Africa

  • Dal Nilo al Ghana, ecco dove l’Eni punta in Africa

    “È il continente in cui abbiamo mosso i primi passi fuori dall’Italia nel 1954 e dove trovano spazio i capisaldi del nostro modello di business”, dice l’Eni della propria presenza in Africa.

    E’ la storia, in effetti, a consentire al Cane a Sei Zampe, che prima del 2014 aveva investito fortemente sulla Russia fra progetti e alleanze fino al fallito gasdotto South Stream con Gazprom, di puntare ora sull’Africa, dove l’AD Claudio Descalzi invita l’Europa a guardare “per più forniture di gas”. Nel 2020 il gruppo era presente in 14 Paesi africani dove dava lavoro a oltre 3.000 persone, dal maxi-giacimento offshore egiziano Zohr, “la più grande scoperta di gas mai realizzata in Egitto e nel Mar Mediterraneo” con 145.000 barili equivalenti al giorno in quota Eni, alla crescente presenza nell’Africa sub-sahariana.

    In Egitto, dove opera dal 1954, Eni trae circa il 17% della sua produzione annuale di idrocarburi, circa 291.000 barili di olio equivalente (boe) al giorno, divisi fra l’offshore del Mediterraneo, il Sinai, numerose concessioni nel Deserto Occidentale e, nel 2020, le esplorazioni nell’onshore del delta del Nilo.

    Presenza storica importante (dal 1959) anche in Libia, (168.000 boe/giorno nel 2020) con attività nell’offshore mediterraneo di fronte a Tripoli e nel deserto libico, nonostante l’escalation militare nel Paese che più che dimezzato i 10 miliardi di capacità del gasdotto GreenStream. Sempre in Africa settentrionale, dal 1981 l’Eni è in Algeria con una produzione di petrolio e gas per 81 mila boe/giorno concentrata nel deserto di Bir Rebaa, e in misura minore in Tunisia (dal 1961), dove nel 2020 la produzione in quota Eni è stata di 8.000 boe/giorno nelle aree desertiche del sud e nell’offshore mediterraneo di fronte a Hammamet.

    Sempre con una presenza che risale indietro agli anni ’60, è la Nigeria il Paese dell’Africa sub-sahariana più rilevante in termini di produzione (131 mila boe/giorno nel 2020) con numerosi contratti di esplorazione/sviluppo e di esplorazione sia onshore che offshore. Seguono il Congo (dal 1968) con 73.000 boe/giorno in quota Eni nell’offshore convenzionale e profondo e nell’onshore, e l’Angola con 123 mila boe/giorno.

    Numeri inferiori a quello del Nord-Africa ma con prospettive di sviluppo promettenti. In Mozambico, ad esempio, dove l’Eni è presente solo dal 2006 con l’acquisizione di un blocco offshore, il Cane a Sei Zampe descrive “straordinarie scoperte di gas” a fronte di “un’intensa campagna esplorativa nell’arco di soli 3 anni” e con risorse accertate per 2.400 miliardi di metri cubi di gas. In Ghana, dal 2009, l’attività è concentrata nell’offshore profondo dove Eni ha concessioni e una licenza esplorativa a Cape Three Points.

  • Le donne del Sud del mondo sono le più esposte alle conseguenze del cambiamento climatico

    Gli effetti del cambiamento climatico non risparmiano nessuno ma a farne le spese sono soprattutto le comunità più vulnerabili e marginalizzate, a cominciare dalle donne che nel Sud del mondo convivono quotidianamente con siccità, ondate di calore e inondazioni. Fenomeni estremi che stanno spingendo al limite la capacità degli ecosistemi di reagire agli shock che si susseguono senza tregua e minacciano la sicurezza alimentare di milioni di persone. Non a caso quest’anno la Giornata internazionale della donna ha puntato i riflettori sulla «uguaglianza di genere per un futuro sostenibile», riconoscendo il ruolo primario che rivestono le donne nella lotta al cambiamento climatico.

    Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il 40% della popolazione mondiale (oltre 3,3 miliardi di individui) vive in Paesi «altamente vulnerabili al cambiamento climatico» e i disastri dovuti all’innalzamento delle temperature potrebbero spingere sotto la soglia della povertà estrema altri 122 milioni di persone entro il 2030.

    L’impatto dei cambiamenti climatici però non è lo stesso per gli uomini e per le donne. Queste ultime rappresentano il 70% dei poveri del mondo (1,3 miliardi di persone) e dipendono in misura maggiore per il proprio sostentamento dalle risorse naturali. Nei Paesi a basso reddito il 50% delle donne è impiegato nel settore agricolo ma meno del 15% possiede la terra che lavora. Le donne nutrono il mondo eppure restano in gran parte escluse dai processi decisionali, dall’accesso a credito, servizi e tecnologie.

