Africa

  • Eni fa il pieno in Africa di materie prime per produrre biofuel in Italia

    Il Piano Mattei dà una spinta ai biofuel dell’Eni, che proprio in Africa avrà una fonte imprescindibile di materie prime per sviluppare i biocarburanti destinati alla decarbonizzazione dei trasporti.

    Il 17 maggio, riporta il Corriere della Sera, è stato dato l’annuncio del finanziamento, da 210 milioni di dollari, ricevuto per espandere la produzione e la lavorazione della controllata in Kenya da parte di due istituzioni: l’International Finance Corporation, l’agenzia della Banca Mondiale nata per promuovere lo sviluppo delle industrie private nei Paesi in via di sviluppo, e il Fondo Italiano per il Clima del governo italiano gestito da Cdp e creato per finanziare progetti che contribuiscono a raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali. Il prestito consentirà di aumentare sia la produzione di materie prime avanzate (agrifeedstock) coltivate in Kenya sia la capacità di lavorazione attraverso la costruzione di nuovi impianti di spremitura. La produzione di semi oleaginosi, che è la materia prima principale, dovrebbe aumentare da 44mila tonnellate all’anno a 500mila tonnellate nei prossimi anni.

    Il progetto sarà replicato in altri Paesi tra cui Angola, Congo, Costa d’Avorio, Mozambico, Ruanda, Kazakistan e Vietnam, che sta già dando parte della materia prima. L’obiettivo di Eni è creare una filiera integrata in grado di offrire oltre settecentomila tonnellate l’anno di olio vegetale nel 2027, che corrisponderanno a oltre il 35% del feedstock processato nelle bioraffinerie italiane. L’attività di lavorazione si svolgerà delle materie prime in Italia nelle raffinerie petrolifere che Eni ha riconvertito o sta riconvertendo. Gela sarà operativo entro fine anno, Venezia dall’anno prossimo.

    Le prospettive sono rosee, forse anche troppo, tanto che si ipotizza un eccesso di domanda rispetto all’offerta. In uno scenario di zero emissioni nette entro il 2050, si prevede che l’uso di biocarburanti nei trasporti raddoppierà, raggiungendo il 9% entro il 2030.

  • La Cina cede due ferrovie a Etiopia, Gibuti e Kenya, la Germania privatizza per rinnovarle

    Il governo della Cina sta cedendo il controllo di due importanti linee ferroviarie africane, realizzate nell’ambito della Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri), ai governi di Etiopia, Gibuti e Kenya. La prima ferrovia ad essere stata ceduta di recente è stata quella tra Etiopia e Gibuti, lunga complessivamente 752 chilometri. Secondo quanto riportato dal quotidiano edito a Hong Kong “South China Morning Post”, gli operatori cinesi hanno rinunciato all’infrastruttura dopo sei anni di attività, così come avrebbero fatto in Kenya, dove oltre il 90 per cento delle operazioni della ferrovia a scartamento standard Mombasa-Nairobi sono state trasferite da China Road and Bridge Corporation (Crbc) alla statale Kenya Railways Corporation (Krc). In vista delle cessioni, le aziende cinesi coinvolte nei progetti Bri stanno formando migliaia di lavoratori in tutta l’Africa, in quello che viene considerato dagli osservatori come un tentativo di Pechino di esportare il suo modello di sviluppo.

    Nel vecchio continente invece lo Stato tedesco, attraverso la banca pubblica Kfw, ha ricavato 2,43 miliardi di euro vendendo azioni della società di telefonia Telekom e vuole investire il denaro nel rinnovamento della rete ferroviaria.

    “Con il ricavato netto lo Stato tedesco rafforzerà il capitale proprio della Deutsche Bahn Ag e amplierà in modo orientato al futuro l’infrastruttura ferroviaria in Germania”, ha dichiarato in una nota il ministero delle Finanze federale.

    La vendita delle azioni ridurrà la quota statale nella Telekom al 27,8 per cento ma, nonostante ciò, anche in futuro il governo federale continuerà ad essere il maggiore azionista dell’azienda.

