Albania

  • Il vizio esce con l’ultimo respiro

    Niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato.

    Victor Hugo

    Ogni nazione/popolo ha il governo che si merita. Nel bene e nel male. È una frase molto nota ed usata da tempi remoti. Un’affermazione attribuita a Socrate, uno dei più rinomati filosofi della Grecia antica, vissuto venticinque secoli fa. Ma la frase usata da Socrate sarebbe stata espressa non proprio così. Secondo molti studiosi, la frase usata da Socrate era “Ogni nazione/popolo merita il suo sovrano”. Anche perché in quel periodo, più che di governo, si trattava di una persona che gestiva il potere, come despota, come sovrano assoluto. L’incertezza sulle vere parole usate dal noto filosofo è dovuta al fatto che tutti i pensieri di Socrate ci sono pervenuti tramite quanto hanno lasciato scritto altri suoi coetanei e/o discepoli. Ma in tempi molto più recenti, la frase, che ormai si usa comunemente, è quella formulata dal filosofo e diplomatico Joseph De Maistre. Lui era l’inviato del re Vittorio Emanuele I presso la corte dello Zar Alessandro I a San Pietroburgo tra il 1803 e 1817. In una sua lettera, pubblicata su un giornale russo nel 1811 egli scriveva: “Ogni popolo ha il governo che si merita”. E si riferiva a quanto accadeva nella Russia zarista in termini critici.

    “Ogni popolo ha il governo che si merita” è un’affermazione che, purtroppo, lo sta testimoniando anche la realtà albanese; almeno quella vissuta e sofferta dal 2013 in poi. Ma in male però. Analizzando quanto è accaduto durante questi ultimi otto anni, sempre facendo riferimento a dei dati verificabili e ai fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati, risulta che gli albanesi sono diventati sempre più permissivi, indifferenti e, addirittura apatici. Ma anche “pragmatici”. Le ragioni potrebbero essere diverse e specifiche per diversi gruppi sociali e/o per dei singoli individui. Ovviamente la sempre più crescente delusione dai rappresentanti politici dei vari partiti ha fatto la sua. Ma anche la crescente povertà, quella realmente vissuta e non mascherata dai tanti “abili giochetti statistici” delle istituzioni governative, ha indotto gli albanesi a “scendere a patti”, vendendo il loro voto in cambio di soldi e/o di generi alimentari. Un fenomeno questo sempre più presente e sempre più diffuso, soprattutto nelle aree rurali. Ma anche nelle città, compresa la capitale. Un fenomeno che è stato evidenziato e sottolineato nei rapporti ufficiali degli osservatori internazionali durante le ultime elezioni, quelle del 25 aprile scorso, che hanno permesso all’attuale primo ministro di ottenere il suo terzo mandato. Ma ci sono anche altre ragioni che hanno permesso agli albanesi di “tollerare” e di avere il “governo che si meritano”. Lo hanno fatto per degli interessi diversi. Lo hanno fatto la maggior parte degli impiegati nell’amministrazione pubblica, per paura di perdere il lavoro e/o perché erano stati costretti a dimostrare il voto, fotografando le schede elettorali, in piena violazione delle leggi in vigore. Lo hanno fatto non pochi imprenditori che sono in “buoni rapporti” con il governo. E loro stessi, come datori di lavoro, hanno obbligato coloro che sono stipendiati in quelle imprese. Lo hanno fatto anche non pochi “rappresentanti” della società civile che beneficiano della “generosità” del governo e/o di tutti quelli che finanziano i loro progetti, comprese anche alcune ambasciate e/o organizzazioni internazionali. E coloro che sono ormai “rappresentanti’ della società civile in Albania non sono pochi.  Ma, ovviamente, in tutto ciò hanno contribuito anche alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Così come hanno contribuito, perché direttamente interessati, diversi clan della criminalità organizzata, non solo quella locale, che da anni ormai, contenuti dei rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate internazionali alla mano, ma non solo, collaborano strettamente con i rappresentanti politici. Si tratta di quell’alleanza che, da anni ormai, l’autore di queste righe sta informando il nostro lettore. E cioè dell’alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Ragion per cui, nolens volens, anche il popolo albanese, durante questi ultimi anni merita il governo che ha. Che diventa sempre peggiore. Ma purtroppo, parafrasando la sopracitata frase formulata da Joseph De Maistre, sembrerebbe che il popolo albanese meriti anche l’opposizione che ha.

    L’autore di queste righe, da anni, ma soprattutto dal 2017, ha spesso trattato per il nostro lettore questa drammatica situazione in cui si trovava l’opposizione albanese, riferendosi, prima di tutto, ai dirigenti dell’opposizione, quelli del partito democratico in primis, essendo quel partito il maggiore partito dell’opposizione. Si tratta del primo partito oppositore della dittatura comunista, costituito il 12 dicembre 1990. Si tratta proprio di quel partito che ha organizzato e ha guidato tutte le massicce proteste che hanno portato alla caduta della dittatura comunista. Da tutti i fatti accaduti alla mano, soprattutto dal 2017 in poi, risulta che il dirigente del partito democratico, allo stesso tempo anche il capo dell’opposizione, in carica dal 2013, solo due mesi prima che il primo ministro cominciasse il suo primo mandato, ha deluso tutte, veramente tutte le aspettative. Aspettative che diventano un obbligo istituzionale, ma anche personale e riguardano le responsabilità politiche da onorare. Il capo del partito democratico, durante tutto il suo operato come tale, con le sue decisioni prese, con le sue scelte fatte, ha palesemente dimostrato che più di un dirigente del partito, è stato un usurpatore di quell’incarico istituzionale. Ragion per cui anche l’autore di queste righe, da tempo ormai, quando si riferisce a lui lo considera proprio come l’usurpatore del partito democratico. Un individuo che si ricorderà come una persona che ha promesso pubblicamente e mai ha mantenuto e rispettato una sola sua promessa fatta. Un individuo che ha mentito ripetutamente e costantemente non solo agli elettori del partito democratico, ma anche ai cittadini albanesi. Un individuo che ha cercato in seguito, dopo ogni sua promessa non mantenuta, dopo ogni sua bugia pubblica, di ingannare di nuovo, facendo altre promesse e pronunciando pubblicamente altre bugie. Un individuo che con il suo operato non ha fatto altro che facilitare l’operato disastroso del suo “avversario politico”, il primo ministro, diventando così una sua misera “stampella”.

    L’autore di queste righe e, come lui, anche tanti altri, da innumerevoli fatti accaduti alla mano, non può non pensare che l’usurpatore del partito democratico ha avuto almeno due compiti prestabiliti da attuare, nonostante possano sembrare alquanto strani ed inverosimili. Il primo è stato la continua disgregazione delle strutture del partito democratico. Il secondo è stato quello di corrodere e di corrompere lo spirito della sacrosanta ribellione dei cittadini di fronte alla violazione dei loro diritti. Purtroppo, da tutto quello che è accaduto e pubblicamente noto in questi ultimi anni, risulterebbe che tutti e due questi compiti sono stati esauditi dall’usurpatore del partito democratico, allo stesso tempo capo dell’opposizione albanese. Di tutto ciò, da anni, l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore. Compresi anche gli articoli degli ultimi mesi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021). Così come ha informato il nostro lettore della nascita, dal settembre scorso, di un nuovo Movimento che ha, come obiettivo primario, la ricostituzione del partito democratico albanese con i principi del conservatorismo occidentale. Un Movimento il quale, da quando è stato avviato, sta avendo sempre più appoggio dalla base del partito ma che sta attirando anche l’attenzione di tutta l’opinione pubblica, avendo così lo sviluppo che, da più di tre mesi ormai, sta offuscando tutti gli altri. Un Movimento che, in rispetto dello Statuto del partito democratico albanese, in seguito alla richiesta di almeno un quarto dei delegati del congresso del partito, ha convocato l’11 dicembre scorso il congresso straordinario del partito. E proprio quel congresso si è svolto sabato scorso, alla presenza di circa 65% dei delegati. Durante quel congresso i legittimi partecipanti hanno preso diverse decisioni importanti che si riferivano a diversi e necessari emendamenti dello Statuto del partito. Durante il congresso dell’11 dicembre scorso i delegati hanno votato anche l’espulsione dell’usurpatore del partito democratico come dirigente del partito. E per rendere quella decisione più democratica possibile, sempre durante il congresso del sabato scorso, i delegati hanno deciso anche la votazione di tutti gli iscritti del partito democratico sabato prossimo, 18 dicembre, tramite un referendum, per la conferma di quella decisione. In più, i delegati del congresso hanno votato anche la costituzione di una Commissione transitoria per la ricostituzione del partito democratico. Una Commissione che coordinerà tutte le attività del partito democratico fino alla ristrutturazione degli organi dirigenti del partito, in centro e sul tutto il territorio. In più, questa Commissione avrà il compito di organizzare la convocazione del congresso ricostituivo del partito democratico, il 22 marzo 2022.

    Nel frattempo, l’usurpatore del partito democratico, non più dirigente dall’11 dicembre scorso, ma soltanto un semplice deputato, trovandosi in vistosa difficoltà, con alcuni suoi “fedelissimi”, sta cercando di fare “diversione”. Stanno cercando di ingannare di nuovo. E come sempre, si stanno contraddicendo vistosamente, vergognosamente e miseramente. Ma a loro non importa che stanno diventando ridicoli pubblicamente. Per loro si tratta di una “reazione” di sopravvivenza. Ragion per cui tutto è permesso. Bugie, promesse, inganni e “minacce” comprese. Ma come la saggezza popolare ci insegna, in diverse lingue, il vizio esce con l’ultimo respiro. Saggezza, che si sta dimostrando anche adesso, in queste ultime settimane e in questi ultimi giorni, con quanto sta facendo l’ormai ex dirigente/usurpatore del partito democratico albanese. Ma la sua corsa è agli ultimi metri. E la fine di quella corsa, con ogni probabilità, sarà quella che lui e i suoi pochi, pochissimi “fedeli” non avrebbero mai voluto accadesse. E insieme con l’ormai ex dirigente e usurpatore del partito, neanche il suo “protettore”, il primo ministro, avrebbe voluto accadesse.

