Agricoltura

  • Trovato l’accordo tra i Paesi Ue per rivedere la politica agricola comune

    Dopo tre anni di negoziato arriva la fumata bianca sulla nuova Politica agricola comune, che vale oltre 340 miliardi di euro dal 2021 al 2027, di cui più di 38 per l’Italia (quasi 50 con la quota di cofinanziamento nazionale). Quello tra i Paesi membri è un accordo provvisorio che dovrà passare l’esame dei ministri dell’agricoltura e anche dell’Europarlamento. Il tentativo è quello di rendere la Pac più verde e più equa, ma la riforma viene giudicata insufficiente dalle organizzazioni ambientaliste. Si tratta comunque di un successo in extremis per la presidenza di turno portoghese dopo il naufragio del negoziato del mese scorso.

    A spianare la strada è stato il compromesso sulle misure verdi nel regolamento sui piani nazionali. Punto delicato, in cui si incrociavano i dubbi degli Stati sulla gestione dei piani strategici nazionali, cuore della riforma del 2018, con le priorità del Green Deal, arrivato con la Commissione von der Leyen nel 2019-20. Le istituzioni Ue hanno raggiunto un equilibrio su una maggiore integrazione tra Pac e Green Deal e sulla destinazione a pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente (ecoregimi) del 25% delle dotazioni nazionali per i pagamenti diretti 2023-27. Quasi 49 miliardi in cinque anni. L’Europarlamento chiedeva il 30%, gli Stati il 20%. Per incontrarsi a metà strada c’è voluta la garanzia di ampia flessibilità per i paesi, che si sono blindati contro l’eventualità di perdere fondi.

    L’intesa prevede anche – almeno in principio – la condizionalità sociale, cioè il vincolo degli aiuti Pac al rispetto delle norme fondamentali a tutela del lavoro nei campi. Il pagamento redistributivo, che aiuta le piccole aziende, che viene fissato al 10% del montante pagamenti diretti e sarà obbligatorio per tutti i paesi, con possibilità di chiamarsi fuori solo se dimostra di raggiungere gli stessi scopi di equità con altre misure.

    Mentre i negoziatori riprendevano il lavoro nelle sale dell’Europarlamento per arrivare a definire l’accordo, sono iniziate ad arrivavate le prime reazioni. Gli agricoltori hanno manifestato davanti alla sede dell’Eurocamera a Bruxelles, chiedendo di considerare “gli impatti cumulativi di tutte le politiche sulla comunità agricola europea”, con riferimento esplicito agli accordi commerciali e alla strategia Farm to Fork. Le Ong ambientaliste hanno reagito a colpi di comunicati stampa, demolendo l’impianto green della riforma: troppo blando il legame tra Pac e Green Deal, troppe le flessibilità concesse ai Paesi membri. Gli uffici europei di Greenpeace e Wwf hanno chiesto all’Europarlamento di respingere un accordo che sull’ambiente, secondo l’altra Ong Eeb, sarebbe addirittura peggiorativo dello status quo. Sulla stessa linea i ragazzi dei Fridays for future, il movimento che fa capo a Greta Thunberg, che hanno fatto campagna per mesi sul ritiro della riforma.

    Ma la Commissione europea ha benedetto l’accordo con il vicepresidente Frans Timmermans e gli altri gruppi politici che sembrano decisi a dare l’ok. I socialisti tramite il coordinatore agricoltura Paolo De Castro hanno enfatizzato il pilastro sociale, il Ppe con Herbert Dorfmann ha celebrato i risultati positivi per le piccole aziende e i liberali di Renew Europe hanno fatto sapere, tramite il presidente della commissione ambiente Pascal Canfin, di apprezzare il compromesso.

