Africa

  • Senza una visione del futuro non si può risolvere quello che sta accadendo

    Stupisce lo stupore di coloro che si chiedono come il governo italiano e l’Europa non riescano a gestire ed impedire il sempre più ingente flusso di migranti.

    Premesso che l’Italia ha la responsabilità di aver firmato, nel 2003, il Trattato di Dublino e di non aver saputo, con nessuno dei molti governi che si sono succeduti, di ogni colore politico, modificarlo, riaffermato che quel trattato, per altro nato in una diversa situazione di immigrazione, era comunque miope e sbagliato, dobbiamo nuovamente rimarcare oggi l’incapacità dell’Unione Europea, priva di una politica comune, di gestire un fenomeno diventato di proporzioni bibliche.

    Il Consiglio europeo, cosi come le altre istituzioni europee, non è in grado, perché obsoleto nella sua forma, di gestire le rivalità, gli interessi nazionali, le diverse visioni, anche dovute a culture e latitudini diverse, che esistono tra i suoi Stati Membri. Se a questo aggiungiamo che in ogni Paese si è già in campagna elettorale, per le elezioni che in primavera eleggeranno il nuovo Parlamento e ridisegneranno gli equilibri futuri, ben si comprende come ogni giorno ci siano dichiarazioni e smentite e non si arrivi a nulla di concreto…

    Se a tutta questa incertezza, confusione e ridda di paure e divieti aggiungiamo le incontrovertibili realtà:

    1) molte popolazioni africane soffrono la fame e la sete e vivono in condizioni di esagerante precarietà e povertà;

    2) in molti Paesi ci sono conflitti, guerre, presenza di terroristi, regimi totalitari, mancanza di libertà;

    3) piaccia o meno abbiamo lasciato credere che nei paesi europei tutti avevamo tutto, addirittura che il lavoro, la sanità, la casa, e via  discorrendo, erano assicurati;

    4)i recenti colpi di stato, il terremoto in Marocco, la tragica inondazione in Libia, la gravissima crisi economica tunisina, aggiunte alla ben nota situazione siriana, somala, afgana, solo per citare alcune delle situazioni di crisi che hanno creato nuove disperazioni, comprendiamo bene che, complici le condizioni climatiche, era evidente che gli sbarchi sarebbero aumentati in modo esponenziale e che non c’è possibilità di fermarli solo con decreti o blocchi navali.

    Quello che occorre è, da subito, pur sapendo che servirà tempo per la realizzazione, una politica europea che affronti in modo totalmente nuovo il problema, tenuto anche conto che proprio all’Europa occorrono immigrati per molte attività lavorative e che questi immigrati devono essere preparati alle nostre regole, alle nostre lingue, alle attività che dovranno svolgere per costruirsi quella vita dignitosa alla quale  giustamente aspirano.

    Come abbiamo già avuto modo di suggerire da tempo la soluzione è che l’Unione europea chieda ad alcuni Paesi del nord Africa, come la Tunisia, il Marocco, l’Egitto l’affitto per 50 anni di un’area di 100 ettari ciascuno per costruire direttamente veri e propri villaggi, non campi profughi ma villaggi, organizzati e gestiti da personale europeo.

    In questi villaggi, con  scuole di lingue e di orientamento professionale, i profughi potrebbero ritrovare la serenità e la speranza che cercano, le famiglie non sarebbero smembrate, i bambini ed i giovani avrebbero l’istruzione necessaria per essere avviati un domani verso i paesi europei, le donne non subirebbero le violenze di ogni genere alle quali  sono ora continuamente sottoposte.

    In questi villaggi sarebbe più facile individuare 1) chi non dovrebbe arrivare in Europa perché pericoloso e deve  essere rimpatriato, 2) chi può avere diritto ad un asilo immediato, 3) chi ha bisogno di cure sanitarie, 4) chi in certi casi potrebbe scegliere di tornare al paese d’origine.

    Se non si ha il coraggio di guardare avanti e di impostare in modo nuovo la risoluzione di un problema, che sta diventando una catastrofe umanitaria per tutti, la situazione rischia di degenerare ulteriormente con conseguenze gravissime.