    Chi scrive queste righe, visti gli sviluppi prodotti dal Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese, continuerà a seguirli e poi informare il nostro lettore. E sempre con la massima oggettività possibile. Egli però e convinto che se non ci fosse questo Movimento, la situazione in Albania sarebbe stata peggiore di quella del settembre scorso, quando il Movimento prese via. Perché l’ormai costituita dittatura sui generis in Albania non avrebbe avuto, come in questi ultimi anni, nessun vero ostacolo oppositivo. Adesso potrebbe rinascere la speranza per gli albanesi che la frase “Ogni nazione ha il governo che si merita” possa avere una connotazione positiva in futuro. Anche perché, come era convinto Victor Hugo, niente è più forte di un’idea il cui tempo è arrivato. E quell’idea potrebbe essere rappresentata dal nuovo Movimento. Spetta però agli albanesi vegliare e fare di tutto perché quell’idea possa essere realizzata senza alterazioni. Agli albanesi la scelta.

  • Consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura

    La tolleranza diventa un crimine quando applicata al male.

    Thomas Mann

    Durante i secoli ogni popolo, a seconda dell’appartenenza religiosa, della tradizione e della storia vissuta, ha stabilito le sue festività che devono essere rispettate e celebrate. Comprese quelle che si riferiscono all’indipendenza e alla liberazione del proprio Paese. Sì, perché durante la loro lunga storia, ogni popolo ha dovuto combattere il male dell’oppressione e dell’occupazione.

    In Italia, per esempio, si celebra ogni anno dal 1946, la festa della Repubblica, per ricordare ed onorare la nascita della Repubblica italiana. Una scelta che fecero gli italiani, tra la monarchia e la repubblica, tramite il referendum istituzionale tenuto il 2 ed il 3 giugno 1946. Una scelta che è stata determinata anche dal fatto che la famiglia reale dei Savoia diede il suo appoggio al regime fascista. Da quel giugno del 1946, gli italiani festeggiano il 2 giugno la festa della loro Repubblica. Così come festeggiano, dal 1945, ogni 25 aprile anche la festa della Liberazione, per commemorare la liberazione dell’Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, sia da una dura, spietata e sofferta occupazione nazista, che dal regime fascista che lo ha preceduto.

    In Francia si celebra, ogni 14 luglio dal 1880, la Festa Nazionale francese per eccellenza, le 14 juillet. Una ricorrenza proposta e decisa per ricordare ed onorare non la presa della Bastiglia (14 luglio 1789; n.d.a.), ma la festa della Federazione, ossia il giuramento federativo del 14 luglio 1790. Giorno in cui, a Parigi, si radunarono in tantissimi per salutare la grande armata dei federati, guardie nazionali e volontari, provenienti da tutti i dipartimenti della Francia per dare appoggio alla rivoluzione. Quel giorno loro prestarono giuramento “alla Nazione, alla Legge e al Re”. In Francia si celebra, dal 1944, anche il 25 agosto. Era il giorno della liberazione di Parigi dai nazisti da parte delle forze armate francesi ed americane, dopo lo sbarco degli alleati in Normandia, il 6 giugno 1944. Ma era dal 19 agosto che i parigini erano stati ribellati contro le forze naziste presenti nella capitale, sapendo anche dell’arrivo delle truppe alleate. Era però la 2a divisione blindata francese, e non altre truppe che, dietro la ferma insistenza del generale Charles de Gaulle già dalla notte del 24 agosto entrò a Parigi. Si è trattato, soprattutto, di un atto con una grande valenza simbolica che i dirigenti militari francesi, de Gaulle in testa, volevano a tutti i costi. Perché volevano ridare alla Francia tutto il suo prestigio perso con l’occupazione nazista nel giugno 1940 e la costituzione del governo collaborazionista, la cosiddetta repubblica di Vichy. Così facendo, i dirigenti francesi affermavano la rinascita della Francia e la sua parità con le altre grandi potenze alleate. Un’altra ricorrenza che si celebra in Francia è l’8 maggio, la festa della Vittoria (la Fête de la Victoire; n.d.a.). Una festa che ricorda la vittoria delle truppe alleate contro i nazisti e la fine, nel territorio europeo, della seconda guerra mondiale. L’8 maggio 1945 è stato scelto proprio per ricordare la resa definitiva e senza condizioni della Germania nazista, dopo i negoziati della capitolazione tra il 7 ed il 9 maggio 1945. E come in Italia ed in Francia, le festività e le ricorrenze legate all’indipendenza e alla liberazione si commemorano in tutti i Paesi europei e in tutte le altre parti del mondo. Anche in Albania.

    Il 28 novembre 1912 l’Albania, con l’appoggio anche delle grandi potenze europee, divenne un Paese libero e sovrano, staccandosi definitivamente dall’allora traballante Impero ottomano. Quel giorno non era scelto a caso, ma aveva un forte significato storico. Perché il 28 novembre 1443 l’eroe nazionale dell’Albania, Georgio Castriota, detto Scanderbeg (dalla lingua turca Iscander significa Alessandro e si riferisce ad Alessandro Magno di Macedonia; n.d.a.), tornato nella sua terra natale, dopo aver disertato dall’esercito ottomano, ha cacciato le truppe d’occupazione dal castello della propria famiglia, alzando la sua bandiera. L’indipendenza dell’Albania dall’Impero ottomano è stata riconosciuta internazionalmente, con la firma del Trattato di Londra, il 30 maggio 1913. Da quel tempo, il 28 novembre viene celebrata come la festa Nazionale dell’Albania. Ed era proprio il 28 novembre 1944, quando l’ex dittatore comunista proclamò questa data anche come la festa della Liberazione dell’Albania dall’occupazione fascista e nazista, durante la seconda guerra mondiale. Una proclamazione ufficializzata dal Bollettino n.51 del 28 novembre 1944, che veniva pubblicato allora quotidianamente dal partito comunista. In quel Bollettino, riferendosi alla festa dell’Indipendenza, si scriveva: “I festeggiamenti del grande giorno del 28 novembre che ricorda la vittoria dell’Indipendenza nazionale nel 1912 e che quest’anno coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania continueranno per tre giorni…”. Attenzione! Si ribadiva senza equivoci che “coincide con la festa della liberazione di Tirana e di tutta l’Albania”. Ma in poco meno di un anno, il 9 novembre 1945, il partito comunista albanese al potere, durante una riunione della dirigenza del Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale, organo supremo allora, decise diversamente sulla data della Liberazione. La cambiò di solo un giorno, proclamando come tale da allora il 29 novembre. E non a caso. Tutto è dovuto alla totale dipendenza dal partito comunista jugoslavo del partito comunista albanese, già dalla sua costituzione nel novembre 1941. Come “giustificazione” si diede allora un “fatto storico”, inventato a proposito, ma mai documentato e/o testimoniato. Si dichiarò ufficialmente che era proprio il 29 novembre il giorno in cui “…l’ultimo soldato nazista lasciò il territorio albanese” (Sic!). Mentre gli scontri armati, secondo diverse testimonianze, continuarono ancora. La vera ragione era un’altra ed era legata alla Jugoslavia. Il 29 novembre rappresentava una data importante per il partito comunista di Tito. Il 29 novembre 1943, il Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale jugoslavo (imitato come denominazione anche dal partito comunista albanese, come sopracitato) si autoproclamò come l’unico potere legale in Jugoslavia. In più Tito è stato nominato presidente del Consiglio. Ma il 29 novembre in Jugoslavia aveva anche un’altra valenza storica. Il 29 novembre 1945 è stata proclamata la Repubblica popolare federativa della Jugoslavia. Perciò i “vassalli” del partito comunista albanese decisero di cambiare la data della festa di Liberazione dal 28 al 29 novembre, come espressione di devozione e di sudditanza ai cari “compagni” jugoslavi. Bisogna sottolineare che era così forte quella sudditanza, che nel 1946 i dirigenti del partito comunista albanese avevano sottoscritto un Trattato di Amicizia e di Collaborazione, concordato per far diventare più solido il legame tra i due Paesi, che mirava a fare dell’Albania la settima repubblica jugoslava. Per fortuna che in seguito i rapporti peggiorarono e, nel 1948, l’Albania si staccò dall’influenza jugoslava per entrare sotto quella dell’Unione sovietica.

    Da allora, comunque, in Albania continuano ad essere celebrate separate le due feste: quella dell’indipendenza il 28 novembre e quella della Liberazione il 29 novembre.  E continuano, dopo il crollo della dittatura comunista, anche i dibattiti e le discussioni, a vari livelli, tra gli specialisti storici e i rappresentanti politici, sulla vera data della liberazione dell’Albania dall’occupazione nazista. Ma, ad oggi, non c’è un comune accordo. Il partito socialista albanese, diretto discendente del partito comunista, riconosce il 29 novembre come festa della Liberazione. Mentre i partiti della parte opposta festeggiano sia la festa dell’Indipendenza che quella della Liberazione ogni 28 novembre. Ed è proprio il 28 novembre che, dal punto di vista protocollare, arrivano anche tutti i messaggi d’auguri dalle presidenze e dalle cancellerie degli altri Paesi. Anche quelli dagli Stati Uniti d’America, dopo il crollo della dittatura comunista nel 1991, quando si ristabilirono i rapporti diplomatici. All’occasione, oltre al presidente statunitense, che manda un messaggio d’auguri al suo omologo albanese, il Dipartimento di Stato diffonde pubblicamente una dichiarazione con la quale augura in occasione della festa dell’Indipendenza, il 28 novembre. Così è stato anche la scorsa settimana. Ma guarda caso, l’ambasciatrice statunitense in Albania, diversamente dai suoi dirigenti istituzionali del Dipartimento, ha inviato i suoi auguri agli albanesi con un suo “cinguettio” in rete per il 77esimo anniversario della liberazione. “Auguri per il Giorno della Liberazione, Albania!”. Così scriveva l’ambasciatrice. Mettendosi inutilmente, inspiegabilmente e ingiustificabilmente al centro dei dibattiti e delle meritate critiche ed accuse per schierarsi apertamente ed ufficialmente, al contrario del Dipartimento di Stato, in un modo del tutto non diplomatico, con il partito del primo ministro. Cosa che infatti sta facendo pubblicamente da poche settimane, dopo che è stata accreditata. Lei sa anche il perché, ma dovrebbe essere stato un buon motivo che l’ha spinta ad una simile scelta. Dovrebbe però conoscere quel minimo necessario della storia albanese della seconda metà del secolo passato almeno e di quella di questi due ultimi decenni prima di scrivere un simile “messaggio d’auguri”. Perché da quella data, il 29 novembre 1944, considerandola per un momento come giustificata storicamente, l’Albania è stata liberata sì dall’occupazione nazista, ma è entrata in un periodo molto drammatico, durato per più di 46 lunghissimi e soffertissimi anni sotto la più spietata e sanguinosa dittatura comunista dell’Europa dell’Est. Ma così facendo però, l’ambasciatrice statunitense in Albania si schiera apertamente e consapevolmente dalla parte del male, appoggiando una dittatura. Appoggiando proprio la dittatura sui generis restaurata e ormai consolidata, come espressione diretta dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato dal primo ministro istituzionalmente, la criminalità organizzata locale ed internazionale e alcuni clan occulti, anche quelli locali ed internazionali. Ed uno di quei raggruppamenti occulti, il più potente dal punto di vista finanziario e decisionale in Albania, secondo le cattive lingue, ha la sua sede proprio oltreoceano. Sempre secondo le cattive lingue, l’ambasciatrice statunitense in Albania, così come alcuni suoi superiori nel Dipartimento di Stato statunitense, sono sotto le dirette influenze e al servizio di quel raggruppamento occulto di oltreoceano. E, guarda caso, le cattive lingue raramente hanno sbagliato su quello che, da anni, sta accadendo e tuttora accade in Albania.

