Albania

  • Preoccupante traffico di rifiuti pericolosi

    Grazie a Dio gli uomini non possono ancora volare

    e sporcare i cieli, così come fanno con la terra!

    Henry David Thoreau

    Sul pianeta in cui viviamo, da quando fa parte dell’universo, ci sono stati sempre dei materiali che la natura stessa conservava o che scartava. In seguito, milioni di anni dopo, quando l’essere umano è diventato consapevole ed attivo, faceva lo stesso. Poi, con lo sviluppo delle attività e con l’avvio delle industrie, sono diventati sempre di più anche i materiali da scartare o eliminare. E tra quei materiali ci sono anche delle sostanze pericolose e dannose per la salute dell’essere umano, per le altre specie viventi e per l’ambiente che ci circonda e dove si vive. Però le quantità di quei materiali prodotte nei Pesi sviluppati ormai sono tali che si cerca di spostarli in Paesi meno sviluppati, in diverse parti del mondo. Paesi, questi ultimi, dove spesso manca anche la piena consapevolezza dei tanti pericoli, nonché delle tante gravi conseguenze che si devono affrontare. Purtroppo, negli ultimi decenni, non di rado si sono verificati e continuano a verificarsi molti casi di traffici illeciti transfrontalieri di simili rifiuti, pieni di diverse sostanze pericolose e nocive.

    L’aumento di simili traffici illeciti rese necessaria anche una comune e consapevole reazione a livello globale. Un obiettivo raggiunto nell’ultimo decenio del secolo scorso dopo lunghe trattative ed il diretto coinvolgimento del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Un Programma che rappresenta un’organizzazione internazionale operativa dal 1972 in varie parti del mondo. Il compito del Programma è quello di prendere delle decisioni sulle politiche da attuare e sulle attività da svolgere nell’ambito della protezione dell’ambiente. Ebbene, in seguito ad un serio impegno del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, finalmente è stato elaborato e redatto il testo di una convenzione internazionale sul trattamento dei rifiuti pericolosi. Una convenzione firmata il 22 marzo 1989 a Basilea, in Svizzera. Si tratta della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento. Una Convenzione che ormai  è semplicemente nota come la Convenzione di Basilea e che ha come suo principale obiettivo quello di impedire il trasferimento dei rifiuti pericolosi e dannosi per la salute dai Paesi sviluppati, dove quei rifiuti si producono, ai Paesi in via di sviluppo scelti per depositarli. La Convenzione di Basilea è entrata in vigore il 5 maggio 1992 e da allora è stata ratificata da 189 Paesi.

    In seguito all’entrata in vigore della Convenzione di Basilea, nel 1997 è stata costituita la Rete d’Azione di Basilea (Basel Action Network – BAN; n.d.a.) con sede a Seattle negli Stati Uniti d’America. Si tratta di una rete di organizzazioni specializzate che operano in varie parti del mondo per ridurre l’impatto ambientale dei rifiuti pericolosi, diffondere la consapevolezza sugli impatti ambientali dei rifiuti, nonché promuovere e difendere la sostenibilità ambientale. Gli specialisti di Basel Action Network, per raggiungere questi obiettivi, usano metodi e modi diversi, indagini segrete comprese. Durante la loro ormai lunga attività hanno potuto seguire molti traffici di rifiuti pericolosi in varie parti del pianeta, dalle località di partenza e fino alla destinazione. E grazie alla loro attività si sono evidenziate violazioni delle leggi in vigore e della stessa Convenzione di Basilea, oltre che da Paesi in via di sviluppo, anche da Paesi molto evoluti dell’Europa occidentale. Paesi che sfruttano proprio Paesi poveri e bisognosi, per depositare i loro rifiuti pericolosi.

    Esattamente quattro mesi fa, il 4 luglio 2024, dal porto di Durazzo in Albania sono partite due navi con un carico di circa 2800 tonnellate di rifiuti pericolosi. Ma per più di un mese nessuno, tranne i diretti interessati, non sapeva niente di quel trasporto illecito. Di quel traffico era stato informato però il direttore esecutivo del Basel Action Network. Lui stesso, all’inizio dello scorso agosto ha reso noto quanto era accaduto. Durante un’intervista rilasciata il 21 agosto scorso per una televisione albanese non controllata dal primo ministro, lui ha affermato che il 15 luglio scorso era arrivata una lettera che informava di un carico di rifiuti partiti dal porto di Durazzo in Albania. “Sono dei rifiuti pericolosi. Colui che ci ha scritto aveva ragione”, ha dichiarato l’intervistato. Aggiungendo che “…Siamo stati informati che il carico era uscito dal porto [di Durazzo] ed era diretto in Thailandia. Abbiamo subito contattato il governo albanese e ci hanno detto che non avevano nessuna informazione…. Da quel momento le autorità albanesi non ha risposto alle nostre domande”. Il direttore esecutivo del Basel Action Network ha altresì affermato, durante alla sopracitata intervista, che un altro carico di rifiuti pericolosi era arrivato in Cina all’inizio di quest’anno. “Vogliamo capire chi sono i produttori e gli esportatori, se [i rifiuti] arrivano dall’Europa oppure dall’Albania”, ha aggiunto lui durante l’intervista.

    Il direttore esecutivo del Basel Action Network aveva informato anche i rappresentanti dell’OLAF (Office européen de lutte anti-fraude – l’Ufficio europeo per la lotta antifrode; n.d.a.). Si tratta di un organismo indipendente all’interno della Commissione Europea costituito il 28 aprile 1999. Il suo obiettivo istituzionale allora era quello di evidenziare e combattere “le frodi, la corruzione e qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea”. Da allora però sono aumentati i compiti istituzionali di OLAF. E tra loro ci sono anche le indagini dei traffici illeciti che potrebbero coinvolgere i Paesi membri dell’Unione europea e i Paesi candidati all’adesione all’Unione, come l’Albania. Ad un media statunitense che si stava informando di questo trasporto, l’ufficio per l’informazione dell’OLAF ha risposto: “Noi non siamo in grado di dare dei dettagli legati ai casi che OLAF può trattare, perché si devono proteggere i dati di ogni inchiesta in corso e dei possibili processi giudiziari che possono seguire”.

    Il carico dei rifiuti pericolosi partito il 4 luglio dal porto albanese di Durazzo era destinato ad arrivare nel porto Laem Chabang, della provincia Chon Buri di Thailandia. Il Dipartimento degli Affari industriali di Thailandia, contattato sempre dal direttore esecutivo del Basel Action Network, ha risposto che “…le rispettive agenzie governative non sono state informate e non hanno dato il loro consenso per simili carichi [di rifiuti pericolosi]. … Noi stiamo coordinando e monitorando tutto per impedire questo traffico illecito”. Nel frattempo, dopo che si è saputo del traffico dei rifiuti pericolosi, le autorità albanesi, colte in flagranza di reato, sono state molto confuse e  si contraddicevano a vicenda. Hanno però ribadito che non avrebbero permesso che quel carico potesse rientrare in Albania. Ma così non è stato. Quel carico di circa 2800 tonnellate di rifiuti pericolosi è ritornato il 28 ottobre scorso nel porto di Durazzo con una nave che tuttora sta a circa un chilometro di distanza e senza essere ancorata nelle banchine. Il direttore esecutivo del Basel Action Network ha chiesto alle autorità albanesi di aprire i container in presenza di osservatori indipendenti e di fare le analisi dei rifiuti in diversi laboratori certificati. Le autorità albanesi, nel frattempo, cercano di fare lo struzzo e di non assumere le loro responsabilità. Responsabilità che derivano anche dalla Convenzione di Basilea che l’Albania ha ratificato. Mentre le cattive lingue affermano convinte che quel traffico, come anche molti altri, che da alcuni anni ormai si svolgono tranquillamente, non si possono fare senza il beneplacito dei più alti livelli del potere politico.

    Chi scrive queste righe condivide la convinzione delle cattive lingue su quel preoccupante traffico di rifiuti pericolosi. E parafrasando il noto scrittore e filosofo Henry David Thoreau, si potrebbe dire che grazie a Dio il primo ministro albanese e i suoi stretti collaboratori, criminalità organizzata compresa, non possono ancora volare e sporcare i cieli, così come fanno con la terra!

  • Un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto

    Più grande è la fetta presa dallo Stato, più piccola sarà la torta a disposizione di tutti.

    Margaret Thatcher

    Spesso si parla e si dibatte sul concetto dello ‘Stato di diritto’. E spesso questo concetto si confonde con quello dello ‘Stato legale’, nonostante ci sia una significativa differenza tra di loro. Si tratta di concetti che in comune hanno solo il rispetto delle leggi da parte delle istituzioni dello Stato. Cosa che accade però anche nei sistemi autocratici e dittatoriali. Invece in uno ‘Stato di diritto’ vengono rispettati e garantiti per legge tutti i diritti e le libertà dell’essere umano. E si tratta di diritti e libertà innate. Mentre molti diritti e libertà dell’essere umano non sono riconosciuti per legge dai regimi autocratici e dittatoriali. Ragion per cui non si rispettano e neanche si garantiscono.

