Africa

  • Zimbabwe approves long-acting HIV prevention drug

    Zimbabwe has become the first county in Africa to approve a long-acting injectable drug that prevents HIV transmission.

    The first two injections of Cabotegraviror CAB-LA are administered four weeks apart, followed by an injection every eight weeks.

    The drug has received regulatory approval in two other countries, the US and Australia.

    Zimbabwe will begin rolling out the drug after regulators approved its use. The authorities say it will provide a crucial layer of protection for risk groups.

    Large scale studies of the drug showed 79% reduction in HIV risk compared with oral pre-exposure prophylaxis, according to the World Health Organisation.

    Zimbabwe approved a long-acting HIV preventative vaginal ring earlier this year.

    While African countries have dramatically reduced the number of new HIV infections, adolescent girls and young women remain at risk accounting for 63% of new infections last year.

  • African female politicians recount bullying and attacks

    West African female politicians have told the BBC’s Africa Daily podcast that the system was rigged against them and that they faced bullying and attacks. This is the reason why more women do not join politics in the region, they say.

    “It’s the system,” said Eunice Atuejide who stood as a presidential candidate in Nigeria’s 2019 elections. It has “quite a lot of people who are very patriarchal” in leadership positions.

    Ms Atuejide said women who run for political office face fear of attacks and warned it can get “really dirty”.

    She said opponents go so far as to make fake videos, including fake sex videos, to smear the women candidates’ name.

    Liberia’s Karishma Pelham-Raad, who is one of the youngest women candidates hoping to be elected to Liberia’s House of Representatives, echoed similar sentiments.

    Social media can “bring you down completely”, she said. Despite the fact Liberia had a female president in the form of Ellen Johnson Sirleaf, Ms Pelham-Raad believes not much was done under her administration to advance the rights of women in politics: “She did not empower a lot of women,” Ms Pelham-Raad said.

    The situation is not much better in Ghana, where Dr Zanator Rawlings, who is an MP, said there was no affirmative action bill to get more women into political power. Out of Ghana’s 275 MPs just 40 are women, she said.

    “Women just don’t get enough funding or support,” she said. “The system is rigged against the women” she added, lamenting that when women are in politics, they are mostly given “token” positions and “deputising” roles.

    Senegal is the country doing better than other countries in West Africa – following elections in July, women make up 44% of MPs, compared to 4% of in Nigeria and 26% in Niger.

  • Tigray fighters losing ground – TPLF general

    Tigrayan fighters in war-torn northern Ethiopia have lost control of a town near the region’s borders with neighbouring Eritrea, the commander of the soldiers said.

    Gen Tadesse Worede has told a regional news station that joint Ethiopian and Eritrean troops had taken the town of Sheraro.

    Neither government has yet commented and communications blackouts have made it difficult for the BBC to independently confirm the report.

    Sheraro is located some 50km (30 miles) from the border.

    Gen Tadesse also said government forces had taken control of Addi Arkay, a town along the border between Tigray and its southern neighbour Amhara that had been under the control of Tigrayan forces for more than a year.

    Government forces have plans “to control Axum, Adigrat, Shire [cities] and enter Mekelle [the Tigrayan capital]” Gen Tadesse said, adding that the ultimate goal was “to disarm” Tigrayan forces.

    “Tigrayan people are facing a coordinated attack that can be called the biggest yet,” he said.

    Both sides have been accused of wrongdoing in the conflict.

    The government has largely been quiet about the details of the fighting.

    Earlier this week the Federal Defence Forces’ commander-in-chief, Field Marshal Berhanu Jula, said his troops were “successfully thwarting attacks launched” by Tigrayan forces, without providing details.

    It has been three weeks since renewed clashes shattered a five-month truce and despite growing calls for de-escalation, fighting continues to be reported.

  • Le guerre per le terre rare minano anche il nostro futuro

    Mentre la nostra attenzione è, ovviamente, concentrata sui diversi problemi dovuti al rincaro del gas e alla sospensione di gran parte dei rifornimenti dalla Russia, si rischia che manchi all’analisi del nostro futuro quali saranno le conseguenze delle varie guerre di potere per accaparrarsi quelle materie prime senza le quali la società mondiale non può più vivere.

    Lo scontro tra i grandi della terra è sulle terre rare senza le quali le vecchie e nuove tecnologie non possono funzionare e in questo scontro ogni giorno si contano molte vittime.