    Chi scrive queste righe da anni sta denunciando quanto stanno facendo alcuni ambasciatori, quelli statunitensi in primis e certi “rappresentanti internazionali” in Albania. Quanto è stato ormai reso pubblico, dal 15 agosto scorso, su quello che era accaduto per venti anni in Afghanistan, potrebbe rendere meglio l’idea. Chi scrive queste righe ricorda di nuovo al nostro lettore che l’ambasciatrice, come altri suoi predecessori, non ha mai detto una parola per condannare la corruzione galoppante dei massimi rappresentanti politici in Albania. Anche quando i rapporti ufficiali del Dipartimento di Stato statunitense riferivano di una preoccupante realtà. La stessa ambasciatrice era tra le primissime persone che si sono congratulate ufficialmente e pubblicamente, con il primo ministro per la sua “vittoria” elettorale del 25 aprile scorso, prima ancora del risultato finale delle elezioni! E si potrebbe continuare con molti altri fatti, ormai pubblicamente noti, che dimostrerebbero la violazione, da parte dell’ambasciatrice statunitense dell’articolo 41 della Convezione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Chi scrive queste righe, visti anche gli sviluppi di questi ultimi mesi in Albania, pensa che tutti gli albanesi onesti e patrioti devono prendere in mano le loro sorti e anche quelle del Paese ed agire di conseguenza, ribellandosi contro il Male. Perché, come era convinto anche Thomas Mann, la tolleranza diventa un crimine quando applicata al male,

  • La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette

    I codardi non possono mai essere morali.

    Mahatma Gandhi

    Da più di due mesi ormai, l’attenzione pubblica, mediatica e politica in Albania si sta concentrando su un nuovo Movimento che, come obiettivo fondamentale e come missione, ha la ricostituzione del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione in Albania. Si tratta del primo partito, costituito nel dicembre 1990 per opporsi alla dittatura comunista, ma che, purtroppo, dopo trentun anni, ha ormai perso quasi tutto della sua fisionomia politica e combattente. Un partito che adesso, più che un partito che dovrebbe avere e rispettare il sacrosanto obbligo politico, morale, civile e patriottico di opporsi alla nuova dittatura che si sta consolidando in Albania in questi ultimi anni, è diventato, nolens volens, un “alleato” dell’attuale primo ministro. Tutto dovuto alla totale irresponsabilità degli attuali dirigenti del partito, ma soprattutto del capo del partito che dal 2013 lo sta dirigendo. Tutto ebbe inizio un mese dopo che il capo storico del partito, a sua volta presidente della Repubblica (1992-1997) e poi primo ministro (2005-2013), dichiarò le dimissioni irrevocabili da tutte le sue cariche, in seguito alla sconfitta elettorale del partito democratico nelle elezioni del 23 giugno 2013. Ma, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, l’attuale capo del partito democratico più che un dirigente che rispetta lo Statuto del partito durante il suo multidimensionale operato si presenta come un usurpatore del partito. Si presenta come un individuo che, purtroppo, ha trasformato il partito da un’istituzione politica e parte dei valori a livello nazionale in un’impresa molto rimunerativa a gestione familiare. Un’impresa che è stata sempre vista di “buon occhio” dal primo ministro e dai suoi, quando si è trattato e si tratta di assegnare degli appalti pubblici milionari. Il nostro lettore è stato da tempo informato di tutto ciò, a più riprese, dal 2017 in poi. Proprio da quando tra l’usurpatore del partito democratico e il primo ministro c’è stato un accordo occulto solo tra loro due, i contenuti del quale non sono stati mai resi pubblici. Un accordo, le cui gravi conseguenze da allora hanno generato però innumerevoli danni e sofferenze per la maggior parte degli albanesi. Così come il nostro lettore, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, è stato informato durante questi ultimi mesi sia delle evidenti e gravi conseguenze dell’incapacità e dell’irresponsabilità politica e personale dell’usurpatore del partito democratico sia anche di un nuovo e sempre più vasto Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021).

    Si tratta di un Movimento al quale diede inizio il capo storico del partito democratico proprio il 16 settembre scorso a Tirana, durante un incontro con la base e gli iscritti del partito. L’obiettivo primario di questo Movimento è la ricostituzione del partito sulle fondamenta del conservatorismo occidentale, con un programma simile a quelli dei partiti conservatori europei e del partito repubblicano statunitense, ovviamente adattato alle tradizioni, alle condizioni sociali e politiche e alle esigenze future dell’Albania. Parlando del Movimento, il 16 settembre scorso, il capo storico del partito ha detto che si tratta di un importante impegno, con una valenza storica, che la base del partito democratico si sta avviando a compiere per avere un partito democratico più unito, più forte, più aperto e più sicuro, tenendo presente le sfide del futuro. La scorsa settimana l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo Movimento e dei suoi obiettivi (Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso; 22 novembre 2021).

    Bisogna sottolineare che, nel frattempo, questo Movimento ha messo in serie e vistose difficoltà non solo l’usurpatore del partito democratico, ma soprattutto il primo ministro. Anche perché proprio l’abbattimento del regime da lui restaurato e consolidato in questi ultimi anni rappresenta uno degli obiettivi pubblicamente e ripetutamente dichiarati del Movimento. Ragion per cui si sono messi in moto tutti i potenti mezzi governativi ed altri ancora contro questa avviata iniziativa ed azione politica che sta avendo un grande e sempre crescente appoggio. E non solo dalla base, dagli iscritti e dai rappresentanti politici del partito democratico a tutti i livelli, ma anche da altri cittadini che stanno soffrendo sempre più la vera, drammatica e quotidianamente vissuta realtà albanese. Non a caso tutta la propaganda del primo ministro, la vasta schiera dei media da lui controllati, gli analisti e gli opinionisti a pagamento si stanno ormai dando da fare, per appoggiare palesemente e senza batter ciglio l’usurpatore del partito democratico. Proprio colui che fino a pochi mesi prima era un bersaglio quanto facile da affrontare, tanto ridicolo da prenderlo in giro ed umiliarlo, riferendosi alle continue contraddizioni ed incoerenze logiche, espresse durante le sue dichiarazioni pubbliche. Ormai sembrerebbe che gli “strateghi” del primo ministro stiano cercando di fare del loro meglio, proprio per aiutare a sopravvivere la “stampella” del primo ministro, e cioè l’usurpatore del partito democratico albanese.

    Proprio colui che soltanto nell’arco di questi due ultimi mesi è passato, da un lungo ed evidenziato “silenzio e scomparsa pubblica”, per più di un mese, ad una riapparizione mediatica, proprio negli studi televisivi controllati dalla propaganda governativa. Si è anche “ricordato” di diffondere per il pubblico le sue “opinioni e convinzioni”, tramite i “cinguettii” su Twitter. Ma così facendo però, ha messo chiaramente e pubblicamente in evidenza la metamorfosi delle sue affermazioni, che in realtà rappresenta lo stato d’anima di un vigliacco messo alle strette. Di un individuo, però, che ha la capacità di essere portatore attivo di quello che George Orwell, nel suo rinomato e molto letto romanzo 1984, chiamava il “Bipensiero” (Doublethink). E cioè la capacità, innata oppure inculcata, di un individuo di sostenere simultaneamente due pensieri del tutto diversi, due opinioni in palese contraddizione logica; di accettarle come esatte e di difendere, convinto, in pubblico la veridicità di entrambe! Il 9 settembre scorso, l’usurpatore del partito democratico albanese, in palese violazione dello Statuto del partito, aveva preso personalmente la decisione di espellere dal gruppo parlamentare il capo storico del partito democratico. Ma, da grande ipocrita e bugiardo qual è, l’usurpatore ha espresso la sua massima valutazione politica ed umana per il suo predecessore. Alcuni giorni dopo, trattando quella decisione personale dell’usurpatore del partito, l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “Lo ha fatto, da vigliacco, da misero ipocrita, bugiardo ed impostore qual è, all’ultimo momento, proprio la sera di giovedì scorso e poche ore prima che cominciasse, nella mattinata del giorno seguente, la prima sessione della decima legislazione del Parlamento. Una forzata e ordinata decisione, presa da una persona che, come dicono in tanti in Albania, è sotto pressione, perché è ricattata e ricattabile” (Meglio perderli che trovarli; 13 settembre 2021). Dopo aver preso quella “sofferta decisione della sua vita”, l’usurpatore del partito democratico, per alcune settimane, ha continuato ad elogiare il capo storico del partito. Lo ha fatto, “recitando il suo ruolo”, rivolgendosi anche al primo ministro in parlamento, affermando: “Non tolgo neanche una virgola alle parole [di riconoscimento e di elogio] che ho detto…e le valutazioni che ho fatto…”, riferendosi al capo storico del partito. Nel frattempo però il Movimento per la ricostituzione del partito democratico cresceva e diventava sempre più un grande pericolo personale per lui. Ma anche per il primo ministro, suo “protettore”. Ragion per cui, l’usurpatore “decise di attaccare”. Non importava più quello che aveva detto fino a poco fa. L’unica cosa che importava era lui stesso. La sua “metamorfosi” verbale cominciata il 23 ottobre scorso, quando considerò il capo storico del partito una persona che “…sta cercando di far diventare il partito democratico un bunker per i propri problemi”. In seguito e mentre il Movimento cresceva, l’usurpatore ha parlato del “triangolo delle Bermuda”, un lato del quale era l’ormai il suo nemico dichiarato, il capo storico del suo partito. Per poi arrivare finalmente ad una aperta “dichiarazione di guerra”, il 12 novembre scorso, durante un’intervista rilasciata per una rete televisiva a lui “amica”. In quell’intervista ha attaccato il capo storico del partito, affermando che “solo adesso lo stava veramente conoscendo per quello che realmente era”. Ma tutto quello che ha dichiarato “faceva a pugni” con quanto lui stesso aveva detto pubblicamente fino a pochi giorni fa. Ma non importava più. La metamorfosi verbale era, nel frattempo, avviata e non poteva più fermarsi. Il 7 novembre scorso l’usurpatore diceva, riferendosi sempre al suo ormai dichiarato nemico, che “il suo tempo era finito”. Mentre in queste ultime settimane, sia l’usurpatore del partito democratico che quei pochissimi “fedeli” rimasti hanno aumentato gli “attacchi” contro il “nemico comune”. La “metamorfosi” però non è rimasta solo verbale. È diventata anche decisionale. Circa un mese fa, il capo storico del partito democratico aveva annunciato la convocazione del congresso straordinario del partito l’11 dicembre 2021, chiesto, come prevede lo Statuto, da un quarto dei delegati (in realtà erano state raccolte le firme di più della metà dei delegati del congresso e che continuano ad aumentare). Allora l’usurpatore del partito ha dichiarato che non avrebbe mai permesso un simile congresso, nonostante in questo caso lo Statuto prevede la convocazione senza dover chiedere nessun permesso né dal capo del partito e né da tutti gli organi dirigenti del partito, riconoscendo ai delegati la “sovranità”. E siccome neanche tutti gli “argomenti” usati da lui e dai suoi pochissimi “fedeli” sono serviti a nulla, allora si è arrivati alla “trovata”. L’usurpatore ha dichiarato la convocazione del congresso del partito per il 18 dicembre 2021! Proprio una settimana dopo la convocazione chiesta e decisa da un quarto dei delegati (attualmente sono circa 70% dei delegati che hanno firmato le schede)! Chissà quale sarà l’altra “metamorfosi” decisionale, oltre a quelle verbali, pronunciata dall’usurpatore del partito e/o da chi per lui?! Ma senz’altro sarà una metamorfosi di un vigliacco messo alle strette.

