Albania

  • I rapporti ambigui con i dittatori minacciano la libertà

    Mi chiedi cos’è la libertà? Non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità.

    Seneca

    “Va, pensiero, sull’ali dorate […] del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate. Oh mia Patria sì bella e perduta! O membranza sì cara e fatal!”. Va pensiero è una delle arie operistiche più famose, nota in tutto il mondo e, per molti, rappresenta anche un inno alla libertà. Un’aria che viene cantata dal coro nella quarta scena del terzo atto dell’opera Nabucco di Giuseppe Verdi. Lo cantavano gli ebrei, fatti prigionieri e portati come schiavi in Babilonia da Nabucodonosor, il re degli assiri. Il librettista dell’opera, Temistocle Solera, ha preso ispirazione dalle scritture ebraiche, facendo riferimento ad un lungo assedio del Tempio di Gerusalemme, dove si erano ritirati i leviti e gli abitanti della città. Un assedio quello, messo in atto dall’esercito assiro guidato dal re Nabucodonosor. Essendo riuscito finalmente ad entrare nel Tempio, dopo aver portato fuori tutti gli ebrei fatti prigionieri, il re ha dato ordine di incendiarlo. Portati come schiavi in Babilonia, gli ebrei sono stati costretti a fare dei pesanti lavori. E mentre lavoravano sulle rive del fiume Eufrate, gli ebrei, disperati, ricordavano con nostalgia la loro patria perduta. Ricordavano il fiume Giordano e la loro amata città di Sionne (Gerusalemme; n.d.a.) con le sue torri distrutte. Zaccaria, il gran sacerdote di Gerusalemme, anche lui fatto prigioniero insieme con tutti gli altri ebrei, cerca di dare loro coraggio. Egli diceva agli ebrei di non disperarsi e “di non piangere come femmine” e profetizzava tempi migliori. Invece Nabucodonosor, il re degli assiri, dopo aver visto la statua del suo idolo, il dio Belo, cadere a pezzi senza che nessuno l’avesse toccata, aveva considerato quello un segno divino e decise di liberare gli ebrei. L’opera Nabucco è stata messa in scena per la prima volta il 9 marzo 1842 (esattamente 180 fa mercoledì scorso) al Teatro alla Scala di Milano. Era un periodo in cui l’Italia non era ancora unita e la città di Milano veniva amministrata dall’Impero austriaco. Era proprio il periodo del Risorgimento italiano. La prima dell’opera ebbe un grande successo e da allora l’aria Va pensiero è diventata un inno alla libertà, un’ispirazione alla libertà dagli occupatori e all’unità nazionale.

    Sabato scorso, 12 marzo, i cantanti del coro e gli strumentisti dell’opera di Odessa, sulla piazza davanti al teatro, hanno cantato proprio quell’aria, Va peniero. Insieme con loro cantavano anche i cittadini che si trovavano lì. Erano delle immagini commoventi ed impressionanti. Quel sabato gli ucraini, che dal 24 febbraio scorso stanno subendo la feroce aggressività del esercito russo, hanno cantato l’inno della libertà e dell’unità nazionale. Dando così anche un forte e eloquente messaggio per tutti. E con loro hanno cantato tantissimi altri, seguendo in televisione le immagini trasmesse dalla piazza di fronte al Teatro dell’Opera di Odessa.

    Nel frattempo e da 20 giorni ormai, in Ucraina si sta combattendo. Il dittatore russo non si ferma, nonostante le richieste fatte da tanti capi di Stato e di governo di diversi Paesi occidentali. Anzi, ogni giorno che passa, gli attacchi delle forze armate russe, con continui bombardamenti dei centri abitati in diverse città ucraine, hanno fatto migliaia di vittime civili, compresi anche tanti bambini. Ormai la capitale ucraina da giorni si trova sotto assedio. Così come altre città sparse su tutto il territorio. Bisogna sottolineare però anche l’ammirevole resistenza delle truppe armate ucraine e dei tanti cittadini che stanno combattendo come volontari per difendere la madre patria. Una significativa espressione della loro responsabilità civica e del loro patriottismo. E mentre gli uomini combattono contro gli invasori russi, ad oggi sono circa 2.6 milioni di ucraini, anziani, donne e bambini soprattutto, che hanno lasciato il paese. Arrivano alle frontiere dei Paesi confinanti, stremati e dopo molte ore di viaggio, spesso a piedi, con il minimo indispensabile in qualche borsa e soffrendo il freddo e tanto altro. Un preoccupante ma forzato esodo questo che, di per se, rappresenta un altro grave dramma umana per gli ucraini. Bisogna evidenziare e apprezzare però anche la grande disponibilità dei governi dei Paesi confinanti dove arrivano i profughi ucraini. Così come anche la grande disponibilità e l’ospitalità di associazioni, comunità religiose, nonché di tantissimi semplici cittadini, nei confronti dei profughi che scappano dalla guerra in Ucraina. Un numero quello dei profughi che, visto quanto sta accadendo e si prevede che possa accadere, con ogni probabilità, crescerà ulteriormente con il tempo e rappresenterà un problema logistico serio da affrontare e risolvere.

    Anche oggi pesanti bombardamenti stanno devastando diverse città ucraine. Si combatte anche nelle periferie della capitale. Domenica, purtroppo, è stato ucciso dai soldati russi, vicino alla capitale, un giornalista statunitense mentre, filmando tanti ucraini in fuga, faceva con grande professionalità il suo dovere. Come lo stanno facendo, dal 24 febbraio scorso, anche centinaia di altri suoi colleghi, da molti Paesi del mondo, rappresentanti di tantissime agenzie mediatiche e giornalistiche. Giornalisti, operatori, fotografi ed altri che lavorano in condizioni, non di rado, veramente estreme, pericolose, mettendo così continuamente a repentaglio la propria vita. E tutto ciò per dare, in tempo reale, le vere notizie da dove si combatte in Ucraina e per smentire le tante notizie false che diffonde la propaganda russa dall’inizio dell’invasione, ma anche da prima ancora. Facendo perciò di questo conflitto, oltre ad una micidiale guerra armata e con migliaia di vittime da ambe le parti, anche una guerra di propaganda e di notizie false. Nel frattempo in diverse città della Russia, si continua a protestare contro la guerra in Ucraina. Migliaia di cittadini, consapevoli del reale rischio di essere arrestati dalla polizia politica del dittatore russo, come è successo ormai durante tutte le precedenti proteste, anche in questi ultimi giorni hanno di nuovo protestato.

    Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, il 24 febbraio scorso, molti specialisti, analisti ed opinionisti hanno continuamente analizzato l’evoluzione del conflitto armato. Ma hanno messo in evidenza anche i rapporti non spesso trasparenti tra alcuni “grandi del mondo” e il dittatore russo. Rendendo pubblici determinati fatti accaduti, non si può non pensare anche all’ipocrisia e al “doppio gioco” di coloro che parlano e professano i principi morali e della democrazia mentre stabiliscono rapporti ambigui con diversi dittatori in altrettante diverse parti del mondo. Rapporti che possono mettere in pericolo e minacciare anche la libertà di altri popoli. Come gli ambigui rapporti che da anni sono attivi anche con il dittatore russo. Il che poi, dal 24 febbraio scorso, sta realmente mettendo in serio pericolo la sovranità dell’Ucraina e la libertà dei suoi cittadini. Spesso si parla di interessi e di scambi reciproci che riguardano rifornimenti energetici ed altro. Ma, purtroppo, fatti accaduti da anni alla mano, risulterebbe che le gravi conseguenze dell’ambiguità e della mancata trasparenza dei rapporti con alcuni dittatori, per delle “ragioni geopolitiche e geostrategiche”, vengono sempre sofferte, spesso anche con delle ingenti perdite di vite umane, da milioni di cittadini innocenti. Come sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina. Ma da quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Ucraina bisogna, anzi è indispensabile, trarre anche delle conclusioni, seriamente analizzate ed elaborate e non solo di natura geopolitica e geostrategica. Bisogna tenere ben presente anche le espresse ambizioni del dittatore russo per ricostituire la “Grande Russia”. Ragion per cui bisogna fare di tutto dai “grandi del mondo” per fermare, a tutti i costi, l’invasione definitiva dell’Ucraina. Perché se no, la Russia farà poi, a tempo debito, lo stesso anche con altri Paesi confinanti. Come ha fatto precedentemente con alcuni Paesi indipendenti, facenti parte dell’Unione sovietica, ma non solo. E se non si farà di tutto adesso, in questi prossimi giorni o settimane, per fermare il dittatore russo, allora le gravissime conseguenze, nel prossimo futuro, potrebbero non risparmiare anche diversi altri Paesi europei, e non solo, almeno economicamente.

    Nel frattempo, da mercoledì scorso in Albania sono cominciate le proteste. Questa volta contro l’innalzamento abusivo, sproporzionato e del tutto ingiustificato del prezzo dei carburanti e dei generi alimentari. Proteste che da mercoledì scorso e quotidianamente vengono organizzate dai cittadini, tramite annunci in rete, non solo nella capitale, ma anche in diverse città. Proteste durante le quali si stanno denunciando gli abusi con i prezzi da parte dei soliti “clienti del governo”. Il primo segnale di quello che è successo con i prezzi lo ha dato precedentemente il primo ministro, parlando di guerre e di scenari apocalittici. Il che ha permesso agli oligarchi di agire indisturbati, sicuri del supporto del governo. Noncuranti neanche degli obblighi sanciti dalle leggi in vigore che costringono loro di garantire riserve che, nel caso dei carburanti, devono essere per tre mesi. Il primo ministro però, durante i suoi interventi in rete, si è “dimenticato” di tenere presente questi obblighi legali. Mentre l’innalzamento immediato dei prezzi dei carburanti non ha seguito neanche l’andamento quotidiano dei prezzi nelle borse internazionali. Il che ha inconfutabilmente e semplicemente testimoniato l’abuso con i prezzi. Abuso e truffe che vengono evidenziate anche dalle banche dati ufficiali delle stesse istituzioni governative. Ma il primo ministro albanese, dal 2013, quando ha cominciato a governare, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, ha dimostrato di non essere credibile in quello che dice e che scrive. In più, dalle analisi specializzate fatte da quando si è verificato l’innalzamento dei prezzi in Albania, che secondo il primo ministro è legato al conflitto in Ucraina, si evidenzierebbero non solo degli abusi scandalistici dei prezzi dei carburanti, degli alimentari, di altri prodotti e di servizi, ma anche ben altro. Si evidenzierebbe anche la mancata volontà di intervenire con dei meccanismi previsti e sanciti dalla legge per controllare e bloccare l’innalzamento abusivo e speculativo dei prezzi. Chissà perché?! Ma invece di intervenire, continua a fare quello che lui ha fatto sempre quando si trova in difficoltà. Passa la responsabilità agli altri, per salvare se stesso. E nel caso delle proteste di questi ultimi giorni ha reso colpevoli i cittadini che “non hanno vergogna e protestano” mentre in Ucraina si combatte (Sic!). In questi ultimi giorni, sia il primo ministro che alcuni suoi ministri si stanno rendendo veramente ridicoli ed incredibili con le loro irresponsabili, vergognose e ingannatrici dichiarazioni pubbliche. Nel frattempo però, la polizia di Stato, che purtroppo da anni risulta essere una polizia politicizzata, ha arrestato i manifestanti pacifici, in palese violazione con quanto prevede la legge. Così come in Russia, nonostante lì la legge preveda altrimenti. E come in Russia dove, oltre alla guerra sul campo in Ucraina, si sta mettendo in atto anche la “guerra di propaganda” con le notizie false, anche in Albania il primo ministro e/o chi per lui sta attivando la sua propaganda governativa con delle falsità. Purtroppo, in Albania da anni sono centinaia di migliaia i cittadini che stanno lasciando il Paese. Come gli ucraini in queste settimane. Ma in Albania non c’è nessuna guerra come in Ucraina. In Albania però, da anni, è stata restaurata una dittatura sui generis, rappresentata dal primo ministro, come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti, oligarchi dei carburanti compresi.

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti riguardanti l’innalzamento abusivo dei prezzi da analizzare e poi informare il nostro pubblico. Lo farà però in seguito. Ma, nel frattempo, egli è convinto che i rapporti ambigui dei “grandi del mondo” con i dittatori potrebbero minacciare la libertà dei popoli. Anche degli ucraini e degli albanesi. Ed è anche convinto che se, come pensava Seneca, la libertà significa non essere schiavi di nessuno, di nessuna necessità, l’aria Va pensiero esprima maestosamente proprio la vitale e sacrosanta voglia di libertà e dell’unità nazionale.

  • Tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia

    Deve assolutamente esistere una possibilità di togliere

    il potere immediato a chi ne fa cattivo uso.

    Bertrand Russell

    Gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina, anche durante lunedì, 7 marzo, dimostrano e testimoniano tutta l’aggressività e la crudeltà delle forze d’invasione russa. Nonché dimostrano tutta l’inaffidabilità del presidente russo e dei suoi più stretti collaboratori, facendo riferimento a quanto lui e/o chi per lui dichiarano pubblicamente. Il conflitto, cominciato nelle primissime ore del 24 febbraio scorso, continua, causando ogni giorno centinaia di vittime innocenti e distruggendo tutto con i bombardamenti. I russi non hanno rispettato neanche quanto avevano accordato il 3 marzo scorso riguardo il cessate di fuoco temporaneo e i corridoi umanitari. Centinaia di migliaia di ucraini continuano, ogni giorno, a lasciare il Paese. Sono soprattutto donne e bambini, mentre gli uomini, ma non solo, rimangono a lottare contro gli invasori russi. La loro resistenza, il loro coraggio e i loro sacrifici estremi rappresentano un’ammirevole testimonianza della responsabilità civica e del loro patriottismo.