    Il progetto di aiutare l’Africa in Africa va realizzato senza chiudere le frontiere ma trovando da subito concrete possibilità per una integrazione vera ed utile agli  europei come agli africani, è l’unica ragionevole soluzione, senza la visione del futuro non si riuscirà a risolvere quello che sta accadendo, non solo in Italia.

  • Circa il 10% delle vittime delle inondazioni libiche erano migranti

    Il 10% circa delle persone morte nelle inondazioni che hanno colpito la Libia sono migranti, stando a quanto dichiarato alla BBC dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Secondo i dati dell’OIM, organismo delle Nazioni Unite, nel febbraio 2023 nel paese nordafricano vivevano oltre 706.000 migranti, alcuni erano lì da tempo per lavoro, mentre per la Libia era un punto di transito nel tentativo di raggiungere l’Europa.

    Secondo l’OIM sono quattrocento i migranti morti nelle inondazioni ma il bilancio delle vittime potrebbe cambiare man mano che i corpi saranno recuperati.

    Al momento per l’OIM e l’Organizzazione Mondiale della Sanità il bilancio delle vittime confermato è pari a 3.900, tuttavia, i funzionari che utilizzano metodologie diverse hanno fornito statistiche molto diverse, come il sindaco della città libica Derna che stima siano morte più di 20.000 persone.

    Derna è stata, di gran lunga, la più colpita dalle inondazioni. Due dighe sono crollate a causa delle forti piogge e parti della città sono state sommerse dall’acqua. Circa 10.000 migranti vivevano nella città portuale prima dell’alluvione e l’OIM prevede che il bilancio delle vittime sarà particolarmente alto, considerando che molti vivevano in zone pianeggianti.

  • Summit di Pietroburgo: l’Africa fa sentire la sua voce

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi  apparso su notiziegeopolitiche.net il 10 agosto 2023

    Il 28 luglio scorso è terminato a San Pietroburgo il secondo summit Russia – Africa. Vi hanno partecipato 49 Stati africani, rappresentati in alcuni casi da capi di governo, in altri da ministri degli esteri o da ambasciatori. Il primo summit fu organizzato a Sochi nell’ottobre del 2019. Nel frattempo il mondo è stato profondamente cambiato dal Covid e dalla guerra in Ucraina.
    Molta stampa ha cercato di presentare il summit come un fallimento, poiché, rispetto a quello di Sochi, a San Pietroburgo sarebbe stato presente un numero inferiore di capi di Stato e di governo. Il fatto è vero, si è passati da 43 capi di Stato a 17, frutto di grandi pressioni occidentali. Anche se questa volta sono venuti altri capi di Stato importanti, come quello del Camerun, che non erano stati a Sochi.
    A nostro avviso sarebbe un grave errore di calcolo geopolitico se l’Occidente, e in particolare l’Unione europea, valutasse il summit semplicemente come un atto di propaganda di Mosca o come un cedimento dell’Africa alle pressioni e alle supposte “manipolazioni” della Russia.
    Sarebbe invece opportuno leggere la Dichiarazione finale non come un compromesso di posizioni ma come una dichiarazione programmatica e d’intenti dei paesi dell’Africa nei confronti del mondo intero. Ovviamente, la mano del Cremlino c’è stata ma si è limitata a far si che la parola “Ucraina” non fosse mai menzionata nella Dichiarazione.
    L’Africa riafferma la necessità di opporsi al neocolonialismo, che impone condizioni e doppi standard, e di non permettere che queste pratiche privino gli Stati e i popoli del diritto di compiere scelte sovrane nei loro percorsi di sviluppo. Chiede di “contrastare l’imposizione nelle organizzazioni internazionali, principalmente nelle Nazioni Unite, di linee di divisione che ostacolano l’effettiva ricerca di soluzioni a questioni urgenti nell’agenda dell’Onu, comprese quelle che riguardano interessi vitali degli Stati africani… L’Africa vuole contribuire alla creazione di un ordine mondiale multipolare più giusto, equilibrato e stabile”. Ciò non è cosa da poco anche rispetto alle chiusure degli Usa e dell’Occidente in genere rispetto a tale necessità.
    Nel campo economico e programmatico le posizioni dell’Africa sono anche più precise. Si afferma “l’opposizione all’applicazione di misure restrittive unilaterali illegittime, anche secondarie, e alla pratica del congelamento delle riserve valutarie sovrane.” Ovviamente è un’affermazione anche nell’interesse della Russia, per via delle sanzioni imposte dall’Occidente, ma riflette soprattutto la crescente preoccupazione, più volte espressa da tutti i Paesi emergenti, sull’utilizzo generalizzato delle sanzioni come arma di guerra.
    Il sostegno dell’Africa a un processo politico multilaterale è manifestato chiaramente quando si dichiara di voler contribuire a una crescita economica sostenibile e globale e a un sistema più rappresentativo di governance economica internazionale per rispondere efficacemente alle sfide economiche e finanziarie globali e regionali. E anche quando si vuole “facilitare la ristrutturazione dell’architettura finanziaria globale per affrontare meglio le crescenti esigenze di sviluppo e riflettere gli interessi e la crescente influenza dei paesi in via di sviluppo e per superare l’impatto negativo delle condizioni loro imposte in relazione al pieno ed effettivo godimento dei diritti umani.”
    Naturalmente si esprime profonda preoccupazione per le sfide legate alla sicurezza alimentare globale, compreso l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dei fertilizzanti, e l’interruzione delle catene di approvvigionamento internazionali, che hanno un impatto sproporzionato sul continente africano. Si sostiene, inoltre, la necessità di misure finanziarie multilaterali inclusive che alleggeriscano l’onere del debito per i paesi a basso e medio reddito.
    Decisivo per l’Africa è “il rispetto dei principi e degli scopi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite per promuovere il ruolo centrale di coordinamento dell’Onu come il principale meccanismo multilaterale globale.” L’adesione dell’Unione africana (Ua) al G20 sarebbe un passo importante nella giusta direzione, così come l’auspicata partnership dell’Ua con i Brics.
    Particolarmente rilevante è proprio la centralità data all’Onu rispetto al ruolo assegnatole dai 193 paesi aderenti. Purtroppo, nonostante la drammaticità di questo delicato momento, i paesi europei hanno scelto di svolgere un ruolo subalterno.

