni per  consentire agli afghani di determinare il loro futuro”, la comunità internazionale, dal segretario generale  dell’Onu Antonio Guterres alla Farnesina, dalla Nato alla Ue, plaude: “E’ un importante primo passo in avanti nel processo di pace, un’occasione da non perdere”, ha osservato l’Alto rappresentante Josep Borrell, auspicando “una soluzione politica che comprenda il rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne”.

    Mentre si svolgeva la cerimonia a Doha, il capo del Pentagono Mark Esper era a Kabul per una dichiarazione comune col governo afghano in cui gli Usa ribadiscono il loro impegno a continuare a finanziare e sostenere l’esercito dell’Afghanistan. Il segretario alla difesa Usa ha anche ammonito che se i talebani non onoreranno i loro impegni “gli Stati Uniti non esiteranno ad annullare l’accordo”.

    Quella firmata dall’inviato americano per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, e dal mullah Abdul Ghani Baradar, vicecapo dei talebani ed esponente dell’originario governo degli insorti, in effetti non è più che una sorta di roadmap soggetta a verifica. Gli Usa si impegnano a ritirare in 135 giorni circa 5000 dei 12mila soldati presenti e gli altri in 14 mesi, anche se resterà un contingente per combattere i gruppi terroristici. I talebani però dovranno rispettare i patti: dovranno rompere con tutte le organizzazioni terroristiche, a partire da quella Al-Qaeda che dopo l’11 settembre costrinse gli Usa ad invadere il Paese, e avviare dal 10 marzo negoziati con il governo afghano, finora escluso da ogni trattativa. L’obiettivo è quello di arrivare ad una tregua durevole e ad una intesa per la condivisione del potere. Ma non c’è alcun fermo impegno dei talebani a difendere i diritti civili e quelli delle donne, brutalmente repressi quando erano al potere e imponevano la sharia. Gli Usa hanno promesso anche di liberare 6000 prigionieri talebani prima dell’inizio dei colloqui tra le parti e la rimozione delle sanzioni.

    Alla vigilia della cerimonia i talebani avevano cantato vittoria: “Da questo storico hotel sarà annunciata la sconfitta dell’arroganza della Casa Bianca di fronte al turbante bianco”, aveva twittato il capo dei social dei guerriglieri postando una foto dello Sheraton. Ma Pompeo li ha invitati a moderare i toni: “So che ci sarà la tentazione di dichiarare vittoria ma essa potrà essere raggiunta solo se gli afghani potranno vivere in pace e prosperità”.

  • Taliban’s treatment of prisoners worries UN mission in Afghanistan

    After face-to-face interviews with 13 detainees who were freed from a Taliban detention facility by Afghan special forces troops on 25 April, the United Nations Assistance Mission in Afghanistan expressed deep concerns that the Islamist insurgent group is using its prisoners as slave labourers and bomb makers.

    The UN mission said the freed prisoners were held underground and forced to work at seven hours a day, including “making improvised explosive devices” for the Taliban that were used against Afghan and international coalition forces. Their report also said that the detainees were regularly held in sub-zero temperatures during winter and were forced to live on single rations of beans or bread and were repeatedly denied medical assistance or access to international aid groups, including the Red Crescent.

    The head of UN mission in Afghanistan, Tadamichi Yamamoto, who is also the UN Special Representative in Kabul, reiterated the mission’s concerns, saying, “I am gravely concerned about these serious allegations of ill-treatment, torture and unlawful killing of civilians and security personnel, as well as the deplorable conditions of detention”.

    The mission’s human rights chief, Richard Bennett, reminded Taliban leaders that “international humanitarian law, which is applicable to international and non-international armed conflicts, provides that every individual who does not take direct part in hostilities, or who have ceased to do so, must always be treated humanely”.

    The UN’s statement also included quoted the detainees as saying that the Taliban killed some of their captives “permanently shackled” all of those who were held in captivity.

    “They provided consistent accounts of the poor conditions in which they were held and credible claims of ill-treatment and torture, as well as the murder of civilians and security personnel. Multiple detainees reported the murder of at least 11 others by the Taliban,” the UN’s mission in Afghanistan said.

    The Taliban are a mostly ethnic Pashtun, Sunni fundamentalist movement that ruled Afghanistan from 1996-2001 following the decade-long Soviet occupation of the 1980s. After emerging as the main power base in most of the country following the devasting 1992-1996 Afghan Civil War, the Taliban, which was backed heavily by neighbouring Pakistan’s intelligence service – the ISI – ruled over most of the country through a radical form of Sharia law that was condemned internationally and resulted in the brutal treatment of many Afghans, especially women, as well as Afghanistan’s numerous sectarian and ethnic minorities.