  • Nel 2024 l’Africa avrà un Pil più grande del 3,7%

    La crescita media del Pil dell’Africa tornerà a crescere al 3,7% nel 2024 dopo aver conosciuto un rallentamento al 3,1% nel 2023, e aumenterà al 4,3 % nel 2025. È quanto emerge dall’Africa Economic Outlook 2024, presentato oggi a Nairobi in occasione della riunione annuale della Banca africana di sviluppo (Afdb). Analizzando i Paesi del Nord Africa, l’Egitto farà registrare quest’anno una crescita pari al 3,3%, in calo rispetto al 3,8 per cento del 2023, mentre la proiezione per il 2025 è di una crescita del 4,5% del Pil. L’Algeria, dopo una crescita pari al 4,2% nel 2023, rallenterà al 4% nel 2024 e al 3,7% nel 2025. Il Marocco, la cui economia è cresciuta del 3,2% nel 2023, crescerà del 3,5% nel 2024 e del 3,8 % nel 2025. Quanto all’area sub-sahariana, la prima economia africana – la Nigeria – crescerà quest’anno del 3,2%, in aumento rispetto al 2,9% del 2023, e conoscerà un ulteriore consolidamento al 3,4% nel 2025. Il Sudafrica, dopo aver conosciuto una crescita molto bassa lo scorso anno (0,6 per cento), quest’anno l’economia tornerà a crescere sopra l’1%(+1,3%) e nel 2025 si stima un aumento del Pil pari all’1,6%.

    Nonostante le sfide strutturali radicate e suscettibilità agli shock esogeni, la maggior parte delle economie africane ha mostrato una notevole resilienza, afferma il rapporto, sottolineando che negli ultimi quattro anni il continente ha dovuto fare i conti con molteplici shock esogeni, persistenti prezzi elevati di cibo ed energia a seguito degli effetti prolungati dell’invasione russa dell’Ucraina e delle altre tensioni geopolitiche, dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi. L’Africa rimane la seconda regione con la crescita più rapida al mondo dopo l’Asia. Secondo il rapporto, 41 Paesi africani cresceranno ad un ritmo più elevata nel 2024 rispetto al 2023 e si prevede che 15 di essi cresceranno di oltre il 5% nel 2024. Inoltre, dieci Paesi africani risultano essere tra le prime 20 economie a più rapida crescita al mondo, una tendenza in atto da oltre una decade. Ciò nonostante, prosegue il rapporto, numerose rimangono le sfide alla crescita africana, a partire dallo sviluppo ancora arretrato e da una crescita demografica troppo sviluppata per essere sostenuta da quella economica.

    Grazie al recupero del reddito disponibile eroso dall’inflazione, nel 2024 i consumi interni si manterranno in crescita posizionandosi sopra i livelli di spesa pre-Covid anche a prezzi costanti, dopo il pareggio del 2023. A trainare il recupero saranno i servizi (in particolare quelli legati alla socialità, come alberghi e ristoranti, cultura e spettacolo) e i beni durevoli per la mobilità, che si confermeranno in crescita vivace, dopo il punto di minimo toccato durante la pandemia. In sostanziale tenuta la spesa per beni alimentari, che a seguito dei recenti rincari continuerà a incidere in maniera rilevante sulla spesa complessiva per consumi nel 2024, e sui redditi delle famiglie, togliendo spazi di recupero ai consumi di abbigliamento e calzature, soprattutto per le famiglie meno abbienti. I beni durevoli per la casa (mobili, elettrodomestici), invece, risentiranno dell’effetto di sgonfiamento degli incentivi rivolti al comparto delle ristrutturazioni edilizie.

  • Outrage as Nigeria changes national anthem

    Some Nigerians have expressed outrage after the country’s national anthem was changed with little consultation.

    President Bola Tinubu on Wednesday signed into law the bill to revert to Nigeria’s old national anthem which was dropped by a military government in 1978.

    The newly re-adopted anthem, which begins “Nigeria, We Hail Thee,” was written by Lillian Jean Williams in 1959 which and composed by Frances Berda.

    Speaking on his first anniversary in office, President Tinubu said the anthem symbolised Nigeria’s diversity.

    But many have questioned his priorities amid the cost-of-living crisis.

    Reacting online, some Nigerians said the country had more pressing problems such as insecurity, rising inflation and a foreign exchange crisis.