    Nel frattempo in Albania domenica scorsa, 6 marzo, si sono svolte le elezioni amministrative parziali in sei comuni. I cittadini dovevano eleggere i nuovi sindaci, dopo che i loro predecessori, tranne uno, sono stati costretti a lasciare il posto, oppure rimossi, per motivi giuridici, di corruzione e altro. E tutti loro rappresentavano il partito del primo ministro attuale. Bisogna sottolineare che il mandato dei sindaci eletti durerà soltanto un anno, fino alle nuove elezioni amministrative previste per il 2023. In più, si è trattato soltanto di elezioni dei sindaci e non dei consiglieri comunali, essendo quelli attuali eletti ormai nelle precedenti elezioni amministrative del 2019. Elezioni che sono state boicottate in un modo del tutto inspiegabile ed ingiustificato, dopo una decisione politica presa dai dirigenti dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Domenica scorsa in lizza c’erano i rappresentanti della maggioranza governativa e quelli delle due fazioni del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Fazioni quelle ufficializzate dal dicembre scorso, dopo il congresso dell’11 dicembre ed, in seguito, dal referendum, svoltosi una settimana dopo, il 18 dicembre, per approvare le decisioni prese dallo stesso congresso convocato dalla maggioranza dei sui delegati, come previsto dallo Statuto del partito. Tutti i delegati del congresso, dal settembre scorso, hanno aderito a quello che da allora è ormai noto come il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese. Un Movimento quello nato per ripristinare tutti i valori e i principi che sono stati riconosciuti ed incorporati nello Statuto dalla costituzione del partito democratico il 12 dicembre 1990, come primo partito di opposizione alla dittatura comunista. I delegati del congresso dell’11 dicembre hanno anche tolto il mandato rappresentativo a colui che, dal 2013, era diventato il capo del partito ma il suo operato, le sue alleanze e i suoi accordi occulti con il primo ministro, i cui contenuti sfuggono ai più, sono risultati fatali, in seguito, non solo per il partito democratico, ma anche per il percorso democratico della stessa Albania. Non solo: rimasto in una evidenziata e verificata minoranza, circondato da alcuni pochi ubbidienti seguaci, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico e i suoi hanno messo in scena un [anti]congresso proprio il 18 dicembre scorso. Ma, sempre fatti accaduti alla mano, quel congresso tutto poteva essere tranne che un raduno di membri ed elettori del partito democratico, diventando così vergognosamente e pubblicamente una misera messinscena ed una bufala per salvare la faccia e la sedia. L’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese, in tutta questa sua impresa ingannatrice ha avuto tutto il necessario appoggio del primo ministro e delle strutture governative. Comprese anche le “comparse” per riempire gli spazi che potevano rimanere vuoti senza la loro presenza.

    Quell’usurpatore ha beneficiato anche del sostegno della propaganda governativa e degli analisti ed opinionisti a pagamento, controllati dal primo ministro e/o da chi per lui. Proprio quelli che, fino a qualche mese fa, avevano fatto dell’usurpatore un bersaglio facile da attaccare e ridicolizzare. Con il supporto del sistema “riformato” della giustizia l’usurpatore della dirigenza del partito democratico è riuscito a rimandare, chissà per quando, una decisione obbligata dalla legge del tribunale di Tirana, con la quale di doveva formalizzare quanto deciso dal sopracitato congresso dell’11 dicembre scorso. Un “prezioso” supporto quello da parte del sistema “riformato” di giustizia, personalmente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui per la sua “stampella”. Il nostro lettore è stato informato di questi sviluppi a più riprese durante i mesi precedenti (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021).

    Ma quello del primo ministro, non era un supporto senza beneficio. Anzi, era ed è proprio il primo ministro ad essere direttamente interessato che l’usurpatore della dirigenza del partito democratico continuasse ad avere ancora in uso il timbro e la sigla del partito. E, cercando di salvare la faccia, la fazione facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito democratico ha presentato il suo candidato in tutti i sei comuni per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso. Ma i consiglieri e gli strateghi elettorali del primo ministro avevano un altro obiettivo: quello di usare la sigla del partito democratico come una diversione, un inganno durante le elezioni per confondere i votanti e facilitare la vittoria dei propri candidati.

    Questa volta il primo ministro e i suoi non si sono “impegnati pubblicamente” durante la campagna come nelle altre precedenti elezioni. Il che, comunque, non significa che lui abbia rinunciato al “vizio” di manipolare, condizionare e controllare il risultato elettorale. Anzi! Anche durante questa campagna elettorale, nonché durante la giornata delle elezioni, sono stati verificati, documentati e denunciati dai media non controllati e dai rappresentanti della Commissione per la ricostituzione del partito democratico diversi casi di uso abusivo del potere amministrativo, dell’uso abusivo di tutti i mezzi a disposizione, in piena violazione delle leggi in vigore. Tra le tante denunce fatte c’è stata una che coinvolgeva direttamente e personalmente uno dei sei candidati della maggioranza governativa. Da una registrazione telefonica, resa pubblicamente nota il 4 marzo scorso, si sentiva chiaramente una richiesta abusiva del candidato sindaco a “scopo elettorale” a suo favore. Ebbene, in qualsiasi altro Paese democratico, dove il sistema della giustizia risulta essere uno dei tre poteri indipendenti, le istituzioni del sistema giudiziario avrebbero avviato subito un’inchiesta sul caso. Ma non in Albania però, dove purtroppo il sistema “riformato” è selettivo e agisce dietro ordini arrivati dai massimi livelli del potere politico ed istituzionale.

    Durante la campagna per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso, purtroppo sono stati verificati anche degli interventi a “gamba tesa” dell’ambasciatrice statunitense in Albania. Interventi in violazione dell’articolo 41 della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche. Lo ha fatto da quando è stata accreditata, appoggiando il primo ministro. Ma negli ultimi mesi, guarda caso, ha appoggiato, sempre abusando del suo stato istituzionale, anche l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Lo ha fatto “generosamente” anche durante l’ultima campagna elettorale. Questi atteggiamenti dell’ambasciatrice statunitense, in palese violazione del suo mandato istituzionale, ormai sono noti anche al nostro lettore. L’autore di queste righe ricorda al nostro lettore però cosa è accaduto in Italia, dopo che l’ambasciatore statunitense aveva chiesto ai cittadini italiani di votare ‘No’ durante il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ormai si sa l’immediata reazione di tutti i partiti politici contro la richiesta dell’ambasciatore. Così come si sa anche la sua giustificazione e le scuse da lui chieste subito dopo.

    I risultati delle elezioni amministrative parziali del 6 marzo sono stati ufficialmente resi ormai noti. I rappresentanti della maggioranza governativa hanno vinto cinque dei sei comuni, dove si votava per eleggere solo il sindaco. Uno dei nuovi sindaci che hanno avuto il mandato è anche colui che, come risultava dalla sopracitata registrazione telefonica, aveva chiesto favori elettorali! Basta solo questo caso per capire quello che la propaganda governativa cerca di nascondere. I risultati ufficiali delle elezioni del 6 marzo hanno sancito anche la significativa vittoria del candidato del Movimento per la ricostituzione del partito democratico nella città simbolo dell’anticomunismo in Albania. Ma quello che bisogna sottolineare e che è altrettanto significativo riguarda il deludente, bensì atteso, risultato elettorale della fazione del partito democratico facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito. La vistosa differenza tra i candidati delle due fazioni testimonia in modo palese e senza ambiguità chi sono i veri rappresentanti del partito democratico, così come toglie ormai ogni “giustificazione” all’usurpatore. Adesso anche il timbro e la sigla del partito devono essere consegnati ai legittimi aventi diritto. L’importanza, quella vera e a lungo termine, di queste elezioni parziali amministrative in sei comuni, riguarda il chiarimento finale e per sempre: chi rappresenta il partito democratico albanese. Si sapeva che il primo ministro, come ha fatto anche in precedenza, avrebbe messo in moto la sua ben collaudata macchina elettorale, con l’appoggio della criminalità organizzata e dei milioni provenienti dalle attività illecite e dal riciclaggio dei denari sporchi, condizionando e controllando il risultato elettorale. Così come è successo anche durante le elezioni del 25 aprile scorso, delle quali il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Ma il risultato delle elezioni del 6 marzo scorso ha palesemente dimostrato che il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese ha avuto un convincente e schiacciante appoggio elettorale, mentre l’usurpatore ha registrato l’ennesima sconfitta, la quinta e senza nessuna ben che minima vittoria, facendo lui così, a livello personale, veramente pena. Nel frattempo però un’altra “perdente illustre” di queste elezioni è anche l’ambasciatrice statunitense, dopo il suo investimento personale, in palese violazione della Convenzione di Vienna, schierandosi così apertamente in appoggio dell’altro “perdente illustre”, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Proprio di colui che purtroppo, in tutti questi anni, ha facilitato il compito del primo ministro albanese e delle sue alleanze occulte, per restaurare una nuova ma sempre pericolosa dittatura.

    Chi scrive queste righe, fatti accaduti, documentati, denunciati, verificati e verificabili alla mano, è convinto che in Albania ormai è stata restaurata una nuova dittatura sui generis come espressione di una pericolosa alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Chi scrive queste righe è altrettanto convinto che ormai lo scontro non è più quello tra le diverse ideologie. Lo scontro, sia a livello locale che più ampio, come nel caso dell’Ucraina, è quello tra le dittature e le democrazie e/o delle “tendenze democratiche” di società che, dopo una travagliata storia, stanno cercando di avviare dei processi democratici. Perciò per i cittadini e coloro che essi rappresentano è proprio il tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia. E come in Russia, anche in Albania i cittadini devono reagire. Perché come era convinto Bertrand Russell, deve assolutamente esistere una possibilità di togliere il potere immediato a chi ne fa cattivo uso. E l’uso cattivo del potere lo sta facendo in Ucraina il presidente russo. Mentre in Albania il primo ministro.

  • Clamoroso abuso miliardario in corso

    Quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione,
    il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge.

    Guillaume-Chrétien de Lamoignon de Malesherbes

    Quando è stato fondato, nel 626 a. C., dai colonizzatori provenienti dall’antica Grecia, soprattutto dai corinzi, il centro abitato è stato chiamato Epidamno. Ma, da dati storici dell’epoca, risulta che aveva anche un altro nome: Dyrrhachion, con il quale si identificava soprattutto la parte del golfo marino, che diventò poi anche porto. In seguito gli illiri, popolazioni balcaniche, conquistarono Epidamno nel 312 a.C., ma per la sua importanza strategica quella città-porto attirò l’attenzione dei romani. Tra gli illiri e i romani si svolsero quelle che dagli storici vengono chiamate le quattro guerre illiriche (230-229 a.C., 220-219 a.C., 168 a.C. e 35-33 a.C.; n.d.a.). I romani presero così possesso di tutta la regione circostante Epidamno.  Loro, forse per superstizione però, non usarono più il nome di Epidamno per la città-porto, avendo quella parte, damno – damnum (dal dizionario: danno, ma anche perdita e castigo), non di buon auspicio. I romani usarono perciò il secondo nome, Dyrrhachion, nome che i corinzi ed altri colonizzatori dell’antica Grecia diedero al porto, latinizzandolo però in Dyrrhachium. La città è stata spesso citata dagli storici. Nel 49 a.C., a poche decine di chilometri da Dyrrhachium, si scontrarono gli eserciti di Giulio Cesare e di Pompeo. Mente durante il periodo di Augusto, il primo imperatore romano, a Dyrrhachium si stabilirono i veterani della battaglia di Azio, proclamandola civitas libera (per indicare una comunità di abitanti liberi, romani e non, senza distinzioni di classe e di origini; n.d.a.). Attirando sempre l’attenzione degli imperatori romani, durante il periodo dell’imperatore Traiano, a Dyrrhachium è stato costruito un grande anfiteatro romano, parte del quale tuttora esistente, con circa 20.000 posti, che era l’anfiteatro più capiente dei Balcani. Da Dyrrhachium partiva anche la ben nota Via Egnatia che arrivava fino alle rive del Bosforo, essendo la continuazione oltre l’Adriatico dell’altrettanto nota ed importante Via Appia. Dopo la caduta, nel 476, dell’Impero romano d’Occidente, la città di Dyrrhachium, diventata parte dell’Impero bizantino, è stata spesso attaccata ed assediata dagli eserciti ostrogoti e bulgari. Per un certo periodo, dopo la quarta crociata (1202-1204; n.d.a.) la Repubblica di Venezia prese possesso della città-porto, ma non durò a lungo. In seguito Dyrrhachium entrò sotto il controllo degli angioini. Per un breve periodo venne occupata dai serbi. Poi, in seguito, la città passò di nuovo sotto il controllo degli angioini e, successivamente, dei dignitari locali.  Era verso la fine del XIV secolo, quando la Repubblica di Venezia prese di nuovo possesso della città. In seguito, dopo la caduta dell’Impero romano d’Oriente nel 1453, con la conquista di Costantinopoli dagli ottomani, anche Dyrrhachium è stata attaccata. La guarnigione veneziana però respinse e resistette agli attacchi degli ottomani nella seconda metà del XV secolo. Ma poi, nel 1501, la città-porto è stata finalmente occupata dagli ottomani che gli cambiarono anche il nome, chiamandola Diraç. Un’occupazione quella che durò fino al 1912. Nel frattempo però la città, partendo dal medioevo, era nota ed identificata dai veneziani e da altri anche come Durazzo. Subito dopo l’allontanamento degli ottomani, Durazzo diventò una delle più importanti città ed il più grande porto dell’appena costituito Stato di Albania (l’indipendenza dall’Impero ottomano è stata proclamata il 28 novembre 1912; n.d.a.). Durazzo però, vista la sua favorevole e strategica posizione geografica, come durante l’antichità ed il medioevo, ha continuato e continua ad essere uno dei porti più importanti dell’Adriatico orientale.

    Il porto di Durazzo, dal 1928, è stato definitivamente costruito e strutturato proprio dove si trova attualmente. Da più di novanta anni ormai in quel porto sono stati investiti ingenti somme di denaro. Investimenti che hanno, di anno in anno, migliorato ed aggiornato le capacità funzionali del porto. Ragion per cui, soprattutto negli ultimi anni, il porto di Durazzo ha attirato e continua ad attirare l’attenzione degli investitori internazionali. Alcuni dei quali sono già attivi ed operanti. Alcuni altri però, e purtroppo, in diretto contatto con il primo ministro albanese e/o con chi per lui, risulterebbero essere dei rappresentanti di miliardari interessi occulti internazionali. Si tratta di una combriccola di persone senza scrupoli, primo ministro albanese ed un ricco imprenditore degli Emirati Arabi Uniti in testa. Loro e/o chi li rappresenta, con degli “abili trucchi societari”, stanno cercando di camuffare le vere, preoccupanti e pericolosi intenzioni degli “investimenti miliardari del futuro” proprio nel porto di Durazzo. Tutto è stato e si sta documentando, dati e fatti accaduti anche negli ultimi mesi mesi alla mano. E tutto ormai testimonia e porta a pensare ad un clamoroso abuso miliardario in corso. Ignorando così non solo la storia millenaria di Durazzo, ma anche gli strategici interessi nazionali. Ignorando volutamente anche gli interessi dei cittadini, i quali sono i veri e i diretti azionisti della res pubblica, perciò anche del porto di Durazzo.