  • Acqua che manca

    Siamo a metà giugno e ancora una volta, come Il Patto Sociale ha spesso scritto, torna il problema dell’acqua. L’acqua manca in agricoltura perché i cambiamenti climatici, ormai da molti anni, hanno portato caldo superiore alle medie di un tempo e siccità, siccità dovuta anche alle piogge che quando arrivano violente sul terreno arido non riescono ad arrivare in profondità, l’acqua scorre via veloce e non è sufficiente per i bisogni agricoli. Anche avere cementificato le rogge e le sponde dei canali d’irrigazione, con sperpero inutile di denaro, ha peggiorato il problema perché le sponde cementificate accelerano il passaggio veloce dell’acqua verso i fiumi più grandi e da lì verso il mare togliendo acqua all’agricoltura, ma il problema acqua tocca anche il portafoglio di tutte le famiglie italiane che nel 2020, rispetto al 2019, hanno visto un rincaro di più del 2,30% nelle bollette dell’acqua potabile. Purtroppo ancora tutto tace, nel mondo della politica e anche imprenditoriale, sull’urgente, da decenni, necessità di ristrutturare la rete idrica italiana talmente obsoleta che disperde quasi il 40% dell’acqua potabile che dovrebbe arrivare nelle nostre case. Rimane ancora grave anche il problema di quei territori che, pur ricchi d’acqua nel sottosuolo, non hanno le condutture che arrivano alle abitazioni private. Anche su questo c’è un business di organizzazioni, spesso criminali, che vendono l’acqua portandola nelle case con camion cisterna, l’acqua non è un bene rinnovabile, quello che è disperso nel terreno non torna in falda, l’acqua perduta evapora ed è persa, se a questo aggiungiamo che molte falde sono inquinate per lo sversamento di materiale tossico e che anche le acque dei fiumi non sono controllare per evitare che i fiumi, i laghi,i torrenti, i mari siano utilizzati come fogne a cielo aperto, si comprende bene come le amministrazioni locali e nazionali si dovrebbero attivare con estrema urgenza e trasparenza. Ma anche sull’acqua ci sono interessi di persone e gruppi che nulla hanno a che vedere con gli interessi legittimi, con i diritti  della collettività.

  • Scontro nella Ue sulla riforma della Pac, trattative rinviate

    Dopo quattro giorni di colloqui il negoziato finale sulla Politica agricola comune (Pac) è naufragato sulla fetta dei 270 miliardi di aiuti da riservare agli incentivi ambientali, noti come gli ecoschemi (una delle grandi novità della riforma) ai quali i Paesi devono riservare una certa percentuale della dotazione nazionale dei pagamenti diretti a misure verdi. L’Europarlamento diceva il 30%, il Consiglio (cioè i Paesi membri) il 20%, anche se erano disposti ad arrivare al 25%. Dopo settimane di ottimismo, qualcosa è andato storto nella notte tra giovedì 27 e venerdì 28 maggio, proprio quando le parti si sono scambiate le proposte negoziali su questo punto determinando lo stop delle trattative.

    “La presidenza del Consiglio Ue sembrava essere sorpresa dal fatto che non ci fossimo semplicemente limitati ad accettare la loro proposta, ora mi aspetto che il Consiglio ci rispetti”, ha attaccato il presidente della commissione Agricoltura del Parlamento Ue, Norbert Lins. “Il Parlamento su alcune cose semplicemente non si muove”, ha replicato la ministra portoghese Maria do Céu Antunes. “Gli Stati membri hanno già fatto passi avanti, sugli ecoschemi partivamo dal 20%, poi abbiamo modificato la nostra posizione per giungere progressivamente al 25%, infine abbiamo proposto il 25% per l’intero periodo”. Ma vista la situazione “meglio prendere una pausa e tirare le fila”, ha detto Antunes. Il tempo però stringe ed “è indubbiamente un altro elemento di tensione”, ha aggiunto. “Siamo tutti disponibili a trovare soluzioni condivise – ha detto il ministro delle Politiche agricole italiano Stefano Patuanelli – nel pieno interesse dei cittadini europei, ma è fondamentale che vengano garantite le tre gambe della sostenibilità, quella ambientale, economica e quella sociale. Solo mettendo insieme le tre sostenibilità potremo dire di aver fatto il lavoro migliore possibile”.