    Il concetto dello ‘Stato di diritto’ è stato trattato già nella Grecia antica. Aristotele, circa ventitre secoli fa affermava che “… È più opportuno che sia la legge a governare che uno qualsiasi dei cittadini; secondo lo stesso principio, se è vantaggioso porre il potere supremo in alcune persone particolari; queste dovrebbero essere nominate solo custodi e servitori delle leggi”. In seguito il concetto è stato ulteriormente elaborato, adattandolo alle realtà del periodo storico, sia nel Regno Unito che in altri Paesi europei. Il concetto dello ‘Stato di diritto’ ha molto in comune con quello che è noto come Rule of Law (Imperio del Diritto; n.d.a.), fino al punto che si identificano. Nell’Enciclopedia Britannica con Rule of Law si intende un “meccanismo, processo, istituzione, pratica o norma che sostiene l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, garantisce una forma di governo non arbitraria e, più in generale, impedisce l’uso arbitrario del potere”.

    “Tutti sono attori dello Stato di diritto”. È una frase che esprime la convinzione dei dirigenti del World Justice Project (WJP – Progetto della Giustizia nel mondo; n.d.a.), fondato nel 2006 negli Stati Uniti d’America. Proprio nello stesso anno in cui un’altra organizzazione, Jeunes Européens Fédéralistes (JEF – Giovani Federalisti Europei; n.d.a.), nell’ambito delle attività denominate Democracy Under Pressure (Democrazia sotto Pressione; n.d.a.), cominciò a denunciare la violazione dei diritti dell’uomo in Bielorussia. Un Paese che allora veniva considerato come “l’ultima dittatura in Europa”.

    World Justice Project è un’organizzazione che secondo molti specialisti ed opinionisti risulta essere una delle più note organizzazioni, a livello internazionale, nel campo degli studi dettagliati e dell’informazione sullo Stato di diritto e della sua promozione. World Justice Project prepara e pubblica ogni anno anche un rapporto, il Rule of Law Index (Indice sullo Stato di diritto; n.d.a.). Un rapporto che raccoglie, elabora ed analizza molti dati che riguardano il rispetto della legge, attualmente in 142 Paesi del mondo. Sono dati raccolti direttamente, intervistando i cittadini e che servono a evidenziare il rispetto delle leggi e dei diritti fondamentali dell’essere umano. Il rapporto annuale Rule of Law Index viene redatto come una classifica di tutti i Paesi sotto analisi e che si basa sul rispetto delle libertà e dei diritti dei cittadini, sanciti dalla legge. Vengono perciò analizzati le cosiddette otto macro dimensioni dello Stato di diritto. E cioè la limitazione dei poteri governativi, l’assenza di corruzione, l’open government, i diritti fondamentali, l’ordine e la sicurezza, l’applicazione della legge, la giustizia civile e la giustizia penale.

    Mercoledì scorso, 23 ottobre, è stato pubblicato il rapporto Rule of Law Index per il 2024. In quel rapporto sono stati presentati i risultati delle analisi multidimensionali, fatte dagli specialisti del World Justice Project, per  tutti i 142 Paesi presi in considerazione. L’Albania era uno di loro. Ebbene, per il settimo anno consecutivo l’Albania registra solo dei continui regressi. Soprattutto per quando riguarda la corruzione. Riferendosi  all’indice “Assenza di corruzione” l’Albania si classifica alla 107a posizione tra i 142 Paesi analizzati. Dai dati elaborati risulta che l’Albania si percepisce come il Paese più corrotto dell’Europa. Ragion per cui entra nella “zona rosa” della corruzione, dova l’applicazione ed il rispetto delle leggi in vigore lasciano molto a desiderare.

    La corruzione, partendo dai più alti livelli delle istituzioni pubbliche in Albania, è analizzata e trattata in questi ultimi mesi anche da molti media internazionali. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori, 11 marzo 2024; Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024; Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024; Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà, 7 ottobre 2024 ecc…). In un articolo pubblicato il 24 ottobre scorso dal noto quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, riferendosi alla corruzione in Albania si sottolinea che molti funzionari delle istituzioni dell’Unione europea affermano privatamente che “…la corruzione esiste in tutti i campi ed è ben presente nella vita pubblica”. Nello stesso articolo si fa riferimento anche al rapporto per il 2023 del Dipartimento di Stato statunitense, in cui si afferma che “…la corruzione esiste in tutte le diramazioni e in tutti i livelli del governo”. Mentre un altro media statunitense, il Fox News Digital, parte integrante della ben nota catena televisiva Fox News, sempre il 24 ottobre scorso sottolineava che “…La corruzione, soprattutto nel sistema giudiziario, è molto diffusa in Albania e i tribunali sono spesso sotto pressione e influenza politica”.

    Anche il noto settimanale francese Nouvel Obs, lo stesso giorno, il 24 ottobre scorso, affermava che dopo undici anni che il primo ministro è al potere “…l’Albania è ancora uno dei Paesi più corrotti dell’Europa […]. Un narcostato che si sta svuotando dei suoi abitanti”.

    I media internazionali la scorsa settimana si riferivano anche al sistema “riformato” della giustizia.

    Radio France Internationale, una ben nota emittente radiofonica pubblica francese, sottolineava che “…In Albania la riforma del sistema della giustizia si presenta come un successo dalla comunità internazionale, sembra che serve molto a rafforzare l’attuale potere [politico], invece di assicurare la vera trasparenza”. Un fatto questo che “…aumenta le preoccupazioni sull’indipendenza delle istituzioni del sistema della giustizia”. Il nostro lettore da anni ormai è stato informato, sempre con la dovuta e richiesta oggettività, del controllo delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia in Albania da parte del primo ministro e/o di chi per lui. Soprattutto della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata che ormai, fatti accaduti anche in questi giorni alla mano, è diventata un’arma nelle mani del primo ministro per eliminare gli avversari politici. Lo testimoniano gli arresti domiciliari da dieci mesi ormai e senza prove del capo dell’opposizione, ex presidente della Repubblica ed ex primo ministro. Così come lo testimonia l’arresto brutale lunedì scorso, 21 ottobre, di un altro ex presidente della Repubblica, ex presidente del Parlamento ed ex primo ministro. Quest’ultimo è stato precedentemente alleato con l’attuale primo ministro (2013-2017), per poi diventare un suo avversario politico. Anche di questi arresti hanno scritto i media internazionali la scorsa settimana.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania dal 2013 è stato restaurato un regime autocratico. Si tratta di una nuova dittatura sui generis, di un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto. Ma non lo è per niente. Spetta ai cittadini albanesi reagire, perché, come affermava Margaret Thatcher, più grande è la fetta presa dallo Stato, più piccola sarà la torta a disposizione di tutti. E lo Stato in Albania non è uno Stato di diritto ma, bensì, uno Stato corrotto e che abusa.

  • Cosa potrebbe accadere in seguito e delle scelte pragmatiche

    Sì, ne era convinto John Maxwell Coetzee, noto scrittore sudafricano e vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 2003. Per lui “il pragmatismo vince sempre sui principi”. Aggiungendo anche che “è così che vanno le cose, l’universo si muove, la terra cambia sotto i nostri piedi; i principi sono sempre un passo indietro”. Una sua convinzione basata sulla sua lunga esperienza di vita sia in Sudafrica che in altri Paesi ed espressa nel suo libro Summertime (Tempo d’estate, n.d.a.), pubblicato nel 2009. Il sostantivo ‘pragmatismo’ ha le sue origini nella lingua greca antica. In quella lingua prâgma significava un ‘fatto, una cosa concreta’. Nei dizionari e nelle enciclopedie con la parola pragmatismo si intende una scelta, un comportamento che punta a far prevalere e preferire i risultati concreti e pratici più che i principi e/o i valori morali.

    Venerdì 18 ottobre è stata resa nota la decisione della sezione per i diritti della persona e immigrazione del Tribunale di Roma sui primi profughi arrivati in Albania con la nave “Libra” della marina militare italiana due giorni prima, il 16 ottobre. Un trasferimento fatto in base all’Accordo, noto come il “Protocollo per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”, firmato a Roma il 6 novembre 2023 dalla Presidente del Consiglio dei ministri italiano e dal primo ministro albanese. Un Protocollo ratificato in seguito, nel febbraio scorso, sia dal Parlamento italiano che da quello albanese.

    I giudici del Tribunale di Roma non hanno convalidato il trattenimento dei dodici profughi nei due Cpr (centri di permanenza per il rimpatrio; n.d.a.). La decisione sanciva che “…il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi, equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane, è dovuto all’impossibilità di riconoscere come ‘Paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia”. Per i giudici della sezione per i diritti della persona e immigrazione del Tribunale di Roma…“I due Paesi da cui provengono i migranti, Bangladesh ed Egitto, non sono sicuri, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia.”.