    L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo scandalo nel gennaio 2021, appena reso pubblico. Ha informato, riferendosi a fatti documentati, di una lussuosa cena in un noto ed esclusivo ristorante a Dubai. Erano i primissimi giorni del 2021 quando “…un folto gruppo di persone molto altolocate e vicine al primo ministro albanese è stato filmato durante una lussuosa cena in uno dei più noti ristoranti della città”. Aggiungendo e specificando anche che “…Parte del gruppo erano alcuni ministri vicini al primo ministro, degli alti funzionari pubblici ed il suo fedele consigliere speciale, nonché uno dei più noti imprenditori albanesi, dei giornalisti ed altri.”. Il nostro lettore è stato informato però anche di un “piccolo particolare”. E cioé che in quella cena tutti erano degli alti rappresentanti politici ed istituzionali albanesi e nessun arabo, nessuno! Una cena che, come ha cercato di giustificarsi la propaganda governativa, era stata offerta molto “generosamente” da un noto sceicco ed investitore arabo “…alla fine di un grande ed importante accordo che lui [lo sceicco] aveva firmato con l’Albania!”. Il nostro lettore è stato informato anche che, visti i filmati resi pubblici, in quella cena “…non si vedeva ombra, né dello sceicco e neanche di altri suoi collaboratori.” (Sic!). Lo sceicco, che aveva lasciato i suoi “illustri ospiti” a godere da soli quella “peccaminosa e lussuriosa cena”, aveva tante buone e valide ragioni per festeggiare, chissà dove e come, dopo quell’accordo. Ragion per cui la “fastosa generosità” del noto sceicco ed investitore era più che giustificata. Il nostro lettore è stato informato anche dei motivi di quella sua soddisfazione perché “…con alcuni accordi lui [lo sceico] era riuscito ad avere, a lungo tempo, in “concessione” il porto di Durazzo, che è il più grande porto dell’Albania ed un ingresso strategico ed importante verso i Balcani. Ma oltre all’accordo sul porto di Durazzo, lo sceicco arabo ha avuto in “concessione” anche altre aree importanti sulla costa ionica ed all’interno dell’Albania”! Ma l’autore di queste righe era convinto che, come dicevano allora le cattive lingue, “…anche il primo ministro albanese ha avuto quanto ha voluto in cambio. Ma, ovviamente, non quello che ha detto dopo la sua visita, il 26 novembre scorso, negli Emirati Arabi Uniti! Lui sa anche il perché!” (Peccati madornali e abusi peccaminosi; 25 gennaio 2021).

    In Albania gli scandali, nolens, volens, si susseguono. Ragion per cui anche lo scandalo della “peccaminosa e lussuriosa cena” a Dubai è stato in qualche modo dimenticato. Ma simili e clamorosi miliardari scandali non possono rimanere a lungo “in sordina”. Durante l’estate scorsa altri fatti sono venuti a galla. Fatti che riguardavano anche il coinvolgimento nello scandalo di alcuni stretti familiari di colui che, dal 2013, ha usurpato la direzione del partito democratico albanese, il più grande partito dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato durante questi ultimi mesi di tutti gli sviluppi che hanno a che fare con il partito democratico e del continuo e diretto supporto che il primo ministro e/o chi per lui, sta dando all’usurpatore della direzione del partito. Ebbene, la “generosità” del primo ministro per la sua “stampella” sembrerebbe, sempre dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, che non sia mancata neanche nel caso del sopracitato “progetto miliardario” del porto di Durazzo. Ragion per cui questo scandalo sta giustamente attirando di nuovo, in queste ultime settimane, tutta l’attenzione pubblica e mediatica. Quel sopracitato accordo tra il primo ministro albanese e lo sceicco miliardario degli Emirati Arabi Uniti, stabilito a Dubai il 26 novembre 2020, è stato “consolidato” in seguito da una legge approvata dal parlamento albanese in grande fretta, soltanto dopo una settimana, il 3 dicembre 2020. E pensare che anche per una ben più semplice questione, che diventa obiettivo di una legge, ma anche di una delibera del Consiglio dei ministri, le procedure obbligatorie per legge chiedono, per lo meno e nel migliore dei casi, alcune settimane, normalmente alcuni mesi. Invece per sancire l’accordo di Dubai per il porto di Durazzo, è bastata una sola settimana (Sic!). In più, siccome l’Albania ha firmato l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea nel giugno 2006 e siccome l’Albania è un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, allora chi la rappresenta ufficialmente, tutte le istituzioni, nessuna esclusa, compreso anche il Parlamento, sono obbligati a rispettare quanto prevede l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Ma così non è stato, perché l’accordo per il porto di Durazzo prevede e sancisce un’illecita cessione dei territori dell’Albania ad una impresa degli Emirati Arabi Uniti, in piena, palese e consapevole violazione da parte dell’Albania dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea. In più e allo stesso tempo, l’accordo per il porto di Durazzo, ha violato anche quanto prevede e sancisce la Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998 ed entrata in vigore il 30 ottobre 2001, che l’Albania l’ha già ratificato proprio nel 2001. Quella Convenzione prevede e sancisse la possibilità dell’accesso dei cittadini a tutte le informazioni che li riguardano. In più prevede e sancisce anche la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Ebbene, nel caso del progetto miliardario del porto di Durazzo, i cittadini interessati e direttamente coinvolti da quel progetto, nonché i diversi gruppi di interesse, non sono stati mai informati e/o ascoltati dalle istituzioni responsabili.

    Nel frattempo però nuovi fatti si stanno evidenziando. Fatti che riguardano “abili trucchi societari”, grazie ai quali sono stati attuati dei “passaggi” di azioni e di proprietà da una società inizialmente indicata nell’accordo del 26 novembre 2020 e consolidato con la legge 145/2020, approvata dal Parlamento albanese in fretta e furia il 3 dicembre 2020, ad un altra società, registrata in un ben noto paradiso fiscale. Società nella quale, come risulta dai documenti ufficiali, sembrerebbe siano direttamente coinvolti anche familiari molto stretti dell’usurpatore del partito democratico. Una bella combriccola di persone senza scrupoli, quella che sta assumendo l’attuazione del “progetto del porto di Durazzo”, che infatti è un’impresa miliardaria fortemente voluta e portata avanti dal primo ministro albanese. Tutto ciò e chissà cosa sarà diventata pubblica nel prossimo futuro, lascia pensare ad uno scandalo clamoroso e ad un clamoroso abuso miliardario tuttora in corso.

    Chi scrive queste righe avrebbe tanti altri argomenti da trattare e condividere con il nostro lettore ma lo spazio non glielo permette. E veramente sono tanti e diversi gli argomenti che riguardano lo scandalo del porto di Durazzo. Ma egli promette al nostro lettore che lo farà in seguito. Per il momento a lui non rimane altro che condividere quanto scriveva Malesherbes, il noto politico e giurista francese del XVIII secolo. E cioè che quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione, il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge. Agli albanesi la scelta!

  • Ricattabile ostaggio dei propri peccati

    Quando i bugiardi giurano, la verità piange con tutti e due gli occhi.

    Proverbio

    Anastasio Somoza era il capostipite di quella che dal 1937 e fino al 1979 divenne la dinastia Somoza in Nicaragua. È stato lui che nel 1934, nelle vesti del comandante della Guardia National ordinò l’uccisione di Augusto Sandino, il quale aveva guidato la lotta contro l’occupazione del Nicaragua dagli Stati Uniti d’America. Un’occupazione, nell’ambito di quelle che venivano allora chiamate le “guerre della banana”, iniziata nel 1912 e conclusa nel 1933.  Somoza, con un colpo di Stato nel 1936, proclamò se stesso presidente con poteri straordinari. In seguito ha chiesto ed attuato l’abolizione dei partiti, lo scioglimento del parlamento e l’abrogazione delle elezioni. In più Somoza ha ottenuto per se stesso il diritto di scegliere il suo successore, costituendo così la dinastia dittatoriale Somoza. Dinastia che, tra l’altro, continuò a perseguitare i seguaci di Sandino, i quali nel 1961 costituirono quello che venne chiamato il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Si trattava di un movimento comunista, che in seguito diventò un partito politico di orientamento marxista. Nel frattempo, nonostante non fossero più presenti militarmente in Nicaragua, gli Stati Uniti d’America continuarono a dare sostegno alla dittatura, considerando i Somoza come validi collaboratori. Ma, allo stesso tempo, gli Stati Uniti d’America consideravano e trattavano i dittatori nicaraguensi anche come fattori determinanti per la garanzia della stabilità nella regione. Era il 12 marzo 1947 quando il presidente statunitense Truman proclamò la dottrina che da allora porta il suo nome. Una nuova dottrina che sanciva l’abolizione definitiva della dottrina Monroe (presentata davanti al Congresso dall’allora presidente Monroe, il 2 dicembre 1823; n.d.a.) e proclamava i nuovi principi della politica estera degli Stati Uniti d’America dopo la fine della seconda guerra mondiale. Una politica estera che doveva fare fronte alla nuova realtà geopolitica dopo la divisione del mondo in due blocchi avversari. La dottrina Truman rimase attiva fino al definitivo sgretolamento dell’Unione sovietica nel 1991. Ma dalla metà degli anni ’40 del secolo passato in poi è rimasta famosa una frase, attribuita all’allora presidente statunitense Roosevelt. Una frase che, nonostante chi fosse il vero autore, leggermente modificata è stata in seguito usata in varie occasioni legate a delle preoccupanti realtà geopolitiche. Riferendosi al dittatore Anastasio Somoza, il presidente Roosevelt avrebbe detto: “Sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”! Ed è proprio questa frase che rappresenta molto significativamente l’approccio geopolitico, geostrategico e pragmatista, spesso anche con gravi conseguenze, della politica estera degli Stati Uniti d’America. Quanto è accaduto in Afghanistan, dal 2001 e fino al vergognoso ritiro dal Kabul delle truppe statunitensi il 15 agosto 2021 e la costituzione dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, con tutte le gravi conseguenze evidenziate continuamente rappresenta una significativa ed eloquente testimonianza.

    Gli obiettivi della politica estera statunitense, in varie parti del mondo, sono seguiti e portati avanti da determinate istituzioni e dai rappresentanti diplomatici accreditati presso ogni singolo Paese. Rappresentanti che sono obbligati a rispettare la Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche che sancisce tutti i diritti e gli obblighi del corpo diplomatico accreditato. Tutti i diritti devono essere garantiti dallo Stato accreditario, così come tutti gli obblighi devono essere rispettati dai rappresentanti diplomatici dello Stato accreditante, ambasciatore/capo missione in testa. Purtroppo questo non si verifica ovunque. Perché, almeno in Albania, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulterebbe che negli ultimi anni gli ambasciatori statunitensi hanno spesso ignorato e calpestato, non di rado anche con arroganza e prepotenza, quanto prevede l’articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Ovviamente tutto ciò è stato reso possibile con la consapevole complicità dei massimi rappresentanti del potere politico in Albania, in cambio del “consenziente silenzio” e dei richiesti ed ottenuti “appoggi” a tempo debito.

    Quanto è accaduto e continua ad accadere con la riforma del sistema di giustizia in Albania ne è una significativa dimostrazione e testimonianza. Una riforma che formalmente prese via con l’approvazione unanime, il 22 luglio 2016, da parte di tutti i 140 deputati del Parlamento albanese, di alcuni emendamenti costituzionali. Ma in seguito, e cioè dal settembre 2016, la maggioranza governativa, capeggiata dall’attuale primo ministro, non ha più rispettato gli accordi concordati con gli altri partiti ed ha approvato con solo i propri voti alcune leggi necessarie per rendere realmente operativa la riforma. Leggi che hanno permesso anche la costituzione di alcune nuove istituzioni del sistema della giustizia. L’autore di queste righe ha informato da anni il nostro lettore, cercando sempre di essere oggettivo, di quello che stava e sta accadendo con la riforma del sistema di giustizia in Albania. Fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo alla mano, risulta che questa riforma è stata ideata ed in seguito approvata e resa operativa anche con il diretto, attivo e non di rado improprio coinvolgimento dei “rappresentanti internazionali” in Albania, gli ambasciatori statunitensi e dell’Unione europea in testa. Ignorando e calpestando spesso però anche quanto prevede l’articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Non è mancato, quando necessario, neanche il “sostegno istituzionale” di alcuni alti rappresentanti della Commissione europea. Risulta però, sempre fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo alla mano, che questa riforma abbia permesso al primo ministro e/o a chi per lui di controllare il sistema “riformato” della giustizia. Ragion per cui, sempre dati, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, comprese molte denunce ufficialmente depositate presso le nuove istituzioni del sistema “riformato” della giustizia e mai trattate, risulterebbe che questa riforma sia diventata realmente un voluto ed attuato fallimento.

    Bisogna sottolineare che con l’approvazione all’unanimità dal Parlamento, il 22 luglio 2016, di tutti i voluti emendamenti costituzionali riguardanti la riforma del sistema di giustizia, per la prima volta nella Costituzione dell’Albania è stata sancita anche la presenza di quella che si chiama Operazione Internazionale di Monitoraggio. Questa struttura è composta da esperti della giurisprudenza da Paesi membri dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America ed è coordinata dalla Commissione europea. Il suo compito è quello di garantire un processo imparziale e professionalmente svolto per la rivalutazione dell’integrità morale e professionale dei giudici e dei procuratori del sistema di giustizia in Albania. Un processo comunemente noto come vetting (vaglio, controllo; n.d.a.) che purtroppo è stato tutt’altro che imparziale e professionalmente svolto e che ha causato molti ritardi e danni. Tant’è vero che ormai viene fortemente sconsigliato dalle istituzioni dell’Unione europea alla Macedonia del Nord e al Kosovo! E, guarda caso, il processo di vetting è stato criticato ultimamente anche dal presidente della Commissione parlamentare per la Riforma di giustizia, deputato dell’attuale maggioranza governativa. Lui è “estremamente insoddisfatto con il ritmo del lavoro della Commissione Indipendente della Qualifica (struttura incaricata dalla Costituzione per attuare il processo del vetting; n.d.a.) e della stessa Operazione Internazionale di Monitoraggio in questo processo […] Quali sono gli strumenti e le garanzie per rafforzare l’imparzialità e l’obiettività decisionale?”.