    Le riunioni per cercare di definire un nuovo calendario e una strategia per arrivare a un compromesso “nelle prossime due settimane”, come ha indicato il commissario Ue all’agricoltura Janusz Wojciechowski, sono state calendarizzare per il lunedì successivo (31 maggio). Il tempo stringe perché entro fine anno i Paesi membri devono presentare a Bruxelles i loro piani strategici nazionali, l’altra grande novità di una riforma nata nel 2018 principalmente come trasferimento di poteri e responsabilità dall’Ue alle capitali. Senza un accordo sulla Pac nelle prossime settimane sarà difficile approvare la legislazione secondaria in tempo per consentire alle capitali di allestire un piano credibile per la Commissione e un sistema amministrativo capace di portarlo avanti. Cosa non da poco soprattutto per Paesi come Italia, Belgio, Germania e Spagna dove le Regioni hanno competenze agricole importanti. I tedeschi sono gli unici ad aver già le idee piuttosto chiare. Ma mentre le divergenze sul ruolo delle Regioni, come molte altre che sembravano insormontabili, nelle settimane scorse erano state appianate, così non è stato sugli ecoschemi. “Grazie agli sforzi di questi mesi – ha riassunto l’eurodeputao Paolo De Castro, veterano delle riforme Pac – abbiamo raggiunto risultati importantissimi, evitando la ri-nazionalizzazione della Pac, salvaguardando il ruolo delle nostre regioni, rafforzando le misure di gestione del rischio” negli aiuti diretti e creando “un meccanismo che penalizzerà quegli imprenditori che non rispettano le norme sul lavoro. Tutto questo lavoro non andrà sprecato”, ha assicurato De Castro. “Le soluzioni ci sono e tutti i negoziatori hanno una genuina disponibilità a trovarle”, ha detto il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans.

  • Prende forma la normativa sull’agricoltura biologica

    Manca l’ultimo miglio alla nascita dell’agricoltura biologica con marchio italiano grazie al testo che, dopo più di due anni di stallo, ha superato lo scoglio del Senato, ma non senza polemiche. A scaldare l’aula è stata l’equiparazione dell’agricoltura biologica a quella biodinamica, l’insieme di pratiche elaborate dal filosofo Rudolf Steiner basate sulla visione spirituale antroposofica del mondo. Una scelta su cui è intervenuta la senatrice a vita Elena Cattaneo, che ha definito l’agricoltura biodinamica “una pratica esoterica e stregonesca” priva di basi scientifiche, facendo un parallelo con Stamina. Un ddl che “dimostra anche quanto la scienza sia ignorata in questo Paese”, rileva l’esperto di Biotecnologie Roberto Defez, del Cnr, sottolineando come riguardi solo 419 aziende italiane, che già oggi guadagnano 4 volte di piu’ delle aziende biologiche o tradizionali.

    “L’agricoltura biologica nasce dall’ agricoltura biodinamica e quindi la scelta di equipararle è assolutamente corretta e rappresenta una svolta anche a livello economico ed europeo”, dice il presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica, Carlo Triarico, nel ricordare che secondo il bio report del Mipaaf l’agricoltura biodinamica ha una resa ad ettaro pari a 13.309 euro rispetto alla media dell’agricoltura tradizionale nazionale di 3.207.

    Tra le novità per un comparto da 3,5 miliardi di euro è l’introduzione di un marchio per i prodotti bio ottenuti da materia prima italiana, la creazione di un fondo per lo sviluppo e una nuova attenzione alla formazione professionale. Ad accoglierle positivamente è il mondo agricolo. Un’opportunità per l’Italia, secondo il sottosegretario al Mipaaf, Francesco Battistoni.