    Il 4 ottobre scorso la Corte di giustizia dell’Unione europea si è espressa in seguito ad una richiesta presentata dalla Repubblica Ceca, in base ad una domanda di protezione presentata da un cittadino moldavo. Una domanda rifiutata perché le autorità ceche avevano ritenuto la Moldavia come un Paese sicuro, ad eccezione di una sua parte, la Transnistria. Bisogna sottolineare che il diritto dell’Unione europea riconosce come sicuro tutto il territorio di un Paese terzo in questione, e non solo una sua parte. Ebbene, proprio in base a quella norma di diritto, il 4 ottobre scorso la Corte di giustizia dell’Unione europea ha deciso che “…i criteri che consentono di designare un Paese terzo come di origine sicura devono essere rispettati in tutto il suo territorio”. Bisogna tenere presente che le decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea condizionano anche le sentenze dei sistemi giudiziari di tutti i Paesi dell’Unione, Italia compresa.

    Ovviamente le reazioni in Italia dei massimi rappresentanti sia dell’opposizione che della maggioranza, per ovvi motivi diversi, sono state molto dure.

    Le reazioni sono state tante, forti e motivate anche in Albania, criticando l’Accordo e mettendo in evidenza il suo fallimento. Reazioni fatte però solo dai rappresentati dell’opposizione, da quei pochi media che il primo ministro non riesce a controllare, da noti analisti e dagli abitanti delle aree dove sono stati costruiti i due Cpr. Delle forti reazioni, come quelle fatte dopo la firma dell’Accordo il 6 novembre scorso. Reazioni che allora erano molto critiche soprattutto nei confronti del primo ministro, che aveva fatto tutto senza la ben che minima trasparenza, in piena violazione della Costituzione. Allora il primo ministro albanese, alcuni suoi ministri e tutti i media da lui controllati hanno difeso con entusiasmo l’Accordo. Le cattive lingue dicevano allora che lo facevano per avere il supporto della presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia, nonché degli alti rappresentanti italiani nel Consiglio europeo e nelle altre istituzioni dell’Unione. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di tutto ciò (Un autocrate irresponsabile e altri che seguono i propri interessi, 14 novembre 2023; Un autocrate irresponsabile ed altri che ne approfittano, 21 novembre 2023; Mai accordarsi con individui inaffidabili, 27 maggio 2024; ecc…). Ma in seguito “l’entusiasmo” del primo ministro albanese sull’Accordo” cominciò a svanire. Lui cominciò a “liberarsi” dalle sue responsabilità già da alcuni mesi fa. Durante un’intervista rilasciata ad un giornalista de La Repubblica nel maggio scorso lui, riferendosi proprio all’Accordo, ha dichiarato che “Ci saranno ricorsi, verrà bloccato dalla burocrazia italiana e dalle regole Ue”. Invece adesso, dopo la sopracitata decisione del Tribunale di Roma il primo ministro non ha detto una sola parola. Si nasconde come fa sempre quando si trova in difficoltà. Chissà perché?!

    Nel frattempo il primo ministro albanese continua vigliaccamente a tacere. Fa male perciò la sua “cara amica Giorgia” a fidarsi di lui. Lei che con l’Accordo del 6 novembre 2023 sui migranti con l’Albania, tra il pragmatismo ed i principi ha scelto il primo. “Il pragmatismo vince sempre sui principi; è così che vanno le cose”, scriveva John Maxwell Coetzee nel suo libro “Tempo d’estate”. Chissà se funzionerà anche questa volta? Di una cosa però la presidente italiana deve essere attenta, dell’infedeltà del suo “caro amico”, il primo ministro albanese.

  • Una pericolosa sudditanza

    Finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

    William Shakespeare; da “Re Lear”

    “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…”. Sono dei versi di uno scrittore turco. Versi che sono stati pronunciati nel 1998 anche dall’allora sindaco di Istanbul (1994 – 1998), attualmente presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. E proprio per aver recitato questi versi in pubblico, lui è stato condannato, nel novembre 1998, con la pena di dieci mesi ed il divieto di ricoprire cariche pubbliche a vita. Per i giudici il suo discorso pubblico è stato “un’attacco allo Stato ed incitamento all’odio religioso”. Una condanna della quale scontò soltanto quattro mesi di prigione. In più è stata annullata, dopo circa tre anni ed in seguito ad un emendamento costituzionale, anche quella parte della condanna che riguardava il divieto di ricoprire delle cariche pubbliche a vita.

    Nel 2001 Erdogan è stato uno dei fondatori del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.). Un partito che nel 2002 vinse con il 34,3% dei consensi, diventando il primo partito del Paese. Erdogan nel 2003 divenne il 59° primo ministro della Turchia. Incarico che ha mantenuto fino al 2014. Mentre il 28 agosto del 2014, è stato eletto 12o presidente della Turchia. Dopo quella sua elezione, Erdogan si è dimesso dalla guida del partito. In seguito al fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, lui ha deciso di rafforzare i propri poteri. Perciò, come presidente della Repubblica, ha decretato lo svolgimento del referendum costituzionale il 16 aprile 2017. Referendum che gli ha permesso, tra l’altro, di diventare di nuovo anche il dirigente del partito AKP. Bisogna sottolineare che Erdogan non ha mai nascosto anche la sua propensione per la religione islamica. E durante la sua lunga carriera politica ha contribuito attivamente ad un continuo e progressivo aumento del ruolo della religione islamica nella vita del Paese. E così facendo, Erdogan ha rinnovato il rapporto tra lo Stato e la religione islamica in Turchia. Invece, con un apposito emendamento della Costituzione del 1924, nel 1928 la Turchia si proclamava Stato laico. Un emendamento che non riconosceva più l’Islam come la religione dello Stato turco.

    La Turchia, negli ultimi decenni, oltre ad aver attuato una crescita economica, ha avuto anche un ruolo non trascurabile negli sviluppi geopolitici regionali. Il che ha permesso ad Erdogan, sia come primo ministro che in seguito come presidente, di mettere attivamente in pratica quella che ormai viene riconosciuta come la “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina presentata in un libro di un professore di relazioni internazionali all’università di Istanbul. Il libro, intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia, è stato pubblicato nel 2001. L’autore, Ahmet Davutoğlu, trattava nel suo libro quello che il presidente turco ai primi anni ’90 del secolo passato, Turgut Özal, considerava un obiettivo strategico della Turchia. Secondo il presidente “Il 21o secolo sarà il secolo dei turchi”. Il che poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. L’autore del sopracitato libro era convinto che “…era venuto il tempo di attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano”. Per lui erano “… molto importanti anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano”. In seguito Ahmet Davutoğlu, per i suoi contributi, è stato consigliere di Erdogan, poi ministro degli Esteri (2009-2014) e anche primo ministro (2014-2016).

    L’Albania è stata parte integrante dell’Impero ottomano dal 1385 fino al 1912. Perciò, come tale, rappresenta uno dei Paesi ai quali si riferisce la “Dottrina Davutoğlu”. E i rapporti tra la Turchia e l’Albania durante questi ultimi anni lo confermano. Ma oltre ai rapporti istituzionali tra i due Paesi, soprattutto dal 2013 ad oggi, bisogna evidenziare anche i rapporti di “amicizia” tra il presidente turco ed il primo ministro albanese. Rapporti che, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, dimostrano e testimoniano che più che rapporti tra due massimi rappresentanti istituzionali, sono rapporti personali, basati su degli “interessi” spesso non trasparenti. Rapporti che presentano il primo ministro albanese come un “ubbidiente sostenitore” delle volontà del presidente turco. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di questi rapporti che del contenuto della “Dottrina Davutoğlu” (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021; Amicizie occulte e sudditanze pericolose, 24 gennaio 2022; Autocrati che usano gli stessi metodi non a caso si somigliano, 24 ottobre 2022; Come si può credere ad un ciarlatano?, 29 agosto 2023 ecc…).

    Nell’ambito di questi rapporti è stata anche la visita del presidente turco giovedì scorso, 10 ottobre, nella capitale albanese. Una visita che formalmente era dovuta all’inaugurazione della più grande moschea nei Balcani, costruita con dei finanziamenti turchi. Un’inaugurazione che, nonostante la costruzione della moschea fosse terminata da alcuni anni, è stata rimandata proprio per volontà del presidente turco. Sì, perché lui condizionava l’inaugurazione della moschea con la condanna dei sostenitori di Fethullah Gülen, un suo amico che poi è diventato un odiato nemico. Compresi anche alcuni dirigenti della Comunità musulmana albanese. Comunità che doveva prendere possesso della sopracitata moschea. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato.