    Si tratta di un processo, quello del vetting, che, come sancito nella Costituzione dopo l’approvazione dei sopracitati emendamenti, doveva essere garantito da determinate istituzioni, il cui mandato doveva finire entro il giugno 2022. Nella stessa Costituzione sono state previste e sancite anche le istituzioni che dovevano sostituire quelle precedenti. Bisogna sottolineare di nuovo che tutto è ormai previsto nei minimi dettagli dalla Costituzione e dalle derivanti leggi in vigore e che riguardano il sistema “riformato” della giustizia. Ma qui arriva il bello. Sì, perché da una proposta fatta dalla maggioranza governativa nell’ottobre 2021 è stato chiesto il prolungamento del periodo di funzionamento delle istituzioni del vetting. Per attuare quella proposta, trattandosi di un emendamento della Costituzione, non bastano i voti della maggioranza governativa. Sono indispensabili anche i voti dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Agli imbroglioni quello che si meritano; 1 novembre 2021). Così come è stato informato anche degli sviluppi, a partire da settembre 2021, nel partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione ed il primo partito oppositore alla dittatura comunista, costituito nel dicembre 1990. Sviluppi che hanno, da dicembre scorso, delegittimato colui che dal 2013 aveva usurpato la direzione del partito. Il nostro lettore è stato informato spesso in questi ultimi anni dei danni causati, non solo al partito democratico e all’opposizione, ma anche al Paese, nonché degli accordi occulti, a partire dal 17 maggio 2017, almeno quelli pubblicamente noti, tra il primo ministro e l’usurpatore del partito democratico.

    Ebbene, giovedì scorso, il 10 febbraio, il Parlamento ha approvato l’emendamento dell’articolo 179/b della Costituzione che sancisce il prolungamento, fortemente voluto dal primo ministro, del periodo di funzionamento delle istituzioni del vetting, proprio con i voti dei deputati controllati dall’ormai delegittimato usurpatore del partito democratico! Un emendamento quello “applaudito” anche dall’ambasciatrice statunitense, che si sta investendo molto personalmente, violando palesemente anche la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, per far credere che la riforma del sistema di giustizia in Albania sia stato un continuo e crescente successo (Sic!). Bisogna però evidenziare che era lo stesso usurpatore della direzione del partito democratico il quale, nella primavera del 2017, rivolgendosi al primo ministro, lo stesso di adesso, e riferendosi al sopracitato processo del vetting, dichiarava “perentorio” che si trattava di un complotto che “è stato scoperto” e che era “…un progetto mafioso nel quale sono coinvolti alti diplomatici a Tirana […] che hanno preso in ostaggio gli esperti dell’Unione europea”! Non si sa esattamente, anche se si presume chi fossero gli “alti diplomatici” che avevano preso in ostaggio [quali?] esperti dell’Unione europea. Ma fatti accaduti e che stanno accadendo anche in questi ultimi giorni alla mano, cresce continuamente la convinzione che l’usurpatore della direzione del partito democratico è una persona ricattata e ricattabile. E guarda caso, proprio da alcuni “alti diplomatici” in Albania. Le cattive lingue dicono che si tratta soprattutto dell’ambasciatrice statunitense. E non solo le cattive lingue, che raramente hanno sbagliato, ma anche tanti altri sono convinti che l’usurpatore della direzione del partito democratico albanese è un ricattabile ostaggio dei propri peccati. Alcuni di quei peccati sono attualmente oggetto di investigazione anche da parte dei procuratori belgi. Ma le cattive lingue dicono che si tratta anche di molti altri ancora.

    Chi scrive queste righe è convinto che l’ambasciatrice statunitense in Albania, come i suoi predecessori, chissà perché (?!), sta appoggiando palesemente un autocrate come il primo ministro. Sta appoggiando un dittatore ed una dittatura. Suonano perciò attuali le parole, attribuite a Roosevelt e riferite ad Anastasio Somoza. E cioè che “Sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”! Mentre riferendosi al ricattabile ostaggio dei propri peccati, l’usurpatore del partito democratico, chi scrive queste righe si ricorda della saggezza popolare, secondo la quale quando i bugiardi giurano, la verità piange con tutti e due gli occhi.

  • Giustizia mancata, derisa e offesa

    A questo mondo si sa che la giustizia si compra e si vende come l’anima di Giuda.

    Giovanni Verga

    Il concetto della giustizia accompagna l’essere umano dalla notte dei tempi. Riferendosi però alle definizioni relative al concetto della giustizia nei diversi dizionari, compresi quelli della lingua italiana, risulta che si tratta di una virtù. Una virtù morale, individuale e sociale che, secondo il dizionario Treccani consiste “nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui, attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge”. Una simile definizione la troviamo anche nel dizionario Hoepli, dove la giustizia viene definita anche come un “Potere istituzionale a cui è demandata l’applicazione della legge”. Oppure come una “Situazione sociale in cui vengono rispettati i principi dell’equità e della corretta applicazione delle leggi”. Il concetto della giustizia è stato continuamente elaborato e sviluppato, dalle diverse scuole di pensiero, dall’antichità greco-romana ai giorni nostri. Tutti concordano, però, che la giustizia, definita da un insieme di regole e di criteri, deve essere considerata e trattata come un concetto che sancisce sia i diritti che i doveri per chiunque faccia parte di un raggruppamento di persone. Mentre la mancata giustizia, la negazione della giustizia si percepisce e si definisce come ingiustizia, nei confronti di una singola persona, di diverse persone o, addirittura, di una moltitudine di persone. Dall’antichità l’ingiustizia è stata trattata come un comportamento, una decisione presa che doveva essere evitata ad ogni costo. Una convinzione giuridica elaborata e sintetizzata nella locuzione latina In dubio pro reo, cioè che nel dubbio bisogna, comunque, giudicare e decidere in favore dell’imputato, anche quando questi potrebbe essere il vero colpevole. Una convinzione quella, stabilita dai giudici romani e sancita nel codice riconosciuto come il Digesto: un insieme di libri rappresentanti il pensiero giuridico del tempo, voluto dall’imperatore Giustiniano I nel 553 d.C. Una convinzione quella dell’In dubio pro reo fatta sua anche da Voltaire. Il noto filosofo francese era convinto che è meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente.

    In diverse parti del mondo le sfide quotidiane dei sistemi nazionali della giustizia sono/dovrebbero essere soprattutto quelle di non commettere delle ingiustizie. Purtroppo non sempre quelle sfide vengono vinte. Soprattutto nei sistemi non democratici e corrotti, come in Albania, dove da anni il sistema della giustizia è tutt’altro che consolidato ed imparziale, nonostante si pretenda essere ormai, dal 22 luglio 2016, un sistema riformato. Ma di “riformato” ha solo l’aggettivo. Tutto ciò grazie ad una strategia, ben ideata da determinati raggruppamenti occulti oltreoceano ed in seguito attuata in Albania da parte di chi rappresentava quei raggruppamenti. Anche con tutto il necessario e, spesso, indispensabile appoggio politico ed istituzionale. Tutto ciò ormai è di dominio pubblico, facilmente verificato e verificabile e risulta da molti, moltissimi dati e fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo. Così come risulta da innumerevoli documentazioni, testimonianze, rapporti ufficiali di diverse istituzioni specializzate internazionali, comprese quelle statunitense e dell’Unione europea. Così come risulta anche da tantissime denunce ufficialmente depositate, ma mai trattate professionalmente dalle istituzioni del sistema “riformato” di giustizia in Albania. L’autore di queste righe ha trattato per il nostro lettore molto spesso, riferendosi soltanto a dei fatti pubblicamente noti e cercando di essere più oggettivo possibile, la parzialità del sistema della giustizia in Albania. Un Sistema quello delle giustizia che Montesquieu, il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri, considerava il “terzo potere”. Un sistema quello della giustizia “riformata” in Albania che, sempre dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, è stato ideato ed attuato per essere controllato personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui, quale rappresentante istituzionale di certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali, nonché della criminalità organizzata, locale ed internazionale, ben presente ed attiva in Albania.

    Ne è testimonianza anche il caso reso noto grazie ad una approfondita indagine svolta da anni dalla procura di Catania e resa pubblica il 16 ottobre 2017. Dalle tante intercettazioni telefoniche ed ambientali, professionalmente fatte, risultava che il ministro degli Interni albanese di quegli anni era direttamente coinvolto in attività criminali con alcuni trafficanti internazionali di stupefacenti, suoi parenti. Quello scandalo ed il trattamento del caso dell’ex ministro degli Interni (2013-12017) in Albania da allora diventò una sfida per il sistema “riformato” della giustizia. L’autore di queste righe ha trattato ed ha informato, dal 2015 in poi, il nostro lettore di questo caso (Nuove serie avvisaglie di scandali in Albania, 2 ottobre 2015; Dall’Albania con amore… e droga, 19 settembre 2016; Droga come minaccia e allarme per tutti, 10 ottobre 2016; L’Albania della cannabis, 24 ottobre 2016; L’ambasciatore ha parlato ma… , 9 ottobre 2017; Grave scandalo in corso, 23 ottobre 2017; Essere responsabili, 30 ottobre 2017; Attenzione, sta cercando di ingannare di nuovo!, 24 novembre 2017; Branco di criminali o polizia di Stato?, 15 gennaio 2018; Bisogna impedire il peggio, 5 febbraio 2018; Dopo la cannabis, la cocaina, 12 marzo 2018…).

    Tutto cominciò, ma si seppe soltanto in seguito, con una denuncia fatta, durante un’intervista nel settembre 2015, da un ex funzionario dell’antidroga della polizia di Stato. Intervista rilasciata da un Paese europeo, dove lui era riuscito ad arrivare e chiedere asilo politico. In quell’intervista l’ex funzionario della polizia di Stato albanese aveva denunciato l’attività di un pericoloso gruppo criminale e i legami di parentela del suo capo e dei suoi fratelli con l’ex ministro degli Interni. L’autore di queste righe informava allora, tra l’altro, il nostro lettore che “L’ex funzionario della polizia, era impegnato da alcuni anni nel controllo dei traffici degli stupefacenti ed altro nell’area dove era attivo il gruppo sopracitato. Essendo riuscito a conoscere le loro attività illecite e cercando di agire secondo la legge, lui è stato, invece, “stranamente” arrestato dalla polizia. Grazie alla sua bravura da poliziotto professionista era riuscito a scappare e ha chiesto e ottenuto asilo in un paese europeo.” (Nuove serie avvisaglie di scandali in Albania…; 2 ottobre 2015). In seguito, dall’esilio, l’ex funzionario dell’antidroga, durante diverse sue successive interviste, aveva dichiarato di aver informato di tutto ciò anche un ufficiale di collegamento delle strutture specializzate italiane, presente in quel periodo in Albania.

    Immediata è stata la reazione offensiva, negazionista e diffamatoria del primo ministro e della sua potente propaganda governativa. Per dare peso e credibilità alle sue dichiarazioni e, soprattutto, cercando di offuscare, sminuire e annientare, il più possibile, l’eco delle dichiarazioni dell’ex funzionario dell’antidroga, il 16 settembre 2015 il primo ministro organizzò un evento pubblico, in palese violazione delle leggi in vigore. In quell’evento era presente anche l’ambasciatore statunitense, appoggiando così tutta quella messinscena propagandistica del primo ministro. L’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che il primo ministro aveva ordinato e organizzato una “manifestazione faraonica in un noto ambiente a Tirana”. Affermando poi che “Cose del genere si sono recentemente viste in Corea del Nord”. In seguito si informava il nostro lettore che “…Davanti a circa duemila poliziotti, che dovrebbero, per legge, essere depoliticizzati, l’allora ministro degli Interni e soprattutto il primo ministro si sono scatenati in una sfrenata propaganda politica, sia per ribadire “i successi” della polizia di Stato che per denigrare l’ex funzionario della polizia, anche a livello personale con offese da coatto” (Grave scandalo in corso; 23 ottobre 2017). Bisogna evidenziare che il ministro degli Interni era uno dei più stretti collaboratori ed un “prediletto” del primo ministro, che lo considerava proprio un “campione della lotta contro le droghe” (Sic!). Ma lui era semplicemente un devoto ubbidiente della volontà del primo ministro. Era semplicemente l’esecutore istituzionale della strategia ben concepita per la cannabizzazione di tutto il territorio dell’Albania. Una strategia che aveva come obiettivo ingenti guadagni miliardari, da dividere poi con la criminalità organizzata e, con la parte a disposizione, finanziare la vittoria durante le elezioni politiche del 25 giugno 2017. Una strategia quella che è pienamente riuscita. Mentre tutto quanto dichiaravano il primo ministro, i suoi più stretti collaboratori e la propaganda governativa erano solo e soltanto delle bugie e delle falsità che niente avevano a che fare con la drammatica, vissuta e sofferta realtà albanese di allora. Anche perché in Albania, un piccolo Paese, dove tutti sanno tutto di tutti, niente si poteva mai fare, non a livello nazionale, ma neanche a livello locale o comunale, senza l’orientamento, senza l’espressa richiesta e senza il permesso del primo ministro e/o di chi per lui. Bisogna sottolineare che lo scandalo attirò subito anche l’attenzione delle cancellerie europee. Il suo seguente corretto e professionale trattamento giuridico diventò una delle condizioni poste da diversi membri del Consiglio europeo per l’avanzamento del processo d’adesione dell’Albania. Purtroppo e “stranamente” però, durante tutto quel periodo i soliti “rappresentanti internazionali”, ambasciatore statunitense e dell’Unione europea compresi, non hanno visto, sentito e capito nulla di tutto quanto accadeva in Albania. Non solo ma, guarda caso, non hanno letto neanche quanto avevano ufficialmente rapportato diverse istituzioni specializzate dell’Unione europea e statunitense, che evidenziavano la crescente preoccupazione legata alla massiccia coltivazione della cannabis in Albania ed al traffico illecito di stupefacenti. Anzi, l’ambasciatore statunitense e la sua omologa dell’Unione europea elogiavano il ministro e i “successi” nella lotta contro le droghe e la criminalità organizzata. Chissà perché?!