    “Si sblocca un disegno di legge molto atteso dai cittadini attenti a un cibo sano e prodotto nel rispetto dell’ambiente”, commenta FederBio. “Un riconoscimento importante per i tanti agricoltori impegnati in questo settore, fa sapere l”Aiab, mentre per Assobio “le aziende biologiche rappresentano il futuro”. Plaudono la Coldiretti, nel ricordare il record dei 3,3 miliardi di consumi bio, Cia-Agricoltori Italiani e Anabio, “l’Italia si avvicina al ruolo da protagonista nel settore grazie ai suoi 2 milioni di ettari coltivati” e Confagri “fatti importanti passi attesi da tempo, ma sono da migliorare alcuni aspetti per la concreta valorizzazione delle produzioni biologiche riconosciute nel prossimo passaggio, quando il testo torna alla Camera”.

  • Le mani di troppi sull’Africa

    Parliamo tutti, e molte volte in modo troppo superficiale, dei problemi legati alle emigrazioni che portano, specialmente in Italia, migliaia di immigrati ogni anno. Dette e ribadite le responsabilità dell’Unione Europea che, in tanti anni, non è stata nella volontà e nella capacità sia di adottare una linea comune, facendola  rispettare, che di occuparsi del continente africano in modo corretto, sta di fatto che oltre alle guerre ed al terrorismo, che distruggono interi territori e paesi, oltre alla siccità o alle invasioni di cavallette, che portano carestia e fame, e a molti governi che sfruttano le risorse naturali senza che ve ne sia vantaggio per le popolazioni sempre più povere, i popoli africani sono in gran parte dedichi all’agricoltura. Un’agricoltura che, mancando di acqua e di mezzi adeguati ad una coltivazione meno faticosa e più redditizia, è un settore del quale ogni giorno questi popoli sono sempre un po’ più privati. In circa 20 anni una grande quantità di terreni è stata ceduta a capitali stranieri, come ricorda Domenico Quirico che, in un suo recente articolo, parla di vendita o dell’affittanza a capitali stranieri di 35 milioni di ettari (un ettaro sono 10.000 metri quadri di terra). I paesi che hanno venduto o affittato più terreno alle multinazionali straniere sono Congo, Sudan, Mozambico, Etiopia, e i veri padroni dell’Africa sono diventati gli investitori cinesi, degli Emirati ma c’è anche una forte presenza statunitense e libanese. Le multinazionali hanno comperato foreste per esportare legname creando così nuova desertificazione e siccità e procurando problemi anche a quella fauna selvatica che, attraverso il turismo, porta un po’ di denaro in Africa. Le società straniere hanno acquistato terre per produrre mais, canna da zucchero, biocarburante, prodotti che esportano al 90%, dove non hanno comperato i terreni li hanno affittati per trenta o addirittura cinquanta anni con affitti irrisori. I contadini locali sono scacciati per pochi soldi o addirittura espropriati e praticamente costretti ad abbandonare i loro villaggi per essere trapiantati altrove. Localmente quei contadini che sono assunti ricevono un salario per pochi dollari al mese, un avventizio, kibarua, prende un dollaro al giorno per lavorare nelle grandi serre della Tanzania dove ci sono più coltivazioni all’anno di fiori recisi che vengono trasportati e venduti in Europa con la conseguenza che è stata messa in ginocchio la floricoltura ligure e della costa sud della Francia. Solo i tecnici prendono un salario adeguato ma provengono quasi tutti dall’estero e le condizioni di lavoro, quando si è sotto padrone cinese, sono molto dure. Quando poi il legname è finito e le foreste sono state distrutte o il progetto agricolo non rende più a sufficienza i terreni sono abbandonati esausti e agli africani non rimane nulla. Di questi gravi problemi, e delle loro conseguenze anche in tema di emigrazione, non parla nessuno: in Africa si continua a soffrire, chi riesce scappa a rischio della vita e arriva da noi così i problemi si moltiplicano e qualcuno ci guadagna sempre sulla pelle degli altri.