    Quello che è pubblicamente accaduto giovedì scorso ha testimoniato che il primo ministro albanese ha pienamente soddisfatto le richieste del presidente turco. La cerimonia dell’inaugurazione della moschea, vista la presenza del presidente turco, non è stata organizzata però dal protocollo dello Stato albanese, bensì da quello turco. I veri organizzatori della cerimonia non hanno invitato il dirigente della Comunità musulmana albanese e anche la maggior parte degli altri rappresentanti istituzionali della stessa Comunità. Senz’altro un’espressa condizione del presidente turco. Non solo, ma anche la cerimonia religiosa è stata presieduta da un imam turco, il quale è stato nominato dalle autorità del suo Paese come l’imam della nuova moschea. Da fonti ben informate risulterebbe che dentro la moschea erano non pochi i partecipanti non albanesi, ma che conoscevano molto bene la lingua turca. Lingua con la quale sono stati svolti tutti i riti religiosi durante la cerimonia, e non più quella araba, come di consueto. Tutto quanto è accaduto giovedì scorso, 10 ottobre, durante la cerimonia d’inaugurazione della nuova moschea a Tirana, ha riconfermato che la “Dottrina Davutoğlu” sta funzionando in Albania ed il primo ministro albanese ubbidisce ed acconsente. Quanto è accaduto giovedì scorso testimonia anche una sua pericolosa sudditanza, la quale potrebbe avere delle conseguenze non auspicabili e non solo per la stessa comunità musulmana albanese. Bisogna sottolineare che durante la sua visita il presidente turco ha annunciato anche un accordo per fornire dei droni kamikaze da combattimento “TB2 Bayraktar” all’esercito albanese. Droni che, guarda caso, si producono nelle fabbriche del genero di Erdogan. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe considera come una vile e pericolosa sudditanza quella del primo ministro albanese nei confronti del presidente turco. Un autocrate con i cittadini albanesi, ma che ubbidisce vergognosamente però a colui che è ormai noto come il nuovo “sultano turco”. E con quell’autocrate, che ubbidisce al “sultano”, ma anche alla criminalità organizzata e ai clan occulti, il peggio non è finito per gli albanesi e non solo. Perché, come scriveva William Shakespeare, finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

  • Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà

    Il codardo minaccia quando è al sicuro.

    Wolfgang Goethe

    “L’Albania è l’esempio principale di un Paese caotico, nelle mani dei gangster”. Si tratta di una frase riportata in un articolo pubblicato il 13 maggio 2019 da Bild, un noto quotidiano tedesco. L’autore dell’articolo, riferendosi alla clamorosa manipolazione dei risultati del voto in un comune nel nord est del Paese, specificava che “…in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata”. Lui si basava anche su molte intercettazioni telefoniche in possesso alla redazione di Bild, la trascrizione delle quali era stata inserita nell’articolo. Dalle intercettazioni risultava che alcuni rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati della maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica ed alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche ed in altre gare locali, comprese quelle sopracitate. L’autore dell’articolo evidenziava che “…Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel Paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Chi scrive queste righe ha analizzato il contenuto dell’articolo pubblicato il 13 maggio 2019 dal noto quotidiano tedesco Bild ed ha informato a tempo debito il nostro lettore (Proteste come unica speranza, 20 maggio 2019; L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio, 24 giugno 2019; Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019).

    Mediapart è una nota rivista francese indipendente pubblicata online e creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde. Questo media si compone di due sezioni: una è la rivista, nota come Le Journal, dove scrivono giornalisti professionisti, mentre l’altra sezione è Le Club, strutturata come un forum collaborativo a cura della comunità di abbonati. I dirigenti di Mediapart hanno scelto di non accettare nessuna pubblicità e tutte le spese vengono finanziate soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Ed è stata proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della Repubblica francese, Sarcozy e Hollande. Ma anche il caso ormai noto come l’affare Bettencourt. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart. Ebbene, il 28 febbraio scorso Mediapart pubblicava un articolo intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama [il primo ministro] è diventato il miglior alleato degli occidentali; n.d.a.). Un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart, che trattavano ed analizzavano la preoccupante e problematica realtà albanese. Riferendosi al primo ministro albanese, gli autori dell’articolo sottolineavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla caduta verso l’autoritarismo”. In seguito loro ponevano la domanda: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. Chi scrive queste righe analizzava ed informava il nostro lettore anche dei contenuti di quest’articolo (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori; 11 marzo 2024).

    Il 21 aprile scorso il programma investigativo Report, trasmesso in prima serata su Rai3, trattava la realtà albanese ed evidenziava gli abusi di potere, riferendosi a fatti accaduti, pubblicamente noti ed ufficialmente denuciati. Il programma trattava l’Accordo firmato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania sui migranti. È stato evidenziato anche la stretta collaborazione del potere politico con la criminalità organizzata. Il giornalista riportava nel programma Report del 21 aprile scorso anche le affermazioni di due noti procuratori italiani, da lui intervistati: Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Così ha detto Gratteri al giornalista, mentre Mandoi ha affermato che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo”. Durante il programma Report è stato trattato anche il coinvolgimento attivo del fratello del primo ministro con un’organizzazione che trafficava cocaina. Un fatto quello noto ormai da anni in Albania, nonostante le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, da anni ormai, non agiscono. Chi scrive queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024).

    Il 13 settembre scorso un altro media tedesco, Der Spiegel (Lo specchio, n,d,a,), ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo investigativo in cui veniva analizzata la grave realtà vissuta e sofferta in Albania. Bisogna sottolineare che Der Spiegel è un media settimanale molto influente a livello internazionale. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava, fatti pubblicamente denunciati alla mano, ma anche riferendosi ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da Rai 3, la drammatica e grave realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo affermava, tra l’altro, che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione”. Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore dei contenuti di quest’articolo (Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024).

    Di fronte a simili articoli, ma anche ad altri, pubblicati da diversi noti giornali europei e statunitensi, il primo ministro albanese si trova in vistose difficoltà. Difficoltà che lo costringono a reagire, a modo suo. Prima cerca di “convincere” giornalisti e loro dirigenti con delle “ricompense”. Ma poi, se non acconsentono, comincia subito con le minacce. Lo confermano anche alcuni dei giornalisti e redattori di giornali. Così ha fatto il primo ministro con il giornalista ed il direttore del programma Report di Rai3. Lo aveva fatto prima anche con il giornalista del quotidiano tedesco Bild. E non solo lo aveva minacciato, ma lo aveva anche ufficialmente denunciato. Una denuncia che poi dopo è stata ritirata proprio dal primo ministro. Chissà perché?! Le cattive lingue hanno detto allora che i fatti gli erano tutti contro. Lo ha fatto anche dopo la pubblicazione del sopracitato articolo di Der Spiegel. Il giornalista dell’articolo ha dichiarato che il primo ministro albanese è “…amato dall’Europa, nonostante la corruzione a casa”. E si riferiva ad alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. In seguito lui scriveva che dopo aver letto l’articolo di Der Spiegel “…ha telefonato una notte tardi ed ha tentato di influenzare il nostro articolo”. Mentre un noto giornalista del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre riferendosi alle minacce fatte dal primo ministro albanese al suo collega di Der Spiegel, sciveva: “Questo è un caso tipico di Edi Rama, come lo hanno vissuto molti giornalisti. Lui telefona direttamente ai giornalisti e cerca di affogarli sotto un’onda di minacce. Se lui non può comprarvi, almeno lui desidera offendervi”.

    Chi scrive queste righe trova vergognose e vili le minacce fatte dal primo ministro albanese ai giornalisti che denunciano la grave realtà che lui stesso ha generato e permesso. Ma, nonostante le apparenze, chi lo conosce bene, afferma che lui da bambino è stato un codardo. Ed il codardo minaccia quando è al sicuro. Era convinto Wolfgang Goethe, che di esperienze ne aveva tante!

  • Proposta delirante di un autocrate in gravi difficoltà

    L’uomo non è spiegabile e, in ogni caso, bisogna indagare i suoi segreti

    non nelle sue ragioni ma piuttosto nei suoi sogni e deliri.

    Ernesto Sabato

    Fino al 1815 era noto come lo Stato Pontificio. Organizzato e funzionante come una monarchia assoluta, aveva come suo massimo rappresentante, con i pieni poteri, il Pontefice. Fino ad allora era anche uno degli Stati italiani, come il Regno di Sicilia, il Regno di Napoli, il Granducato di Toscana ed altre entità statali. Ma il 20 settembre 1870 il Regno d’Italia conquistò Roma. In seguito, dopo il plebiscito del 2 ottobre 1870, anche i territori della Santa Sede sono stati annessi al Regno d’Italia. Alcuni mesi dopo, nel maggio 1871 il Parlamento stabilì anche i diritti della Santa Sede come parte integrante del Regno d’Italia. Il Papa veniva riconosciuto ancora come la massima autorità, ma alla Santa Sede è stato riconosciuto solo il possesso e non la proprietà degli edifici a Roma e dintorni. Il papa di allora, Pio IX, non riconobbe la decisione del Parlamento e si dichiarò prigioniero in Vaticano. Una simile situazione tesa tra il Regno d’Italia e la Santa Sede durò fino al 1929, quando, dopo lunghe trattative, l’11 febbraio 1929 si firmarono i Patti Lateranensi. Dal concordato tra l’Italia e la Santa Sede il 7 giugno 1929 è stato costituito e riconosciuto lo Stato sovrano della Città del Vaticano, esteso su un territorio molto limitato, entro le mura leonine, compresa anche la piazza San Pietro. I Patti Lateranensi, sono ormai sanciti dall’articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana.