    *già sottosegretario all’Economia   **economista

  • I sostenitori del golpe in Niger assaltano l’ambasciata francese, Parigi pronta a reagire

    Alcuni giorno dopo il colpo di Stato, migliaia di sostenitori della giunta militare al potere in Niger dal 26 luglio hanno manifestato a Niamey, prendendo di mira anche l’ambasciata della Francia. Video della protesta sui social network mostrano i manifestanti che intonano slogan antifrancesi e chiedono la chiusura della sede diplomatica. Un’insegna dell’ambasciata è stata rimossa e una porta è stata incendiata. In mattinata una folla si è radunata anche a Place de Concertation, dove si sono viste sventolare bandiere della Russia. Il generale Abdourahmane Tchiani (o Omar Tchiani), insediatosi dopo la destituzione con il golpe del presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum, ha scritto su Twitter che la “marcia di sostegno” è una “dimostrazione di forza inaudita nella capitale da più di dieci anni”. La giunta ha rilasciato un comunicato ieri invitando i cittadini a scendere in piazza oggi per protestare contro la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao), in concomitanza col vertice straordinario dei leader dell’organizzazione convocato per oggi ad Abuja, in Nigeria.

    Il summit della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale è stato convocato da Bola Ahmed Tinubu, presidente della Nigeria e dell’Autorità dei capi di Stato e di governo della Cedeao. Nell’incontro potrebbero essere decise sanzioni, come la sospensione. Il Niger potrebbe essere escluso anche dall’Unione economica e monetaria ovest-africana (Uemoa), di cui fa parte insieme ad altri sette Paesi della Cedeao. In vista della riunione odierna, ieri sera il colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta che ha preso il potere in Niger, ha letto una dichiarazione in un intervento trasmesso dalla televisione di Stato nigerina, attribuendo alla Cedeao un “piano di aggressione contro il Niger attraverso un imminente intervento militare a Niamey”, in collaborazione con altri Paesi africani e con alcuni Paesi occidentali. Il colonnello ha dichiarato che la giunta è determinata a “difendere la patria”.