  • Nessun uomo è un’isola

    Sulla costa a metà strada tra Catania e Siracusa, in una zona di campagna, ha preso forma e si sta sviluppando un interessante progetto di comunità rurale denominato “Il Giardino delle Bio-Diversità”. Qui, oltre a favorire e a coltivare la biodiversità vegetali con metodi di agricoltura biologica lavorano, collaborano o soggiornano anche per tempi brevi, persone di diverse origini, cultura, età e credo religioso.

    Ciao Roberto. Come nasce questo progetto?

    Nasce sicuramente dall’incontro tra una lunga storia di militanza politico/sociale con l’esigenza di molti giovani di cambiare radicalmente paradigma (in questo, l’emergenza COVID sta molto aiutando la nostra esperienza così come tante altre analoghe in giro in Europa e forse anche altrove). L’evento catalizzatore è stato l’intenso confronto con Dominique Marchais, il regista francese del film Nul homme est un’ile (Nessun uomo è un’isola – dove si parla anche della nostra esperienza). In sostanza, tempo fa avevo abbandonato dei terreni che avevo coltivato per diversi lustri in bio ad ortaggi in quanto mi avevano costruito proprio in mezzo un’autostrada. Confrontandomi con Dominique, che nei suoi lavori cinematografici tratta sempre del rapporto tra l’uomo e la natura, mi sono detto: “Ma no! Piuttosto che arretrare di fronte all’antropizzazione che avanza, piantiamo una foresta che si mangi l’autostrada! Attorno ad essa facciamo crescere piante alimentari in quantità e diversità e mettiamoci dentro a lavorare tanta altra diversità umana, culturale, religiosa, etc; e non a lavorare da dipendenti, ma tutte e tutti responsabili!”

    Attualmente con chi condividi questo progetto?

    Ci sono io, un vecchio agricoltore biologico dal 1982 e promotore di molte iniziative nel campo dell’economia solidale (tra cui il Consorzio Siciliano Le Galline Felici) in Sicilia, in Italia e negli ultimi anni anche su scala europea ed otto giovani e giovanissimi di diverse nazionalità.

    Moustafà, marocchino di trentasei anni (che lavora con me da sette) assieme alla sua compagna Naywal ed il loro piccolo neonato Ayub di tre mesi.

    Catherine, parigina di trentun anni, che vive con me da poco più di due che lavora per il sunnominato Consorzio. Ha fatto studi nel campo della cultura. Ha lasciato il suo impiego presso un’associazione di cinema indipendente di Parigi per stare con noi dopo aver visto il film di Dominique. Da allora non se n’è più andata.

    Giacomo, romano di ventinove anni con una brillantissima carriera di ricercatore universitario in matematica, pura e astratta, e con molte pubblicazioni alle spalle; ha lasciato l’università per venire a piantare qui banani ed avogados. Con lui e sua sorella, coordinatrice di ricerca negli stessi campi a Montpellier (Francia), abbiamo da poco costituito la società agricola “Il Giardino delle Bio-Diversità”.

    Anna, ventiquattrenne ligure; studi economico-sociali ed anni di volontariato. Tempo fa mi chiese di poter passare un periodo di tempo con noi e adesso è nostra dipendente.

    Malik, francese di origine algerina. Ventiquattro anni. Studi sociali. Era venuto a trovare Anna, conosciuta durante il volontariato nei Balcani. Oggi pianta e zappa con noi ed è anche lui un nostro dipendente.

    Fusako, giapponese. Trentasette anni. Ha vissuto quattordici anni in Spagna. È con noi da pochi mesi. Pensiamo e speriamo che non vada più via.

    A tutti questi ragazzi si sommano vari membri della comunità territoriale.

    Poi molte altre persone di tutte le nazionalità sono passate e passano da qua. Negli anni scorsi abbiamo provato ad inserire un gruppo di migranti africani, ma l’arrivo al governo di alcuni personaggi ha fatto fuggire tutti in altri Paesi europei.

