Africa

  • Premio Megliounlibro 2023: quando le favole diventano testimonianza del proprio paese di origine

    Io sono figlio del fiume in Congo, sono nato in una regione in cui sfocia in tutta la sua grandezza e bellezza e arrivo a Pavia, in Italia, dove c’è il Ticino, cosiddetto “fiume azzurro”: dove cerco di riproporre la tradizione congolese ho ritrovato il fiume. La mia idea è proprio quello di riproporre storie che altrimenti non si conoscerebbero, e scrivere in italiano, per i ragazzi dai 9 ai 99 anni”. Sono parole di Paul Bakolo Ngoi, autore che sa valorizzare le tradizioni del Paese d’origine, la Repubblica Democratica del Congo, parlando ai più giovani e alle diverse generazioni con chiarezza e ironia e trasmettendo tra le righe la classica “morale della favola, e vincitore del premio letterario Megliounlibro con la sua opera più recente “Nonno mi racconti una favola”.

    Il Premio Megliounlibro è nato nel 2019 durante la Bologna Children’s Book Fair “per valorizzare testi scelti tra quelli recensiti di recente dal magazine Megliounlibro, che più degli altri abbiano saputo rapire il piccolo lettore, trasportandolo in una dimensione ricca di messaggi e portatrice di bellezza nelle sue variegate sfaccettature”, così Laura Prinetti, direttore responsabile.

    Per la giuria, composta da Marco Bertola presidente Giuria, giornalista, vicepresidente del Book Counselling, Ayleen Pineda architetto, esperta Letterature comparate, redazione Megliounlibro, Marinella Blanchi docente scuola primaria IC Toscanini-Perotti, Torino, Laura Prinetti, direttore responsabile Megliounlibro, docente Università Cattolica, “Nonno raccontami una favola” una perla luminosa, che affascina e coinvolge, trasportando i bambini, ai quali le favole sono destinate (e anche gli adulti che leggeranno con loro) in un mondo fantastico ma non distaccato dal reale.

    Megliounlibro, magazine di orientamento alla lettura, edito da 26 anni dalla non profit Il Segnalibro Book Counselling Service, ha tra i fini la promozione “della lettura che trasmette bellezza” per un target dai bambini agli adulti. Una redazione composta da cinque donne, e una schiera di collaboratori, tutti volontari e preparatissimi nel vagliare l’aspetto estetico e formativo delle opere. La sfida è trovare “i classici del futuro”, le perle. Questo Premio arriva a #BookcityMilano 2023 per valorizzare l’opera di un autore che ha il merito di saper trasmettere con garbo le tradizioni del suo Paese d’origine.

  • Il dilemma africano tra fossili e rinnovabili

    L’Africa paradiso mondiale delle energie rinnovabili, che attraverso i “crediti di carbonio” si fa finanziare i suoi progetti green dai paesi più ricchi. Oppure l’Africa nuova frontiera delle fonti fossili, petrolio e gas, sempre più ricercate da un mondo in crisi energetica. Quindi, puntare sulle rinnovabili o sulle fossili per sostenere lo sviluppo del continente? E’ questo il dilemma intorno al quale ruota il primo Africa Climate Summit, che si è aperto a Nairobi. Un vertice sul clima al quale partecipano gli stati africani, ma anche leader dei Paesi ricchi che nel continente possono e vogliono investire.

    Al summit di Nairobi va in scena lo scontro fra i Paesi che non hanno grossi giacimenti di idrocarburi, e quindi puntano sulle rinnovabili, come Kenya, Sudafrica, Egitto ed Etiopia, e quelli che invece hanno ricche riserve di gas e petrolio, e vogliono sfruttarle per sostenere il loro sviluppo, come Nigeria, Senegal, Angola e Mozambico. I primi vogliono sviluppare in Africa il mercato dei Carbon Credit, cioè il finanziamento di progetti green nel continente per compensare le emissioni dei paesi ricchi, e vogliono imporre una carbon tax a livello globale, per sostenere la finanza verde. Gli stati africani ricchi di oil&gas invece non vogliono perdere questa bonanza, e chiedono vincoli meno stringenti sulle emissioni e nessuna carbon tax.