    Il Congo è ricco di coltan, il minerale indispensabile per il funzionamento dei migliori microchip, quei microchip che regolano ogni tecnologia e presto saranno usati anche nell’industria pesante. Il coltan del Congo è particolare per la concentrazione di columbite-tantalite che porta ad un risparmio energetico, ad esempio prolunga la durata delle batterie e perciò è particolarmente richiesto anche per le macchine elettriche.

    La grande richiesta del coltan, in una paese poverissimo nonostante le tante risorse minerarie, cobalto in testa, aumenta le lotte intestine, i traffici internazionali, le guerre di potere, tutto a scapito della popolazione, che in gran parte lavora più di 12 ore al giorno, senza protezione e per una misera manciata di dollari.

    La Cina ha ovviamente un rapporto stretto con il governo congolese e ha usato tutti i mezzi per aggiudicarsi l’esclusiva del cobalto e si muove, anche sotto la copertura di varie società che tra loro si fondono con giochi ad incastro. Nel frattempo la situazione di donne e bambini resta drammatica mentre gli attacchi di bande armate, dei contrabbandieri e dell’Isis continuano contro la popolazione civile.

    Continua anche la corsa al litio, materiale essenziale per le moderne tecnologie e del quale la Bolivia detiene un quarto delle riserve mondiali conosciute ma non ne produce che pochissime quantità perché l’ex presidente Morales comanda ancora. Pur essendo nazionalizzata l’estrazione del litio, esiste solo un piccolo impianto che non riesce a produrre in modo industriale. Nel 2021 Morales ha deciso di mettere fine alla fallimentare nazionalizzazione ma solo nell’interesse di Pechino e Mosca.

    Le batterie al litio sono le più efficienti e riciclabili perciò è un grande affare produrlo, utilizzarlo, venderlo vista la necessità di arrivare all’autotrasporto elettrico così la metà delle compagnie che potranno avviare progetti di ricerca sul litio sono cinesi. Una di queste ha fatto una società mista con una società statale boliviana per l’industrializzazione delle saline. Il litio boliviano sarà anche a disposizione di una azienda statale russa che si occupa di energia nucleare, poiché è uno dei maggiori produttori mondiali di uranio, la Bolivia è ricca anche di questo materiale.

    Russia e Cina pur essendo apparentemente alleate su molte questioni, compreso il silenzio colpevole del presidente cinese sulla guerra di Putin contro l’Ucraina, in effetti hanno una forte rivalità per la conquista proprio delle terre rare. Queste terre sono molto presenti nel sottosuolo degli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica come il  Kazakistan, il Turkmenistan, il Kirghizistan.

    La concorrenza continua anche per appropriarsi dei grandi giacimenti, non solo di preziosissimo rame, in Afganistan. In effetti le concessioni di alcune miniere sono in mano cinese già dal 2007 ma le note vicende afgane hanno per ora impedito l’estrazione. I cinesi inoltre potrebbero godere di un enorme giacimento di litio nell’alto Tibet individuato recentemente.

    Guerre e guerriglie grandi e piccole, ufficiali od ufficiose, continuano e si espandono, in nome di finti ideali, per garantire terre rare e potere ai giganti del mondo mentre le popolazioni dei paesi, che nel  sottosuolo hanno tante ricchezze, restano sempre più povere.

    Quando i giganti avranno raggiunto la piena acquisizione dei metalli e delle terre rare saranno i padroni definitivi del mondo, forse si faranno guerra tra di loro, forse si divideranno il mondo ma certamente noi non saremo più liberi ed indipendenti come siamo ora, o come crediamo di essere.

    Anche per questo aiutare il popolo ucraino a salvare la sua indipendenza e le ricchezze del suo sottosuolo è necessario e giusto anche per il nostro futuro di libertà e benessere.

  • Centrafrica. Criptovalute e materie prime

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri *e Paolo Raimondi ** pubblicato su ‘notiziegeopolitiche’ il 25 luglio 2022