    Dal 2017 il sistema “riformato” della giustizia, con degli stratagemmi procedurali, ha rimandato per anni il caso dell’ex ministro degli Interni. Ma non poteva andare oltre. Venerdì scorso, 4 febbraio, è stato finalmente proclamato il verdetto della Corte speciale d’Appello contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, un’altra nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia. L’ex ministro è stato condannato soltanto a 3 anni e 4 mesi per “abuso d’ufficio”, dovuto ai rapporti con i suoi parenti trafficanti internazionali di stupefacenti. La Corte ha respinto delle altre accuse ben più gravi. Accuse legate al “traffico di stupefacenti, in collaborazione, nell’ambito di un gruppo criminale strutturato” e quella della “Partecipazione attiva in un gruppo criminale strutturato”. Chissà perché un simile verdetto?! Una cosa si sa però: sia al primo ministro che ad alcuni “rappresentanti internazionali” in Albania, ambasciatrice statunitense in testa, interessa molto che la “riforma” del sistema della giustizia sia considerata un “successo”. E per questo stanno sudando sette camicie, pur di riuscirci. Giustificando così anche centinaia di milioni di dollari e di euro “spesi” durante questi anni.

    Chi scrive queste righe ricorda che nel 2017, un ragazzo di 22 anni è stato condannato con una simile condanna, come quella dell’ex ministro, perché era in possesso di 3 grammi di cannabis. Il ragazzo si è poi suicidato in prigione per la vergogna. Mentre l’ex ministro, essendo l’esecutore della cannabizzazione del Paese, è stato condannato dalle istituzioni “riformate” di giustizia con la stessa pena del ragazzo suicidato! Chi scrive queste righe è convinto che nessuna decisione presa da parte delle istituzioni “riformate” del sistema di giustizia non convincerà finché non si metteranno sotto inchiesta e non si giudicheranno professionalmente ed imparzialmente tutti i veri e consapevoli responsabili, cioè il primo ministro e i suoi collaboratori. Se non sarà così, si tratterà sempre di una giustizia mancata, derisa e offesa, dando perciò ragione a Giovanni Verga, secondo il quale “A questo mondo si sa che la giustizia si compra e si vende come l’anima di Giuda”.

  • Uso scandaloso di dati personali

    Mentire fa parte del mestiere del politico.
    Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire.

    Richard Nixon

    Era l’estate del 1972. Negli Stati Uniti d’America era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 7 novembre. Di fronte al candidato repubblicano, il presidente uscente Richard Nixon, c’era il candidato democratico George McGovern. Ma proprio in quell’estate negli Stati Uniti d’America scoppiò quello che diventò uno dei più grandi scandali politici: lo scandalo Watergate. Si chiamò così perché tutto cominciò nell’albergo Watergate di Washington D.C.. In quell’albergo si trovavano gli uffici del Comitato nazionale democratico per il candidato MvGovern. Tutto si scoprì per puro caso, proprio quando una guardia della sicurezza dell’albergo notò qualcosa di sospetto in una porta che collegava il parcheggio sotterraneo con il pozzo delle scale e avvertì la polizia. Gli agenti, arrivati subito, trovarono cinque uomini entrati negli ambienti del quartier generale del Comitato nazionale democratico. Dalle indagini in seguito risultò che quelle persone erano ritornate in quelle stanze per riparare delle microspie, da loro installate, per fare delle intercettazioni telefoniche. Lo scandalo è stato seguito giornalisticamente da due giornalisti del Washington Post. Grazie al loro lavoro e alla collaborazione, di uno di  loro, con una persona allora denominata “Gola profonda – deep throat” – e rimasta sconosciuta fino al 2005, si scoprirono molti dettagli dello scandalo Watergate. Nonostante alcuni dei più stretti collaboratori del presidente uscente Nixon sapessero tutto, a scandalo scoppiato tentarono di sdrammatizzare il caso. Durante una conferenza stampa, il 19 giugno 1972, il portavoce della Casa Bianca dichiarò che si trattava semplicemente di “un tentativo di scasso di terza categoria” e che non aveva niente a che fare con il presidente e i suoi collaboratori. Ma quanto si scoprì in seguito, grazie anche ai due giornalisti del Washington Post, che nel 1973 sono stati insigniti del premio Pulitzer proprio per le loro incessanti indagini sullo scandalo Watergate, portò ad una approfondita inchiesta da parte di una commissione del Senato e di altre istituzioni specializzate statunitensi. Da quelle indagini risultò che si trattava proprio di un piano ben ideato e attuato, tramite delle intercettazioni, di spionaggio ed altro, dai collaboratori del presidente Nixon per facilitare la sua rielezione il 7 novembre 1972. Elezioni vinte proprio da lui con il 60.7% dei voti. Ma il presidente rieletto non riuscì a finire il suo secondo mandato, nonostante avesse cercato di incolpare gli altri di quello scandalo. In seguito alle dichiarazioni di alcuni collaboratori del presidente, che avevano “vuotato il sacco” davanti ai giudici, il 27 luglio 1974 la Commissione Giudicante per la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore del impeachment per il presidente (messa in stato di accusa; n.d.a.) per “aver ostacolato il corso delle indagini”. Nei giorni successivi sono state aggiunte due altre accuse contro il presidente: quella di “abuso di potere” e quella di “ostacolo al Congresso”. Era proprio la pubblicazione, ai primi giorni di agosto 1974, di una registrazione segreta, nota da allora come la “Pistola fumante – Smoking gun”, che tolse ogni dubbio; il presidente era stato informato ed aveva permesso tutte le attività illecite, ormai note come lo scandalo Watergate. Di fronte a quegli imbarazzanti e accusatori sviluppi, Nixon diede le sue dimissioni come presidente degli Stati Uniti d’America l’8 agosto 1974.

    Era la primavera del 2021. In Albania era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di tutti i clamorosi abusi fatti, del diretto e determinante coinvolgimento della criminalità organizzata per condizionare e controllare il voto, dell’uso illegale delle risorse umane, coinvolgendo e spesso obbligando i dipendenti dell’amministrazione pubblica e i loro familiari a votare per il partito del primo ministro e di tanto altro (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile, 19 aprile 2021; Il regime che si sta riconfermando dopo il 25 aprile, 27 aprile 2021; Dopo il 25 aprile chi si giustifica si autoaccusa, 3 maggio 2021).

    Era l’11 aprile 2021 quando un media albanese pubblicò la notizia di un grande scandalo che coinvolgeva direttamente il partito del primo ministro ed alcune istituzioni governative. Si trattava di un sistema ben organizzato di 9027 persone, tutte con nomi e cognomi evidenziati e facilmente verificabili, chiamate anche  “patrocinatori”, intendendo come tali delle persone che dovevano “stare vicine” ad altre persone, molte più persone, non tanto per proteggerle, quanto per sapere tutto di loro, promettendo “vantaggi’ se avessero votato per il primo ministro, oppure minacciando loro se il voto a favore non fosse stato dimostrato e verificato. “Patrocinatori” si chiamavano anche i collaboratori del famigerato servizio segreto durante gli anni bui della dittatura comunista. E per contattare tutte quelle persone i “patrocinatori” hanno avuto a disposizione tutti i dati personali, dei dati confidenziali e protetti dalla legge in vigore in Albania. Dai dati ormai di dominio pubblico da quell’11 aprile 2021 risulta che sono state 910.061 le persone ad essere contattate e/o sulle quali i “patrocinatori” dovevano raccogliere ed elaborare tutte le necessarie informazioni. Dati alla mano ormai, la persona più giovane dell’elenco aveva circa 18 anni, mentre quella più anziana circa 99 anni! Ma quello che rende lo scandalo ancora più clamoroso e preoccupante è che la maggior parte dei “patrocinatori” erano dei dipendenti dell’amministrazione pubblica, sia centrale che locale. Ed erano anche dei dipendenti delle istituzioni, per i quali la legge impedisce categoricamente il diretto coinvolgimento in simili attività politiche, come tutti i dipendenti della polizia di Stato, delle strutture dell’esercito e della Guardia repubblicana. Ma in Albania le leggi, quando serve al potere politico, soprattutto quello del primo ministro, valgono quanto una carta straccia. Per il primo ministro, i suoi stretti collaboratori e la propaganda governativa i “patrocinatori” erano soltanto dei “membri del partito che fanno un valoroso lavoro” (Sic!).

    Guarda caso però, dopo essere stato reso pubblico lo scandalo dei “patrocinatori”, le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia hanno “sbagliato obiettivo”. Invece di indagare come e perché sono stati messi a disposizione per scopi elettorali e come e perché sono stati usati tutti quei dati sensibili e personali, protetti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali, riconosciute anche dall’Albania, quelle istituzioni hanno subito cominciato le indagini contro i due giornalisti e fondatori del media che ha reso pubblico lo scandalo. I procuratori della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una delle nuove istituzioni del “riformato” sistema della giustizia in Albania, che si sono occupati del caso, hanno chiesto ed ottenuto il permesso dal tribunale ed hanno subito sequestrato anche tutti i sistemi computeristici e i dati del media incriminato, nonché i telefonini personali dei due giornalisti. Una palese ed inconfutabile dimostrazione e testimonianza del totale controllo del sistema da parte del primo ministro e/o da chi per lui. Subito dopo i due giornalisti si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Con una sua immediata delibera del 22 aprile 2021, quella Corte ha considerato la decisione presa dal tribunale albanese non valida ed ha deciso che “Le autorità (del Sistema di giustizia albanese; n.d.a.) devono impedire l’attuazione della delibera […] per il sequestro della strumentazione che serve per la conservazione dei dati e delle informazioni, dei computer o altre strumentazioni elettroniche appartenenti al ricorrente (il media danneggiato; n.d.a.)”. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo scandalo subito dopo essere stato reso pubblico (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile; 19 aprile 2021).

    Ma quella era solo una parte di uno scandalo ben più grande e clamoroso. Scandalo che diventò pubblico il 21 dicembre scorso. E si trattava sempre dell’uso abusivo, illegale e scandaloso dei dati personali dei cittadini albanesi, con tutte le preoccupanti e pericolose conseguenze derivanti. Si trattava di dati che riguardavano i codici delle carte d’identità, i nomi e cognomi di circa 630.000 cittadini, albanesi e non, il posto di lavoro, il loro compito lavorativo e i rispettivi stipendi, sia nell’amministrazione pubblica e statale, che nel settore privato. Alcuni giorni dopo sono state rese pubbliche anche le targhe delle macchine e chi le possiede. Da quei dati, sempre protetti dalla legge in vigore in Albania, che sono in possesso soltanto delle poche e ben evidenziate istituzioni governative, sono emerse altre inconfutabili testimonianze dell’abuso di potere conferito per uso elettorale. Sono state evidenziate delle “assunzioni elettorali” tra il gennaio e l’aprile 2021, proprio prima e durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021, con le quali il primo ministro ha “vinto” il suo ambito terzo mandato. Ma, allo stesso tempo, sono stati evidenziati, palesemente documentati e testimoniati anche dei casi eclatanti di “stipendi d’oro” e di “doppi ed ingenti stipendi” non giustificati e non giustificabili, sia nel settore pubblico che quello privato. Stipendi esorbitanti per molti analisti ed opinionisti che da anni hanno venduto l’anima e si sono messi a disposizione della propaganda governativa. E tutto ciò in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Anche di fronte a questo nuovo scandalo il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori, nonché i media da lui controllati, hanno cercato di spostare l’attenzione pubblica su degli aspetti minori ed insignificanti dello scandalo stesso. Ed in qualche modo ci sono riusciti. Anche perché gli scandali si susseguono in Albania. Mentre il sistema “riformato” della giustizia, guarda caso, non riesce mai a trovare i veri colpevoli. Nel frattempo però, proprio mentre il 21 dicembre scorso era stato reso pubblico “lo scandalo degli stipendi”, scandalo che ha attirato anche l’attenzione mediatica internazionale, l’ambasciatrice statunitense continuava e continua ad elogiare i “successi” del Sistema di giustizia in Albania. Quello “riformato”, anche e soprattutto con centinaia di milioni di dollari dei contribuenti statunitensi, mai giustificati. Chissà perché?! Ma anche con altre centinaia di milioni di euro dei contribuenti dei Paesi dell’Unione europea, come ha evidenziato la settimana scorsa il rapporto annuale della Corte dei Conti europea. Bisogna però sottolineare che tra lo scandalo Watergate e i due sopracitati casi dell’uso scandaloso, preoccupante e pericoloso dei dati personali in Albania, c’è un elemento in comune: quello di fare di tutto per mantenere il potere. E quando poi lo scandalo diventa pubblico si cerca di insabbiare la verità e di minimizzare e sdrammatizzare tutto.

    Chi scrive queste righe, riferendosi all’uso scandaloso dei dati personali in Albania, ma non solo, è convinto che il sistema “riformato” della giustizia è tutt’altro che indipendente. Ragion per cui ha indagato i due giornalisti, che hanno pubblicato lo scandalo, invece dei veri responsabili. Chi scrive queste righe si chiede cosa sarebbe successo negli Stati Uniti d’America se invece di indagare i collaboratori del presidente Nixon per lo scandalo Watergate le istituzioni specializzate avessero indagato i due giornalisti del Washington Post come colpevoli? Ma negli Stati Uniti, dove funziona il sistema della giustizia, sono state condannate tutte le persone coinvolte e il presidente si è dimesso. Mentre i due giornalisti sono stati insigniti del premio Pulitzer. Invece in Albania il primo ministro, godendo il suo terzo mandato, si vanta addirittura del contributo dei “valorosi patrocinatori” e cerca di minimizzare, mentendo, tutto il resto. Aveva ragione perciò il presidente Nixon, secondo il quale “Mentire fa parte del mestiere del politico. Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire”. Ne è testimonianza il primo ministro albanese.