    Chi scrive queste righe è convinto che quanto sta accadendo in queste ultime settimane testimonia la grave crisi esistenziale che sta attraversando l’usurpatore del partito democratico albanese e i suoi veramente pochi, pochissimi “fedeli”. Sono diventati ridicoli e del tutto incredibili. In pieno panico, e anche costretti e ricattati in lingua inglese, stanno agendo da codardi e vigliacchi. Però come non dare ragione a Mahatma Gandhi, il quale era convinto che i codardi non possono mai essere morali.

  • Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso

    Non aspetto mai di vedere un lavoro perfetto fatto da un uomo imperfetto.

    Alexander Hamilton; Il Federalista

    Era il dicembre del 1990. In quasi tutti i Paesi dell’Europa centrale ed orientale erano crollati i regimi totalitari comunisti. Tutto in seguito a quelle che, nel 1989, si chiamarono le Rivoluzioni delle Nazioni. I primi segnali erano stati dati però in Polonia, nel 1980, dalle manifestazioni degli operai nei cantieri navali di Danzica e dalla costituzione del sindacato indipendente Solidarność (Solidarietà). Ma era dopo la proclamazione nell’Unione Sovietica delle due dottrine politiche di Glasnost (Trasparenza) e di Perestrojka (Ristrutturazione) che nei Paesi dell’Est Europa sono stati fomentati e cominciati i primi movimenti contro i regimi totalitari. Nelle elezioni parlamentari del giugno 1989 in Polonia Solidarność, diventato partito politico, vinse tutti i seggi della Camera dei Deputati e 99 dei 100 seggi del Senato. Nell’ottobre 1989, durante una seduta del Parlamento ungherese si decise di avere elezioni parlamentari multipartitiche e l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Il 9 novembre 1989, una data che rimarrà nella memoria collettiva, crollò il muro di Berlino. Il 10 dicembre 1989, dopo delle massicce proteste pacifiche ad oltranza a Praga, crollò anche il regime comunista della Cecoslovacchia. Il 22 dicembre 1989 in Romania veniva giustiziato il segretario generale del partito comunista, catturato dopo il suo disperato tentativo di fuga ed in seguito alle massicce proteste a Bucarest ed in altre città. Cadeva così un altro regime. La stessa fine ebbe anche il regime comunista in Bulgaria, dopo le elezioni del giugno 1990. Simili sviluppi politici seguirono nei Paesi baltici, ai quali fu riconosciuta la loro indipendenza dall’Unione Sovietica nel settembre 1991. Il 1º dicembre l’Ucraina proclamò la sua indipendenza dall’Unione Sovietica dopo un referendum, per poi arrivare alla caduta definitiva del regime comunista nella stessa Unione Sovietica. Era il 25 dicembre 1991 quando, sul Cremlino, sventolò di nuovo dal 1917, la bandiera della Russia.

    L’unico Paese dell’Est Europa nel quale ancora, nel 1991, governavano i comunisti era l’Albania. Ma anche in Albania le proteste contro la dittatura comunista cominciarono già nel 1990, in seguito alle influenze delle Rivoluzioni delle Nazioni in altri Paesi del blocco comunista. Era proprio l’8 dicembre 1990 quando gli studenti dell’Università di Tirana scesero numerosi in piazza per protestare contro il regime. Proteste, alle quali subito dopo si sono uniti i cittadini della capitale. Alcuni giorni dopo, l’11 dicembre 1990, in uno degli edifici del campus universitario si riunirono i rappresentanti degli studenti, insieme con alcuni loro professori. Alla fine di quella riunione si costituì il primo partito d’opposizione in Albania, il partito democratico. Era il 12 dicembre 1990. In seguito il partito democratico organizzò le proteste contro la dittatura, costringendo i massimi suoi dirigenti a indire le prime elezioni pluripartitiche nel marzo 1991. Elezioni che però sono state manipolate e vinte dal partito comunista. Ma l’onda delle proteste massicce continuò e costrinse l’allora primo ministro a dimettersi nel giugno 1991. Seguirono due altri governi, uno il cosiddetto governo della stabilità fino a dicembre 1991 e l’altro un governo tecnico che doveva portare il Paese verso le nuove ed anticipate elezioni fissate per il 22 marzo 1992. In quelle elezioni il partito democratico albanese vinse 92 dei 140 seggi del Parlamento. Cominciò così, ventinove anni fa, il lungo e tortuoso periodo, ancora in corso, della transizione democratica dell’Albania. Ma purtroppo, non solo quel processo non è ancora terminato, ma dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, in Albania, in questi ultimi anni è stato restaurato e si sta consolidando un nuovo regime totalitario. L’autore di queste righe da anni e spesso ha informato il nostro lettore di questa sempre più grave e preoccupante realtà.

    Dal settembre 2013 al potere in Albania vi è il partito socialista, che è il diretto discendente politico del famigerato partito comunista albanese. Non solo, ma sempre dati alla mano, alcuni dei massimi rappresentanti del governo, compreso il primo ministro, nonché altri alti dirigenti delle istituzioni governative e statali in Albania, sono dei diretti discendenti e/o parenti dei dirigenti del partito comunista degli anni ’80 del secolo passato. E dal 2013 in poi il partito socialista sta diventando, sempre più, un partito nel quale tutto viene deciso dal suo capo, che è il primo ministro. Proprio tutto. Mentre gli altri ubbidiscono, sottomessi, ma in cambio di benefici abusivi e corruttivi. Una situazione questa che ormai è nota a tutti.

    Il partito democratico albanese, dopo aver perso alle elezioni del 23 giugno 2013 e dopo le dimissioni irrevocabili del suo capo storico da ogni incarico istituzionale, purtroppo ha archiviato solamente delle sconfitte elettorali e non solo. Il partito democratico, dal 2013 in poi, con le sue decisioni politiche, ha semplicemente facilitato il “compito” al primo ministro nella sua folle, irresponsabile e pericolosa corsa verso il continuo consolidamento della nuova dittatura in Albania. Anche di questi preoccupanti sviluppi il nostro lettore è stato continuamente informato. Così come è stato sempre informato, dal 2017 in poi, anche delle dirette responsabilità politiche ed istituzionali dell’attuale capo del partito democratico di una simile e grave situazione sociale e politica in Albania. In più, e sempre dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il capo del partito democratico e dell’opposizione risulta essere più che un dirigente un usurpatore del partito. Le cattive lingue da tempo dicono che lui è stato selezionato e poi sostenuto per avere quell’alto ed importante incarico politico ed istituzionale dallo stesso sostenitore oltreoceano dell’attuale primo ministro. Le cattive lingue da tempo stanno ripetendo che l’usurpatore del partito democratico albanese è stato scelto per fare sempre la “stampella” al primo ministro. E, come spesso è accaduto e accade in Albania, le cattive lingue hanno avuto sempre ragione. Quanto è accaduto e sta accadendo testimonia che all’usurpatore del partito democratico è stato assegnato un duplice compito, per quanto possa sembrare strano ed improprio. Quello di sgretolare e rendere non funzionali le strutture del partito, con tutte le derivate conseguenze. Ma anche quello di inculcare l’indifferenza e l’apatia e di annientare lo spirito di ribellione e delle proteste degli albanesi contro le ingiustizie, le continue violazioni dei sacrosanti diritti dei cittadini, contro gli scandalistici abusi e la galoppante corruzione governativa. E fino ad ora quel duplice compito l’usurpatore del partito democratico è riuscito a farlo.