    Tinubu ha avuto un colloquio telefonico col segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken. I due interlocutori, secondo una nota del dipartimento di Stato Usa, hanno condiviso la profonda preoccupazione per gli eventi in Niger e per la detenzione del presidente nigerino Bazoum. Il responsabile della diplomazia statunitense ha ringraziato Tinubu per la sua leadership come presidente della Nigeria e come presidente della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale nella crisi in corso e ha assicurato il sostegno di Washington agli sforzi per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger.

    Mentre si moltiplicano le condanne da parte della comunità internazionale, i leader regionali – riuniti domenica 30 luglio ad Abuja per un vertice straordinario della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) – hanno imposto sanzioni immediate alla giunta golpista, arrivando a minacciare l’uso della forza in caso di mancato ripristino dell’ordine costituzionale. Una simile posizione potrebbe essere assunta dalla Francia, sempre più preoccupata per l’evolversi degli eventi in un Paese ritenuto strategico da Parigi sia per la massiccia presenza militare sia – e soprattutto – per le riserve di uranio presenti in Niger, da cui dipende buona parte del fabbisogno energetico francese. L’attacco all’ambasciata ha suscitato la pronta reazione di Parigi, l’Eliseo che ha fatto sapere che “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi”. Il presidente Emmanuel Macron ha avvertito che “non tollererà alcun attacco contro la Francia e i suoi interessi” in Niger. “Chiunque attacchi i cittadini francesi, l’esercito, i diplomatici e la sedi francesi vedrà la Francia reagire in modo immediato e inflessibile”, ha fatto sapere l’Eliseo in una nota. Un possibile intervento francese è stato paventato anche dalla stessa giunta militare di Niamey, che ha accusato la Francia di voler cercare “modi e mezzi per intervenire militarmente in Niger”. In un comunicato letto in diretta dal colonnello maggiore Amadou Abdramane, portavoce del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp), la giunta ha denunciato il fatto che sarebbe avvenuto un incontro tra i soldati francesi, l’ex ministro delle Finanze, Hassoumi Massaoudou, e l’ex capo della Guardia nazionale del Niger, Midou Guirey, per firmare un documento che autorizzi la Francia a compiere attacchi contro il palazzo presidenziale. Secondo fonti citate da “Tchad One”, inoltre, Guirey sarebbe stato arrestato dalle autorità golpiste, così come altri quattro ministri del governo deposto e il capo del Partito nigerino per la democrazia e il socialismo (Pnds) di Bazoum: si tratta del ministro del Petrolio Mahamane Sani Mahamadou, figlio dell’influente ex presidente Mahamadou Issoufou, e quello delle Miniere Ousseini Hadizatou. In manette, parimenti, è finito il capo del comitato esecutivo nazionale del partito, Fourmakoye Gado. In precedenza erano stati arrestati anche il ministro dell’Interno Hama Amadou Souley, quello dei Trasporti Oumarou Malam Alma e l’ex ministro della Difesa Kalla Moutari, attualmente membro del parlamento.

    L’impressione è che, a differenza di quanto accaduto negli ultimi tre anni con i colpi di Stato in Mali, Guinea e Burkina Faso, questa volta la Francia difficilmente potrà tollerare la perdita d’influenza in quello che da anni era il suo principale alleato nel Sahel, nonché l’ultimo bastione “democratico” in una regione ormai quasi interamente formata da Paesi guidati da giunte militari golpiste riconducibili all’orbita russa. È al Niger che la Francia, l’Unione europea e i suoi alleati occidentali – in primis gli Stati Uniti – si erano finora aggrappati per non vedersi definitivamente estromessi nel Sahel a scapito della Russia. Ed è in Niger che Parigi ha ricollocato i circa 2.400 militari della missione francese Barkhane precedentemente stanziati in Mali, come voluto dal presidente Emmanuel Macron in seguito all’escalation delle tensioni tra Bamako e Parigi. Stessa sorte è toccata ai militari della task force europea Takuba (cui l’Italia contribuiva con circa 200 uomini), ora riposizionati al fianco delle forze armate del Niger alla frontiera con il Mali, in seguito alla chiusura delle basi militari maliane di Gossi, Menaka e Gao. Un eventuale scivolamento del Niger in orbita russa sancirebbe dunque la definitiva estromissione francese ed europea dal Sahel, con conseguenze che andrebbero ben oltre la dimensione militare. Con due miniere di uranio – quelle di Acuta e di Arlit – gestite entrambe dalla controllata nigerina della società francese Orano, il Niger è infatti il primo fornitore di uranio dell’Ue, assicurando il 24 per cento del fabbisogno comunitario.