    X user @Gospel_rxx posted: “A new national anthem is the priority for Tinubu & Co at a time like this, When our people can’t eat, insecurity is rife & life is hell? What a sordid joke!!. Lets see how they implement it…”

    Another X user Fola Folayan said it was shameful that parliament had rushed through the bill.

    “Changing the Nigerian national anthem written by a Nigerian, to the song written by colonizers is a stupid decision and it’s shameful that nobody in the National Assembly thought to stand against it.”

    Former Education Minister Oby Ezekwesili posted on X that she would never sing the new-old anthem.

    “Let it be known to all and sundry that I, Obiageli “Oby” Ezekwesili shall whenever asked to sing the Nigerian National Anthem [will] sing:”

    She then posted the words of “Arise O Compatriots” – the anthem which has been used for the past 46 years.

    Former presidential aide Bashir Ahmad had an interesting take as Nigerians continue to debate the issue on social media.

    “After the change of our national anthem, some people are now calling for the name Nigeria and the national flag to be changed as well. What do you think? Should we keep the name Nigeria?”

    But Tahir Mongunu, chairman of the parliamentary committee which pushed the bill through, dismissed the widespread criticism, saying it was “apt, timely and important”.

    “It will undoubtedly inspire a zeal for patriotism and cooperation. It will promote cultural heritage. Changing the national anthem will chart a path to greater unity,” Tahir said.

    And Kano resident Habu Shamsu agrees, telling the BBC: “I think it more encompassing and I like the way it flows.”

  • La Nato si esercita in Africa insieme ai suoi alleati locali

    Ha avuto inizio l’Esercitazione multinazionale African Lion 2024, organizzata dal Comando statunitense Southern European Task Force – Africa (Setaf-af) con sede a Vicenza su mandato del Comando Africa statunitense (Africom). African Lion 2024 si svolge contemporaneamente in Marocco, Ghana, Senegal e Tunisia, fino al 31 maggio, con oltre 7.100 partecipanti provenienti da oltre venti nazioni, compresi contingenti della Nato.

    Per la Difesa italiana partecipa l’Italian Joint Force Headquarters (Ita Jfhq), il Comando interforze a livello brigata estremamente flessibile, ad elevata prontezza operativa e caratterizzato da una connotazione proiettabile (anche in configurazione seabased). Posto alle dirette dipendenze del Comando operativo di vertice interforze (Covi), l’Ita Jfhq è deputato alla pianificazione e direzione di small scale operations e operazioni di evacuazione dei nostri connazionali all’estero in caso di necessità, così come avvenuto in conseguenza del rapido deterioramento della cornice securitaria in Afghanistan nell’agosto 2021, o a causa degli scontri armati in Sudan nell’aprile 2023 o subito dopo il colpo di stato in Niger, nel luglio dello stesso anno.

    L’obiettivo strategico di African Lion 2024 è quello di potenziare la capacità di interagire e interoperare con i partner africani ed europei con interessi in questo continente al fine di affrontare congiuntamente e con successo le sfide securitarie comuni. Il contributo dell’Ita Jfhq alla corrente edizione di African Lion è quello di simulare il Comando responsabile delle operazioni di evacuazione di civili da un’area di crisi in cui sono in corso delle ostilità, frattanto interessata da un terremoto che ha determinato l’adozione di un cessate il fuoco dalle parti per permettere lo svolgimento delle attività a supporto delle popolazioni coinvolte. Il Comando italiano, che dal 27 maggio si dispiegherà con le proprie capacità nei sedimi di Agadir e Tan Tan in Marocco fino al primo giugno, è supportato da reparti dell’Esercito (in particolare della Brigata “Granatieri di Sardegna” e dell’11esimo Reggimento Trasmissioni) e dell’Aeronautica militare (32esimo Aerostormo, 37esimo Aerostormo e 46esima Brigata Aerea).