  • Amicizie occulte e sudditanze pericolose

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi,
    che  si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; Politica

    Un proverbio cinese ci avverte che bisogna fare molta attenzione a chi arriva con un regalo perché chiederà sicuramente un favore. Una saggezza millenaria quella, che si verifica spesso, non soltanto tra gli esseri umani, ma anche quando si tratta di rapporti governativi tra Paesi diversi. E soprattutto quando quelli che governano e gestiscono la cosa pubblica hanno stabilito tra di loro dei rapporti occulti e delle sudditanze ed ubbidienze pericolose.

    Una settimana fa, lunedì 17 gennaio, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato in Albania per una visita ufficiale, anche se, realmente, è stata proprio una visita per incontrare ed accordarsi con il suo “amico e discepolo”, il primo ministro albanese. Con colui che non nasconde, anzi, esprime pubblicamente la sua “ammirazione” per l’illustre ospite. Colui che proprio quel lunedì dichiarava che era “…molto orgoglioso di potersi considerare amico del presidente Erdogan”. Guarda caso, il protocollo di Stato aveva escluso dagli incontri, anche quello, protocollarmente obbligatorio, tra i due omologhi. E cioè dell’ospite, nella qualità di Presidente della Turchia e del Presidente albanese. Una “inedita protocollare” che non è stata mai spiegata e chiarita da chi di dovere, nonostante l’espresso interessamento pubblico e mediatico.

    Durante quella breve ma intensa visita in Albania il 17 gennaio scorso, il presidente turco era venuto anche per inaugurare quanto aveva “generosamente regalato” in precedenza, durante la visita del primo ministro albanese in Turchia, il 6 – 7 gennaio 2021. Si è trattato di 522 unità abitative in una località colpita dal terremoto del 26 novembre 2019. Dei regali per il povero e bisognoso popolo albanese. Ma soprattutto dei “regali” per il suo amico e discepolo, il primo ministro. Si è trattato e si tratta di “regali”, di supporto, anche elettorale, come nel caso di un ospedale in una città albanese, bastione del partito del primo ministro. Un’altra promessa fatta dal presidente turco al suo “fratello ed amico” albanese nel gennaio 2021, proprio tre mesi prima delle elezioni politiche del 25 aprile. L’ospedale è stato ormai inaugurato l’anno scorso, come promesso. Chissà però in cambio di quali favori quei “regali”?! E dei favori fortemente voluti e richiesti, anche pubblicamente, ci sono e come!

    Lunedì 17 gennaio, il presidente turco ha inaugurato la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, di una moschea nel pieno centro della capitale albanese. Ma come ci insegna il sopracitato proverbio cinese, non è mancata neanche la richiesta del presidente turco, dopo i regali fatti. Una richiesta per il suo “fratello”, per il suo “amico”, per il primo ministro albanese; una sola, ma all’esaudimento della quale il presidente turco ci tiene fortemente e in maniera determinata. Una richiesta fatta anche prima. Una richiesta però, che mette in serie difficoltà il primo ministro albanese perché lo mette tra due “fuochi” dai quali si guarda ben attentamente di non essere “bruciato”: sia dal “fuoco” del suo “amico”, il presidente turco, sia dal “fuoco” dei Paesi occidentali e degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una richiesta, quella pubblicamente fatta dal presidente turco, che riguarda tutto quello e quelli che hanno a che fare con colui che, fino al 2012, era un suo caro amico e stretto collaboratore. Colui che però, dal 2013, ha denunciato pubblicamente diversi scandali di corruzione, che vedevano direttamente coinvolto l’attuale presidente turco e/o i suoi familiari. E proprio per quella ragione, da quel periodo lui diventò un pericoloso nemico da perseguire e combattere, ad ogni costo. Quel nemico è Fethullah Gülen. Ed insieme con lui tutti i suoi collaboratori e sostenitori, compresi tutti gli appartenenti dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.), ovunque loro si trovino nel mondo. Anche in Albania. Il presidente turco considera Gülen l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 in Turchia. Ormai lui è il principale ricercato dalla giustizia turca, accusato di terrorismo. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitensi la sua estradizione. Estradizione che è stata però sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei suoi confronti. Questo acerrimo nemico del presidente turco, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è anche il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è, allo stesso tempo, tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché il fondatore di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, ben radicate sia in Turchia che in altri paesi, Albania compresa. Ma il presidente turco, nonostante la protezione personale data al suo principale nemico dagli Stati Uniti d’America, non demorde mai e, determinato, usa ogni occasione ed ogni mezzo per colpire e danneggiare sia il suo nemico che i suoi collaboratori e sostenitori, compresa la rete di scuole da lui fondate. Ragion per cui il presidente turco continua ad insistere con la sua richiesta per combattere i sostenitori del Movimento Gülen e sradicare le strutture scolastiche da lui fondate e finanziate. Presenti anche in Albania. E così facendo, da anni, sta mettendo in seria difficoltà anche il primo ministro albanese, suo “discepolo” perché essendo il nemico del presidente turco protetto dagli Stati Uniti e sostenuto anche dai Paesi europei il primo ministro albanese, il “fratello e amico” del presidente turco, cerca in tutti i modi di esaudire le ripetute richieste del suo “idolo”, ma cerca anche, possibilmente, di fare tutto senza dare nell’occhio dell’altra parte. Mentre il presidente turco, determinato ed agguerrito com’è, non perde occasione di ripetere e pretendere che la sua richiesta sia presa e trattata con la dovuta attenzione ed esaudita prima possibile. Lo ha fatto determinato, ma anche con una certa arroganza e prepotenza, lunedì 17 gennaio, parlando ai deputati presenti nell’aula del Parlamento albanese. Riferendosi ai collaboratori e ai sostenitori del suo acerrimo nemico, il presidente turco ha detto che “…questo gruppo mantiene ancora la sua presenza in Albania nel settore dell’istruzione, della sanità, delle organizzazioni religiose e nel settore privato”. Poi ha “avvertito” i deputati che gli appartenenti alle organizzazioni fondate dal suo nemico rappresentano anche un “pericolo per la sicurezza nazionale dell’Albania”, come per la Turchia. E con dei “messaggi tra le righe”, riferendosi sempre ai suoi nemici, considerandoli come dei “terroristi che hanno le mani coperte di sangue”, ha ribadito che “mentre ci sono tante questioni tra noi di cui parlare, discutere e intraprendere dei passi verso il nostro futuro comune, a noi (presidente turco e i suoi; n.d.a.) dispiace che stiamo perdendo tempo per una simile cosa. Speriamo che durante il nostro prossimo incontro di turno, questa questione possa essere cancellata dalla nostra agenda!”.

    Parte integrante, molto importante e significativa della visita del presidente turco in Albania, lunedì scorso 17 gennaio, ben preparata e gestita dal “protocollo ufficiale”, era proprio, come sopracitato, anche la cerimonia per la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, della moschea sulla piazza principale, in pienissimo centro di Tirana. Una cerimonia con la quale si è conclusa la breve visita del presidente turco e nella quale però il “protocollo ufficiale” non aveva previsto la presenza dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania. In realtà in quella cerimonia tutto parlava turco. Da colui che invitava a parlare tutti quelli che era previsto parlassero, alle scritture sul podio fino alle scenografie sui muri “ristrutturati” della moschea. Anche la preghiera è stata recitata in lingua turca da un alto religioso turco. Mentre la ragione della vistosa e molto significativa mancanza, durante quella cerimonia, dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania era “semplicemente” dovuta al fatto che il presidente turco considera loro come sostenitori del suo sopracitato acerrimo nemico.

    La visita del presidente turco lunedì scorso, 17 gennaio, in Albania ha suscitato molte contestazioni espresse pubblicamente da analisti, opinionisti, ma anche da molti semplici cittadini. E non solo per il fatto che quella visita coincideva proprio con il 554o anniversario della morte dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota. Di colui che per 25 anni consecutivi, dal 1443 e fino al 1468 (morì da malattia il 17 gennaio 1468), ha combattuto e vinto contro gli eserciti ottomani, alcune volte guidate personalmente dai sultani dell’epoca. Tenendo presente anche l’agenda della visita e le dichiarazioni del presidente turco il 17 gennaio scorso in Albania, la “coincidenza” sulla data scelta a molti è sembrata proprio come una sfida che l’ospite ed il caro “amico” del primo ministro faceva agli albanesi, i quali sono molto legati al loro Eroe nazionale. In più, sia il presidente turco che il suo anfitrione, il primo ministro albanese, durante quella visita, con le loro dichiarazioni hanno cercato di camuffare e di nascondere le vere ragioni della visita stessa. Hanno detto delle frasi che ne contraddicevano altre e non riuscivano a nascondere i veri obiettivi geostrategici della Turchia in Albania e nei Balcani. Tutto come previsto nella ormai nota Dottrina Davutoglu. Una dottrina quella che, da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia. La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un “catalizzatore e motore dell’integrazione regionale”. La Turchia deve non essere “un’area di anonimo passaggio” ma diventare “l’artefice principale del cambiamento”. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina. Da alcuni anni l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore, non solo della Dottrina Davutoglu, ma anche dei rapporti di “amicizia occulta” tra il presidente turche e il primo ministro albanese e di quelle che egli considera come delle “sudditanze pericolose”. (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021).

    Chi scrive queste righe da tempo è convinto della pericolosità delle amicizie occulte e dei rapporti di ubbidiente sudditanza che crea e segue il primo ministro albanese con altri suoi “simili”. Compreso anche il presidente turco. Simili soprattutto per il loro comportamento con il potere istituzionale e per i loro rapporti con i principi della democrazia. Simili per la loro arroganza e prepotenza e per il loro modo despotico di calpestare i sacrosanti diritti innati, acquisiti e riconosciuti dell’essere umano. Ma simili anche per le loro capacita demagogiche con le quali cercano e spesso anche riescono ad ingannare i propri cittadini. Confermando così quanto pensava Aristotele circa cinque secoli fa. E cioè che “La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie”.

  • Clamoroso scandalo edilizio e preoccupanti connivenze pericolose

    Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali,

    ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

    Vangelo secondo Matteo; 18/7

    Così rispose Gesù ai suoi discepoli che volevano sapere da lui “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Prima di rispondere Gesù prese accanto a se un bambino e disse ai discepoli: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli […]. Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”. E poi continuò, dicendo loro che “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare”. Era talmente convinto Gesù della pericolosità e delle gravose conseguenze dello scandalo, di qualsiasi scandalo, che disse perentorio ai suoi discepoli: “Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno”. E per rendere ancora più chiaro e comprensibile il significato dello scandalo, Gesù aggiunse: “E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco”. Sì, proprio nella Geenna, riconosciuta dagli ebrei come la valle dell’Hinnom. Geenna era un luogo macabre, ai piedi del monte Sion vicino a Gerusalemme, dove si svolgevano dei riti lugubri di sacrificio, voluti e stabiliti da dio Moloch. Riti nei quagli si usavano i bambini, che prima venivano sgozzati e poi bruciati, offerti in olocausto proprio a Moloch. Quello ci racconta e ci insegna l’evangelista Matteo nel capitolo 18/1-9 del suo Vangelo. L’etimologia stessa della parola scandalo, parola che deriva dalla lingua greca antica (skàndalon – ostacolo, inciampo), significa, secondo i dizionari, “il turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti”. Lo scandalo rappresenta un fatto, una vicenda, una situazione “in cui emergono immoralità, corruzione e che coinvolge personaggi importanti”. Purtroppo gli scandali sono stati presenti nella vita quotidiana delle civiltà umane, dall’antichità ai giorni nostri. In tutto il mondo e con tutte le gravose, dannose, sofferte e pericolose conseguenze.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato sullo svolgimento di una massiccia protesta a Tirana, convocata dal Movimento per la ricostituzione del partito democratico, costituito il 12 dicembre 1990 in Albania, come il primo partito d’opposizione. Attualmente è un partito di opposizione dal 2013 e che purtroppo, dal 2013, è stato usurpato da colui che, fatti accaduti e che si stanno rivelando anche durante la settimana appena passata alla mano, lo ha usato come una rimunerativa impresa familiare per se stesso e per pochissimi suoi fedeli. Questo dimostrano e testimoniano tutti i dati ed i fatti resi pubblici e mai contestati dai diretti interessati, se non che con delle misere dichiarazioni “politiche” che sfuggono alle accuse, si contraddicono e fanno ridere anche i polli. Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di tutti questi fatti ormai appurati, nonché di tutti gli altri sviluppi legati al Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere, 10 gennaio 2022).