    Nel frattempo sono entrate nel vivo le trattative diplomatiche per cercare di mediare nella crisi. Il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby Itno, altro alleato della Francia nel Sahel, ha effettuato una visita di qualche ora a Niamey per trovare una soluzione negoziata. All’opera anche l’ex presidente nigerino Mahamadou Issoufou, al potere per due mandati dal 2011 al 2021. “A Niamey ho avuto colloqui approfonditi con i leader del Cnsp, in particolare con il generale Abdourahamane Tchiani, con il presidente Mohamed Bazoum e con l’ex presidente Mahamadou Issoufou, in un approccio fraterno che mira a esplorare tutte le strade per trovare una soluzione pacifica alla crisi che sta scuotendo questo Paese vicino”, ha scritto Deby su Twitter, pubblicando una foto che lo ritrae seduto accanto ad un sorridente Bazoum, che appare in buone condizioni. Il lavoro diplomatico prosegue intanto a livello regionale. Mentre a Niamey andavano in scena partecipate proteste in cui i manifestanti hanno sventolato bandiere della Russia e hanno preso d’assalto anche l’ambasciata francese, i leader della Cedeao si riunivano ad Abuja per un vertice straordinario convocato dal presidente nigeriano Bola Tinubu. Nel comunicato congiunto diffuso al termine del vertice, i leader regionali hanno concesso un ultimatum alla giunta militare, imponendo sanzioni immediate e minacciando l’uso della forza.

    Alla giunta nigerina, si legge nel comunicato, è stato inoltre chiesto di rilasciare immediatamente il presidente eletto democraticamente, Mohamed Bazoum, ed è stata concessa una settimana di tempo per cedere il potere. In caso contrario saranno prese le misure necessarie, che potranno includere l’impiego della forza. Sono state annunciate con effetto immediato la chiusura delle frontiere aeree e terrestri dei Paesi membri e l’interdizione di sorvolo degli aerei commerciali provenienti dal Niger o diretti in Niger. Sono state sospese, anch’esse con effetto immediato, tutte le transazioni commerciali e finanziarie tra gli Stati membri e il Niger, e congelate tutte le risorse statali nigerine nelle banche centrali dei Paesi Cedeao, così come gli asset delle imprese statali nelle banche commerciali. Tra le misure c’è anche il divieto di ingresso e il congelamento dei beni per i militari nigerini coinvolti nel colpo di Stato, per i loro familiari e per i civili che accettano di assumere incarichi nel governo militare.

  • Ethiopia restores social media access after five months

    Ethiopia is allowing people to access Facebook, Telegram, TikTok and YouTube for the first time in more than five months.

    The blackout was imposed on 9 February this year after tensions between the Ethiopian Orthodox Church and the government.

    Only those with access to virtual private network (VPN) software could get on to the social media platforms – something that cost them additional data.

    The Orthodox Church faced a split in February when some archbishops from the Oromia region said they wanted to form a new synod as they wanted to hold services on the Oromo language.

    The move triggered deadly clashes, but a mediation effort by the government has now papered over the cracks.

    There has been no statement from the authorities over the decision to lift the ban.

    Last month, the head of Ethio Telecom said the blockage was not a decision that had been taken by the state-owned company.

    According to the Internet Society, the outage has cost Ethiopia $42m (£32m) because of the knock-on effect on businesses. Others say the figure is higher.

    Some areas of the northern region of Tigray, where a brutal two-year conflict came to an end last November, remain without access to the internet.