    Quest’anno si è svolta la 79ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dal 22 e al 23 settembre 2024, l’Assemblea ha ospitato il Vertice del futuro. In quel vertice sono stati trattati diversi temi. Per il Segretario generale delle Nazioni Unite quel vertice dovrebbe rappresentare “…un’opportunità unica per ricostruire la fiducia e riallineare le istituzioni multilaterali obsolete con il mondo di oggi, basandosi su equità e solidarietà”.

    Durante il sopracitato vertice, il 22 settembre scorso ha preso la parola anche il primo ministro albanese. Nel frattempo i suoi clamorosi abusi di potere, i continui scandali che lo coinvolgono direttamente, insieme con alcuni suoi stretti famigliari e collaboratori, il controllo da lui personalmente e/o da chi per lui del sistema “riformato” della giustizia, la galoppante corruzione partendo dai più alti livelli, sono stati trattati ed evidenziati anche dai giornali e dalle televisioni di vari Paesi europei ed di oltreoceano. Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di tutto ciò. Così come è stato spesso informato, durante questi ultimi anni, della restaurazione e del continuo consolidamento di una nuova dittatura sui generis in Albania. Una dittatura camuffata da una facciata di pluripartitismo, ma che arresta e tiene tuttora isolato in casa, senza nessuna prova, il capo dell’opposizione. E tutti lo sanno che è stato il primo ministro a chiederlo. Come fanno anche altri suoi simili, in Russia, in Turchia, in Bielorussia, in Venezuela ed altrove nel mondo. Una dittatura, quella restaurata in Albania, espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti molto potenti finanziariamente.

    Una grave e molto preoccupante realtà questa vissuta e sofferta in Albania. Una realtà che ha costretto durante questi ultimi anni circa un terzo della popolazione, soprattutto i giovani, a lasciare la madrepatria per cercare un futuro migliore all’estero. Una realtà questa che non riesce più a nascondere neanche la ben organizzata e potente propaganda governativa. Una realtà che ha vistosamente messo in serie difficoltà anche il diretto responsabile, il primo ministro albanese.

    Ebbene, il 22 settembre scorso, lui ha preso la parola al Vertice del futuro, organizzato nell’ambito della 79ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E come fa sempre quando si trova in gravi difficoltà, l’autocrata albanese ha cercato, anche questa volta, di spostare l’attenzione, sia dell’aula che dell’opinione pubblica in Albania, con delle “stranezze”. E questa volta ha scelto di proclamare la costituzione di uno Stato sovrano della comunità religiosa bektashì dentro il territorio della capitale albanese. Come la Città del Vaticano a Roma. Bisogna sottolineare che in Albania coesistono pacificamente alcune comunità religiose, le più note delle quali sono la comunità musulmana sunnita, che rappresenta la maggior parte della popolazione, la comunità cristiana ortodossa, quella cattolica e la comunità bektashì, che sono dei musulmani sciiti della confessione islamica sufi. Ci sono anche altre comunità religiose minori. Risulterebbe che la comunità dei bektashì rappresenta meno del 10% dell’intera popolazione albanese. E riferendosi a quella comunità il primo ministro albanese ha dichiarato il 22 settembre scorso che avrebbe in mente di “…trasformare il centro dell’Ordine [comunità] dei bektashì, al centro di Tirana, in un centro di tolleranza e di coesistenza”. Ed intendeva quelle tra le varie religioni. Ma è un fatto storicamente e pubblicamente noto che in Albania le diverse comunità religiose hanno sempre coesistito e convissuto in armonia tra di loro. Perciò solo questo importante fatto contrasta con le dichiarazioni del primo ministro. Uno strano e, per molti, delirante annuncio quello suo, che è stato anticipato da un articolo pubblicato il 21 settembre scorso, dal noto quotidiano statunitense The New York Times. In quell’articolo era stato citato il primo ministro per aver confidato al giornalista che voleva portare avanti una sua idea: quella di costituire un piccolo Stato, un’enclave, seguendo il modello del Vaticano. Un’enclave che verrebbe governata dai bektashì. Ma già solo con questa affermazione dimostra che o non conosce la storia, oppure sta ingannando. Sì perché si tratta di due realtà e modelli ben differenti per varie ragioni; storiche, culturali, demografiche ed altro.

    Il primo ministro ha dichiarato al The New York Times che “L’Albania cerca di trasformare in uno Stato sovrano con la propria amministrazione, i propri passaporti e le proprie frontiere” la comunità dei bektashì. E conferma che nel prossimo futuro “…presenterà i piani per l’entità che sarà chiamata lo Stato Sovrano dell’Ordine dei Bektashì”. Lui ha altresì affermato al giornalista che si trattava di un piano che lo sapevano solo pochissimi suoi stretti collaboratori. Ma lui, prima di tutto, doveva informare e poi consultare i rappresentanti delle comunità religiose in Albania ed altri gruppi di interesse. Doveva informare soprattutto il diretto interessato, il dirigente della comunità bektashì in Albania. E proprio quest’ultimo ha confermato subito dopo la pubblicazione dell’articolo che “La notizia che l’Albania potrebbe dare la sovranità all’Ordine dei Bektashì … ci ha stupiti. Noi non abbiamo richiesto e non pretendiamo di creare uno Stato musulmano. L’iniziativa è totalmente del primo ministro”. Ma il primo ministro doveva, sempre obbligatoriamente, discutere questo suo “strano piano” in parlamento. Si perché per portare avanti questa sua proposta, questo piano, dovrebbe fare anche degli emendamenti costituzionali. Il comma 2 del primo articolo della Costituzione sancisce che “La Repubblica d’Albania è uno Stato unitario ed indivisibile”. Proprio così! Costituire uno Stato sovrano dentro lo Stato albanese significa violare la Costituzione. Ed il primo ministro, con la sua delirante proposta, lo ha fatto.

    Chi scrive queste righe informa il nostro lettore che in seguito alle sopracitate dichiarazioni del primo ministro le reazioni sono state immediate. Reazioni che si oppongono fortemente alla sua proposta delirante. Reazioni fatte dai vertici della comunità musulmana in Albania, da molti noti analisti, storici e religiosi. Aveva ragione Ernesto Sabato, l’uomo non è spiegabile e, in ogni caso, bisogna indagare i suoi segreti non nelle sue ragioni ma piuttosto nei suoi sogni e deliri.

  • Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia

    Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti.

    Karl Popper; da “La società aperta e i suoi nemici”, 1945

    Della democrazia, come concetto e come realtà vissuta, da molto tempo ormai si parla, si scrive e si dibatte spesso in tutte le parti del mondo. Si tratta di una delle forme dell’organizzazione e del funzionamento dello Stato, concepita e messa in atto già nella Grecia anticha. Le città-Stato erano tipiche di quel periodo. E nelle città-Stato della Grecia antica, soprattutto ad Atene, funzionava la polis e cioè una forma di organizzazione sociale e politica. La polis si basava sulla diretta partecipazione degli abitanti liberi della città nelle attività comuni ed era caratterizzata da quella che i greci antichi chiamavano isonomia. Una parola che significava uguaglianza di diritti dei cittadini di fronte alla legge. Ad Atene dal VI secolo a.C. la democrazia era una realtà. Il potere spettava a tutti i cittadini liberi e anche a tutti gli stranieri che avevano ottenuto la cittadinanza ateniese. La democrazia nella città-Stato di Atene funzionava, basandosi su tre principi. Il primo era proprio l’isonomia. Il secondo, era l’isogoria, che significava il diritto della libertà di parola. Ed il terzo principio su cui si basava la democrazia funzionante ad Atene era l’isotimia – il diritto della parità di pretendere e di competere per tutte le cariche pubbliche. Da allora, nel corso dei secoli, il concetto e le forme del funzionamento della democrazia si sono evolute ed adattate alla realtà. Ormai con la democrazia si intende una forma di organizzazione dello Stato dove il potere esecutivo, quello legislativo ed il potere giudiziario sono separati ed indipendenti l’uno dall’altro. In uno Stato democratico la sovranità appartiene al popolo che la esercita tramite i loro rappresentanti scelti in seguito a delle libere elezioni a cui partecipano tutti i cittadini che hanno il diritto di voto, previsto dalla legge.

    L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948 ha approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Tra i diritti dell’essere umano è stato annoverato anche il diritto alla democrazia. L’articolo 21 della Dichiarazione sancisce proprio questo diritto. Il primo comma dell’articolo afferma: “Ogni individuo ha diritto di partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente, sia attraverso rappresentanti liberamente scelti”. Il secondo comma afferma: “Ogni individuo ha diritto di accedere in condizioni di eguaglianza ai pubblici impieghi del proprio Paese”. In seguito, il terzo comma dell’articolo 21 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sancisce che “La volontà popolare è il fondamento dell’autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale eguale, ed a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione”. Si tratta di diritti che erano riconosciuti anche nella Grecia antica ed in seguito, soprattutto durante questi due ultimi secoli, in tutti i Paesi dove è stata attuata un’organizzazione democratica dello Stato.