    Fino ad ora però. Perché da alcuni mesi, ma soprattutto dallo scorso settembre, la posizione politica ed istituzionale dell’usurpatore sembrerebbe essere stata messa in serie difficoltà. Tutto dopo l’espulsione, con una decisione personale dell’usurpatore, in piena e palese violazione dello Statuto, il 9 settembre scorso, del capo storico del partito democratico dal gruppo parlamentare. Risulterebbe che questa decisione sia stata presa dietro dei ricatti fatti all’usurpatore del partito democratico in lingua inglese. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questi recenti sviluppi (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021). La situazione è diventata così allarmante politicamente, ma anche con delle dirette conseguenze sociali, che nel partito democratico, dallo scorso settembre, si è messo in moto un crescente Movimento interno. Un Movimento guidato dal capo storico del partito, con un vasto e sempre in crescita sostegno della base, dei dirigenti locali delle strutture del partito e di non pochi deputati, contro l’operato dell’usurpatore del partito democratico e di alcuni pochi, pochissimi altri dirigenti del partito, suoi “fedeli”. Un operato del tutto in palese violazione dello Statuto del partito, fino al punto che anche i “fedeli” dell’usurpatore non sono stati eletti come prevede lo Statuto, ma sono semplicemente nominati da lui per servire, ubbidienti, il “benefattore”. Così facendo lui, il “benefattore”, ha trasformato, purtroppo, il partito democratico, sempre dati e fatti accaduti alla mano, in un’impresa famigliare molto rimunerativa. Godendo però anche della “magnanimità” del primo ministro e dei suoi. Che poi sono anche coloro che ne traggono non pochi benefici. Come risulterebbe sia da fonti mediatiche, ma anche dalle accuse dirette, documentate e pubbliche che, durante queste ultime settimane, sta facendo e denunciando il capo storico del partito in molti suoi incontri con la base sul tutto il territorio. Durante questi quasi tre mesi sono state depositate anche le firme della maggior parte dei delegati del Congresso del partito, come prevede lo Statuto, per convocare proprio il Congresso. Il numero delle firme sta aumentando con il tempo. Comunque, siccome è stata ormai superata la soglia prevista dallo Statuto del partito, la convocazione del Congresso straordinario, richiesto almeno da un quarto dei delegati, è stata fissata per l’11 dicembre prossimo. Anche il simbolismo vuole e merita la sua parte! Sì perché era proprio l’11 dicembre del 1990 quando si radunarono i rappresentanti degli studenti, insieme con alcuni loro professori, e costituirono il partito democratico albanese. Adesso, dopo trentuno anni, il partito ha un indispensabile bisogno di ricostituirsi sugli stessi principi messi nelle sue fondamenta nel dicembre 1990, quando si costituì per la prima volta. E fino all’11 dicembre sono rimaste soltanto tre settimane. Nel frattempo l’usurpatore del partito, quel misero e solitario perdente, si sente sempre più solo ed isolato dalla base, circondato soltanto da quei suoi pochi “fedelissimi”. E che, guarda caso, sta avendo però tutto il sostegno della potente propaganda mediatica del primo ministro, nonché dei suoi tanti “opinionisti” a pagamento, i quali, fino a pochi mesi fa hanno fatto dell’usurpatore del partito democratico un ridicolo bersaglio. Chissà perché questo cambiamento di “strategia” adesso, in queste ultime settimane?!

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire ed informare il nostro lettore su tutti questi sviluppi, cercando, come sempre ha fatto, di essere più oggettivo possibile. Egli è però convinto che si tratta di sviluppi che oltrepassano il partito democratico albanese per la loro importanza. Sono sviluppi che interessano tutti gli albanesi onesti e patrioti, vista la drammatica, preoccupante, pericolosa e sofferta realtà albanese. E siccome la base ideologica per la ricostituzione del partito democratico è quella del conservatorismo occidentale, bisogna tenere presente anche il pensiero politico di Alexander Hamilton, un conservatore per eccellenza e uno dei tre autori della raccolta dei saggi The Federalist (Il Federalista, pubblicato a New Your nel 1788; n.d.a.). Compreso quanto egli affermava sugli “imperfetti” – e l’imperfezione sarebbe solo uno dei ben altri difetti dell’usurpatore del partito democratico albanese – e cioè che non bisogna aspettare mai di vedere un lavoro perfetto fatto da un uomo imperfetto.

  • Preoccupanti avvisaglie dai Balcani

    Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate,

    ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.

    Martin Luther King

    A volte una sola fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda, cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Un’inequivocabile e significativa testimonianza è stata evidenziata la scorsa settimana. Una fotografia scattata durante un vertice a Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre scorso, ha svelato una verità che si stava cercando con tutti i modi di nasconderla. Una verità che da anni però era stata pronunciata, ma mancavano ancora delle convincenti e esaustive evidenze per togliere ogni dubbio e crederla.

    La scorsa settimana a Belgrado si è tenuto un vertice di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. L’anfitrione, il presidente della Serbia, insieme con i suoi due ospiti, il primo ministro albanese ed il vice primo ministro della Macedonia del Nord, si sono incontrati ed hanno discusso tra di loro. Non era presente il primo ministro macedone, come al solito in tutti gli altri precedenti incontri, perché il 31 ottobre scorso aveva annunciato le sue dimissioni subito dopo la pesante sconfitta del suo partito nelle elezioni amministrative (17 e 31 ottobre 2021). Per due giorni a Belgrado si è parlato dell’iniziativa regionale riconosciuta adesso come i “Balcani Aperti” (Open Balcan). Gli obiettivi di base dell’iniziativa sono stati resi pubblici però circa due anni prima, il 10 ottobre 2019, a Novi Sad (Serbia), ma allora quella era stata battezzata come l’iniziativa del “Mini-Schengen balcanico”. Nome con il quale veniva identificata fino al 29 luglio 2021, per poi essere ribattezzata con il nome Open Balcan, durante il Forum di Skopje (Macedonia del Nord), per la cooperazione economica regionale. Bisogna sottolineare che a tutti i vertici che hanno trattato i contenuti e gli accordi del “Mini-Schengen balcanico”, prima e dopo l’iniziativa ribattezzata come Open Balcan, hanno partecipato soltanto i massimi rappresentanti di tre tra i sei Paesi dei Balcani occidentali. Si tratta del presidente serbo, del primo ministro albanese e del primo ministro macedone. Gli altri, quelli del Montenegro, della Bosnia ed Erzegovina e del Kosovo, hanno sempre rifiutato di partecipare, considerando l’iniziativa come non rappresentativa degli interessi dei propri Paesi. È necessario sottolineare che i “Balcani occidentali” sono semplicemente una denominazione “geopolitica”, più che una vera entità e realtà geografica. Nei Balcani occidentali vengono raggruppati la Serbia, la Macedonia del Nord, il Montenegro, la Bosnia ed Erzegovina, il Kosovo e l’Albania. Un raggruppamento quello di tutte le repubbliche dell’ex Jugoslavia, tranne la Slovenia, la Croazia ed il Kosovo, che allora era parte della repubblica serba. La denominazione “Balcani occidentali” è stata coniata, per la prima volta, da alcuni rappresentanti diplomatici francesi presso le istituzioni dell’Unione europea all’inizio degli anni 2000. Chissà perché?!

    L’iniziativa Open Balcan, come quella sua simile del “Mini-Schengen balcanico” è stata presentata come un’iniziativa regionale che garantisce la libertà di circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. I suoi obiettivi mirano allo sviluppo ed al rafforzamento della collaborazione economica e commerciale tra i tre Stati aderenti, visto che gli altri tre hanno sempre rifiutato di partecipare. Durante l’ultimo vertice, quello di Belgrado della scorsa settimana, si è concordato, tra l’altro, di abbattere gli ostacoli e di abolire le barriere doganali tra i Paesi. In più, si prevede che i cittadini dei tre Paesi aderenti all’iniziativa possono circolare passando le frontiere con solo una carta d’identità. Da sottolineare però che tra la Serbia e l’Albania non c’è un confine comune. Ma la Serbia, non riconoscendo lo Stato del Kosovo e ribadendo che il Kosovo è parte integrante della Serbia, considera come suo confine con l’Albania proprio quello del Kosovo. Una situazione un po’ strana e contraddittoria questa, perché l’Albania è tra i primissimi degli altri 116 Paesi in tutto il mondo che, dal 2008 ad oggi, hanno riconosciuto lo Stato del Kosovo. In più suonano demagogiche tutte le dichiarazioni e diventano, perciò, strani tutti gli inviti dei massimi rappresentanti della Serbia per convincere il governo del Kosovo ad aderire all’iniziativa Open Balcan. Perché in quell’iniziativa aderiscono gli Stati sovrani ed indipendenti!

    Subito dopo il sopracitato vertice di Novi Sad, il 10 ottobre 2019, quando è stata presentata per la prima volta l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico”, ormai ribattezzata come Open Balcan, sono state tante e continue le critiche degli analisti politici e degli specialisti economici che si riferiscono a questa iniziativa. Analizzando le realtà economiche dei tre Paesi aderenti e le capacità produttive di ciascuno di loro, tutti sono concordi e  considerano l’iniziativa Open Balcan come una grande opportunità per la Serbia di approfittare economicamente, di garantire un’egemonia serba nella regione balcanica e altro ancora. In più, sono non pochi coloro che considerano l’iniziativa non necessaria, essendo ormai attive diverse altre iniziative ed accordi internazionali, firmati da tutti e sei i Paesi balcanici che permettono l’attuazione di quanto previsto dall’iniziativa Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020 ecc…).

    Una di quelle iniziative è nota come il “Processo di Berlino”. Si tratta di un’iniziativa tramite la quale si permette l’attuazione di una cooperazione intergovernativa sul tema delle infrastrutture e degli investimenti economici in Sud Est Europa. Un’iniziativa ufficializzata il 28 agosto 2014 a Berlino, proposta e fortemente sostenuta da allora in poi, non solo dalla Germania, ma anche da altri Paesi dell’Unione europea e dalle istituzioni dell’Unione. L’iniziativa “Processo di Berlino” prevede, come obiettivo fondamentale, la costituzione di un Mercato Comune Regionale sostenuto economicamente e finanziariamente dall’Unione europea. In più visto il promotore e quali appoggi istituzionali e governativi ha avuto e continua ad avere l’iniziativa “Processo di Berlino”, tutti gli analisti sono concordi che questa iniziativa rappresenta maggiori e durature garanzie anche per l’attuazione delle quattro cosiddette libertà europee. E cioè la libertà della circolazione delle merci, dei servizi, del capitale e delle persone. Ragion per cui l’iniziativa Open Balcan non è mai stata sostenuta ufficialmente né da molti governi degli Stati membri dell’Unione Europa e neanche dalle stesse istituzioni dell’Unione. E non a caso i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea non sono stati presenti anche durante l’ultimo vertice della scorsa settimana a Belgrado.

    A questo punto bisogna sottolineare che, in realtà, quanto si prevede dall’iniziativa Open Balcan non è una novità. I punti cardini e gli obiettivi di questa iniziativa sono stati ideati e resi noti già negli anni ’90 del secolo passato. Nel 1999, dopo il definitivo sgretolamento dell’ex Jugoslavia, è stato pubblicato un articolo che presentava quelli che, venti anni dopo, nel 2019, sono proposti come gli obiettivi dell’iniziativa prima denominata “Mini-Schengen balcanico” e attualmente nota come Open Balcan. L’autore di quell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). In quell’articolo l’autore ribadiva che i Balcani “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. Secondo lui “L’unico modo per [avere] la pace e la prosperità è la creazione di una società aperta in cui lo Stato esercita un ruolo meno dominante e dove diminuisce l’importanza delle frontiere”. Lui proponeva, altresì, riferendosi ai Balcani, che “La regione deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania”. L’autore dell’articolo prevedeva anche una serie di misure da intraprendere per attuare il suo progetto nei Balcani e confermava che tutte queste necessità “sono note e la mia rete delle Fondazioni della Società Aperta adesso è attiva in diversi campi [previsti] del programma”. Guarda caso, ventidue anni dopo, durante il vertice di Skopje del 29 luglio 2021, l’iniziativa “Mini-Schengen balcanico” veniva ribattezzata come l’iniziativa Open Balcans! Mentre i tre firmatari dell’iniziativa adesso, dopo venti e più anni, si presentano come ideatori di quell’iniziativa, presentandola come una novità (Sic!).