    Sono molti i modi in cui il cambiamento climatico incide sulla vita di donne e ragazze. A cominciare dalla violenza di genere che aumenta nelle emergenze (cicloni, siccità, inondazioni, sfollamenti) e in contesti di risorse scarse: il compito di procurare alla famiglia acqua e legna infatti è affidato tipicamente alle donne e questo accresce esponenzialmente il rischio. Anche le spose bambine sono un effetto collaterale del cambiamento climatico. Le famiglie ricorrono al matrimonio delle figlie ancora piccole come meccanismo di sopravvivenza. È quello che accade, per esempio, in Kenya, dove Cesvi promuove programmi per la salute materna e infantile: «Le bambine di 10, al massimo 12 anni, vengono promesse come spose a uomini adulti in cambio di bestiame. Le collane che portano al collo rappresentano la promessa della famiglia al futuro marito. Spesso una bocca in meno da sfamare è l’unica soluzione per salvare la figlia e il resto della famiglia dalla fame», racconta Veronica Nerupe, allevatrice del villaggio di Nasuroi.

    Per invertire la rotta e garantire alle nuove generazioni un futuro sostenibile è dunque necessario intervenire sulle disuguaglianze di genere. È quello che fa Cesvi nei Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, dove ha messo in campo programmi che mirano a promuovere la sicurezza alimentare delle donne fornendo loro gli strumenti necessari per raggiungere l’autosufficienza (sementi, bestiame, attrezzature, accesso al credito, formazione).

    È il caso dello Zimbabwe, dove l’organizzazione sostiene le imprenditrici agricole che producono arance, paprika e zafferano nei distretti di Beit Bridge e Makoni, promuovendo l’uso della tecnologia in agricoltura, dai sistemi irrigui agli impianti a energia solare: «Noi donne abbiamo più tempo per la famiglia, mentre prima passavamo la notte nei campi. Ora l’irrigazione è automatica e nessuno deve lavorare la notte», racconta Maria Tlou, 45 anni e sei figli.

    Più a nord, in Kenya, Cesvi sostiene le piccole allevatrici di bestiame e pollame che, come Veronica, sono alle prese con una delle peggiori siccità degli ultimi decenni: «Ora so che per vendere le capre bisogna rivolgersi agli intermediari oppure venderle all’ingrosso. Grazie al bestiame sono riuscita a pagare le tasse scolastiche dei miei figli», spiega la donna, 38 anni.

  • Mauritania accuses Malian army of killing its citizens

    Mauritania’s foreign ministry has accused Mali’s army of crimes against its nationals after dozens of protesters said their fellow countrymen had been killed “in cold blood”.

    Mali’s ambassador Mohamed Dibassy was called in to hear a “strong protest against the recent, recurring criminal acts”, committed by the army following the disappearance of several Mauritanians just over the border, the ministry said.

    In January, seven Mauritanians died in a border region, although after an inquiry, Bamako said there was no evidence linking its army to the deaths.

    Another incident took place over the weekend when two Mauritanians were shot at on their way back to Abel Bagrou, near the Malian border.

    Sources say some of the killed Mauritians were accused of links to jihadist groups operating in Mali.

    The Jeune Afrique website says they were shot by a group “affiliated to Mali’s army” said to be Russia’s Wagner Group, which is believed to be helping Mali tackle the Islamist militants.

    Mali’s ruling military junta has not reacted to Mauritania’s accusations.

    Since West African regional body Ecowas imposed sanctions on Mali because of the military takeover, Mauritania has been one of the few countries helping it get round the isolation.