  • La Commissione accoglie la sollecitazione dell’On. Muscardini sui problemi dei paesi terzi per inquinamento da macchine usate provenienti dall’Europa

    Il nuovo pronunciamento della Commissione sul miglioramento della progettazione e della gestione del fine vita delle auto è in linea con quanto chiesto, nel novembre 2022, dall’on. Cristiana Muscardini che aveva chiesto al commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, di intervenire mettendo con una proposta che da un lato vietasse l’esportazione di vecchi veicoli inquinanti fuori dall’Unione Europea e dall’altro creasse, per i paesi africani, possibilità di acquisto di veicoli per il trasporto privato, pubblico e per l’agricoltura a prezzi calmierati attraverso i fondi per la cooperazione e tramite accordi con le case automobilistiche.

    Il commissario aveva risposto che la Commissione stava lavorando alla revisione della direttiva “End-of-Life Vehicle” (ELV) mirata a ridurre i rifiuti derivanti dai veicoli fuori uso fissando nuovi obiettivi per i costruttori di veicoli, vietando l’uso di sostanze pericolose e rendendo i nuovi veicoli più ecologici. La revisione della direttiva avrebbe puntato ad accrescere il riciclo, il recupero e la riutilizzabilità dei veicoli e dei loro componenti, migliorando le prestazioni ambientali di tutti gli operatori economici coinvolti nel ciclo di vita dei veicoli. Ciò avrebbe dovuto portare a prolungare l’idoneità alla circolazione dei veicoli e consentire l’ammodernamento dei veicoli usati con nuove parti, limitando l’impatto sull’ambiente e sulla sicurezza stradale. La direttiva riveduta si sarebbe concentrata anche sul divieto di esportare i cosiddetti “veicoli fuori uso” verso i Paesi terzi, con maggiore attenzione sul loro smantellamento e smaltimento ecologico.

    Sinkevičius aggiungeva che la Commissione europea avrebbe contribuito anche a limitare l’esportazione di veicoli vecchi e inquinanti in Africa attraverso iniziative specifiche come il supporto al cosiddetto “African Transport Policy Programme”, al fine di migliorare la sicurezza stradale.

    In questi giorni la Commissione ha comunicato ufficialmente di aver affrontato il problema con misure riguardanti la progettazione, la produzione e il trattamento dei veicoli a fine vita per migliorare la circolarità del settore automobilistico, azioni che dovrebbero generare 1,8 miliardi di € di entrate nette entro il 2035 e creare nuovi posti di lavoro e maggiori flussi di entrate per l’industria della gestione e del riciclaggio dei rifiuti. Le misure proposte contribuiranno inoltre a migliorare la sicurezza stradale nei paesi terzi, impedendo l’esportazione di veicoli non idonei alla circolazione stradale e riducendo l’inquinamento nocivo e i rischi per la salute nei paesi che importano veicoli usati dall’UE.

    In questo modo si assisterà ad una riduzione annuale di 12,3 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2035 e a un maggiore recupero delle materie prime critiche.

  • Oltre 800 morti in Nigeria a giugno

    Più di 800 persone sono state uccise in attacchi nel solo mese di giugno 2023 in tutta la Nigeria secondo un nuovo rapporto sulla sicurezza. Il rapporto, pubblicato da Beacon Consulting, un’organizzazione di intelligence e gestione dei rischi per la sicurezza, ha indicato che sono stati registrati 460 incidenti, inclusi 239 rapimenti. Gli attacchi, secondo il rapporto, sono avvenuti in 234 aree del governo locale nei 36 stati della Nigeria e nella capitale, Abuja.

    Il presidente Bola Tinubu ha promesso di fare della sicurezza una priorità assoluta nel Paese, ma nel primo mese della sua amministrazione ha già subito un numero elevato di attacchi. Il governo sta lottando per trovare risposte agli attacchi incessanti di gruppi islamisti, banditi e altri gruppi criminali nonostante la nomina di nuovi capi della sicurezza.

    Sabato scorso quasi 40 persone sono state uccise in attacchi separati contro le comunità residenti negli stati centrali di Benue e Plateau. La polizia nello stato di Benue ha detto alla BBC che altri cadaveri sono ancora in fase di recupero.