    Domenica scorsa è stata celebrata la diciassettesima Giornata internazionale della democrazia. Era l’8 novembre 2007 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la sua Risoluzione A/RES/62/7 ha proclamato il 15 settembre come la Giornata internazionale della democrazia. Una decisione quella che esprime la vitale necessità di preservare tutto quello che si è ottenuto nel corso dei secoli con tanti sacrifici. Una decisione che esprime anche l’impegno di non indietreggiare. Sì, perché il rischio di indietreggiare e di consentire la restaurazione ed il consolidamento di forme totalitarie di funzionamento e dell’organizzazione dello Stato è ben presente e si sta verificando, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, in diverse parti del mondo. Europa compresa. Sabato scorso, in occasione delle celebrazioni della diciassettesima Giornata internazionale della democrazia, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel suo messaggio ha, tra l’altro, affermato che i diritti dell’essere umano “…sono sotto attacco in tutto il mondo. Le libertà vengono erose, lo spazio civico si sta riducendo, la polarizzazione si intensifica e la sfiducia cresce”.

    Der Spiegel (Lo spechio, n,d,a,), una rivista tedesca con una tiratura media di circa un milione di copie alla settimana, è un settimanale molto noto ed influente a livello internazionale. Lo conferma anche The Economist, un altrettanto noto settimanale inglese d’informazione. Venerdì scorso, 13 settembre, nelle pagine del settimanale Der Spiegel c’era un lungo articolo investigativo che analizzava la preoccupante realtà in Albania. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava in base a molti fatti accaduti e documentati, nonché ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da RAI 3, la drammatica realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo trattava, altresì, il comportamento ambiguo di alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea, di deterimati Paesi membri dell’Unione e degli Stati Uniti d’America.

    Nel capitolo intitolato “La corruzione a tutti i livelli” l’autore dell’articolo di Der Spiegel faceva riferimento al Segretario di Stato statunitense che nel febbraio scorso era in una visita ufficiale in Albania. Una visita di cui il nostro lettore è stato informato (Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto; 20 febbraio 2024). L’autore di queste righe, riferendosi alla visita del segretario di Stato statunitense, in quell’articolo informava il nostro lettore anche che “….il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese”. Nell’articolo pubblicato la scorsa settimana da Der Spiegel l’autore scriveva che il Segretario di Stato statunitense “…ha trovato delle parole lodevoli “per il primo ministro albanese e per la riforma del sistema della giustizia, dichiarando che “i funzionari corrotti adesso stanno assumendo la loro responsabilità”.  E poi aggiungeva che “….i rappresentanti della criminalità organizzata sono [ormai] in carcere e stanno perdendo la loro ricchezza. Questo è un grande cambiamento”. Ma in seguito l’autore dell’articolo si riferiva al rapporto ufficiale per il 2023 del Dipartimento di Stato, diretto proprio dal Segretario di Stato statunitense. In quel rapporto critico della situazione in Albania era stato evidenziato, tra l’altro, che la corruzione è attiva “…in tutti i dicasteri e a tutti i livelli del governo”. L’autore dell’articolo di Der Spiegel aggiungeva: “questo vuol dire fino in cima”. E si riferiva proprio al primo ministro albanese. Citando poi un ex ministro da lui intervistato, ma che voleva rimanere anonimo, l’autore dell’articolo sottolineava che “…la fusione degli interessi politici e mediatici con quelli della criminalità e degli oligarchi” è alla base del sistema che usa il primo ministro albanese. L’ex ministro aggiungeva che “Tutto questo si fa con la benedizione dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America”. Poi l’autore dell’articolo sottolineava che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione. Ed aggiungeva che il primo ministro, un furbo, “….riesce [però] a trovare delle conoscenze in Occidente”. L’articolo pubblicato il 13 settembre scorso su Der Spiegel continuava facendo una dettagliata analisi della drammatica e preoccupante realtà albanese, con tante citazioni di fatti accaduti e pubblicamente noti.

    Chi scrive queste righe trova molto realistico l’articolo pubblicato da Der Spiegel. Egli da anni ormai ha informato con la dovuta e richiesta oggettività il nostro lettore sulla drammatica e molto preoccupante realtà albanese e sulla restaurazione ed il continuo consolidamento, da qualche anno, di una nuova dittatura in Albania. Una dittatura che ha sgretolato la nascente democrazia. E se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti. Così scriveva nel 1945 Karl Popper.

  • Delirio autocratico

    I deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano

    di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto.

    Umberto Galimberti; da “L’ospite inquietante”

    Piana degli Albanesi è un comune di meno di 6000 abitanti nella provincia di Palermo. Gli abitanti sono, nella maggior parte, i discendenti degli albanesi che arrivarono in Sicilia alla fine del XV secolo, periodo in cui l’Impero ottomano invase il territorio dove vivevano gli albanesi, dall’altra parte del mare Adriatico e quello Ionio. Da diversi documenti storici risulta che Piana degli Albanesi si costituì nel 1488. E come data si fa riferimento al 30 agosto. Gli abitanti di Piana degli Albanesi, noti come arbëresh, chiamano il loro paese come Hora e Arbëreshëve (Paese degli arbëresh ; n.d.a.). Si tratta del centro più rinomato degli italo-albanesi/arbëresh non solo in Sicilia ma in tutta l’Italia. Piana degli Albanesi è, altresì, il centro dove sono state conservate la lingua che si parlava sei secoli fa, nonché le particolari caratteristiche etniche, le tradizioni culturali e religiose (rito greco-cattolico) e anche gli abbigliamenti dell’epoca. Nella Piana degli Albanesi si coltiva la memoria storica del paese dove erano nati e vissuti i loro antenati, prima di attraversare il mare, scappando dalle barbarie degli ottomani. Nel corso degli secoli, ma soprattutto durante il secolo passato, Piana degli Albanesi diventò anche un noto centro della letteratura arbëresh, grazie al contributo attivo di molti suoi abitanti. Era proprio lì che, nel 1903, si è tenuto il terzo congresso linguistico d’ortografia albanese. Un congresso dove sono stati trattati diversi temi linguistici, della letteratura, ma anche politici. Piana degli Albanesi è nota anche per la tradizione musicale degli antenati. Una tradizione che ormai fa parte del registro delle Eredità Immateriali della Sicilia, riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO).

    Dal 2017 nella Piana degli Albanesi si celebra la fondazione della loro comunità nel 1488. E come data è stata scelta quella del 30 agosto. Quest’anno, dal 25 al 31 agosto, è stata celebrata la settima ricorrenza, il cui obiettivo è stato “Un modo per raccontare la nostra tradizione secolare”. Nel corso dei sette giorni di celebrazione sono state molte e diverse le attività artistiche e culturali  svolte. Bisogna evidenziare soprattutto l’apertura della “villetta Skanderbeg” e l’inaugurazione del Museo “Musarb”, un museo della cultura arbëresh, nonché l’inaugurazione di una statua bronzea alta circa 3 metri, dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Skanderbeg. Una donazione dell’Associazione svizzera Hora e Skanderbeut (Il Paese di Scanderbeg; n.d.a.).

    Giorgio Castriota, noto come Scanderbeg, è l’Eroe nazionale albanese per eccellenza. Lui è stato un noto principe, validissimo condottiero, stratega e diplomatico. Dopo diversi anni trascorsi in Turchia come comandante militare, nel novembre 1443 è tornato nel suo Paese natale con un gruppo di circa trecento combattenti albanesi. Dopo aver preso il castello della famiglia, allora in possesso degli ottomani, Giorgio Castriota cominciò subito a contattare i più noti ed influenti nobili, suoi compatrioti, per costituire un’Alleanza contro l’Impero. Alleanza costituita il 2 marzo 1444. In seguito, il 14 luglio 1444 Giorgio Castriota dichiarò guerra al sultano turco. Da allora e per circa 25 anni, fino alla sua morte, il 17 gennaio 1468, affrontò con successo e respinse molti attacchi degli eserciti di due sultani ottomani. Da molti documenti storici risulta che egli veniva considerato come colui che bloccò l’avanzata turca verso l’occidente. Riconoscendo il molto apprezzabile contributo di Scanderbeg, Papa Callisto III diede a lui l’appellativo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede; n.d.a.). Mentre papa Pio II lo considerava come un “Nuovo Alessandro”, riferendosi ad Alessandro Magno. Giorgio Castriota nel 1459 è arrivato in Italia personalmente per aiutare Ferdinando I, Re di Napoli, nella lotta contro Giovanni d’Angiò. Lo stesso ha fatto anche nel 1462. Per tutta la sua nota e molto stimata attività, Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, è l’Eroe nazionale degli albanesi.

    Il 30 agosto scorso, come previsto e stabilito dal programma, alle ore 17.00 di fronte all’edificio del comune a Piana degli Albanesi, è stata inaugurata la statua bronzea di Giorgio Castriota, alta circa tre metri. Ma dai tratti somatici però la statua somigliava poco all’Eroe nazionale degli albanesi. Ed era molto vistosa quella mancanza di somiglianza. Sì, perché ci sono diverse incisioni di quel periodo storico, conservate in diversi musei, sia in Albania che in altri Paesi, che lo confermano. Ma, chissà perché, il volto della statua aveva molto in comune con quello dell’attuale primo ministro albanese però. Un fatto che può essere facilmente notato da tutti. Basta guardare una fotografia della statua e paragonarla con una del primo ministro. Un fatto questo che è stato subito notato, evidenziato e criticato sia da vari professionisti che dal vasto pubblico. Ragion per cui sono stati inseriti in rete molti fotomontaggi ironici che stigmatizzavano quella somiglianza. Così come sono state molte le espresse indignazioni per la trasfigurazione dell’immagine del’Eroe nazionale, tanto caro e stimato dagli albanesi.