    I Paesi africani producono solo il 4% della CO2 mondiale, ma sono i più colpiti dagli effetti del riscaldamento globale, cioè desertificazione ed eventi climatici estremi. Fenomeni che in quei paesi provocano morte, miseria, guerre, e migrazioni. L’Africa, continente assolato e ricco di foreste, ha enormi potenziali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che potrebbero dare energia a buon mercato e milioni di posti di lavoro ai suoi abitanti. Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh dell’anno scorso, Paesi africani e istituzioni finanziarie hanno lanciato la Africa Carbon Markets Initiative: un’alleanza per arrivare nel 2030 all’emissione nel continente di 300 milioni di crediti di carbonio all’anno, per generare 6 miliardi di dollari di reddito annui. Ma al tempo stesso, molti Paesi africani galleggiano su gas e petrolio, ricercatissimi dai paesi ricchi, e ancora più da quelli emergenti. Fonti fossili che peggiorano l’effetto serra, ma che generano ricchezza immediata. Una ricchezza che permette di far uscire dalla miseria larghi strati della popolazione africana, e quindi generare consenso politico ai governanti.

  • L’Africa raccontata dagli italiani che vivono lì

    Riceviamo dal sito bancadipiacenza.it e pubblichiamo 

    «Un libro curioso, piacevole da leggere, in parte biografico, che dà una visione dell’Africa cogliendo le sensibilità di italiani che lì vivono» (Stefano Zecchi); «I libri, come i film, raccontano la nostra vita vista dagli altri. La mia ultima fatica editoriale fa questo: testimonia la quotidianità di chi ha deciso di spostare le proprie esistenze in Kenya piuttosto che in Tanzania. Perché l’ho scritto? Non c’è una ragione legata a un progetto, è nato per caso, con lo scopo di lanciare messaggi utilizzando le altrui esperienze» (Cristiana Muscardini).
    Questi alcuni flash del dialogo tra il filosofo-scrittore e l’ex europarlamentare autrice del volume Safari – Viaggio nella vita di italiani in Africa (Ed. Gruppo Albatros-Il Filo), presentato al PalabancaEventi (Sala Panini) per iniziativa della Banca di Piacenza. Istituto ringraziato dall’on. Muscardini, che ha mandato un saluto – alla memoria – a Corrado Sforza Fogliani, definito «Presidente in eterno», ricordato anche dal vicepresidente della Banca Domenico Capra nel suo intervento di saluto. L’autrice (esperta di questioni europee, di ambiente e terrorismo, studio a Milano ma Valtrebbia come rifugio, dove vive con Mario e Anastasia e gli inseparabili cani – Luna, Tatanka, Evita, Sirio – e gatti – BobBon, Neve, Mao Mao), assecondando le sollecitazioni del prof. Zecchi, ha spiegato la grande differenza tra europei e africani: «Noi europei, pur avendo storie in comune, siamo sì diversi ma cerchiamo di restare uniti nelle diversità. In Africa non è così: le religioni hanno creato fratture spaventose».
    L’ex docente di Estetica ha posto quindi l’accento sulla nuova colonizzazione dell’Africa da parte della Cina. «E’ un problema gravissimo», ha risposto l’autrice, spiegando che «la Cina ha fatto lì investimenti colossali in infrastrutture, di cui poi rimane proprietaria e da cui pretende un ritorno. Gestisce le attività industriali e paga gli operai africani 1 dollaro al giorno, creando tensioni sociali che spesso sfociano in sommosse. E qui l’Europa non è esente da responsabilità, avendo lasciato troppo spazio allo strapotere cinese».
    Il prof. Zecchi ha osservato come nel libro si trovino delle sottolineature che spiegano l’esistenza non di una sola Africa, ma di più Afriche che faticano a rapportarsi con la nostra cultura e che vivono situazioni esplosive, come l’ultimo conflitto Hamas-Israele dimostra. Durante l’incontro è stato anche approfondito un altro aspetto: molto spesso si giudicano le cose secondo il nostro parametro di democrazia, «ma la democrazia – ha rimarcato l’on. Muscardini – non la puoi portare da fuori, deve crescere all’interno dei popoli. Il mondo arabo ha bisogno di pane, di speranze di una vita migliore. È difficile, però, che possano accettare il nostro modo di vivere. Il momento è molto difficile: bisognerebbe dare a milioni di giovani qualcosa di diverso dall’integralismo. Ma è sbagliato aiutare direttamente i governi, che usano i soldi per scopi personali».
    Netto il giudizio del prof. Zecchi sulla colonizzazione dell’Africa da parte dell’Occidente («volgare e falsa»); l’illustre ospite si è chiesto: «Ma non li possiamo lasciare in pace? Loro stanno bene così. Invece in noi prevale la volontà di imporre un’idea di vita, di bene, perché continuiamo a pensare che ci devono guardare come persone che hanno qualcosa da insegnare». Una posizione che ha trovato d’accordo anche la dott. Muscardini, al netto della precisazione che «è giusto offrire tecnologia e istruzione senza imporre modelli», e lasciando ai presenti, in chiusura, questa suggestione: «Non ho mai visto un bambino africano piangere».