    Quali sono le vostre attività?

    Innanzitutto facciamo agricoltura biologica su una scala grande, per noi piccoli: un centinaio di tonnellate di agrumi vari, una ventina di banani e spero anche presto una decina di avogados (abbiamo diversi nuovi impianti), mentre su una scala molto più piccola, produciamo olio extravergine d’oliva, uova, una vasta gamma di ortaggi e un po’ di frumento. Al contempo stiamo anche costruendo una piccola comunità locale con altri soggetti attivi sul territorio (nel raggio di 4/5 km) per dimostrare che “insieme è molto, ma molto meglio!”.

    Ci sosteniamo frequentemente in varie attività ed organizziamo settimanalmente “pranzi e cene di territorio”. Ci prendiamo cura anche dell’ambiente tenendo pulite dalla monnezza le strade di accesso e pulendo le coste prospicienti. Ricicliamo in modo artistico, quando possibile, alcune delle cose che vengono buttate dalla gente. In questo modo cerchiamo di dare una risposta concreta ad alcuni dei moltissimi giovani che stanno lasciando (o meditano di lasciare) la vita urbana ormai ritenuta da molti poco appagante. Giovani che ci chiedono lumi e appoggio (impossibile per tutte/i) e, per questo, stiamo pensando di costituire una cooperativa di servizi che possa da un lato impiegare giovani, anche migranti, e dall’altra facilitare l’esecuzione dei lavori agricoli ad alcuni dei piccoli e piccolissimi agricoltori. Sperimentiamo, inoltre, tecniche innovative, sia in campo agricolo, che in quello energetico. Cerchiamo di produrre e distribuire cultura, organizzando con discreta frequenza delle “cine-cene”, feste, incontri, etc.

    Stiamo anche progettando di acquistare un casolare di proprietà di un mio fraterno amico allevatore, ormai vecchio e stanco, per realizzarvi un “condominio solidale”, un centro culturale ed una mensa aperta al territorio e rifornita principalmente dai nostri prodotti. E, caro Karl, abbiamo in mente tante e tante altre cose.

    Quali obiettivi a breve, medio e lungo termine?

    A breve: consolidare le posizioni lavorative, creando altra economia reale (lo stiamo facendo, impiantando altri alberi e banani)

    A medio: realizzare il già citato condominio solidale /centro culturale /mensa territoriale.

    A lungo periodo: essere ancor di più un esempio concreto per molti giovani per fare quel famoso passo e riuscire a produrre più intensamente eventi e cultura.

    Roberto, cosa avresti piacere di dire ai nostri lettori più o meno giovani?

    Il mondo scivola sempre più sulla china dell’autodistruzione. A parte le scelte dei potenti (che continuano a propinarci le stesse ricette consumiste e devastanti il pianeta) c’è molto che potremmo fare personalmente; ma siamo accecati da una smisurata fame di falsi bisogni, scientificamente creata attraverso tutti gli strumenti “culturali” a disposizione del potere economico, compresa l’induzione all’individualismo più sfrenato. Tuttavia, se rivalutiamo intimamente e praticamente, il senso di comunità, che è stata per millenni la condizione principale per la sopravvivenza della specie umana (perché anche se sei Rambo, il Mammoth da solo non lo prendi e col piffero che tieni acceso il fuoco, da solo, per tutta la notte, tutte le notti!), potremmo accorgerci che abbiamo veramente bisogno di poco e che ciò di cui abbiamo bisogno ci può arrivare, e facilmente ci arriva, dalla comunità stessa, alla quale ricambiare con la stessa “moneta”. In questo modo la vita diventa più facile e bella, abbiamo bisogno di molto meno lavoro (noi, al momento, lavoriamo parecchio, se necessario!), possiamo occuparci dei nostri figli (e sottolineo nostri, in senso comunitario; già lo facciamo con Ayub, il figlio di Moustafà), senza bisogno di infasciarli la mattina presto e lasciarli alla nonna o all’asilo per andare a vendere il nostro tempo in cambio di quattro soldi; possiamo godere di un cibo di altissima qualità intrinseca (da noi si mangia benissimo!) e sempre molto vario; possiamo godere della socialità stessa di una comunità che si sostiene reciprocamente, e fare feste e ballare spesso! Ma, si badi bene! Non sto parlando di una comunità rinchiusa al suo interno, bensì costantemente aperta a cercare di svolgere una semplicissima azione pedagogica, ovvero, “vi dimostriamo con tutti i nostri atti, che insieme è molto, ma molto meglio!”.