  • L’Etiopia tira dritto sulla diga della discordia col Cairo

    L’Etiopia ha fatto un fondamentale passo in avanti sul fronte della sua maxi-diga ‘Gerd’ che rappresenta un dichiarato casus belli con l’Egitto: dalle prossime ore Addis Abeba inizierà a produrre elettricità nell’impianto destinato a ridurre la vitale portata d’acqua del Nilo a disposizione di Sudan ed soprattutto Egitto. Lo sviluppo, preannunciato sin dal luglio scorso, è stato reso noto da due anonimi funzionari governativi all’agenzia Afp senza per ora raccogliere reazioni dal Cairo: “Domani (il 20 febbraio, ndr) ci sarà la prima generazione di energia della diga”, ha detto un responsabile confermato da un secondo. La Gerd, acronimo inglese per Diga del Grande Rinascimento Etiope, è lunga 1.800 metri, alta 175 e rappresenta uno dei maggiori impianti idroelettrici in Africa. All’Ansa risulta che i lavori hanno raggiunto uno stato di avanzamento dell’84%. Le due centrali con 16 turbine sono situate sul Nilo azzurro, a una trentina di chilometri dalla frontiera col Sudan, dove l’Etiopia ha iniziato a costruire la struttura dal maggio 2011: l’obbiettivo dei 5.000 megawatt è aumentare del 60% la produzione elettrica a servizio dei suoi 115 milioni di abitanti. Un’opera considerata vitale dal premier etiopico Abiy Ahmed soprattutto in questa fase connotata da guerra civile in Tigrè, rincaro degli idrocarburi e pandemia, come ha notato Addisu Lashitew, un analista del Brookings Institution di Washington.

    Lo sbarramento è visto però come un pericolo esistenziale dall’Egitto, uno dei paesi più aridi al mondo e che dal Nilo trae il 97% dell’acqua di cui ha bisogno per i suoi oltre 100 milioni di abitanti in città e agricoltura. Il Cairo vuole un accordo vincolante su velocità di riempimento del bacino da 74 miliardi di metri cubi d’acqua iniziato nel 2020 e sulla sua futura gestione, soprattutto in periodi di siccità. I negoziati iniziati nel marzo 2015 e condotti dall’anno scorso sotto l’egida dell’Unione africana sono però in un pericoloso stallo: il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, ricordando che per l’Egitto “l’acqua è questione di vita o di morte”, ha usato toni bellicosi mettendo in guardia sul fatto che “nessuno è fuori dalla nostra portata». Il Cairo reclama diritti storici sul grande fiume in base a un trattato firmato dalla Gran Bretagna nel 1929 mentre Addis Abeba si appella a un accordo raggiunto nel 2010 dai Paesi del bacino del Nilo nonostante l’opposizione di Egitto e Sudan. Della disputa è spettatore interessato un gruppo italiano: Webuild (ex Salini Impregilo), che è “Main Contractor» dell’opera. Come consulente tecnico è stata utilizzata una joint venture formata tra la francese Tractbel Engineering e la milanese ELC Electroconsult.

    La possibilità tecnica di iniziare a produrre energia dalla Gerd si era creata dal luglio scorso, quando l’Etiopia aveva annunciato in maniera controversa di aver raggiunto l’obbiettivo del secondo riempimento annuale dell’invaso: 13,5 miliardi di metri cubi d’acqua dopo i 4,9 del primo.

  • Ue e Africa accelerano sui vaccini ma è scontro sui brevetti

    Più fondi, più cooperazione, più parità nell’interlocuzione: il vertice tra Ue e Unione Africana, annunciato da giorni in pompa magna a Bruxelles e arricchito dalla presenza di oltre settanta capi di Stato e di governo punta a segnare un punto di svolta nelle relazioni tra i due continenti ma non risolve un nodo chiave come la cessione delle licenze sui brevetti dei vaccini. L’Oms ha annunciato il trasferimento della tecnologia necessaria affinché sei Paesi africani – Egitto, Kenya, Nigeria, Senegal, Sud Africa e Tunisia – mettano in campo la produzione di propri vaccini mRna. Ma il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha scandito tutta l’indignazione di un intero continente: “Le donazioni non bastano, sull’accesso ai vaccini dimostrate serietà”.

    Le parti, al momento, sono lontane. L’Ua vuole l’applicazione della clausola degli accordi Trips che prevede la sospensione dell’esclusiva dei brevetti autorizzando uno o più Paesi a produrre farmaci salvavita in situazione di emergenza. La proposta dell’Ue si ferma alla licenza obbligatoria per la concessione, limitata nel tempo, dell’uso dei brevetti. “La proprietà intellettuale non deve essere un freno alla diffusione del sapere ma va protetta”, ha sottolineato Emmanuel Macron mentre Ursula von der Leyen si è fatta portavoce della mediazione finale, annunciando per la primavera un summit ad hoc tra Commissione Ue e Commissione Ua per trovare una soluzione.