  • Sudan conflict: Thousands flee fresh ethnic killings in Darfur

    Thousands of people have been forced to flee the Sudanese region of West Dafur amid fears of ethnic cleansing, a medical charity says.

    Witnesses have accused the paramilitary group Rapid Support Forces (RSF) of targeting and killing non-Arabs, with reports of hundreds of deaths.

    This comes after the RSF captured the Sudanese army headquarters in West Darfur capital of El Geneina.

    The RSF says it is not involved in what it describes as a “tribal conflict”.

    It has been battling the army for control of the country since April.

    Medecins Sans Frontieres (MSF) says that most of the 7,000 people who have crossed into Chad in the past three days are women and children who are fleeing with nothing.

    Hatim Ali, a local human rights monitor, said he had fled to Chad after the RSF and allied militias arrived on horses, camels and motorbikes and besieged Erdamta, just across a river from El Geneina.

    He said they “killed so many men and raped a lot of women”, adding that hundreds of people may have been killed.

    Since the capture of El Geneina, the RSF and allied Arab militias have been accused of murdering ethnic Masalit people, looting homes and raping women.

    The RSF and Arab militia even reportedly attacked a camp for internally displaced people in Erdamta, where some 800 people are said to have been killed.

    A man who fled the camp with his family before the attack told the BBC: “I’m still alive, but I lost a lot”.

    Alaa Babikr, a resident of El Geneina, told the BBC that civilians had no way to escape the fighting.

    While many people have fled to Chad, thousands remain trapped in Sudan as Arab militias demand huge sums of money to cross the border, an aid worker told BBC.

    Pierre Honnorat, the head of the World Food Programme (WFP) in Chad, told the BBC the key challenge was feeding the thousands of refugees.

    “We need support, and we need it now. We do need to secure a meal a day to them all. They have nothing,” he said.

    The RSF originated in Darfur and has been accused of atrocities against non-Arabic groups in the region during this year’s conflict.

    The paramilitary group has been gaining more territory in Darfur since the beginning of this month, taking control of four of the region’s five states.

    Peace talks in Saudi Arabia have been unfruitful as efforts to secure a ceasefire have failed, according to Reuters.

    The UN refugee agency says “an unimaginable” humanitarian crisis is unfolding in Sudan.

    Nearly six million people have been forced from their homes since the war began.

  • Al PalaEventi Banca di Piacenza il Prof. Zecchi presenta ‘Safari’ di Cristiana Muscardini

    “Perché non lasciare l’Africa e i suoi abitanti al proprio destino?” Teatro della provocazione, lanciata dal Prof. Zecchi, eminente scrittore e filosofo, la sede centrale della Banca di Piacenza, nel capoluogo emiliano, cornice la presentazione del libro Safari, di Cristiana Muscardini (appena pubblicato dal Gruppo Albatros).

    È una delle serate di confronto e promozione della cultura che l’istituto di credito svolge sul territorio in cui opera, la provocazione – davanti a una platea altamente sensibile alla questione – la lancia il Professor Stefano Zecchi a Cristiana Muscardini, autrice del volume.

    Perché – risponde l’autrice con quella distanza critica che lo stesso Zecchi ravvisa nelle pagine del libro – se il nostro modello di sviluppo non è detto sia il migliore è altrettanto vero che non possiamo ignorare come la mancanza di strumenti vitali, come l’acqua potabile, siano un grave ostacolo non solo allo sviluppo ma alla stessa sopravvivenza delle popolazioni africane.