    Perché noi tutto questo lo facciamo quotidianamente o, quanto meno, cerchiamo di farlo, umani come siamo, vittime di qualche secolo di cultura che ci ha indotto a pensarci ben diversamente.

     

  • Corsa a funghi, è boom nei boschi

    Stagione di funghi e scatta la corsa a porcini, finferli, trombette, chiodini nei boschi italiani con le piogge delle ultime settimane che hanno creato condizioni favorevoli soprattutto al Nord e nelle zone appenniniche mentre al Sud si dovrà ancora attendere. È quanto emerge dal monitoraggio di Coldiretti sull’inizio delle attività di raccolta. Ma la Coldiretti mette anche in guardia contro le improvvisazioni tracciando un decalogo di regole.

    In Veneto, sottolinea Coldiretti, si annuncia una stagione più che favorevole per tutte le specie che si trovano nei boschi: galletti, porcini, mazza di tamburo, finferli. È buona la raccolta in Cadore, nell’agordino, nella Val Zoldana e nelle zone colpite dalla tempesta Vaia, quindi pure nel vicentino sull’Altopiano, dove continua la proliferazione dopo uno stop dovuto allo schianto di alberi. Buona la situazione – spiega Coldiretti – anche in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia dove si registra una crescita abbondante per tutte le principali varietà”. In Lombardia si raccoglie in Valcamonica, nel Bresciano, con un forte aumento di porcini, russule e altri funghi. Più difficile fare previsioni per l’alta Lombardia, dove tra le province di Varese, Como, Sondrio e Lecco il caldo intenso delle scorse settimane ha rallentato di molto la crescita dei funghi, ancora assenti nella zona bassa mentre si trovano in discreta quantità solo nella fascia tra i 1500 e i 1800 metri. Allo stato attuale, oltre ai porcini, predominano le ‘russule’; i cantarelli sono stati i primi a comparire ma piccoli e poco abbondanti. In Valle Brembana, nella Bergamasca, la stagione è iniziata in questi giorni, ma sembra che sia buona, soprattutto per i porcini. “Meno buona la situazione in Piemonte, dove anche i cercatori più esperti faticano a trovare funghi – continua Coldiretti – mentre in Liguria si attende l’effetto delle ultime piogge, sperando in una buona stagione. In Toscana si preannuncia un autunno molto interessante, a partire dalle zone top di Valtiberina e Casentino (Arezzo) in cui si stima un incremento del 50% nella raccolta rispetto alla media degli ultimi anni”. Sui colli dell’Emilia sono attese ottime nascite di funghi porcini estivi, “mentre – dice Coldiretti – le previsioni sono più negative in Romagna, così come nelle Marche dove si registra ancora una scarsa presenza, soprattutto di porcini e galletti, in Umbria e nel Lazio”. Raccolta ancora al palo soprattutto al Sud.

    E per la sicurezza Coldiretti invita a: documentarsi sulla difficoltà dell’itinerario; comunicare il proprio tragitto evitando le escursioni in solitaria; fare attenzione ai sentieri nel bosco che possono diventare scivolosi a causa della pioggia; consultare i bollettini meteo; in caso fulmini non fermarsi vicino ad alberi, pietre e oggetti acuminati; usare scarpe e vestiti adatti e fare scorte di acqua e cibo; non raccogliere funghi sconosciuti; verificare i limiti alla raccolta di funghi con i servizi micologici territoriali; pulire subito il fungo da rami, foglie e terriccio; per il trasporto meglio usare contenitori rigidi e areati che proteggono il fungo.