    Ebbene, la protesta svoltasi sabato 8 gennaio di fronte alla sede del partito democratico albanese aveva come obiettivo quello di far rendere libera l’entrata in quell’edificio per tutti i legittimi e legalmente iscritti membri del partito. Iscritti che, sempre in base ad ormai disponibili dati ufficiali, verificati e verificabili da tutti alla mano, rappresentano la grandissima maggioranza della base del partito. Iscritti ai quali, però, l’usurpatore del partito, in una evidente crisi esistenziale ed in grandissima difficoltà a nascondere la realtà, aveva vietato l’ingresso nella sede. E per riuscire, in preda ai suoi incubi, aveva ordinato di blindare tutti gli ingressi della sede. Si, di blindare tutto con una serie di porte di ferro, messe una dietro l’altra. Ma bugiardo e ingannatore viscerale qual è, l’usurpatore del partito e/o alcuni suoi pochissimi fedeli che fanno da “portavoce” dichiaravano che “l’ingresso era stato vietato agli iscritti semplicemente perché erano in corso dei lavori di pittura e di ordinaria manutenzione”. Misere bugie e vergognosi inganni che sono stati smentiti durante una diretta televisiva, la sera del 6 gennaio scorso, da un coraggioso giornalista il quale, insieme con un operatore televisivo, è riuscito ad entrare dentro l’edificio dalla finestra del bagno a piano terra, lasciata aperta. Ebbene una volta all’interno si è potuto vedere, soltanto in quella parte dell’edificio, una porta blindata per terra! Da quel momento tutto diventò chiaro ed incontestabile. E da allora l’usurpatore e i suoi pochissimi fedeli non parlavano più di “lavori di pittura e di ordinaria manutenzione”. Ma nel frattempo, però, l’usurpatore della dirigenza del partito aveva assoldato alcune decine di criminali, di mercenari pericolosi che si erano sistemati nella sede del partito democratico. E guarda caso, la polizia di Stato, nonostante fosse stata avvisata con una denuncia di quelle presenze all’interno della sede del partito, non ha fatto nessun controllo, come se niente fosse! Chissà perché?! Si sapeva però, e ormai è stato appurato, grazie anche a quanto è accaduto durante la protesta dell’8 gennaio scorso, che l’usurpatore della dirigenza del partito democratico ha avuto sempre il pieno appoggio ed il sostegno del suo “protettore”, il primo ministro albanese, che ha messo a sua disposizione, durante la protesta, le truppe scelte della polizia di Stato. Ormai sono disponibili molte registrazioni video e/o audio, fatte durante quella protesta nella sede del partito democratico, che dimostrano e testimoniano in modo inconfutabile chi ha esercitato violenza contro chi. Così come dimostrano e testimoniano l’uso sproporzionato e legalmente vietato dei gas nocivi, molto pericolosi per la salute, da parte delle truppe scelte della polizia di Stato. Truppe che invece di entrare dentro l’edificio blindato hanno caricato e maltrattato i manifestanti pacifici, gli iscritti del partito, come se fossero dei pericolosi criminali. Ed erano proprio dentro l’edificio blindato, come ormai testimoniano palesemente le tante registrazioni video e/o audio, i veri criminali, i mercenari assoldati dall’usurpatore della dirigenza del partito. Proprio quelli che subito dopo l’inizio della protesta massiccia e pacifica hanno cominciato ad aggredire i manifestanti, lanciando dalle finestre del secondo piano una grande quantità di vetri rotti delle finestre, delle sedie, nonchè hanno fatto uso, vietato dalla legge, dei gas nocivi, gli stessi usati dalla polizia di Stato (sic!). Ma le truppe scelte della polizia di Stato, lasciando liberi di agire i criminali dentro la sede del partito, continuavano ad aggredire barbaramente spietati con gas nocivi ed acqua i manifestanti pacifici, prendendo ordini dai loro superiori. Anche questo è stato ormai registrato e reso pubblico. Di tutto ciò l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore la scorsa settimana (Una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere, 10 gennaio 2022).

    Sono stati miseri, inutili, incredibili e ridicoli i commenti fatti dai media controllati dal primo ministro e/o da chi per lui, nonché dagli analisti ed opinionisti pagati profumatamente come parte integrante della potente propaganda governativa. Hanno cercato, soprattutto nelle prime ore dopo la dispersione della protesta, di far credere che i manifestanti violenti avessero cercato di distruggere tutto e di mettere in serio pericolo la vita dell’usurpatore e dei suoi pochissimi fedeli che erano dentro la sede. Ma guarda caso, non hanno mai parlato e/o fatto riferimento a quelle decine di criminali che stavano dentro la sede, insieme all’usurpatore. Criminali che sono stati filmati da diverse riprese televisive e/o ripresi dai telefonini mentre aggredivano spietatamente con mezzi diversi i manifestanti pacifici. Manifestanti che volevano semplicemente entrare nella loro casa comune, ma che, invece, avevano trovato le porte di casa chiuse, con le serrature cambiate e blindate da dentro. Chissà perché?! Purtroppo però che queste misere e ridicole informazioni diffuse dalla propaganda governativa, prive di qualsiasi veridicità, sono state riprese e trasmesse da alcuni media internazionali, senza nessuna verifica preventiva, professionalmente richiesta e dovuta.

    Durante tutta la scorsa settimana sono state pubblicate ulteriori testimonianze che dimostrerebbero l’appoggio ed il sostegno del primo ministro all’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Da anni ormai si sta parlando, discutendo e si sta diffondendo sempre più la convinzione che tra loro due si sia un accordo occulto. Un accordo stabilito, almeno per il pubblico, il 18 maggio 2017. Anche di questo il nostro lettore è stato spesso informato. Ma durante la scorsa settimana è stata diffusa la notizia di un nuovo e clamoroso scandalo edilizio. Si tratterebbe di un progetto che lo sta elaborando uno studio architettonico straniero. Un progetto che, se finalizzato, permetterà la costruzione di tre grattacieli in pieno centro della capitale. Ma è proprio un piccolo “dettaglio” che rende questo progetto particolare. Ed il piccolo “dettaglio” è che quei tre grattacieli saranno costruiti proprio lì dove attualmente si trova la sede del partito democratico albanese. Proprio lì! Le cattive lingue per tutta la scorsa settimana hanno parlato di interessi comuni tra il primo ministro e l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Interessi che, inevitabilmente, sono legati anche alla criminalità organizzata locale ed internazionale che da anni in Albania, soprattutto nel campo dell’edilizia, sta riciclando i miliardi provenienti da attività illecite, dai traffici di droga, dalla corruzione e da tanto altro. Ma non sono soltanto le cattive lingue. Durante questa settimana appena passata si stanno accumulando dati e documenti facilmente verificabili, che testimoniano questa connivenza pericolosa tra il potere politico e la criminalità organizzata. Usurpatore del partito democratico compreso che, personalmente e con alcuni suoi “portavoce”, compresi quelli molto vicini al governo, all’inizio della settimana e appena la notizia era stata diffusa, hanno cercato di smentire tutto. Ma in seguito, fallendo clamorosamente in quella impossibile impresa, hanno vigliaccamente “scelto” di tacere. E così facendo si autoaccusano. Come hanno fatto anche di fronte ad altri fatti legati ad altrettanto clamorosi scandali di appalti “governativi” milionari che vedono coinvolto direttamente l’usurpatore e/o i suoi diretti e più stretti familiari. Ma si sa, e lo confermano anche i dizionari, che lo scandalo rappresenta un fatto, una vicenda, una situazione “in cui emergono immoralità, corruzione e che coinvolge personaggi importanti”.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà in nostro lettore di questo nuovo scandalo. Egli però è convinto della pericolosità di questa “alleanza” occulta tra il primo ministro e l’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Perché una simile “alleanza”, se non affrontata con la dovuta responsabilità civile e patriottica, potrebbe diventare una pietra tombale per la sofferente e traballante democrazia albanese. Non bisogna mai dimenticare che, come diceva Gesù, guai al mondo per gli scandali! Guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! Perché tutti loro saranno poi gettati nella Geenna del fuoco.

  • Una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere

    La maschera, quando è portata a lungo, non vuol più staccarsi dal volto

    Leone Ginzburg“Imparerai a tue spese che, nel lungo tragitto della vita, incontrerai tante maschere e pochi volti”. Era convinto di ciò che diceva Vitangelo Moscarda, detto Gengè, il personaggio principale del noto romanzo Uno, nessuno e centomila, scritto da Luigi Pirandello, che nel 1934 ha avuto il premio Nobel per la Letteratura. Un romanzo sul quale l’autore ha lavorato e riflettuto per circa quindici anni prima di pubblicarlo nel 1926. Lui stesso lo ha definito come il romanzo della scomposizione della personalità. Ed è proprio Gengé, proprietario benestante di un banco di pegni, il quale, per delle dirette, vissute e tormentate esperienze di vita personale, si convince che l’essere umano, essendo uno, diventa nessuno nella moltitudine sociale, ma per gli altri si disgrega in centomila immagini, esseri differenti l’uno dall’altro. Tutto cominciò un giorno, quando la moglie disse a Gengé, mentre lui si stava guardando allo specchio, che aveva il naso storto. Non essendosi mai accorto e convinto del contrario, da quel momento Gengé cominciò a dubitare di tante cose e le sue ferme convinzioni cominciarono a vacillare. Ragion per cui cominciò a riflettere su tutto e tutti. E riflettendo arrivò alla conclusione che siccome non era stato in grado di accorgersi di un così banale difetto fisico, come il naso storto, allora chissà quanti altri difetti caratteriali, anche importanti, erano però sfuggiti a lui, ma non agli altri. In preda a questi tormenti, Gengé cominciò a cambiare continuamente atteggiamento, tanto che nessuno riconosceva più in lui quella persona agiata che viveva la sua vita tranquilla e beata. Dopo tante sue ossessioni, dopo tante decisioni prese da lui ma non condivise dagli altri, che l’hanno reso pazzo agli occhi dei sui amici, dopo aver subito anche l’abbandono della sua moglie, Gengé si ritira in un ospizio per i poveri, da lui costruito. Ed in quell’ospizio cominciò a vivere come uno dei tanti ospiti, non usando più neanche il suo nome e diventando perciò un nessuno. Ma era proprio così, in quell’ospizio, che finalmente Vitangelo Moscarda, detto Gengè, si sentì libero dalle tante, tantissime maschere con le quali, durante la sua tormentata vita, aveva dovuto aver a che fare.

    Affrontarsi con le maschere purtroppo rappresenta una realtà quotidiana in ogni parte del mondo. Anche in Albania. Ma soprattutto durante questi ultimi mesi, quando tutta l’attenzione pubblica e mediatica è stata concentrata sugli sviluppi dentro il partito democratico albanese. Si tratta proprio del primo partito che si è opposto alla dittatura comunista dal dicembre 1990, che ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato, in seguito, alla caduta di quella spietata e sanguinosa dittatura. Si tratta del maggior partito di quella che dovrebbe essere stata, dal 2013, una vera opposizione contro la nuova dittatura sui generis che si sta consolidando in Albania. Una dittatura che, camuffata da una fasulla parvenza di pluripartitismo, rappresenta una reale pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Una dittatura che, purtroppo, ha avuto anche il sostegno “taciturno”, ma non di rado anche pubblico, di alcuni “rappresentanti internazionali” in Albania. Quanto è accaduto e sta accadendo in Afghanistan, soprattutto dal 15 agosto 2021, ne potrebbe rendere l’idea al nostro lettore del “contributo” di quei “rappresentanti”. Un partito, quello democratico in Albania, che non dovrebbe e non potrebbe essere mai proprietà del suo dirigente e di alcuni suoi “fedelissimi”, come purtroppo è diventato, anno dopo anno e partendo dal 2013. Anno in cui, dopo le non revocabili dimissioni del suo capo storico, il dirigente diventò colui che, fino all’11 dicembre scorso, rappresentava ufficialmente il partito democratico. Colui che, fatti accaduti, documentati, verificati e verificabili alla mano, più che il dirigente del partito era diventato da anni, per il modo con il quale esercitava il suo ruolo istituzionale, il suo usurpatore. E sempre dai fatti accaduti, dai dati ufficialmente documentati, emersi e che stanno emergendo anche durante questi ultimi giorni, purtroppo, il partito democratico albanese era diventato una molto rimunerativa impresa familiare del suo usurpatore, avendo, tra l’altro ed in cambio dei servizi resi, anche un “generoso appoggio” da parte delle istituzioni governative. Servizi che, secondo le cattive lingue, erano parte integrante degli “oblighi” che doveva rispettare l’usurpatore del partito democratico albanese. Tra i quali due erano i più importanti e di valore strategico. Sgretolare e rendere inefficienti le strutture del partito per permettere al primo ministro di non avere ostacoli reali nella sua irresponsabile e folle corsa, con tutte le drammatiche e sofferte conseguenze. Ma anche di annientare, oppure, per lo meno, di indebolire lo spirito di protesta dei sostenitori del partito democratico e dei cittadini albanesi. E, come è accaduto da anni, le cattive lingue hanno avuto quasi sempre ragione.

    Ma questa drammatica situazione nel partito democratico albanese cominciò a cambiare con la nascita del Movimento per la ricostituzione del partito. Un Movimento capeggiato dal capo storico del partito, allo stesso tempo ex presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013), che ha motivato di nuovo la base del partito. Un movimento che è diventato sempre più ampio e che ha attirato tutta l’attenzione pubblica e mediatica, mettendo in serie e vistose difficoltà anche l’usurpatore del partito. Ma non solo lui. Perché insieme con lui ha cominciato a preoccuparsi seriamente anche il suo “benefattore”, il primo ministro albanese. Ne è una significativa testimonianza il coinvolgimento, dietro ben precisi “orientamenti” partiti dalle “stanze del potere”, dei media controllati direttamente dal primo ministro e/o da chi per lui. Una sempre più ampia schiera di analisti e di opinionisti a pagamento, gestiti dalla propaganda governativa, che fino a poco tempo fa ridicolizzavano l’usurpartore del partito democratico, adesso fanno i suoi avvocati difensori. In una simile realtà e in pieno rispetto dello Statuto del partito, la maggioranza assoluta dei delegati eletti del congresso ha convocato l’11 dicembre scorso, per la prima volta in assoluto in Albania, il Congresso straordinario del partito ed ha approvato quasi all’unanimità alcuni emendamenti dello Statuto. Il congresso, con i diritti riconosciuti dallo Statuto, ha altresì esonerato l’usurpatore da tutti i suoi incarichi dirigenziali. Ed insieme con lui anche i rappresentanti non eletti, come prevede e sancisce lo Statuto, ma selezionati e nominati dall’usurpatore nelle strutture dirigenziali del partito. Dall’11 dicembre 2021 e fino al 22 marzo 2022, ha assunto tutte le funzioni istituzionali, sempre dietro una decisione presa dai delegati del Congresso, una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico albanese. La decisione relativa all’esonero dell’usurpatore è stata in seguito riconfermata da un referendum aperto a tutti gli iscritti e svolto il 18 dicembre scorso. Durante questi ultimi mesi in Albania sia l’usurpatore del partito che alcuni suoi “fedelissimi” sono stati costretti a cambiare maschera. Il nostro lettore è stato informato continuamente di tutto ciò, soprattutto durante questi due ultimi mesi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021).