    E prosegue “gli africani credono che in Europa siamo tutti simili mentre, pur essendo europei abbiamo caratteri diversi, storie diverse tra uno stato e l’altro, lo stesso capita a noi europei parlando degli africani senza capire i grandi distinguo che ci sono tra africani arabi e musulmani, africani musulmani ma non arabi, africani animisti o di religioni cristiane. L’Africa centrale, l’Africa profonda è ben diversa dal Maghreb, da quella delle coste mediterranee. “L’Africa, sottolinea ancora Muscardini, è un crocevia potenzialmente esplosivo tra gli interessi commerciali e le ipoteche che la Cina accende, sotto forma di investimenti allo sviluppo, per perseguire le proprie mire egemoniche globali e gli interessi, in alcuni stati, dei russi che, attraverso Prigozhin, si sono impossessati di immense ricchezze difese dai miliziani della Wagner.

    Certo – rimarca Muscardini con l’esperienza e le riflessioni che derivano da 25 anni di permanenza nel Parlamento europeo e che le hanno consentito il confronto con colleghi di altri Paesi europei, –  la democrazia non si esporta, la democrazia deve essere lasciata maturare in seno al popolo, in un processo bottom-up e non certo top-down. Ma questo non giustifica l’inerzia che l’Unione europea ha troppo spesso mostrato di fronte al vicino continente africano sia per i problemi legati alla povertà che al terrorismo e non ultimo alla nuova colonizzazione cinese.

    Ancor meno giustifica che l’Europa si sia spesso dimostrata quel cattivo attore su scala globale che Zecchi ravvede spesso nell’occidente, fornendo aiuti senza prestare attenzione al fatto che i governi li utilizzassero effettivamente a favore dei governati. Solo un impiego delle risorse a favore di quei milioni di giovani che rappresentano la maggioranza degli abitanti del continente nero, osservano Zecchi e Muscardini, può offrire una soluzione al problema immigrazione che investe l’Europa e consentire così agli africani di perseguire il proprio destino sul proprio territorio. A beneficio, peraltro, di quella biodiversità che in Africa trova un giardino ancora non violato da un ritmo di sviluppo talmente forsennato da dimenticare, come accade altrove, la propria stessa sostenibilità.

    Nel libro anche i racconti della vita di italiani che si sono trasferiti in Africa, dopo l’ultima guerra, le loro avventure, le speranze, le difficoltà e le conquiste in un territorio che hanno imparato a conoscere ed amare e poi paesaggi, rituali, bracconieri e suggestivi ricordi.

  • Cristiana Muscardini torna in libreria con il libro ‘Safari’

    Dopo diverse pubblicazioni sui temi europei, sul terrorismo e sul covid Cristiana Muscardini torna in libreria con il libro Safari edito da Albatros.

    Oltre alle storie di italiani che hanno trascorso la loro vita in Africa, affrontando esperienze diverse, l’autrice ci porta a conoscere paesaggi, a provare sensazioni, a riscoprire la ineluttabile legge della catena alimentare affrontando, con lucide disamine, alcuni dei tanti problemi che ancora rendono non facile la comprensione reciproca tra le diverse culture.

    “I libri ed i film sono la nostra vita negli occhi degli altri”, scrive la Muscardini che crede che ognuno abbia qualcosa da dire e da dare ma spesso non se ne renda conto.

    In una società sempre più tesa a cercare altrove quello che non sappiamo riconoscere in noi, e nelle persone che ci camminano a fianco, il libro, tra leoni e gazzelle, paesaggi naturali e guaritori, esperienze vissute e bracconieri, ci porta a vedere quell’Africa nera, quell’Africa profonda che vide nella Rift Valley la nascita dei primi esseri umani.

  • Il Ghana deposita semi nella “cassaforte del giorno del giudizio” del Circolo Polare Artico

    Il Ghana ha depositato i semi nel cosiddetto “doomsday vault” (caveau del giorno del giudizio) del Circolo Polare Artico nel tentativo di garantire la protezione a lungo termine delle principali colture alimentari del paese.

    Lo Svalbard Global Seed Vault, una struttura annidata in una montagna artica sulla remota isola norvegese di Spitsbergen, salvaguarda oltre 1,2 milioni di campioni di semi, la più grande raccolta al mondo di diversità di colture in un singolo luogo.