    Per ora l’Ue prova a smorzare il malcontento africano garantendo 450 milioni di dosi entro metà anno, mettendo in campo 425 milioni di euro subito per strumentistica e personale anti-Covid e certificando l’offensiva anti-cinese (e anti-Russa) in Africa con un piano da 150 miliardi da qui al 2027. Transizione ecologica e digitale, educazione e formazione, energie rinnovabili, connessioni internet. Nella dichiarazione finale viene messa nero su bianco anche una maggiore cooperazione sui migranti. Le strade, nel breve periodo, sono 2: accelerare sugli accordi di rimpatrio e prevedere la presenza di Frontex non solo nel Mediterraneo ma più a Sud, laddove i flussi hanno origine. Sulla nuova partnership Ue-Africa pesano le instabilità della Libia e soprattutto del Sahel. Francia e Ue stanno per spostare le operazioni militari dal Mali ai Paesi vicini, Niger in testa. I rapporti tra la giunta militare di Bamako – esclusa dal vertice come Burkina Faso e Guinea – e Parigi sono tesissimi. Al Mali che chiedeva all’Eliseo di ritirare “immediatamente” i soldati Macron ha risposto rimarcando “la sicurezza” dei francesi e il “rispetto” per Parigi.

    Il vertice di Bruxelles è stato anche teatro di un ‘mini sofagate’, l’incidente diplomatico che ad Ankara coinvolse von der Leyen attirando critiche su Recep Tayyp Erdogan e su Charles Michel. Il ministro degli Esteri ugandese Jeje Odongo al termine photo-op, ha infatti stretto la mano a Michel e Macron ‘saltando’ la presidente della Commissione e innescando qualche secondo di imbarazzo. Ad intervenire è stato Macron indicando con una certa decisione al ministro africano che c’era anche von der Leyen al suo fianco.

  • Severe hunger threatens 13m in Horn of Africa – UN

    The United Nations’ World Food Programme (WFP) says 13 million people across the Horn of Africa face severe hunger because of continued drought.

    Failed harvests and food shortages are forcing families from their homes, the WFP says, and immediate assistance is needed to prevent a humanitarian crisis.

    The rainy season has failed three years in a row – and the drought continues.

    Crops are ruined, livestock are dying, and 13 million people in Ethiopia, Somalia, and Kenya are going hungry.

    Food prices are rising, and with little to harvest, demand for agricultural labour is falling, increasing the pressure on families trying to feed themselves.

    Without immediate assistance, the WFP says, a humanitarian crisis is unavoidable.

    The WFP is appealing for $327m (£242m) to respond to the drought – in the short term to provide food and cash grants, and in the long term to build resilience among farming communities where less rain and more drought could, with climate change, become the norm.

  • Dozens massacred in DR Congo camp raid

    About 60 people living in a camp for the homeless have been killed in a brutal overnight attack in the north-east of the Democratic Republic of Congo.

    At around 02:00 local time, men armed with guns and machetes raided Plaine Savo, set up for those forced to flee their homes in the province of Ituri because of inter-ethnic conflict.

    The local chief said most of the victims were women and children. Many of them had their throats slit.

    “I first heard cries when I was still in bed. Then several minutes of gunshots. I fled and I saw torches and people crying for help,” a camp resident told the Reuters news agency.

    Another 40 people have been injured, according to the Norwegian Refugee Council (NRC), which provides aid to the camp.

    The Codeco militia has been blamed for the massacre.

    Its fighters are mainly drawn from the Lendu farming community, which has been at loggerheads with the province’s Hema cattle herders.

    The NRC says there has been a steep escalation of deliberate and targeted attacks by armed groups against displaced people in Ituri.

    Since November, nearly 70 people have been killed in raids on five other camps, it says.

    “These attacks have triggered new waves of mass displacement and plunged already vulnerable populations into a climate of terror,” the NRC said.

    An estimated 1.7 million people have been forced to flee their homes in Ituri since violence began to escalate several years ago.

  • Paesi africani in ritardo negli obiettivi educativi

    Il mondo non raggiungerà l’obiettivo di un’istruzione di qualità per tutti entro il 2030 e l’Africa subsahariana sarà l’area con i risultati peggiori, stando ad un nuovo studio dell’organizzazione per l’istruzione delle Nazioni Unite. Nella regione, infatti, milioni di bambini continueranno a non frequentare la scuola e a non usufruire di un apprendimento di alta qualità. Si prevede che nell’Africa subsahariana l’8% dei bambini in età scolare non andrà a scuola entro la scadenza del 2030. Un dato pesante anche se si tratta di un miglioramento rispetto all’attuale 19%.

    Sembra, inoltre, che la qualità formativa degli insegnanti sia lontana dagli standard necessari per garantire una buona preparazione agli alunni, dato questo che dovrebbe suonare come campanello d’allarme per i leader africani. Dal rapporto emerge infatti che, nonostante gli sforzi, oltre un quarto degli insegnanti della scuola materna dell’area subsahariana rimarrà senza formazione.