  • Italia e Libia potrebbero ripristinare i collegamenti aerei diretti

    Italia e Libia potrebbero ripristinare a breve i collegamenti aerei civili, uno sviluppo atteso da almeno 5 anni che potrebbe moltiplicare i contatti tra le due sponde del Mediterraneo. Ad annunciarlo è stato il premier del Governo di unità nazionale (Gun), Abdulhamid Dabaiba, sbilanciandosi anche sulla data del riavvio dei voli “entro settembre”. Un’eventualità che va però accolta con prudenza. Resta in vigore, infatti, il Notam (Notice to Airmen, avviso ai piloti) italiano del 2018, che impedisce sorvoli dello spazio aereo libico e voli diretti tra Italia e Libia per motivi di sicurezza, deciso dal ministero dell’Interno e applicato da Enac in maniera paragonabile ad altri Paesi europei e occidentali. A questa problematica si aggiunge anche il divieto europeo (Eu flight ban) di atterraggio e sorvolo alle compagnie aeree libiche per motivi di sicurezza, imposto nel 2014 e ribadito nel gennaio 2022 dalle autorità europee. Eppure, filtra un cauto ottimismo da parte italiana dopo l’incontro che si è tenuto ieri a Tripoli tra il presidente dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac), Pierluigi Di Palma, l’ambasciatore d’Italia, Gianluca Alberini, con il ministro di Stato per le Comunicazioni e gli Affari Politici Walid al Lafi e il presidente dell’Autorità per l’aviazione civile libica, Mohamed Shlebik.

    Secondo quanto riporta l’ambasciata d’Italia a Tripoli, le parti “hanno discusso insieme del prossimo riavvio dei voli diretti e del rafforzamento della collaborazione. Si conferma la stretta partnership italo-libica sul dossier aviazione civile”. Nei mesi scorsi, peraltro, le autorità libiche hanno fornito i dati sull’adeguamento infrastrutturale e del controllo del traffico aereo degli scali. Da parte sua, il premier Dabaiba ha ringraziato l’Italia e ha annunciato la presunta data in cui i collegamenti dovrebbero essere riavviati. “Il Governo italiano ci ha informato della sua decisione di revocare il divieto di transito aereo imposto all’aviazione civile libica 10 anni fa (in realtà cinque, ndr), consentendo la ripresa dei voli il prossimo settembre. Ringrazio il primo ministro Giorgia Meloni, apprezzo gli sforzi del settore dei trasporti e del comitato formato al riguardo, e tutti coloro che hanno contribuito a raggiungere questa svolta per facilitare la circolazione dei nostri cittadini”, ha scritto Dabaiba su Twitter.

    Il tema della riapertura dei voli diretti Libia-Italia costituisce un interesse comune prioritario, già affrontato negli incontri tra il primo ministro Dabaiba e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni a gennaio a Tripoli e a giugno a Roma. Secondo la presidente dell’Associazione italiani rimpatriati dalla Libia (Airl), Francesca Prina Ricotti, il ripristino dei collegamenti aerei non farà che agevolare “gli scambi economici e culturali” tra i due Paesi. “Una lunga attesa che sembra essere arrivata al termine. Sono evidenti gli sforzi da entrambe le parti per ripartire al più presto con i voli diretti che agevolerebbe sicuramente gli scambi economici e culturali. Come italiani di Libia ci auguriamo che possa realizzarsi quanto prima perché conosciamo bene quanto la Libia ha da offrire”, ha detto Prina Ricotti ad “Agenzia Nova”. Secondo Mario Savina, esperto di Libia dell’Airl, la ripresa dei collegamenti è un tassello fondamentale per le relazioni bilaterali tra Italia e Libia: “Mentre assistiamo tutti all’impegno per risolvere il prima possibile lo stallo politico e permettere ai libici di recarsi alle urne, la ripresa dei voli tra Italia e Libia assume un’importanza primaria, sia in ottica strategica che economica e sociale. Dal traffico merci agli spostamenti familiari al turismo, che ci auguriamo possa tornare rapidamente a interessare la Libia. Un ottimo segnale e un’opportunità per rinsaldare il dialogo tra i due Paesi”.