    Il caveau è di proprietà del governo norvegese ed è progettato per resistere a tutti i disastri naturali e umani.

    Secondo i suoi operatori, la struttura fornisce protezione e preservazione permanenti delle colture alimentari per garantire la futura sicurezza alimentare globale in caso di disastro, guadagnandosi il soprannome di “archivio del giorno del giudizio”.

    Il deposito del Ghana è stato effettuato dal Plant Research Institute del paese dell’Africa occidentale e comprende colture chiave come mais, riso, melanzane e fagioli.

    Il Crop Trust, che gestisce il deposito di semi, ha affermato di avere semi provenienti da quasi tutti i paesi della Terra. Il Ghana segue nazioni africane come Etiopia, Kenya, Nigeria e Zambia nell’effettuare depositi.

  • In Congo 23 persone uccise dagli islamisti ugandesi

    Almeno 23 civili sono stati uccisi in un attacco da parte di ribelli armati nella travagliata regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. Il sindaco di Oicha, cittadina nella regione di Beni, ha attribuito gli omicidi alle Forze Democratiche Alleate (ADF).

    L’ADF, gruppo armato ugandese con sede nella Repubblica Democratica del Congo orientale, ha giurato fedeltà allo Stato islamico e perpetrato frequenti attacchi. A giugno, i militanti dell’ADF hanno ucciso 42 persone, tra cui 37 studenti di una scuola superiore nell’Uganda occidentale. Anche la morte di due turisti e della loro guida in un parco nazionale nel sud-ovest dell’Uganda la scorsa settimana è stata attribuita alle ADF.

    Due anni fa l’Uganda e la Repubblica Democratica del Congo hanno lanciato un’operazione militare congiunta per cercare di sradicare gli insorti. L’esercito dell’Uganda ha dichiarato il mese scorso di essere riuscito a uccidere più di 560 combattenti e a distruggere alcuni dei loro accampamenti.

  • I paesi poveri sono più poveri

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 13 ottobre 2023

    I paesi a basso reddito, i cosiddetti low income countries (lic), hanno un pil complessivo di circa 500 miliardi di dollari, una goccia nell’immenso mare di 100 mila miliardi dell’economia globale. Il loro piccolo peso economico è proporzionale alla poca attenzione loro data dai paesi sviluppati. Infatti, i paesi più ricchi del mondo hanno scelto proprio il momento peggiore per diventare meno generosi con gli aiuti e l’assistenza allo sviluppo. I lic, però, rappresentano ben 700 milioni di persone che ambiscono agli stessi diritti umani e civili di un cittadino di Berlino o di Roma.

    Tante sono le astratte discussioni sulle ondate migratorie e sul sottosviluppo e si riempiono tanti salotti televisivi, ignorando, però, la dura realtà sottostante. Oggi, secondo i dati della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite, i 26 paesi più poveri del mondo si trovano ad affrontare crescenti difficoltà sociali, economiche e politiche, a causa dell’aumento del debito, della diminuzione delle prospettive di sviluppo e del cronico sottoinvestimento.

    Secondo i recenti criteri stabiliti dalla Banca Mondiale, i paesi più poveri sono quelli con un reddito annuale procapite inferiore a 1.135 dollari. Da 28 sono diventati 26 poiché, per una insignificante manciata di dollari, lo Zambia e la Guinea Bissau sono passati nella fascia “superiore”, quella dei paesi di reddito medio, cioè fino a 4.465 dollari procapite annui. Il valore di riferimento usato è il reddito nazionale lordo, gni è l’acronimo in inglese, che al pil aggiunge i profitti realizzati all’estero da parte di cittadini del paese meno i profitti fatti da compagnie e investitori stranieri sul territorio del paese in questione.

    La situazione dei paesi a basso reddito è peggiorata dal 2000. Ad esempio, la mortalità materna è ora più alta del 25% e la quota della popolazione con accesso all’elettricità è scesa dal 52% ad appena il 40%. L’aspettativa di vita media è oggi di soli 62 anni, tra i tassi più bassi del mondo. A peggiorare le cose, le probabilità che questi paesi ricevano aiuti dall’estero sono diminuite. I paesi più ricchi stanno reindirizzando una parte maggiore dei loro bilanci, destinati agli aiuti esteri, per coprire le spese generate dall’arrivo di rifugiati. Ben 22 dei 26 suddetti paesi sono nell’Africa sub sahariana. Tutti ricchissimi di materie prime. Alcuni, come l’Etiopia, la Repubblica democratica del Congo e il Sudan hanno una ragguardevole popolazione.