    Le cattive lingue hanno parlato e parlano tuttora spesso delle “scelte” del primo ministro albanese legate alle apparenze. Anzi, le cattive lingue sono convinte che il primo ministro abbia adottato, dall’inizio del suo percorso politico, la scelta di basare tutto sulle apparenze. Ignorando così i suoi doveri e le sue responsabilità istituzionali che lo dovrebbero obbligare a tutt’altro che alle apparenze e alla propaganda. Il nostro lettore è stato spesso informato anche di questa sua scelta. Così come è stato spesso informato durante questi anni, sempre fatti documentati alla mano, che lui, il primo ministro rappresenta il potere politico in una molto pericolosa ed attiva alleanza con la criminalità organizzata locale ed internazionale e con alcuni raggruppamenti occulti internazionali, molto potenti finanziariamente e che hanno degli interessi anche in Albania.

    Alcuni anni fa, ed esattamente nel 2017, una “devota collaboratrice” del primo ministro albanese, esclamando, chiamò proprio lui Scanderbeg, come l’Eroe nazionale degli albanesi. Fatto che suscitò clamore, indignazione e risate ironiche. Ma l’abominevole atteggiamento dell’ubbidiente “collaboratrice” faceva comodo al diretto interessato. Anzi, le cattive lingue erano convinte che lei semplicemente seguiva l’ordine preso. Sì, perché anche il primo ministro, in seguito, chiamava lei con il nome della sorella di Giorgio Castriota. E continua a farlo. Guarda caso però a fine luglio scorso lei è stata eletta, dalla maggioranza governativa, come presidente del Parlamento, dopo le dimissioni per “ragioni di salute” di una sua collega, E guarda caso, è stata proprio lei che il 30 agosto scorso, nella Piana degli Albanesi, ha scoperto la statua di Giorgio Castriota. Chissà perché?! Le cattive lingue però continuano a dire che lei, l’ormai presidente del Parlamento, ha sempre solo e semplicemente detto ad alta voce ed in pubblico quello che al suo superiore, il primo ministro, piaceva molto sentire.

    Chi scrive queste righe pensa che non sia stato “per caso” che i tratti somatici della statua dell’Eroe nazionale albanese, inaugurata il 30 agosto scorso nella Piana degli Albanesi, avessero ben poco in comune con il volto dell’Eroe. Tratti che, invece, erano molto simili a quegli del primo ministro albanese. Umberto Galimberti, da buon conoscitore della psiche umana, ci insegna che i deliri di onnipotenza, anche se piacevoli, non cessano di essere deliri e, a effetto concluso, presentano il conto. Di certo i deliri autocratici del primo ministro hanno già presentato molti conti salatissimi ai cittadini albanesi. E continueranno a farlo.

  • Una gola profonda che accusa e rivela gravi verità

    Un’accusa grave nuoce anche se è fatta per scherzo

    Publilio Siro

    Quando si parla di una “gola profonda”, di solito si intende una persona che sa e rivela delle notizie importanti, riservate e che pochi sanno. Un’espressione che è stata usata, per la prima volta, da Bob Woodward, un giornalista del noto giornale statunitense The Washington Post. Lui insieme con un altro giornalista, Carl Bernstein, pubblicarono nel 1974 il libro All the president’s men (Tutti gli uomini del presidente; n.d.a.). Un libro che si riferiva a quello che ormai è noto come lo scandalo Watergate, che portò alle dimissioni, il 9 agosto 1974, del presidente Richard Nixon. E da allora l’espressione “gola profonda” viene usata soprattutto quando si tratta dell’intricato mondo dei malaffari, ma anche a determinati rapporti occulti che coinvolgono rappresentanti politici.

    Era il 14 luglio 2023 quando il Parlamento albanese approvò la richiesta della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. Una richiesta quella che chiedeva l’arresto di un deputato della maggioranza governativa, il quale è stato anche vice primo ministro (2021-2022). Lui però dal 2013 è stato, altresì, anche ministro dello sviluppo economico, ministro delle finanze e alla fine, ministro di Stato per la Ricostruzione del Paese, dopo il terremoto del 2019. Proprio lui per il quale il primo ministro, alcune settimane prima che si chiedesse il suo arresto, aveva detto che lui era “…uno dei collaboratori con il quale mi sono incontrato di più, ho comunicato di più al telefono, ho discusso di più per molte delle nostre decisioni durante questi anni”. Il vice primo ministro era accusato  di abuso d’ufficio, di corruzione passiva, di illegittimo vantaggio di interessi e di riciclaggio di denaro. Chi conosce la vera e vissuta realtà albanese di questi ultimi anni sa benissimo che i dirigenti della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata non fanno niente senza avere avuto prima il beneplacito partito da molto alto. Lui però, l’ex vice primo ministro, proprio in quel periodo, quando si chiedeva il suo arresto al Parlamento, era all’estero. Le cattive lingue dissero allora che, avvisato in tempo, era riuscito a fuggire ed in seguito a chiedere anche asilo politico in un Paese europeo. Il nostro lettore è stato informato di questa faccenda (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023).

    Ovviamente l’ex vice primo ministro non era uno stinco di santo. Come persona molto vicina al primo ministro e come ministro in ministeri dove si gestivano ingenti somme di denaro pubblico, lui era spesso oggetto di critiche e pubbliche accuse, sia dai rappresentanti dell’opposizione, sia da alcuni media ancora non controllati dal restaurato regime che si sta consolidando da alcuni anni in Albania. Ma a onor del vero lui, quando era ministro delle finanze, non ha dato parere favorevole ai progetti degli inceneritori, tanto ambiti dal primo ministro, dal sindaco della capitale e da alcuni ministri e alti funzionari del governo. Si trattava di un’impresa, quella dei tre inceneritori, di “…un investimento per il quale non possiamo non essere fieri”, come esclamava euforico il primo ministro nel aprile 2017. Il nostro lettore è ormai da alcuni anni ben informato dello scandalo. Ragion per cui nella sopracitata richiesta della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata indirizzata al Parlamento, guarda caso, l’ex vice primo ministro non è stato accusato della violazione delle leggi in vigore che regolano le procedure messe in atto nel caso dei tre inceneritori e anche gli obblighi istituzionali del ministro. Violazioni delle procedure che porterebbero portare poi direttamente al primo ministro. Come mai e chissà perché?! Ma i dirigenti della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, i quali, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risultano agire solo dopo aver avuto degli ordini partiti dagli uffici del primo ministro e/o di chi per lui. E quando serve chiudono occhi, orecchie e mente. Lo hanno fatto non di rado e come se niente fosse, anche per dei casi clamorosi ben documentati e denunciati ufficialmente. Lo stanno palesemente facendo anche in queste ultime settimane per alcuni scandali che coinvolgono direttamente il primo ministro, suoi famigliari ed altri.

    Era il 1o febbraio scorso quando, dall’esilio in Svizzera, l’ex vice primo ministro è stato intervistato da un giornalista di un media molto critica al primo ministro e che lui non riesce a controllare. Chi scrive queste righe informava allora il nostro lettore, scrivendo: “…Ebbene giovedì scorso 1o febbraio, l’ex primo ministro ha fatto delle rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere. Lui ha accusato direttamente il primo ministro ed il sindaco della capitale come ideatori e approfittatori dei progetti degli inceneritori. Lui ha fatto delle rivelazioni che non lasciano dubbi […] Lui ha dichiarato, tra l’altro: “Porterò sulla schiena la mia croce. Ma non porterò la croce di nessun altro”. E si riferiva al primo ministro albanese. L’ex vice primo ministro ha accusato anche il sistema “riformato” della giustizia che sta cercando di difendere il primo ministro ed il sindaco della capitale per lo scandalo degli inceneritori. Lui ha dichiarato che se si aprisse il dossier degli inceneritori “gli albanesi si spaventerebbero” (Rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere; 6 febbraio 2024).

    L’ex vice primo ministro il 29 luglio scorso, sempre dall’esilio, ha rilasciato una seconda intervista allo stesso giornalista che l’aveva intervistato sei mesi prima, il 1o febbraio. Durante una lunga e ben dettagliata intervista, lui ha di nuovo accusato il primo ministro albanese ed alcuni dei suoi più stretti collaboratori e famigliari. Ha, altresì, accusato il dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, come una persona che non fa niente senza essere stato ordinato dal primo ministro, elencando alcuni casi concreti. L’ex vice primo ministro, ha detto che il primo ministro è “…uno delle sei persone responsabili se gli succede qualcosa” e che ha anche dei documenti e registrazioni che lo dimostreranno.  Lui ha riconfermato che il primo ministro ed il sindaco della capitale sono i veri proprietari del inceneritore della capitale.