    Per Nicola Colicchi, presidente Camera di commercio italo-libica (Ccil), la ripresa di voli è uno “sviluppo positivo assolutamente indispensabile” per aumentare i contatti tra le imprese dei due Paesi. “Noi abbiamo scritto una lettera al ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, sulle problematiche che ostacolano il lavoro delle imprese che operano in Libia, inclusa ovviamente anche la totale chiusura dei voli”, ha ricordato Colicchi. Il tema centrale, secondo il presidente della Ccil, è creare un contesto favorevole all’interscambio tra le economie e le imprese libiche e italiane. “La ripresa dei voli sarebbe di fondamentale importanza perché segnerebbe non solo un vero e proprio riavvicinamento fisico tra i due Paesi, ma anche uno sviluppo importantissimo per creare una rete di piccoli e medi imprenditori libici e italiani, con l’obiettivo di condividere opportunità, tecnologie e know-how. Tutto questo può avvenire soltanto creando una relazione diretta e legami personali: ecco perché la possibilità di viaggio è di incontro è assolutamente indispensabile”, ha detto Colicchi. La mancanza di un volo diretto per Tripoli costringe a volte a vere odissee per arrivare in un Paese a 75 minuti di tragitto da Roma. Da un punto di vista economico, la rotta Italia-Libia potrebbe rivelarsi molto redditizia, considerata l’alta richiesta di voli diretti verso l’Europa che per ora transitano via Tunisi, Istanbul e da ultimo Malta. “Durante la mia ultima missione in Libia ho incontrato più di una compagnia aerea, sia maltese che libica, tutte interessatissime a operare questo volo. Sono certo che l’iniziativa non potrà che vare un grande successo commerciale e avrà sicuramene molti pretendenti”, ha aggiunto Colicchi.

    La rimozione dell’avviso seguirebbe l’attuazione del nuovo piano dell’Autorità libica per l’aviazione civile, che punta a soddisfare i requisiti internazionali dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) e dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (Easa). Il progetto, avviato con l’aiuto di vari partner internazionali, inclusa la stessa Icao e l’Italia, dovrebbe essere completato entro poche settimane. Nel frattempo, a maggio l’Enac ha effettuato una verifica, dall’esito positivo, delle condizioni dell’aeroporto di Tripoli-Mitiga. Secondo quanto appreso da “Agenzia Nova”, è realistico ipotizzare che un primo volo diretto civile tra Italia e Libia possa concretizzarsi verso la fine dell’anno in corso.

  • Il Sud Sudan terrà le prime elezioni dall’indipendenza

    Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha dichiarato che le elezioni del Paese, a lungo rimandate e le prime da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, si terranno il prossimo anno, come previsto, e lui si candiderà.

    Nessun altro ha parlato finora di candidatura, ma tra i possibili candidati potrebbe esserci anche il primo vicepresidente Riek Machar.

    Kiir è presidente dall’indipendenza, nel 2011, raggiunta dopo una lunga guerra civile, anche se il conflitto in realtà è ripreso nel 2013. Nell’agosto 2018 è stato firmato un accordo di condivisione del potere tra le parti in conflitto nel tentativo di porre fine alla guerra civile quinquennale.

    Il mandato del governo di transizione, che avrebbe dovuto concludersi nel 2022, è stato prorogato per consentire ai leader di affrontare le sfide con l’attuazione dell’accordo di pace.

    Martedì, Kiir ha affermato che queste sfide saranno affrontate “prima delle elezioni” fissate per dicembre del prossimo anno.

  • Le forze somale prendono il controllo delle aree lasciate libere dalle truppe dell’Unione Africana

    Le forze somale hanno assunto responsabilità di sicurezza in cinque dei sei settori in cui sono state dispiegate le truppe dell’Unione Africana (UA).

    Il ministero della Difesa ha detto di aver apprezzato i “sacrifici” compiuti negli anni dalla missione dell’UA e dai paesi che avevano fornito soldati: Burundi, Gibuti, Etiopia, Kenya e Uganda.

    La dichiarazione è arrivata dopo il previsto ritiro di 2.000 soldati dell’UA il 30 giugno.

    La maggior parte delle basi militari finora consegnate si trovano nella regione del Basso Shabelle ed erano gestite dal contingente burundese della missione.

    Altri 3.000 soldati dell’UA dovrebbero partire entro la fine di settembre, con l’intera forza che dovrebbe lasciare la Somalia entro la fine del 2024.

    L’UA aiuta il fragile governo somalo a combattere il gruppo militante islamista al-Shabab dal 2007.

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