    Le cattive lingue, da anni, stanno parlando dei legami di “amicizia personale” tra il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta e i tre firmatari dell’iniziativa Open Balcan. Almeno il primo ministro albanese lo ha pubblicamente dichiarato il 23 settembre scorso, affermando che lui “è amico mio e sono fiero che l’ho come amico”! Dichiarazione d’amicizia fatta dopo che il primo ministro aveva pubblicato una fotografia fatta con il suo amico a New York, aggiungendo sotto anche la seguente dicitura: “A New York, con l’amico prezioso George Soros, una mente rara ed un incrollabile sostenitore della Società Aperta”. Ma, parlando di fotografie, durante il vertice della scorsa settimana a Belgrado è stata scattata e pubblicata una molto significativa. In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stando “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani. Ed è proprio il caso di affermare che, a volte, soltanto una fotografia può svelare delle verità che tanti altri, con la demagogia e con i potenti mezzi di propaganda cercano di deformare, di annebbiare e di nascondere. Bisogna sottolineare che durante questi ultimi anni, alcune volte dietro le quinte, altre sul palco, il Soros junior è stato presente in tutti gli eventi che hanno a che fare con i progetti e le iniziative che riguardano i Balcani e che cambiano soltanto il nome.

    Nel frattempo, nei Balcani si stanno evidenziando dei focolai di tensione e di conflitti armati. Prima in Montenegro, all’inizio di settembre. Poi, due settimane dopo, sul confine tra la Serbia ed il Kosovo. Mentre attualmente in Bosnia ed Erzegovina. Molti media internazionali ne hanno dato notizia. Per gli analisti si tratterebbe di conflitti basati su quella che viene chiamata come la strategia della “Grande Serbia”. Paragonandola con quella ben nota ormai come la strategia della “Grande Russia”. Il nostro lettore capisce anche chi potrebbe aver ispirato cosa. E capisce anche il grande pericolo che potrebbe rappresentare, non solo per i Balcani, una simile realtà!

    Chi scrive queste righe ha spesso informato il nostro lettore sia sulla storia della regione balcanica, compresa quella degli ultimi anni, sia della drammaticità degli scontri etnici nella regione. Egli pensa che l’attuale situazione nei Balcani, da dove stanno arrivando delle preoccupanti avvisaglie, merita tutte le dovute e necessarie attenzioni, sia dalle istituzioni dell’Unione europea che da quelle oltreoceano. Attenzioni che, purtroppo, durante queste ultime settimane, almeno pubblicamente, sembrerebbero mancanti o, comunque, non quelle indispensabilmente dovute. A tutti coloro che hanno delle responsabilità istituzionali, ovunque siano, bisogna che venga ricordato, se non si ricordino, l’ammonimento [perifrasato] di Martin Luter King. Perché può darsi non siano ancora responsabili per la situazione nei Balcani, ma lo diventeranno se non fanno nulla per cambiarla.

  • Agli imbroglioni quello che si meritano

    Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni!

    Carlo Collodi; Le avventure di Pinocchio (Cap. 13)

    Un saggio consiglio quello che il Grillo parlante diede a Pinocchio. Tutto ciò mentre la Volpe ed il Gatto, avendo imbrogliato Pinocchio, erano andati via a pancia piena dall’Osteria del Gambero Rosso, lasciandolo solo e ingannato. Una delle tante altre sventure di Pinocchio. Tutto cominciò mentre, con i cinque zecchini d’oro che gli aveva dato il burattinaio Mangiafoco, proprietario del Gran Teatro dei Burattini, commosso da quanto aveva sentito dal piccolo burattino di legno su suo padre, Pinocchio stava tornando a casa dal suo caro babbo Geppetto. Ma strada facendo aveva incontrato, come scrive Collodi, “…una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe, che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe”. Due imbroglioni che, appena avevano saputo dei cinque zecchini d’oro, convinsero Pinocchio ad andare con loro nel Campo dei Miracoli, che si trovava nel paese dei Barbagianni. Un campo benedetto quello dove, mettendo in una piccola buca uno zecchino d’oro, dopo averlo ricoperto di terra e annaffiato e dopo aver gettato sopra anche una presa di sale, accadeva il miracolo. Lo zecchino, come scrive Collodi, “…germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno”. E Pinocchio si lasciò abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne andò con loro convinto e contento. Ma i due impostori, dopo essersi abbuffati nell’Osteria del Gambero Rosso, lasciarono Pinocchio solo e con uno zecchino d’oro in meno. Il Grillo parlante, che apparve nella sua stanza buia in osteria, cercò di farlo tornare in se e disse a Pinocchio “…Ritorna indietro e porta i quattro zecchini, che ti sono rimasti, al tuo povero babbo, che piange e si dispera per non averti più veduto”. Ma Pinocchio, non dubitando ancora dei due imbroglioni, rispose “…Domani il mio babbo sarà un gran signore perché questi quattro zecchini diventeranno duemila”. Il Grillo parlante diede allora a Pinocchio il suo saggio consiglio: “Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me, ritorna indietro”. A niente servirono purtroppo i saggi consigli che il Grillo parlante diede a Pinocchio. Subito dopo però, non avendo dato retta ai buoni consigli, mentre andava ad incontrare la Volpe ed il Gatto nel Campo dei Miracoli, egli s’imbatte negli assassini. E così, le avventure di Pinocchio continuarono. Finché, dopo tante altre sfortune e sofferenze, accade il “miracolo”. Finalmente tutto cambiò: Pinocchio diventò un vero e bravo ragazzo, babbo Geppetto diventò “sano, arzillo e di buon umore, come una volta” e perfino la loro casa si abbellì. La spiegazione a Pinocchio la diede babbo Geppetto, dicendoli:“Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo”. Aggiungendo che “…quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie”. E poi Geppetto mostrò a suo figlio il Pinocchio di legno, che aveva messo su una seggiola. Guardando quello che era stato fino a poco prima, Pinocchio disse fra sé e sé “Com’ero buffo quand’ero un burattino! E come ora son contento di esser diventato un ragazzino perbene”. E con questa frase finisce il famoso e tra i più letti romanzi di tutti i tempi e in tutto il mondo, Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino, maestosamente scritto da Carlo Collodi.

    Ci sono tante significative allegorie nel romanzo di Collodi, dalle quali si deve sempre imparare e trarre le dovute conclusioni. Anche da quanto accade tra Pinocchio e i due imbroglioni: la Volpe ed il Gatto. Un valido e utile insegnamento per tutti in ogni parte del mondo. Perché gli imbroglioni si trovano daperttutto. E si presentano sotto diverse sembianze: dai furfantelli di strada, fino agli alti rappresentanti politici ed istituzionali. I primi truffano qualche malcapitato. I secondi ingannano i cittadini e mettono in repentaglio le sorti dei Paesi. Come sta accadendo, purtroppo, anche in Albania.

    Ormai da qualche anno, sta diventando sempre più una ferma convinzione pubblica che tra il primo ministro e colui che dirige il partito democratico albanese, il più grande partito dell’opposizione, c’è un accordo occulto. Un accordo che si stabilì il 18 maggio 2017, senza mai essere stato reso pubblico, tranne il fatto che si era raggiunto un accordo, senza mai essere stata fatta, però, la dovuta e richiesta trasparenza. Né allora e neanche adesso. Un accordo che, fatti accaduti alla mano, sta continuando a funzionare, generando gravi e pericolose conseguenze per il Paese e per i cittadini. Il primo ministro, grazie a quell’accordo, si sente libero di governare e di abusare del potere, consolidando il suo regime monocratico e controllando personalmente le istituzioni, sistema “riformato” della giustizia compreso, la maggior parte dei media e tanto altro. Mentre il capo dell’opposizione, che da alcuni anni ha usurpato la direzione del partito democratico albanese e lo gestisce circondato da alcuni suoi “fedeli”, sempre fatti accaduti alla mano, ha fatto di quel partito un’impresa molto rimunerativa famigliare. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021). Come è stato informato, in questi ultimi mesi, anche di altri sviluppi politici e sociali che si stanno verificando in Albania. Compreso anche un sempre più vasto, rappresentativo e convincente movimento della base e degli iscritti del partito democratico albanese per ristrutturare e per ripristinare i valori fondatori del partito in quel lontano dicembre del 1990. Anche di questo crescente movimento il nostro lettore è stato informato (Meglio perderli che trovarli; 13 settembre 2021).

    Trovatosi in grosse difficoltà e non godendo più dell’appoggio indispensabile della base e delle strutture, l’usurpatore del partito democratico albanese sta avendo come appoggio soltanto quello offerto “generosamente” dal primo ministro e da chi per lui. Le cattive lingue stanno dicendo che anche questo fa parte dell’accordo occulto tra loro due. L’usurpatore del partito democratico sta avendo adesso, come unici avvocati, in quella che sembrerebbe essere una causa persa, l’assistenza continua dei media controllati dal primo ministro e degli analisti e opinionisti a pagamento della ben funzionante propaganda governativa. Proprio di quel vasto e ben organizzato schieramento che fino a pochi mesi fa lo denigrava e lo rendeva ridicolo. E non poteva essere diversamente. Perché la posta in gioco adesso sembra sia diventata alta e molto rischiosa per il primo ministro. Quanto sta accadendo in queste ultime settimane lo dimostra palesemente. Sia l’usurpatore del partito democratico che il suo “protettore”, il primo ministro, si sentono seriamente preoccupati per la loro sorte dal crescente e ben motivato movimento che sta coinvolgendo direttamente la base e le strutture del partito democratico, ma non solo. Un movimento che sembrerebbe stia seriamente scombussolando l’accordo occulto tra i due e che sta diventando, ogni giorno che passa, un angosciante incubo. Sia per l’usurpatore del partito democratico, che per il primo ministro. Ragion per cui tutti e due sono diventati “collaborativi” e stanno intraprendendo delle iniziative legislative in Parlamento, con le quali stanno cercando di far credere ad una situazione politica e sociale “normale”, anzi migliore, Ma, soprattutto, vogliono prevenire e controllare “legalmente” quanto possa accadere nelle prossime settimane e mesi, comprese anche le richieste ed annunciate massicce proteste ad oltranza dei cittadini offesi, trascurati, ingannati e sofferenti.