    La partecipazione del Jfhq ad African Lion 2024 rappresenta un’importante opportunità per la Difesa per consolidare la già acclarata leadership nel contesto securitario euro-mediterraneo ed euro-atlantico, poiché si pone anche quale accreditato interlocutore di rilievo in materia di Neo (Non-Combatant Evacuation Operation), potendo: porre la giusta enfasi sull’importanza attribuita alla salvaguardia dei non-combattenti (oggigiorno un tema di altissima rilevanza, al centro della realtà geopolitica e geostrategica globale); incrementare la partecipazione ad attività internazionali che valorizzino, in particolare, la funzione di Comando e Controllo (C2) di un pacchetto di Forze già consolidato quale abilitante per le Neo; massimizzare le opportunità derivanti da programmi di cooperazione internazionali; promuovere e consolidare la conoscenza dell’Ita Jfhq nel panorama internazionale quale “eccellenza” della Difesa.

  • Africa ed Europa nel bene e nel male

    Qualche volta sarebbe bene imparare dall’Africa.

    In Kenya, dove il nord è stato devastato da piogge particolarmente torrenziali, anche per la stagione, il governo ha preso misure urgenti a tutela della popolazione.

    Dopo i 250 morti e le quasi quattrocentomila persone coinvolte nello straripamento di fiumi e canali, con i conseguenti enormi allagamenti che hanno distrutto case e coltivazioni, il governo, per evitare che in futuro si ripetano tragedie simili, ha ordinato la demolizione di tutti gli edifici costruiti senza permesso entro 30 metri dalle sponde dei fiumi.

    Provvedimento che sarebbe giusto imitare anche in Italia e nel resto d’Europa visto che gli  allagamenti dovuti alle esondazioni di fiumi, torrenti, canali e rigagnoli è diventato costante e non più un fatto eccezionale. Se poi si pensasse anche a pulire i greti dei corsi d’acqua eliminando alberi, tronchi e quant’altro li ostruisce forse un po’ di danni, anche ai ponti, sarebbero evitati. Ma si sa gli interventi più semplici e di buon senso sono quelli che difficilmente si prendono, qualunque sia il colore del potere.

    Viene invece dalla Tunisia una notizia molto preoccupante: i migranti, per impedire che arrivino sulle nostre coste con le imbarcazioni dei trafficanti di esseri umani o autonomamente, sono praticamente deportati al confine algerino o libico  e lì abbandonati.

    Benissimo avere coinvolto il governo tunisino nel controllo del traffico di esseri umani sulle nostre coste  ma l’Italia e l’Europa non dovrebbero tollerare che i migranti siano abbandonati nel deserto o in paesi nei quali non esiste un minimo di tutela.

    Un vero piano Mattei per l’Africa dovrebbe occuparsi anche di questo ed il futuro Parlamento europeo dovrebbe inviare una propria delegazione per verificare con i propri occhi cosa sta succedendo a decine di migliaia di esseri umani, compresi i bambini.

  • Un vero piano per l’Africa non può prescindere dal problema immigrazione, guerre e disperazione

    Mentre è sicuramente positivo che l’Italia, con il piano Mattei per l’Africa, abbia ridestato l’attenzione dell’Europa, da troppi anni indifferente a quanto avveniva in quel continente, non è affatto positivo pensare che per evitare l’arrivo da noi di migliaia di extracomunitari si debbano continuare a tollerare che questi siano rapiti, torturati, schiavizzati nei lager di alcuni paesi nordafricani.

    Ogni accordo che sigliamo con i singoli stati africani non dovrebbe basarsi sulla richiesta di non farci arrivare gli immigrati sui barconi senza che contestualmente sia preteso, a fronte anche dei finanziamenti che facciamo e faremo, che le loro condizioni di vita siano umane ed i trafficanti di esseri umani, le organizzazioni criminali, siano combattute in modo chiaro ed incisivo.

    Vi è troppa collusione tra politica e affari poco puliti sulla pelle di persone disperate.

    Un vero piano per l’Africa non può prescindere dal problema immigrazione, guerre, soprusi, carestie, povertà, disperazione.

    Continuiamo fermamente a sostenere che manca ancora uno studio approfondito sulle diverse e reali situazioni di ogni singolo stato africano, e sul peso che gli investimenti ed il potere cinese e russo hanno esercitato ed esercitano, per valutare e poter decidere i tipi di intervento da effettuare.