    Il 29 luglio scorso, il giornalista ha chiesto all’ex vice primo ministro se era pronto a confrontarsi con il dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. La sua risposta era che il procuratore non ha il coraggio di farlo, aggiungendo: “Avrebbe avuto il coraggio se fosse pulito nella sua integrità come procuratore e come [dirigente della] istituzione….Non ha il coraggio. Le carte ci sono, ma non vuol vederle. Dove sono gli 80 milioni di dollari dell’inceneritore di Tirana? Segui il denaro! Dove sono?”. Per l’ex vice primo ministro, il dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata è “controllato politicamente … e non dalla legge”. L’ex vice primo ministro, durante la sua intervista del 29 luglio scorso ha accusato anche gli stretti famigliari del primo ministro come diretti approfittatori di ingenti somme di denaro pubblico, affermando che ci sono delle intercettazioni ambientali che lo testimoniano. Ma durante l’intervista del 29 luglio scorso l’ex primo ministro ha rivelato anche altre gravi e clamorose verità. Verità che purtroppo non saranno confermate anche dalle istituzioni “riformate” del sistema della giustizia, la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata per prima.

    Chi scrive queste righe pensa che le dichiarazioni fatte il 29 luglio scorso dal vice primo ministro albanese, così come quelle fatte sei mesi fa, il 1o febbraio, sono delle importanti rivelazioni uscite da una “gola profonda”. Così come le sue accuse.  Perché lui dovrebbe sapere tante cose riservate, molto riservate, a conoscenza di pochissime persone. Publilio Siro pensava che un’accusa grave nuoce anche se è fatta per scherzo. Ma il vice primo ministro non scherzava. Anzi!

  • Diritti violati in uno Stato che finge di essere di diritto

    Nel nostro paese la menzogna è diventata non solo

    una categoria morale, ma un pilastro dello Stato.

    Aleksandr Isaevič Solženicyn

    Uno dei concetti che distinguono il sistema democratico dell’organizzazione dello Stato è quello dello Stato di diritto. Si tratta di una determinata forma di funzionamento del sistema giuridico di un Paese democratico, in cui tutti i poteri politici e pubblici sono obbligati ad agire rispettando i limiti previsti e sanciti dalle leggi in vigore. In tutti i Paesi dove è funzionante lo Stato di diritto si tutelano e sono rispettati dalla legge anche tutti i diritti dell’essere umano. Lo stesso concetto dello Stato di diritto ha cominciato ad essere elaborato circa due secoli fa, quando cominciarono anche i movimenti di massa contro le monarchie che rappresentavano degli Stati assoluti dove i poteri venivano determinati e gestiti dal monarca. E nell’ambito dello Stato di diritto bisognava che venissero limitati, per legge, proprio i poteri dello Stato. Bisognava che si riconoscessero i diritti fondamentali ed inalienabili dell’essere umano. Bisognava, tra l’altro, che il potere esecutivo, quello legislativo ed il potere giudiziari, venissero separati e diventassero indipendenti.

    È necessario comunque distinguere il concetto dello Stato di diritto da quello dello Stato legale. Sono due concetti che si usano comunemente e che, non di rado, si confondono nonostante rappresentino due concetti diversi. Tutti e due si basano su uno stretto legame tra lo Stato e le leggi, le quali determinano anche i diritti. Ma tra loro esiste una netta differenza. Si, perché lo Stato di diritto è funzionante in un Paese dove si applica la forma democratica dell’organizzazione dello Stato, la quale garantisce i diritti, compresi anche quelli dell’essere umano. Mentre le leggi in vigore si applicano anche nei Paesi dittatoriali, dove molti diritti dell’essere umano, ma non solo, si calpestano. Perciò uno Stato legale non obbligatoriamente è anche uno Stato democratico. Invece uno Stato democratico, obbligatoriamente, è e dovrebbe essere uno Stato di diritto.

    I Padri fondatori, firmando a Roma il 25 marzo 1957 i Trattati che diedero vita all’allora Comunità economica europea, hanno sancito anche l’importanza dello Stato di diritto, delle libertà innate ed inalienabili ed i valori fondamentali dell’essere umano. Il secondo articolo del Trattato sull’Unione europea sancisce che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

    Dal 2020 la Commissione europea pubblica, ogni anno, una Relazione sullo Stato di diritto in cui si analizza e si presenta la sua situazione e gli sviluppi in tutti i Paesi membri dell’Unione. Il 24 luglio scorso è stata resa pubblica la quinta Relazione della Commissione sullo Stato di diritto. Per la prima volta quest’anno la Relazione, oltre ai capitoli dedicati a ciascuno dei Paesi membri  dell’Unione europea, comprendeva anche quattro aggiunti capitoli che si riferivano ai quattro Paesi che hanno aperto i negoziati dell’adesione all’Unione europea. E cioè l’Albania, il Montenegro, la  Macedonia del Nord e la Serbia. Una decisione quella che evidenzia la necessità di sostenere e di aiutare le autorità di questi Paesi candidati anche a raggiungere gli obiettivi previsti che riguardano lo Stato di diritto. L’inclusione di questi quattro Paesi nella Relazione annuale della Commissione europea rappresentava “la principale novità” della relazione stessa. Nei rispettivi capitoli vengono analizzate le realtà, con l’obiettivo di evidenziare le situazioni per quanto riguarda il sistema giudiziario, la corruzione, il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini e dei media.

    Nel capitolo sull’Albania della quinta Relazione sullo Stato di diritto della Commissione europea, pubblicata il 24 luglio scorso, si evidenziavano delle problematiche riguardanti anche il sistema giudiziario ed il funzionamento dello Stato di diritto. Bisogna sottolineare che, per la prima volta, la Relazione evidenzia delle preoccupazioni, mentre in precedenza, dal 2014, tutti i Rapporti della Commissione europea sull’Albania “elogiavano i successi del governo”. Perciò la sopracitata Relazione, nonostante il “linguaggio diplomatico”, conferma una realtà preoccupante. Una realtà che certe attività lobbistiche occulte, profumatamente pagate dal primo ministro e/o da chi per lui, cercano sempre di camuffare. Una realtà vissuta e spesso anche sofferta che riguarda la galoppante corruzione, partendo dai più alti livelli delle istituzioni governative. Una realtà quella che cercano di camuffare le occulte attività lobbistiche, che riguarda quello che in Albania è palese, e cioè che il sistema “riformato” della giustizia è totalmente controllato. Così come è palese, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che in Albania si è restaurato e si sta sempre più consolidando un regime, una nuova dittatura sui generis, come alleanza occulta e pericolosa del potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Uno soprattutto, finanziato da un noto multimiliardario speculatore di borsa di oltreoceano, che con le sue fondazioni presenti e ben attive anche in Albania e in altri Paesi dei Balcani occidentali, determina non poche decisioni governative importanti.

    Nel capitolo sull’Albania della quinta Relazione sullo Stato di diritto della Commissione europea si analizzava la situazione partendo dall’approvazione unanime del Parlamento della Riforma del sistema di giustizia, il 22 luglio 2016. E si evidenziavano anche delle problematiche. Ma per chi conosce bene la realtà albanese, quelle problematiche non sono le più preoccupanti, anzi! Nella Relazione si afferma, comunque, che ci sono dei “tentativi di interferenza e pressione sul sistema giudiziario da parte di funzionari pubblici o politici“. Mentre per quanto riguarda la corruzione, una vera e pericolosa cancrena che sta divorando tutto il bene pubblico in Albania, la Relazione evidenzia solo che la corruzione “è diffusa in molti settori, anche durante le campagne elettorali”. Aggiungendo, altresì, che il quadro giuridico “troppo complesso” limita le misure preventive. La Relazione evidenzia anche delle problematiche che riguardano i media, sottolineando che condizionano il buon funzionamento dello Stato di diritto in Albania. Destano preoccupazione la mancata indipendenza dell’emittente pubblica. Nella Relazione della Commissione europea si legge che c’è una “limitata regolamentazione sulla trasparenza della proprietà dei media” e che non si garantisce “un’equa allocazione della pubblicità statale e di altre risorse statali”. La sopracitata Relazione afferma che “le aggressioni verbali e fisiche, le campagne diffamatorie e le azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica sono motivo di preoccupazione”.

    Chi scrive queste righe la scorsa settimana informava il nostro lettore che “…il sistema della giustizia in Albania purtroppo, è solo un ubbidiente sistema “riformato” di [in]giustizia. I massimi rappresentanti delle “riformate” istituzioni di quel sistema sono purtroppo diventati dei servi che seguono solo gli ordini di chi comanda in Albania.” (Un ubbidiente sistema “riformato” di [in]giustizia; 22 luglio 2024). Egli è altresì convinto che in Albania sempre più diritti vengono violati. E trova molto significative le parole di Solženicyn, noto scrittore russo e primo Nobel per la letteratura, il quale affermava che “Nel nostro paese la menzogna è diventata non solo una categoria morale, ma un pilastro dello Stato”. Cosa che, da alcuni anni, si potrebbe dire anche dell’Albania, di uno Stato che finge di essere di diritto.

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