    Molti giustamente si domandano per quale ragione la Repubblica Centrafricana (CAR), la cui popolazione è considerata tra le più povere al mondo, ha lanciato la sua criptovaluta, il Sango Coin. E bisognerebbe anche chiedersi negli interessi di chi.
    Il presidente Faustin-Archange Touadéra ha detto che “il Sango Coin sarà la porta d’accesso alle risorse naturali della CAR… L’oro digitale sarà il motore della nostra civiltà del futuro.”. Già lo scorso giugno aveva annunciato l’intenzione di valutare le proprie materie prime in monete digitali.
    La popolazione della CAR ha un reddito annuo pro capite di 500 dollari. Il Paese ha un territorio di 622mila km quadrati, più del doppio dell’Italia, e una popolazione di poco più di 4,8 milioni di abitanti. Il suo sottosuolo è ricchissimo: uranio, petrolio, oro, diamanti, rame, cobalto, coltan, ecc. Senza contare le cosiddette “terre rare”, ambitissime materie prime necessarie per le nuove tecnologie, anche per gli armamenti e per lo spazio. Si stima che il loro valore potrebbe superare i 3mila miliardi di dollari. Ciò fa gola ai vecchi e ai nuovi Stati colonialisti e alle grandi multinazionali.
    Si pensa di usare il Sango Coin per tutte le operazioni di finanziamento, di sfruttamento e commerciali legate alle materie prime e all’accaparramento del territorio, bypassando, in altre parole, il dollaro, l’euro o il franco CFA, che è in via di superamento. E’ prevista anche la costruzione di un’“isola cripto” sul fiume Oubangui, un hub dove coordinare tutte le operazione legate al Sango Coin.
    Hervé Ndoba, il ministro delle Finanze della CAR, ha affermato che la nuova cripto moneta sarà supportata da Bitcoin, che il governo centrafricano riconobbe come sua moneta ufficiale già lo scorso aprile. Si vorrebbe modernizzare il Paese con la tecnologia usata per il Sango Coin e rendere più facile il trasferimento di denaro per i cittadini, dimenticando che solo una persona su dieci ha accesso a internet e la rete elettrica è quasi assente su gran parte del territorio.
    La Banca Mondiale e il Fmi, in merito, sono stati colti di sorpresa, preoccupati per gli effetti finanziari potenzialmente destabilizzanti e di perdere il tradizionale controllo sul Paese.
    In verità la tempistica non è stata la migliore! Infatti, il progetto del Sango digitale arriva quando, dalla fine del 2021, la capitalizzazione di mercato delle risorse digitali è diminuita di circa 2mila miliardi di dollari, con il Bitcoin in calo di oltre il 55% dall’inizio dell’anno.
    Le criptovalute sono ammantate di un’attrattiva “ideologia ribelle” contro l’autorità delle banche centrali e dei governi. Sono operazioni finanziarie completamente private molto opache, sospettate di essere a volte strumento anche di movimenti finanziari illeciti e di riciclaggio. E’ vero che le vecchie strutture monetarie e bancarie conosciute non siano sempre state di specchiata chiarezza e correttezza, però, c’è sempre la possibilità di un intervento pubblico di controllo e di regole più stringenti. Con le criptovalute non è così.
    Perciò il fatto che il Sango Coin possa godere ufficialmente di riserve in Bitcoin, che è ad altissima volatilità, non garantisce la necessaria sicurezza.
    I giovani e la modernizzazione per lo sviluppo sono sicuramente il futuro dell’Africa e anche della Repubblica centrafricana. Non per sua colpa, la CAR è stata in passato preda coloniale e di saccheggio. Nel tentativo di affrancarsi da queste catene, si deve, però, stare attenti a non finire nelle grinfie di moderni predatori.
    E’ opportuno essere consapevoli che il controllo delle materie prime è anche al centro dello scontro geopolitico e geoeconomico attuale. La scelta della CAR, in merito, sorprende anche perché nel continente da tempo si parla di creare un’unica moneta africana.

    Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia; **Paolo Raimondi, economista

  • Ethiopian and Sudanese troops clash in al-Fashaga

    Ethiopian and Sudanese forces have clashed at the disputed al-Fashaga border area following the alleged capture, execution and public display of the bodies of seven Sudanese soldiers and a civilian killed over the weekend.

    Sudan said on Tuesday that it had recaptured parts of its territory that were being held by the Ethiopian army.

    The al-Fashaga area is where the north-west of Ethiopia’s Amhara region meets Sudan’s breadbasket, Gedaref state.

    It has been contested for decades but tensions escalated over the last year with regular skirmishes reported between the two countries.

    Witnesses have told the BBC that Sudanese forces advanced and retook two settlements that were being occupied by Ethiopians along the disputed area.

    Military planes could also be seen circling the contested area as the Sudanese assault continued.

    Pictures on social media showed dozens of Ethiopian military vehicles destroyed, but these could not be immediately verified.

    Sudan accused Ethiopian troops of capturing and executing seven of its soldiers, but Addis Ababa has denied the allegations and instead said Sudanese soldiers encroached into its territory.