    Non ci sono solo negligenza e sfruttamento da parte delle economie avanzate e delle grandi multinazionali, ma anche i governi non si curano veramente delle loro popolazioni. Hanno altre priorità. Ad esempio, spendono circa il 50% in più per la guerra e la difesa rispetto alla sanità. Quasi la metà dei loro budget è destinata agli stipendi del settore pubblico e al pagamento degli interessi sul debito, mentre solo il 3% della spesa pubblica è per il sostegno dei cittadini più vulnerabili. Si tratta di un decimo della media nelle economie in via di sviluppo.

    Entro la fine del 2024 il reddito medio delle persone nei paesi più poveri sarà ancora inferiore di quasi il 13% rispetto a quanto previsto prima della pandemia. Tra il 2011 e il 2015, le sovvenzioni hanno rappresentato circa un terzo delle entrate pubbliche nei paesi più poveri. Da allora tale quota è scesa a meno di un quinto! I governi dei paesi poveri hanno colmato la differenza indebitandosi ulteriormente, penalizzati anche dagli alti tassi d’interesse. Il rapporto debito pubblico/pil in queste economie è salito dal 36% del 2011 al 67% dello scorso anno. È il livello più alto dal 2005. Quattordici di questi paesi a basso reddito, il doppio di appena otto anni fa, sono ora in grande difficoltà debitoria o corrono il rischio di esse

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Guinean cycles across six countries for spot at Egypt’s Al-Azhar University

    A student has cycled 4,000km (2,500 miles) across West Africa, enduring arrests and blazing heat, for a spot at his dream university.

    Mamadou Safayou Barry set off from Guinea for Egypt’s prestigious Al-Azhar in May, hoping he would be accepted.

    The 25-year-old cycled for four months through countries wracked by Islamist militants and coups.

    He told the BBC he was “very, very” happy to have been given a scholarship when he finally reached Cairo.

    The married father of one said although he could not afford the Islamic Studies course at Al-Azhar, or flights to Egypt, the university’s reputation spurred him to take his chances on the epic trek through Mali, Burkina Faso, Togo, Benin, Niger and Chad.

    Al-Azhar is one of the most influential centres for Sunni Islamic learning in the world. It’s also one of the oldest, having been founded in the year AD670.

    Mr Barry set off from his home “seeking Islamic knowledge” but experienced suspicion and adversity in some of the countries he biked through.

    In Mali, Burkina Faso and Niger, attacks by Islamist militants on civilians are frequent and recent coups have led to political instability.

    “To travel through these countries is very hard because they don’t have security at this time,” he said.

    “They have so many problems and people there are very scared – in Mali and Burkina Faso people were looking at me like I am a bad man. All over I was seeing the military with their big guns and cars,” Mr Barry said.

    He said that he was arrested and detained three times for no good reason – twice in Burkina Faso and once in Togo.

    However, Mr Barry’s luck took a turn when he reached Chad. A journalist interviewed Mr Barry and posted his story online, prompting some good Samaritans to fund a flight to Egypt for him.

    This meant he avoided cycling through Sudan, parts of which are currently war-zones.

    On 5 September, he finally arrived in Cairo. His determination earned him a meeting with the Dean of Islamic studies, Dr Nahla Elseidy. After speaking to Mr Barry, Dr Elseidy offered him a place on Al-Azhar’s Islamic Studies course, with a full scholarship.

    The dean said on her social media channels that the university was keen to offer its knowledge to students worldwide and that this philosophy “not only covers international students in Egypt but also extends abroad. Al-Azhar receives students from all countries, takes care of them, and offers them grants”.

    Mr Barry said he was “very, very happy” to have received the scholarship.

    “I cannot tell you how happy I was. I thanked God,” he said.

    Mr Barry added that the trials of his expedition are long forgotten – erased by the joy of being able to call himself an al-Azhar scholar.

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