    In queste ultimissime settimane, sia il primo ministro che l’usurpatore del partito democratico e/o chi per loro, stanno proponendo delle iniziative legislative e degli emendamenti costituzionali che mirano a dei cambiamenti della Costituzione per gestire meglio gli attesi sviluppi nel prossimo futuro. E, guarda caso, stanno proponendo e si stanno accordando su delle iniziative legislative e su degli emendamenti costituzionali che permetterebbero loro di controllare, tramite le strutture del sistema “riformato” della giustizia, una situazione che, altrimenti, potrebbe non essere più gestita come avrebbero voluto. Soprattutto il primo ministro, ma anche il suo ormai quasi palesemente “protetto”, l’usurpatore del partito democratico. Alcune settimane fa il primo ministro e i suoi hanno presentato in Parlamento un emendamento costituzionale per prolungare il periodo del funzionamento delle due strutture costituzionali incaricate di fare il vaglio dei giudici e dei procuratori. La Costituzione, approvata il 22 luglio 2016 con tutti i voti del Parlamento, prevede quale istituzione deve avere quell’incarico, dopo la scadenza, il 17 giugno 2022, della legittimità di funzionamento di quelle strutture. Ma al primo ministro interessa che tutto rimanga com’è. E per questo avrebbe bisogno dei voti del partito democratico in Parlamento. Nel frattempo l’usurpatore del partito democratico ultimamente ha presentato tre iniziative legislative per essere approvate in Parlamento. Si tratta di iniziative che si basano su degli emendamenti della Costituzione e che perciò non possono essere approvate senza i voti della maggioranza. Si tratta di iniziative legislative che riguardano la riforma elettorale, la riforma territoriale e il vaglio dei rappresentanti politici. La prima è stata approvata in Parlamento dopo il famigerato accordo del 5 giugno 2020, nonostante le dichiarazioni e le promesse pubbliche dei massimi rappresentanti dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito. La seconda, quella territoriale, è stata boicottata nel 2014 dal partito democratico, con tutte le preoccupanti e sempre presenti conseguenze. La terza, quella del vaglio dei rappresentanti politici, è stata fortemente e pubblicamente contestata nel 2016 dall’usurpatore del partito democratico. Ma adesso lui ha cambiato “convinto” opinione. Non solo, ma è “convinto” che quel vaglio e quelle verifiche le può e le deve fare una delle più accusate ed ufficialmente denunciate strutture costituite nell’ambito della “riforma” del sistema della giustizia, la Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe si deve fermare qui, nonostante avrebbe avuto molti altri fatti ed argomenti da presentare al nostro lettore per capire meglio quanto sta accadendo in Albania. Egli però è convinto che il primo ministro e l’usurpatore del partito democratico, come la Volpe ed il Gatto nel romanzo di Collodi Le avventure di Pinocchio, dal quale c’è sempre e molto da imparare, stanno cercando di abbindolare di nuovo i cittadini albanesi, come sempre hanno fatto tutti e due. Adesso spetta ai cittadini albanesi ribellarsi, farsi vivi, scendere in piazza e lottare per i propri sacrosanti diritti, dando, finalmente, ai due imbroglioni quello che si meritano. Chi scrive queste righe non smetterà mai di ripetere la ferma convinzione di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio”. Mentre a tutti gli albanesi serve il consiglio che il Grillo parlante diede a Pinocchio. E cioè che non si devono fidare di quelli che ti promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Perché, di solito, o sono matti o imbroglioni!

  • Casi simili, opinioni opposte della Commissione europea

    Non siamo che menzogna, doppiezza, contrarietà
    e ci nascondiamo e ci camuffiamo a noi stessi.

    Blaise Pascal

    Il 19 ottobre scorso a Strasburgo, durante la plenaria del Parlamento europeo, si è verificato anche l’inevitabile proseguimento dello scontro tra la Commissione europea e la Polonia. Uno scontro che continua da tempo e che si è ulteriormente accentuato dopo l’ultima sentenza della Corte Costituzionale di Polonia del 7 ottobre 2021 che sancisce la priorità della legislazione polacca a quella dell’Unione europea. Uno scontro che continua, mentre da alcuni anni si stanno delineando in Europa sempre più marcatamente e chiaramente due schieramenti: gli europeisti e i sovranisti. Schieramenti che non dibattono e non si scontrano soltanto nelle aule del Parlamento europeo, ma anche nei singoli Paesi membri dell’Unione. Molti analisti politici considerano questo scontro tra la Commissione europea e la Polonia come il più serio e problematico, dopo quello con il Regno Unito, finalizzato con il referendum del 23 giugno 2016, per l’uscita dall’Unione europea.  Tutto ha avuto inizio dopo la costituzione della Camera disciplinare della Corte Suprema polacca, nell’ambito della riforma del sistema della giustizia, avviata già dal 2015. Il compito istituzionale della Camera disciplinare era quello di fare la supervisione dei giudici, godendo anche del diritto di revocare la loro immunità. Il che significava renderli soggetti di procedimenti penali, nonché di altri provvedimenti punitivi. La riforma del sistema di giustizia non solo ha suscitato attriti politici ed istituzionali in Polonia, ma ha anche scaturito diversi contenziosi con la Commissione europea. Contenziosi che si focalizzavano sulle disposizioni delle nomine dei giudici come “passibili di violazioni del diritto comunitario” e che sono finiti poi alla Corte di Giustizia europea. La Camera disciplinare della Corte Suprema polacca, secondo le accuse depositate, veniva considerata come una struttura che metteva a repentaglio e comprometteva il principio della separazione dei poteri, essendo anche “un potenziale mezzo di intimidazione dei magistrati”. Tutto ciò perché la nomina dei membri della Camera disciplinare passava attraverso il Consiglio nazionale della Magistratura, la cui costituzione veniva fatta su base politica. Si contestava il fatto che la scelta dei membri della Camera disciplinare, alla fine dei conti, sarebbe stata influenzata politicamente del Parlamento. La Commissione europea ha avviato lo scorso anno una procedura di infrazione contro la Polonia. Le ragioni venivano rese note dal Commissario europeo per la Giustizia, il quale specificava che “…la legge sulla Magistratura non fosse coerente con una serie di disposizioni fondamentali dei Trattati”, riferendosi ai Trattati costituenti dell’Unione europea. Aggiungendo anche che “…la legislazione contestata mette a repentaglio l’indipendenza della magistratura in Polonia”. Nonostante tutto, la Corte Costituzionale polacca, non adeguandosi con quanto aveva stabilito la Corte di Giustizia europea, ha affermato, il 14 luglio scorso, che “…le sentenze emesse non erano giuridicamente vincolanti”. Ragion per cui non ha riconosciuto l’efficacia della sentenza C-791/19 della Corte di Giustizia dell’Unione. Sentenza, quella, che chiedeva alla Polonia di sospendere la legge nazionale, affermando il primato del diritto nazionale sul diritto europeo. Immediata è stata anche la risposta della Corte di Giustizia europea, la quale affermava che “…la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 267, secondo e terzo coma, del TFUE” (acronimo del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; n.d.a.). In più, dando ragione alla Commissione europea, la Corte di Giustizia europea stabiliva che “… il sistema disciplinare adottato dal governo polacco è del tutto incompatibile con il diritto dell’Unione e dovrà essere interamente smantellato”.

    In seguito alle sopracitate sentenze della Corte Costituzionale polacca e della Corte di Giustizia europea, il 19 ottobre scorso, durante la plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, si sono verbalmente e duramente scontrati la presidente della Commissione europea ed il primo ministro polacco appartenente al partito nazionalista Diritto e Giustizia di estrema destra. La presidente della Commissione europea ha dichiarato, tra l’altro: “Noi siamo preoccupati per la recente sentenza della Corte costituzionale polacca. La Commissione europea sta valutando attentamente questa sentenza”. Affermando anche: “…posso, però, già dirvi oggi che sono fortemente preoccupata perché [la sentenza] mette in discussione la base dell’Unione europea e costituisce una sfida diretta all’unità degli ordinamenti giuridici europei”. Non si è fatta attendere neanche la risposta del primo ministro polacco. Secondo lui “…l’Unione europea, non è uno Stato; gli Stati membri restano padroni, sovrani dei trattati. Sono gli Stati membri che decidono quali competenze delegare all’Unione europea”. Perché per lui “la massima legge in Polonia è la Costituzione”, specificando che “…la Corte Costituzionale polacco non ha mai dichiarato che quanto previsto dai trattati dell’Unione europea sia incompatibile con la legge polacca”. Il primo ministro ha anche aggiunto che per la Corte Costituzionale polacca “… una specifica interpretazione del diritto dell’Unione europea è in conflitto con la Costituzione polacca”. Il primo ministro polacco ha fatto riferimento con sdegno a quella che ha definito una “rivoluzione strisciante” attuata dalle istituzioni dell’Unione europea, basandosi su quella che lui ha definito come “la logica del fatto compiuto”. Alla fine del suo intervento, il primo ministro polacco ha dichiarato convinto che “la Polonia è attaccata in modo parziale e ingiustificato. Le regole del gioco devono essere uguali per tutti. Respingo la lingua delle minacce e del ricatto”. Perché, secondo lui, “Troppo spesso abbiamo a che fare con un’Europa dei doppi standard”.

    Che le istituzioni dell’Unione europea, soprattutto la Commissione europea, possano agire con dei “doppi standard” lo testimonia un caso simile a quello riferito prima, ma affrontato in un modo del tutto opposto dalla Commissione europea. Si tratta della riforma del sistema della giustizia in Albania e delle strutture simili con la Camera disciplinare della Corte Suprema in Polonia. Si tratta di strutture costituite nell’ambito della riforma di giustizia, sia in Polonia che in Albania. Strutture che hanno il compito di vagliare e verificare la compatibilità e l’integrità professionale e morale dei membri del sistema di giustizia. In Polonia dei giudici, in Albania dei giudici e dei procuratori. In Albania sono due le strutture, previste dalla Costituzione, che hanno avuto ed esercitano questo diritto: la Commissione Indipendente della Qualificazione e, in secondo grado, il Collegio Speciale d’Appello. I membri di queste due strutture sono selezionate dal Parlamento. Ma in Albania però, diversamente dalla Polonia, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, documentati ed ufficialmente denunciati dal 2017 ad oggi, tutte e due queste strutture costituzionali risulterebbero essere personalmente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui. L’autore di queste righe ha spesso, da anni ormai, informato il nostro lettore di tutto ciò. Ma mentre la Commissione europea considera la Camera disciplinare della Corte Suprema in Polonia come politicamente controllata e perciò debba essere abolita, considera, invece, un successo le due sopracitate strutture in Albania! Come considera, da anni ormai, un “entusiasmante successo” tutta la riforma del sistema della giustizia in Albania. Anche di questo l’autore di queste righe ha continuamente informato il nostro lettore. La Commissione europea, trattando così due simili casi ed esprimendo due opinioni ben opposte, non fa altro che dare ragione a quello che ha dichiarato il primo ministro polacco durante la plenaria del Parlamento europeo, il 19 ottobre scorso. E cioè che “troppo spesso abbiamo a che fare con un’Europa dei doppi standard”.