    In pieno rispetto dei suoi diritti istituzionali, riconosciuti dallo Statuto del partito, la Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico albanese ha inviato ufficialmente una lettera all’usurpatore del partito, con la quale lo informava delle decisioni prese dal Congresso del partito e confermate anche dal referendum. Con la stessa lettera chiedeva a lui di rispettare la volontà della grande maggioranza degli iscritti del partito e, perciò, di fare, entro il 5 gennaio scorso, le dovute e previste consegne istituzionali. L’usurpatore del partito però, non solo non ha rispettato il verdetto del Congresso e del referendum, ma ha ordinato di cominciare, in fretta, a blindare la sede del partito. Sì, di blindare la sede, nel vero senso della parola, mettendo nuove porte di ferro a tutti gli ingressi dietro quelle esistenti che servivano semplicemente come facciata. Ha oscurato anche tutte le finestre. Per non permettere a nessuno di entrare e di vedere quello che accadeva dentro la sede. Non permettere neanche di vedere che dentro la sede si erano radunate alcune decine di criminali evidenziati e ben noti anche alla polizia di Stato. Il compito a loro affidato era quello di impedire, con l’uso della forza e di altri mezzi, l’ingresso nella sede dei membri della Commissione transitoria per la ricostituzione del partito e degli iscritti. E, allo stesso tempo, sia l’usurpatore, che alcuni suoi “fedelissimi” hanno “indurito” anche il tono della voce, durante le poche dichiarazioni registrate o in diretta. Facendo così cadere altre loro maschere. Nel frattempo e visto quanto stava accadendo, la Commissione transitoria per la ricostituzione del partito ha invitato tutti gli iscritti a svolgere una protesta pacifica sabato scorso, 8 gennaio, presso la sede.

    Ebbene quello che è accaduto sabato scorso ha messo a nudo non solo il vero volto di tutti coloro che continuano ad usurpare la sede del partito democratico, ma anche il “rapporto di reciproco sostegno” tra il primo ministro e l’usurpatore del partito democratico. Altre maschere sono cadute. Nella mattinata di sabato scorso migliaia di iscritti del partito si sono radunati davanti alla sede. Un raduno pacifico dei veri azionisti del partito che chiedevano semplicemente venisse rispettato il loro sacrosanto diritto di entrare a casa propria. Purtroppo dall’interno della sede hanno risposto con dei gas lacrimogeni. Uso del tutto vietato dalla legge in vigore. Ma non solo; ad un determinato momento davanti alla sede sono stati schierati reparti delle forze scelte della polizia di Stato che hanno cominciato ad aggredire e spingere i protestanti pacifici. Invece di entrare nella sede ed arrestare coloro che facevano uso del gas in palese violazione della legge, hanno cominciato ad aggredire i manifestanti! Così come, invece di entrare nella sede del partito e fare i dovuti controlli previsti dalla legge, dopo che la Commissione transitoria per la ricostituzione del partito aveva ufficialmente depositato la denuncia per la presenza di criminali armati dentro la sede, la polizia di Stato non ha fatto niente, violando clamorosamente la legge in vigore. Ma, allo stesso tempo, hanno dimostrato da chi prendevano gli ordini. In più, per compiere fino in fondo quello che era stato loro ordinato, hanno fatto un uso sproporzionato e criminale di gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, ferendo molti manifestanti pacifici, di spray a peperoncino di forte concentrazione e di cannoni d’acqua. Dopo aver finalmente allontanato i manifestanti dalla sede del partito, li hanno inseguiti, usando sempre in modo vistosamente sproporzionato i gas nocivi e l’acqua. Dopo avere “liberato” la sede dai manifestanti pacifici, le truppe scelte della polizia di Stato sono rimaste ancora per alcune altre ore intorno alla sede del partito democratico albanese. Nel frattempo hanno approfittato sia il ministro degli Interni, fedelissimo del primo ministro, che l’usurpatore del partito e alcuni suoi fedelissimi, per elogiare il “comportamento esemplare” della polizia di Stato. Ma anche per “incolpare i manifestanti aggressivi e criminali” di aver distrutto tutto! Cercando di colpevolizzare una protesta pacifica che ha fatto cadere delle maschere, tante maschere.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà il nostro lettore di tutti gli attesi sviluppi nel partito democratico albanese. Anche perché ci saranno altre proteste massicce e pacifiche ad oltranza. Proteste che faranno cadere altre maschere le quali, parafrasando Leone Ginzburg, essendo portate a lungo, non vogliono più staccarsi dal volto.

  • Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta

    Spesso le aspettative falliscono, e più spesso dove più sono promettenti;

    e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda e la disperazione più consona.

    William Shakespeare

    Come era già stato annunciato la scorsa settimana, lunedì 20 dicembre, alle ore 16.00, moltissimi sostenitori del partito democratico albanese erano radunati di fronte alla sede del partito. Erano veramente in tanti e tutti ben motivati. Si trattava dei sostenitori del nuovo Movimento per la ricostituzione del partito democratico. Bisogna anche sottolineare che si tratta del primo partito oppositore della dittatura comunista, costituito trentuno anni fa, il 12 dicembre 1990. Si tratta proprio di quel partito che, nonostante il periodo buio nel quale vivevano terrorizzati gli albanesi, ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato, in seguito, alla caduta della dittatura comunista. Una delle più sanguinose e spietate dittature dell’Europa. Ma che, purtroppo, quel partito democratico, il maggiore partito dell’opposizione dal 2013, durante questi ultimi anni, mentre in Albania si stava restaurando una nuova e camuffata dittatura sui generis, ha continuamente mancato e deluso nel compimento dei suoi obblighi politici ed istituzionali. Ma ha anche offeso la fiducia dei suoi iscritti e sostenitori, nonché di molti cittadini albanesi, che vedevano nell’opposizione politica la sola speranza per arginare, fare fronte e combattere la pericolosa alleanza del potere politico, rappresentato dal primo ministro, con la sempre più attiva criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali, soprattutto da oltreoceano e con obiettivi concreti in Albania e nei Balcani. Il nostro lettore, durante queste ultime settimane, sempre dati e fatti accaduti alla mano, è stato informato degli sviluppi in corso in Albania che riguardano il partito democratico albanese. La ragione è stata proprio la nascita del nuovo Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021). Un Movimento capeggiato dal capo storico del partito, allo stesso tempo presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), che sta diventando sempre più ampio, attirando tutta l’attenzione pubblica. Un Movimento che ha scombussolato, da alcuni mesi, anche la “quiete” politica in Albania.

    I rappresentanti del Movimento, compreso il capo storico del partito, dalla scorsa settimana avevano annunciato ed invitato non solo i sostenitori del partito democratico e dell’opposizione, ma anche i cittadini a protestare, lunedì 20 dicembre, davanti alla sede del Consiglio dei ministri. Si tratta della prima protesta chiamata da un partito politico, dopo circa venti mesi. I motivi erano due. Il primo riguardava un accordo, che va contro gli interessi dell’Albania ed altri Paesi balcanici, anzi, che favoreggia senza ombra di dubbio e dati economici alla mano, gli interessi economici e regionali della Serbia. Un accordo convenuto e sottoscritto dal presidente della Serbia, dal primo ministro della Macedonia del Nord e dal primo ministro dell’Albania. Un accordo che nell’arco di due anni ha cambiato nome, dal “Mini-Schengen balcanico” all’accordo dei “Balcani Aperti” (Open Balcan). Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di questi sviluppi regionali, nell’ambito dell’accordo Open Balcan, fortemente voluto e sostenuto, già dal 1999, soprattutto dal suo vero ideatore; un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Ma l’accordo Open Balcan, sempre fatti, dati e obiettivi geopolitici ed economici ormai noti e dichiarati alla mano, è anche un accordo che permette, sia alla Russia, che alla Cina di essere attivamente presenti nella regione balcanica (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021 ecc…). E proprio nell’ambito dell’accordo Open Balcan, lunedì 20 dicembre si è organizzata e svolta in Albania l’ennesima riunione tra il presidente della Serbia, il primo ministro della Macedonia del Nord ed il primo ministro dell’Albania. Proprio per denunciare e contestare quell’accordo è stata convocata e svolta anche la prima protesta chiamata da un partito politico dopo quasi venti mesi.

    Il secondo motivo della protesta riguardava gli accordi concessionari e palesemente corruttivi del governo albanese, mentre le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia “stanno a guardare”. Avendo però i massimi riconoscimenti ed elogi da parte dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. Chissà perché?! Si sa però che i rappresentanti del sempre più vasto Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese, hanno pubblicamente dichiarato, dallo scorso settembre e durante queste ultime settimane, che non permetteranno mai che accordi simili siano attuati e che combatteranno la corruzione e l’abuso del potere, nonché si impegneranno perché il sistema della giustizia diventi finalmente un giusto, imparziale ed indipendente sistema. Cosa che non ha fatto, volutamente e/o perché costretto, colui che, fino alla settimana scorsa, aveva usurpato la dirigenza del partito democratico albanese.

    Durante la settimana appena passata sono state prese importanti decisioni in Albania. Ma durante la settimana appena passata si sono fatte anche delle misere, vergognose e disperate manipolazioni. Tutta l’attenzione pubblica era, però, focalizzata su quanto si attendeva accadesse sabato scorso, 18 dicembre. Per quel giorno erano stati annunciati due avvenimenti politici importanti. Il primo riguardava il referendum per confermare, da parte di tutti gli iscritti del partito democratico albanese, l’espulsione dell’usurpatore del partito democratico albanese. Un’espulsione decisa l’11 dicembre scorso, durante il congresso straordinario del partito, convocato, per la prima volta in assoluto, con la richiesta di più di un quarto dei delegati del congresso (Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021). Mentre il secondo avvenimento politico riguardava un congresso, convocato dall’usurpatore, sempre il 18 dicembre, come una sfida a quello svolto una settimana fa.

    Ebbene, sabato scorso, tutti gli iscritti del partito democratico sono stati invitati a confermare o a rifiutare l’espulsione di colui che dirigeva il partito fino ad una settimana fa. Una decisione presa, quella del referendum, non perché quanto hanno deciso l’11 dicembre 4446 delegati dei 4935 presenti al congresso avesse bisogno di un’ulteriore conferma. Lo prevede anche lo Statuto del partito. Ma l’11 dicembre il congresso straordinario del partito democratico, convocato da molto più di un quarto dei delegati, ha deciso di confermare quella decisione per togliere ogni dubbio, rendendo l’ultima parola agli iscritti, alla base del partito. Ebbene, sabato scorso, sul tutto il territorio, con il loro voto, gli aventi diritto hanno confermato la decisione presa dal congresso straordinario dell’11 dicembre 2021. E cioè l’espulsione dell’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese. Perciò, da domenica scorsa, quando la commissione del referendum ha comunicato ufficialmente il risultato finale, il partito verrà diretto da una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico albanese fino al 22 marzo 2022, quando si svolgerà il congresso ricostitutivo del partito e saranno eletti anche i suoi nuovi dirigenti. Una decisione quella presa durante il sopracitato congresso dell’11 dicembre scorso.

    Ma sabato scorso l’ormai espulso usurpatore del partito democratico albanese con pochissimi suoi “fedeli” avevano convocato un altro congresso. Che, infatti, più che un vero congresso era una specie di “anticongresso”, per “annebbiare” quanto era stato deciso una settimana fa. Ma anche per “sfumare” quanto si attendeva essere confermato dal referendum che si stava svolgendo lo stesso giorno, il 18 dicembre. Un compito veramente difficile, ma che in realtà era impossibile. Sì, perché la maggior parte dei delegati del congresso, ufficialmente noti come tali, avevano ormai espresso la loro convinzione e decisione una settimana fa. Ragion per cui loro non potevano essere presenti nel congresso del 18 dicembre. Questo semplice ma testardo fatto lo sapevano benissimo anche l’ormai ex dirigente del partito democratico e quei pochissimi suoi “fedeli”. Ma per portare il loro “progetto” fino in fondo, avevano preso le loro misure. Misure misere e vergognose, che in realtà, fotografie, riprese video e denunce fatte alla mano, sono state smascherate subito e senza ombra di dubbio. Sono suonate ridicole ed inverosimili le dichiarazioni della persona incaricata per la gestione della votazione quando ha dichiarato la partecipazione al congresso di 5004 delegati! Una misera bugia quella sua, perché la sala dove si svolgeva il congresso non poteva contenere quel giorno più di 1958 persone sedute. Ha contato le sedie in diretta un giornalista, a congresso finito. Ma lo confermava facilmente anche una ricerca su internet. E guarda caso, subito dopo essere stata resa nota quella misera bugia, i gestori dell’apposito sito hanno “corretto” la capienza della sala, da 2100 che era, a 5600. Ma avevano dimenticato di “correggere” anche il numero dei posti seduti in sala, lasciando quello reale, e cioè 2100! E si sa, i gestori del sito internet sono dipendenti dell’amministrazione governativa. Mentre l’ex dirigente/usurpatore del partito democratico è stato per tutti questi anni, fatti realmente accaduti, documentati e pubblicamente noti alla mano, una “stampella” del primo ministro. Con tutte le derivanti e drammatiche conseguenze. Ma non bastava solo quella misera bugia. Perché è risultato e documentato che in sala sono stati portati anche dei minori, degli alluni delle scuole medie superiori, studenti di un’università privata, proprietà di un deputato del gruppo parlamentare del primo ministro e di altre persone, che non solo non erano delegati del congresso, ma che non avevano niente a che fare con il partito democratico. Sono stati portati semplicemente per riempire la sala. In più e se per un momento si possa anche presumere che tutti i presenti al congresso del 18 dicembre scorso erano dei delegati, il congresso non poteva prendere nessuna decisione, non essendo raggiunto il quorum necessario. Un’impresa fallita vergognosamente quella degli organizzatori del “anticongresso” di sabato scorso. Ma anche un’ulteriore occasione per gli albanesi di rendersi conto e di conoscere colui che, per otto lunghi anni, aveva usurpato la direzione del partito democratico albanese.

    Chi scrive queste righe, cercando, come sempre, di informare oggettivamente il nostro lettore su quello che accade in Albania, nella regione balcanica e altrove, ha rapportato anche questi ultimi sviluppi. Egli però è convinto che la persona che si trova realmente in grande difficoltà non è solo l’ex dirigente del partito democratico, ormai ufficialmente espulso, ma anche è soprattutto il primo ministro. La protesta svolta lunedì pomeriggio davanti ai suoi uffici ne era un chiaro e significativo messaggio. Mentre sono sempre molto attuali le parole scritte da William Shakespeare. E cioè che “Spesso le aspettative falliscono, e più spesso dove più sono promettenti; e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda e la disperazione più consona”. Sia per il primo ministro albanese, la sua “stampella” ed altri loro “compari” e sostenitori, sia per i tantissimi onesti e sofferenti cittadini albanesi, che non hanno niente in comune con loro.

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