    Chi non ha visitato personalmente i campi profughi difficilmente è in grado di comprendere l’enorme, spaventosa, vastità del problema e l’Europa è la prima a non conoscere, a non voler conoscere secondo il vecchio detto ‘occhio non vede cuore non duole’: se non sappiamo, non vediamo la crudeltà e l’orrore, la nostra coscienza non si sente toccata.

    Continuiamo a non fare tra noi, membri dell’Unione, regole, leggi comuni per organizzare un’accoglienza compatibile con il nostro sistema di vita e non riusciamo neppure ad immaginare, proprio nell’Africa del Nord, centri di accoglienza gestiti dall’Europa. Centri come veri villaggi con scuole e assistenza sanitaria per garantire condizioni umane e istruire quei tanti extracomunitari dei quali le nostre imprese hanno bisogno ma che oggi non sono in grado di conoscere le nostre lingue, i nostri costumi, le opportunità di lavoro.

    Ancora una volta manca il tassello più importante, non si tratta solo di provare umanità, si tratta di guardare avanti ed impedire che la situazione precipiti ulteriormente con un danno reale per tutti.

  • Key mining town seized – DR Congo rebels

    A town at the heart of mining coltan, a key ingredient in making mobile phones, has been seized in eastern Democratic Republic of Congo by rebel forces, their spokesman has said.

    Rubaya fell into the hands of M23 fighters on Tuesday following heavy clashes with government troops, Willy Ngoma said.

    The government has not yet commented, but a civil society activist confirmed that M23 had captured the strategic town.

    It happened on the day France’s President Emmanuel Macron called on neighbouring Rwanda to “halt its support” for the M23 rebel group.

    Mr Macron made his comments after holding talks with DR Congo’s President Félix Tshisekedi in France’s capital, Paris.

    Rwanda has repeatedly denied backing the rebels, who have captured much territory in the mineral-rich east during fighting over the past 18 months.

    DR Congo is the world’s second-biggest producer of coltan, with most of it coming from the mines around Rubaya in the Masisi district.

    Coltan is used to make batteries for electric vehicles and mobile phones.

    DR Congo’s government accuses Rwanda of backing the rebels to steal its mineral wealth, an allegation the government in Kigali denies.

    Mr Ngoma told the BBC that M23 had seized Rubaya “not because of its richness, but to chase away our enemy”.

    A civil society activist in Masisi, Voltaire Sadiki, said the rebels had “ordered civilians with guns to hand them [in] and continue with their lives”.

    The rebels, initially Congolese army deserters, accuse the government of marginalising the country’s ethnic Tutsi minority and refusing to negotiate with them. They regard the verdant hills around Masisi as their true homeland.

    Mr Tshisekedi says the rebels are a front for what he calls the “expansionist aims” of Rwanda, which it denies.

  • Pechino discute con la Libia dell’insediamento di sue aziende

    l ministro dell’Economia e del Commercio del Governo di unità nazionale della Libia (Gun), Muhammad al Hawaij, ha impartito istruzioni per fornire tutto il sostegno necessario alle aziende cinesi interessate a operare nel mercato libico. E’ quanto emerge dall’incontro tra il ministro Hawaij e l’incaricato d’affari cinese in Libia, Liu Jian, tenuto lunedì 22 aprile con l’obiettivo principale di rafforzare le relazioni economiche e commerciali tra i due paesi. Una nota del dicastero del governo libico con sede a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, precisa che al colloquio erano presenti anche il direttore del dipartimento del Commercio estero e della Cooperazione internazionale del ministero, il vice direttore generale dell’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni e un rappresentante del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.

    Durante l’incontro si è discusso dell’attivazione e del sostegno del Consiglio degli imprenditori libico-cinesi per facilitare il lavoro del settore privato, consolidare la cooperazione economica e commerciale, promuovere gli scambi di visite e istituire comitati di cooperazione congiunta nei due paesi. Da parte sua, l’incaricato d’affari di Pechino ha espresso il forte desiderio delle imprese cinesi di riprendere le loro operazioni in Libia e di contribuire alla realizzazione di progetti di investimento. Il diplomatico ha inoltre proposto di stabilire canali diretti di comunicazione tra l’ambasciata cinese e le istituzioni affiliate al ministero dell’Economia e del Commercio, organizzare visite e incontri bilaterali coinvolgendo imprenditori, camere di commercio e camere congiunte, al fine di creare vere opportunità di partenariato nel settore privato libico.