    During their rule, the Taliban and their allies committed dozens of massacres against Afghan civilians, regularly impounded UN food supplies that were intended for starving communities and conducted scorched earth policy that included burning vast areas of fertile land and destroying tens of thousands of homes while at the same time cultivating the world’s largest opium trade.

    The Taliban became infamous for giving sanctuary to Salafist terror groups and provided shelter to Osama bin Laden and al-Qaeda, who later played a major role in the Taliban’s domestic policies while also planning dozens of terror attacks around the world.

    In 2001, only months before the 11 September attacks in the United States, the Taliban outraged the international community when it engaged in one of the worst acts of cultural genocide when it destroyed the famous 1500-year-old Buddhas of Bamiyan.

    Since being ousted by an American-led military coalition shortly after 11 September,  the Taliban has slowly regained control over large swathes of Afghanistan and is now in a position to force the Afghan government into peace talks. The group’s leaders, however, refuse to negotiate directly with the internationally-recognised and democratically-elected Afghan Government of Ashraf Ghani.

     

  • Un fiume di droga invade il mondo ed è allarme per il consumo di Fentanyl

    275 milioni di consumatori nel mondo nel 2016, vale a dire circa il 6% della popolazione mondiale, 31 di questi hanno subito gravi danni per la salute e 450.000 sono morti. Questi i dati sul consumo e gli effetti delle droghe secondo il  World Drug Report 2018, pubblicato a fine giugno, che non lasciano presagire niente di buono visto che, sempre secondo il report, nel 2017 la droga immessa sul mercato è aumentata del 65% rispetto all’anno precedente, pari a 10.500 tonnellate. Secondo la stima della UNODC, l’ufficio antidroga dell’Onu con sede a Vienna, si tratta del dato più alto mai registrato dall’inizio del 21esimo secolo.

    A guidare questa assai poco confortante classifica due paesi, l’Afghanistan e la Colombia: nel pese asiatico la coltivazione di papavero da oppio ha aumentato dell’87% la sua produzione, arrivando alla cifra di 9.000 tonnellate di hascisc e oppioidi mentre nello stato sudamericano la produzione di cocaina è arrivata nel 2016 a toccare l’inquietante cifra di 866 tonnellate. Alla base di questa sovrapproduzione, secondo l’ufficio dell’ONU, l’instabilità politica, la mancanza di controllo del governo e le scarse opportunità di attività economiche di riconversione delle colture, che hanno reso la popolazione rurale vulnerabile all’influenza dei grandi gruppi del narcotraffico. Fiumi di droga, ovunque nel mondo, con conseguenze pesanti per la salute e la vita, un flusso inarrestabile che scorre tra l’indifferenza o l’impotenza dei governi: quelli dei paesi produttori che non riescono ad arginare l’elevata produzione, quelli europei che assistono alla saturazione del mercato, quelli degli stati africani e asiatici in cui lo smercio trova il suo nuovo sbocco.  Un mercato senza regole, difficile da controllare e che fa girare enormi quantità di denaro.

    Ciò che però sta destando più preoccupazioni è la larga diffusione di nuovi oppioidi dalle caratteristiche devastanti, come il Fentanyl, dalle “proprietà” spaventose, che arriva dal narcotraffico. E’ un farmaco che si dovrebbe usare in medicina solo quando il paziente è intubato ma dai dati del World Drug Report 2018 il Fentanyl ha già provocato, nel solo 2016, 60mila morti. Più di quanti sono stati i caduti nella guerra del Vietnam, come si sottolinea nel report. L’uso del Fentanyl in maniera così massiccia e improvvisa ha costretto le autorità statunitensi a iniziare a prendere coscienza del nuovo fenomeno che colpisce principalmente la classe media. Alle gravi conseguenze, infatti, si deve aggiungere la mancanza di assicurazione medica, non prevista, per questo oppioide che rischia di rendere impossibili le cure per chi ne è vittima.

    E in casa nostra qual è la situazione? Secondo ADUC-Notiziario Droghe, dal 19/12/2017 al 09/07/2018
    sono stati sequestrati 110.500 kg di droghe leggere e 44.300 kg di droghe pesanti, tre i morti e 1.391 le persone arrestate. Nel periodo compreso tra il 30/12/16 e il 18/12/17 le droghe leggere sequestrate ammontano a 138.400 Kg, quelle pesanti a 61.850 kg, 46.600 le dosi di droghe sintetiche; le piante di cannabis rilevate 99.200, 11 i morti, 1.524 gli arresti. Stringendo il campo all’attualità, e cioè  alla settimana che va dal 3 al 9 luglio 2018, le droghe leggere sequestrate ammontano a  7400 Kg, quelle pesanti a 2100, 1800 le dosi di droghe sintetiche, 4.400 le piante di cannabis, 72 le persone arrestate.

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