    Tuttavia si prevede che la percentuale di insegnanti formati a livello globale aumenterà tra il 2015 e il 2030 a oltre il 90% a ciascun livello di istruzione. La crescita più rapida è prevista a livello di istruzione pre primaria, dal 70% al 94%.

  • Buhari unveils ‘rice pyramids’ to showcase farming

    Nigeria’s President Muhammadu Buhari has unveiled what one of his media aides has dubbed the “world’s largest rice pyramids” – made with one million bags of rice – in the capital, Abuja.

    The temporary “rice pyramids” were aimed at showcasing the government’s efforts to boost rice production, and to make Nigeria – Africa most populous state – self-sufficient in food.

    It was one of the main electoral pledges that Mr Buhari made when he took office in 2015.

    Mr Buhari’s media aide Bashir Ahmed tweeted that the initiative has led to a sharp reduction of Nigeria’s annual rice import bill – from $1.5bn (£1.1bn) in 2015 to $18.5m.

    The bags of rice for the pyramids were collected from farmers across Nigeria, whose efforts to increase production received financial backing from the central bank in a scheme known as the Anchor Borrowers’ Programme.

    “As a critical policy of the government, the Anchor Borrowers’ Programme is expected to catalyse the agricultural productive base of the nation, which is a major part of our economic plan to uplift the economy, create jobs, reduce reliance on imported food and industrial raw materials, and conserve foreign exchange,” Mr Buhari was quoted by local media as saying at the event.

    While Mr Ahmed said the “world’s largest rice pyramids” had been unveiled, the central bank preferred to call them “mega rice pyramids”:

    Earlier, a senior official of the Rice Farmers Association of Nigeria, Shehu Muazu, warned that immediately after the unveiling of the “pyramids”, the bags of rice would be allocated to processors, and sold at a discounted price.

    This will lead to drastic reduction in price once it starts rolling into the market,” he was quoted as saying.

  • L’Africa è la pattumiera dell’Europa

    Alice for Children lamenta che l’Africa viene trattata come la discarica dei Paesi europei perché è destinataria del traffico di rifiuti europei e segnala che a settembre 2021 sono stati individuati e sequestrati numerosi container che trasportavano rifiuti europei in Africa, pericolosi e non bonificati. “Parliamo – dice la Onlus – di migliaia di pezzi di motorini, moto, veicoli, quali motori, freni, sterzi, marmitte. Il mese prima, a Torino, erano stati fermati dei container diretti in Ghana carichi di rifiuti elettrici ed elettronici che sarebbero dovuti passare per l’iter di smaltimento. A luglio, invece, al porto di Genova sono stati scoperte 57 tonnellate di rifiuti in partenza per il continente africano”.

    “Chi opta per il traffico illecito di rifiuti verso l’Africa, perlopiù le organizzazioni criminali, lo fa per risparmiare sulle spese di smaltimento e recupero in Italia, e agisce mescolando i rifiuti illegali con prodotti di varia natura nei container – spiega ancora la Onlus – Quando avviene la mescolanza dei rifiuti, e la contaminazione fra materiali, diventa impossibile risalire ai responsabili del traffico e la provenienza dei rifiuti. Uno dei business più consistenti negli ultimi tempi è la rivendita di pannelli fotovoltaici non funzionanti ai Paesi africani: molti di questi vengono venduti come usati e ancora performanti, pur non essendolo, per evitare le spese di smaltimento. Le indagini per contrastare il traffico di rifiuti negli ultimi anni, in Italia, si sono concentrate in zone specifiche del Paese, ovvero in Campania e In Liguria, dai cui porti prende il mare il quantitativo più rilevanti di carichi di rifiuti, camuffati nei container”.

    Riferendo che l’80 % dei prodotti elettronici che arrivano in Africa provengono dal Vecchio Continente, Alice for Children precisa che le destinazioni africane predilette dai rifiuti europei in Africa dei rifiuti sono i Paesi dell’Africa occidentale, in particolar modo Senegal, Nigeria, il Gambia, Togo, Sierra Leone, ma soprattutto il Ghana dove, alla periferia di Accra, c’è la più grande discarica di rifiuti elettronici al mondo, quella di Agbogbloshie, ‘popolata ‘per l’85 % da rifiuti di provenienza europea.  Il Ghana è considerato il cimitero dellE-Waste. In Italia, oltre 6 elettrodomestici su 10 non sono smaltiti correttamente, e prendono la via dell’imbarco illegale – meno dispendioso in termini economici – verso Paesi stranieri anziché seguire l’iter canonico”.

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