    Intanto, nell’est del Paese nordafricano diviso in due amministrazione politiche rivali, un consorzio guidato dalla Cina ha recentemente espresso interesse per la ricostruzione di Derna, la città libica devastata dalle inondazioni della tempesta subtropicale provocata dal passaggio del ciclone “Daniel”. Ali al Saidi, ministro dell’Economia del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014 e con sede nell’est, aveva ricevuto nei mesi scorsi una delegazione del Bfi Management Consortium, alleanza che secondo il quotidiano libico “Libya Herald” annovera la China Railways International Group Company e la britannica Arup International Engineering Company. “L’economia libica richiede un deciso impulso verso l’apertura agli investimenti come alternativa alla dipendenza dallo Stato”, aveva affermato Al Saidi, sottolineando che i progetti attualmente in fase di proposta “avranno un impatto significativo sul miglioramento dei servizi forniti ai cittadini”.

    A fine ottobre 2023, il ministro libico “orientale” Al Sidi aveva dichiarato a “Radio France International” che “la Cina è oggi la potenza effettiva che potrebbe costruire ponti, infrastrutture e strade in brevissimo tempo”. Secondo il ministro, la Cina starebbe finanziando in Libia un progetto da 30 miliardi di dollari (28 miliardi di euro) per costruire metropolitane proprio attraverso il consorzio Bfi. “In realtà si tratta di informazioni esclusive che nessuno conosce tranne il mio ministero e le parti coinvolte nell’accordo”, aveva aggiunto Al Sidi. Fonti libiche di “Agenzia Nova” a Tripoli, tuttavia, hanno riferito che allo stato attuale non risultano avviati investimenti cinesi nel comparto delle infrastrutture nordafricane.

    Sarebbe sbagliato sottovalutare il ruolo che la Cina ha giocato e sta ancora giocando in Libia. Prima della guerra civile del 2011, la cinese China National Petroleum Corp disponeva di una forza lavoro in Libia di ben 30 mila operai e tecnici cinesi, riuscendo ad incanalare oltre il 10 per cento delle esportazioni di greggio “dolce” libico. Ma è soprattutto nel settore delle infrastrutture, marchio di fabbrica dei progetti di Pechino “chiavi in mano”, che la Cina ha puntellato la sua presenza in Libia. Ai tempo dell’ex Jamahiriya del colonello Muammar Gheddafi, China Railway Group aveva avviato nell’ex Jamahiriya tre importanti progetti del valore totale di 4,24 miliardi di dollari. Il caos della guerra civile ha bloccato tutto, ma una possibile stabilizzazione (o partizione) del Paese potrebbe far ripartire i progetti.

  • In Africa è allarme commercio di pelle di asino

    Secondo l’OIPA Camerun e l’Organizzazione britannica The Donkey Sanctuary  5 milioni di asini, in diversi Paesi dell’Africa, vengono macellati e la loro pelle viene esportata illegalmente con una grave decimazione della specie con il conseguente rischio di estinzione nel continente.

    Nigeria, Ghana e Kenya hanno vietato il commercio di pelle d’asino ma i facili guadagni per i contrabbandieri e la forte domanda cinese fanno da propellente a questo commercio illegale. In Cina infatti la pelle d’asino è utilizzata per ottenere, con la bollitura, una gelatina e una polvere che poi sono diluite in acqua calda ottenendo una bevanda calda che, secondo la medicina tradizionale cinese, può contrastare malattie cardiache e problemi circolatori.

    Proprio nei paesi africani, dove gli asini sono presenti in tutte le famiglie come aiuto per svolgere diverse attività, gli animali vengono rubati e spesso uccisi e scuoiati in modo brutale direttamente per strada. Vi è preoccupazione per la sopravvivenza  della specie e le autorità regionali, anche del Camerun, hanno chiesto di segnalare i casi di furto nel tentativo di contrastare il fenomeno e lo sterminio.

    L’Oipa Camerun si è molto attivata con convegni ed interventi sul posto per insegnare, specie ai giovani, come contrastare il furto e l’uccisione degli asini.

Pulsante per tornare all'inizio