  • Il settore della carne suina dell’UE

    I 150 milioni di suini allevati in tutta l’UE rappresentano la più ampia categoria di bestiame prima di quella dei bovini e il solo settore della carne suina dell’UE rappresenta quasi la metà della produzione totale di carne dell’UE. Germania, Spagna e Francia contribuiscono per più della metà della quantità totale di carne suina prodotta nell’Unione Europea. Il settore è molto diversificato, con enormi differenze nei metodi di allevamento e nelle dimensioni delle aziende agricole degli Stati membri: dall’allevamento in cortile agli impianti industriali con migliaia di animali. Nell’ambito della politica agricola comune (PAC), il settore delle carni suine è coperto dalla comune organizzazione dei mercati che regolano il commercio e forniscono sostegno in caso di crisi settoriale. Gli agricoltori possono anche ricevere finanziamenti per lo sviluppo rurale nell’ambito del secondo pilastro della PAC, ad esempio, per effettuare gli investimenti necessari nelle loro aziende agricole. A questo settore si applica un gran numero di atti legislativi dell’UE riguardanti vari aspetti dell’allevamento suino: tutela ambientale, sicurezza alimentare e salute pubblica, produzione biologica, salute degli animali e benessere. Tuttavia, le prove mostrano una mancanza di conformità con le normative dell’UE sul benessere dei suini e la persistenza di dannose pratiche di routine. Un’altra sfida è quella dell’aria, del suolo e dell’inquinamento dell’acqua causato dall’allevamento intensivo di suini, che grava pesantemente sull’ambiente.

    L’UE è attualmente il primo esportatore mondiale di prodotti a base di carne suina e le sue esportazioni sono state potenziate dal calo della produzione in Asia, dove la peste suina africana sta decimando milioni di animali. L’aumento della domanda di carne suina dell’UE ha spinto i prezzi al massimo all’inizio del 2020. Nei prossimi anni il settore della produzione di suini potrebbe essere influenzato dall’evoluzione della politica ambiente: i negoziati su una nuova PAC sono in corso e il Green Deal recentemente pubblicato e la strategia Farm to Fork, che promuovono entrambi sistemi agricoli e alimentari più verdi e più sostenibili, menzionano la futura revisione della legislazione relativa al settore dei suini, anche sul benessere degli animali.

  • Bando europeo Sviluppo Rurale

    Il programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 mette a disposizione di agricoltori e Cooperative agricole di produzione il bando PSR per l’emergenza Covid-19. Per conoscere modalità di partecipazioni e tempi cliccare sul seguente link: https://www.reterurale.it/PSR2014_2020

  • Il PE si prepara a votare l’accordo sulle indicazioni geografiche UE-Cina

    Il 6 novembre 2019 l’UE e la Cina hanno concluso i negoziati su un accordo autonomo in merito alla cooperazione sulla protezione delle indicazioni geografiche (IG) di prodotti, perlopiù agricoli. Il reciproco accordo UE-Cina mira a proteggere 100 IG dell’UE in Cina e 100 IG cinesi nell’UE contro l’imitazione e l’appropriazione indebita. Il 20 luglio 2020 il Consiglio UE ha approvato la firma dell’accordo e il Parlamento europeo deve ora dare il suo consenso alla conclusione del contratto. Una volta entrato in vigore, l’accordo potrebbe contribuire a promuovere le esportazioni dei prodotti alimentari di alta qualità dell’UE, compresi vini e alcolici, verso la terza destinazione più grande per le esportazioni agroalimentari dell’UE, cioè la Cina.

    L’accordo amplierebbe inoltre il riconoscimento globale del regime di protezione delle IG sui generis dell’UE, un obiettivo chiave della politica commerciale dell’UE.

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