    The latest skirmishes are a major escalation of tensions between the two eastern African countries which are also embroiled in a dispute over Ethiopia’s filling of a mega hydroelectric dam along the River Nile.

  • At least 40 killed in western Ethiopia clashes

    At least 40 people have been killed in clashes in the western Ethiopian city of Gambella, after members of armed groups launched attacks on Tuesday, two senior regional officials have told the BBC.

    According to one of the officials, 10 of those killed were members of the government security force.

    A spokesperson for the Oromo Liberation Army (OLA) rebels, said his group had launched what he called an “operation” in the city, along with the Gambella Liberation Front.

    The spokesperson later said the operation was concluded “after meeting its objectives”, adding that “a large amount” of weapons had been seized.

    Residents have told the BBC that calm seems to have returned to the city on Wednesday but businesses and offices remain closed.

    On Tuesday evening, the region’s president said his forces had regained control of the city.

  • Too much censorship in African press – journalist charity

    Looking at the continent as a whole there are too often “cases of arbitrary censorship, especially on the internet with occasional network shutdowns in some countries, arrests of journalists and violent attacks”, press freedom charity Reporters Without Borders (RSF) says.

    In its annual report, released on World Press Freedom Day, RSF says there is a wide variety of experiences for journalists across Africa.

    Seychelles is the top-ranking African nation in RSF’s global index – at number 13 out of 180 countries.

    It says that the island nation “is one of the very rare African countries in which most journalists are women”.

    Namibia is next on this list – at number 18. Both Seychelles and Namibia are placed higher than the UK (24), France (26) and the US (42).

    Right at the other end of the list sits Eritrea, which is only beaten to the bottom position by North Korea.

    “The media are subject to the whim of President Isaias Afwerki, a dictator responsible for crimes against humanity, according to a UN report in June 2016”, RSF says.

    “There are no independent media outlets, and journalists have either fled the country or are in prison”.

  • Il Bitcoin diventa valuta legale nella Repubblica Centrafricana

    La Repubblica Centrafricana adotta il Bitcoin come valuta legale divenendo così il secondo Paese al mondo, dopo El Salvador, a fare ricorso a tale misura. Lo Stato africano, uno dei più poveri del mondo sebbene sia ricco di diamanti, oro e uranio, è devastato da un conflitto ultra decennale ed è uno stretto alleato della Russia, con mercenari del gruppo Wagner che fiancheggiano le forze ribelli locali.

    L’uso legale del Bitcoin è stato votato all’unanimità, come dichiarato dalla Presidenza della Repubblica secondo la quale tale mossa pone lo Stato “sulla mappa dei paesi più audaci e visionari del mondo”.

    Quando El Salvador ha adottato per primo il Bitcoin come valuta legale, nel settembre 2021, è stato fortemente criticato da mole realtà del mondo economico, compreso il Fondo Monetario Internazionale.

    Nel 2019, solo il 4% degli abitanti della Repubblica aveva accesso a Internet, secondo il sito Web WorldData. Ed la Rete è necessaria per utilizzare qualsiasi criptovaluta, incluso il Bitcoin.

    Il Paese attualmente utilizza il franco CFA (Franco delle Colonie francesi d’Africa), sostenuto dalla Francia insieme alla maggior parte delle altre ex colonie francesi in Africa. Tanti vedono nella legalizzazione del Bitcoin un tentativo per minare il CFA, all’interno di una vera e propria gara tra chi, Francia e Russia, possa mettere le mani su di un paese assai ricco di risorse. “Il contesto, data la corruzione sistemica e un partner russo che deve affrontare sanzioni internazionali, incoraggia i sospetti”, ha detto all’agenzia di stampa AFP l’analista francese Thierry Vircoulon.

    La Repubblica Centrafricana ha sofferto per i numerosi conflitti che si sono susseguiti, ed ancora in corso, sin dalla sua indipendenza nel 1960.

    Nel 2013, ribelli principalmente musulmani hanno preso il controllo del Paese in gran parte cristiano. Furono formate milizie di autodifesa per contrattaccare, causando numerosi massacri. Dopo l’elezione del presidente Faustin-Arcangelo Touadéra nel 2016, il Paese ha iniziato a spostare la sua alleanza strategica dalla Francia alla Russia.

  • L’Italia punta sull’Africa per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo

    La “campagna del gas” avviata dal governo italiano per ridurre la dipendenza energetica da Mosca procede a ritmo sostenuto, e dopo l’Algeria e l’Egitto, è stata la volta dell’Angola e del Congo. Costretto a casa dal Covid-19, il premier Mario Draghi ha dovuto dare forfait alla missione e così la delegazione è stata guidata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal titolare della Transizione ecologica Roberto Cingolani, accompagnati dall’ad di Eni Claudio Descalzi. Il 20 aprile firma a Luanda di una joint-venture ad ampio raggio nel settore energetico per la produzione di materie prime (petrolio, gas naturale e gas naturale liquefatto) spingendo anche sulle fonti rinnovabili. Successivamente la lettera d’intenti per rafforzare la cooperazione energetica tra Roma e Brazzaville cui si aggiunge anche un accordo ad hoc firmato da Eni con il ministro congolese degli Idrocarburi che dà ufficialmente il via all’estrazione di Gnl nel 2023. Proprio nell’ottica di rafforzare la cooperazione nel settore energetico, Roma sta usando le ottime relazioni che il gruppo energetico italiano ha costruito in circa 70 anni di presenza in Africa, dove è leader sia in termini di produzione che di riserve.

    L’intenzione del governo italiano è di sviluppare un progetto già avviato da Eni nel paese africano, provando così a rendere indipendente il nostro Paese dalle forniture di Gazprom prima ancora che in sede europea si trovi una posizione unica sul pagamento delle forniture. L’anno scorso il gigante russo energetico ha garantito oltre 29 miliardi di metri cubi di metano. Il gas aggiuntivo dei giacimenti angolani e congolesi arriverebbe sotto forma di Gnl, gas naturale liquefatto, e proprio per questo il Governo italiano sta lavorando anche a un maggior utilizzo dei terminali di gassificazione, che in Italia attualmente sono tre. Peraltro i piani di Eni prevedono una crescita di investimenti e attività nei Paesi africani nei prossimi anni: a sud del Sahara i principali hub dell’Eni si trovano in Congo, Angola, Nigeria e Mozambico, aree in cui le attività estrattive sono aumentate in modo considerevole.

    Nel 2020, la produzione annuale di gas della società guidata da Descalzi è ammontata a 1,4 miliardi di metri cubi mentre quella complessiva di idrocarburi è stata pari a 27 milioni di boe. Con l’accordo siglato ora, viene impresso un sensibile colpo d’accelerazione alla produzione di gas in Congo: tramite lo sviluppo del progetto di gas naturale il cui avvio è previsto nel 2023, si punta a ottenere una capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate/anno (oltre 4,5 miliardi di metri cubi/anno). L’export di gnl permetterà così di valorizzare la produzione di gas eccedente la domanda interna congolese. La Repubblica del Congo ed Eni hanno anche concordato la definizione di iniziative di decarbonizzazione per la promozione della transizione energetica sostenibile nel Paese. L’ad di Eni ha spiegato che così facendo il Congo è diventato “un laboratorio di energie future con tecnologia italiana. Per questo – ha aggiunto – è un momento importante per entrambi i Paesi e anche per la nostra società”. Descalzi ha ricordato che Eni è l’unico produttore di gas ma che ora “stiamo ampliando la nostra attività a tutta la parte agricola per creare biocarburanti, al solare, all’economia circolare”.

    Soddisfatto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, in conferenza stampa, ha sottolineato come l’operazione di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia rappresenti per l’Italia una “priorità”. Non solo, ma il governo italiano sta lavorando “duramente” anche sull’istituzione di un tetto al prezzo del gas europeo, su cui alcuni Paesi dell’Eurozona hanno espresso perplessità. E invece, ha sottolineato, “per noi rappresenta una priorità – ha aggiunto – e ci aspettiamo sostegno su questo”. Anche il titolare del dicastero della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha rilevato l’importanza dell’accordo in Congo in questo senso e “l’Italia è uno dei paesi più virtuosi” in questo percorso. Parole di apprezzamento per l’intesa in Congo sono state espresse dal ministro congolese degli Affari esteri, della francofonia e dei congolesi all’estero Jean-Claude Gakosso che ha così commentato: “Si dice che tutto il mondo passa attraverso l’energia. Siamo felici di concludere accordo con l’Italia, e anche con Eni che qui si è dedicata anche in altri campi come la ricerca. Ma oggi si apre una strada nuova, quella della transizione energetica, una sfida che Eni è riuscita a cogliere”. Dopo la firma al ministero degli Affari Esteri, la delegazione italiana è stata ricevuta dal presidente della repubblica del Congo, Denis Sassou N’Guesso.

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