    Purtroppo, che la Commissione europea operi spesso con “due pesi e due misure”, è dimostrato e testimoniato ufficialmente da altri casi. Lo testimoniano anche quanto hanno pubblicamente detto due ministri della giustizia, quello della Macedonia del Nord e quella del Kosovo. L’occasione è stata una conferenza internazionale svolta a Tirana il 7 ottobre scorso. Riferendosi alla riforma della giustizia nel suo Paese, il ministro macedone ha dichiarato che “La Commissione europea ha proibito in maniera esplicita alla Macedonia [del Nord] di adattare la [sua] riforma di giustizia secondo il modello albanese”! Mentre, durante la stessa conferenza, la ministra della giustizia del Kosovo ha dichiarato che “la Commissione europea non solo non ci ha chiesto, ma ha insistito di non essere preso come esempio il modello albanese [della riforma di giustizia] a causa delle non buone ripercussioni che ha prodotto”! Ma non sono solo questi due Paesi ai quali la Commissione europea sconsiglia di attuare una riforma del sistema della giustizia simile a quella albanese. Chissà però perché la Commissione europea, tramite le sue massime autorità, continua a considerare la riforma della giustizia in Albania una “storia di successo”?! Di simili dichiarazioni infondate e preoccupanti, fatte dalle massime autorità della Commissione europea, il nostro lettore è stato spesso e da anni ormai informato dall’autore di queste righe. L’ultima volta è stata due settimane fa (Ipocrisia istituzionale svanita dopo una decisione unanime; 11 ottobre 2021).

    Il 19 ottobre scorso, lo stesso giorno in cui a Strasburgo, durante la plenaria del Parlamento europeo, si è verificato lo scontro tra la presidente della Commissione europea ed il primo ministro polacco, è stato pubblicato anche il Rapporto di progresso della Commissione per i Paesi aspiranti all’adesione all’Unione europea, per il periodo giugno 2020 – giugno 2021. Ebbene, di nuovo nel caso dell’Albania, la Commissione affermava che “…l’Albania ha continuato ad implementare la complessiva riforma della giustizia che risulta [essere] un buon progresso” (Sic!). Ci sono anche altre constatazioni che urtano con la vera, vissuta e sofferta realtà albanese, come purtroppo accadde da alcuni anni. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare oggettivamente questo argomento per il nostro lettore. Ma lo farà in seguito, anche perché non mancheranno le occasioni nelle quali l’atteggiamento e le dichiarazioni delle massime autorità della Commissione europea risulteranno essere di “due pesi e due misure”. Occasioni nelle quali per dei casi simili, le opinioni della Commissione europea saranno ben opposte. Chissà però se qualcuno delle massime autorità della Commissione, in qualche momento di sincera riflessione, abbia pensato quello che ha scritto Pascal circa quattro secoli fa. E cioè che non siamo che menzogna, doppiezza, contrarietà e ci nascondiamo e ci camuffiamo a noi stessi.

  • Un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo

    La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante, come trovare riparo durante un attacco aereo.

    George Orwell

    Il suo vero nome è Eric Arthur Blair, ma per la maggior parte dei suoi lettori egli era e rimane George Orwell. È l’autore di diversi libri, due dei quali sono stati tradotti e letti in diverse lingue del mondo da molte, moltissime persone. Si tratta di due romanzi. Uno è La fattoria degli animali, pubblicato nel 1945. L’altro è 1984, scritto nel 1948 e pubblicato nel 1949, soltanto pochi mesi prima della scomparsa dello scrittore. George Orwell, grazie alla sua breve ma intensa, spesso sofferta e diretta esperienza di vita, aveva ben consolidato ed esprimeva chiaramente le sue convinzioni, anche sulla grande importanza e i diretti effetti della propaganda sul genere umano. Intesa come una consapevole e dettagliatamente pianificata attività persuasiva per raggiungere determinati obiettivi, ottenendo consenso pubblico, la propaganda ha facilitato, tra l’altro, anche la costituzione dei sistemi totalitari tra le due guerre mondiali. Ragion per cui della propaganda si faceva e continua a farsi un uso programmato, continuo, sproporzionato e assordante in tutte le dittature. Ed è uno dei temi che George Orwell tratta maestosamente nel suo capolavoro 1984. E proprio in quel romanzo egli è stato, tra l’altro, anche colui che, per la prima volta, ha coniato ed usato l’ormai diffusa espressione: il “Grande fratello”. Così veniva considerato e chiamato da tutti in Oceania il capo indiscusso del Partito. Un personaggio misterioso che nessuno aveva mai visto, ma che il suo volto però si trovava in tutti i manifesti affissi ovunque e apparsi anche nei teleschermi presenti in ogni luogo pubblico, in tutti gli uffici e le abitazioni dell’Oceania, la cui capitale era Londra. Era uno dei tre grandi Paesi dittatoriali che controllavano in mondo intero e che si trovavano in un continuo ed acerrimo conflitto tra loro. Si, perché le lotte erano considerate allora, nel 1984 e dopo la fine della [immaginaria] terza guerra mondiale, come una necessità per garantire il raggiungimento ed il mantenimento del difficile e instabile equilibrio mondiale. Il “Potere assoluto”, rappresentato dal “Grande fratello”, si basava sulla propaganda che faceva uso dei mezzi di comunicazione di massa e della tecnologia, per manipolare l’opinione pubblica e per attuare l’annullamento totale e definitivo dell’individualità. In Oceania, come scriveva George Orwell, “…nulla si possedeva di proprio, se non pochi centimetri cubi dentro il cranio”. Sì, perché a tutto pensava il “Grande fratello”. Perché, come scriveva Orwell “…Ogni successo, ogni risultato positivo, ogni vittoria, ogni conoscenza scientifica […] si pensa provengano dalla sua guida e dalla sua ispirazione”.

    L’autore del romanzo 1984 era convinto che, facendo uso di tutti i potenti e ben coordinati mezzi di propaganda “…si può manipolare l’opinione pubblica a proprio piacimento”. Tutto ciò in funzione e sostegno della strategia del “Grande Fratello”, uno dei pochi obiettivi fondamentali del quale era quello di controllare e di orientare il modo di pensare non solo di una singola persona, ma di tutta la società. Altri obiettivi della strategia del “Grande fratello” erano sia la costituzione della “Neolingua” (Newspeak), che l’attivazione di quello che veniva chiamato il “Bipensiero” (Doublethink). Di una grande importanza era stata considerata anche la costituzione e l’intransigente onnipresenza operativa della “Psicopolizia” (Thought Police) in tutta l’Oceania. Una struttura, quella, parte integrante del “Ministero dell’Amore” (Miniluv), che con i suoi metodi “persuasivi riusciva a convincere tutti”, oppure “li faceva tacere per sempre”. George Orwell era fermamente determinato e socialmente motivato a diffondere il suo messaggio ammonitivo contro tutto ciò che poteva, in qualche modo, contribuire ad annientare dei diritti e dei valori fondamentali dell’umanità come la libertà e la dignità individuale. Già da prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e fino alla fine Orwell aveva reso pubblico il suo impegno sociale e la sua determinazione a scrivere contro le ingiustizie e le mostruosità delle dittature, sia di destra che di sinistra. Ragion per cui, come egli stesso aveva affermato, ogni sua riga “…sarà spesa contro il Totalitarismo”. E così ha fatto. Come testimoniano anche i suoi due noti romanzi: La fattoria degli animali e 1984. Dopo aver finito 1984, Orwell aveva dichiarato che lo aveva scritto “…per cambiare il parere degli altri sul tipo di società per la quale essi devono combattere”.

    L’autore di queste righe è una di quelle tante, tantissime persone in tutto il mondo che hanno letto e riletto, imparando molto, sia La fattoria degli animali che 1984. Egli ha anche scritto per il nostro lettore un intero articolo riferendosi soprattutto al romanzo 1984. Riferendosi all’onnipotente ed onnipresente “Grande fratello”, quale rappresentante indiscusso del “Potere assoluto”, egli scriveva che “…tramite le manipolazioni programmate e meticolosamente attuate del cervello umano ed una spietata repressione, aveva annullato la coscienza dell’individuo e quella collettiva in Oceania”. L’autore di queste righe è stato e tuttora è convinto che bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, per non permettere mai che anche la cultura sia annientata dal “Potere assoluto”. Per non permettere mai che la “Neolingua” (Newspeak), con un ridottissimo numero di parole attive, potesse “…ridurre, perciò, al massimo la capacità di espressione e di pensiero, individuale e/o collettivo.” Perché era una lingua che tendeva “… a soffocare la lingua vivente, fino a farla scomparire”. Ragion per cui bisogna sempre salvare la lingua dalla “corruzione della parola”, come scriveva George Orwell. L’autore di queste righe, in seguito, esprimeva la sua ferma convinzione che “…Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai che chiunque, un “Grande Fratello” o chicchessia, possa manipolare mentalmente il genere umano, fino al punto di attivare quello che George Orwell chiamava il “Bipensiero” (Doublethink). E cioè la capacità di sostenere simultaneamente due opinioni in palese contraddizione tra loro e di accettarle entrambe come esatte”. Ma anche per non permettere mai che in qualsiasi Paese si possa arrivare fino al punto che “La menzogna diventi verità e passi alla storia”. E per non permettere mai che colui il quale controlla il passato possa controllare il futuro. Perché, come scriveva Orwell, “chi controlla il presente controlla il passato”. Per non permettere mai di considerare normali affermazioni come “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. (Bugie, arroganza e manipolazioni; 27 luglio 2020).

    Il 18 settembre scorso in Albania è stato costituito il nuovo governo; il terzo guidato dall’attuale primo ministro. Proprio colui che, basandosi su delle realtà immaginarie e virtuali, diffuse dalla sua ben potente e funzionante propaganda governativa e mediatica, non ha mai mantenuto una che una sola promessa fatta ufficialmente e pubblicamente. Proprio quel primo ministro che, fatti accaduti, documentati e ufficialmente denunciati alla mano, è il rappresentante istituzionale di una ormai costituita dittatura sui generis. Di un nuovo regime totalitario, espressione dell’alleanza del potere politico con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e internazionali, della quale non si sa chi sia il vero gestore.  Si tratta, in realtà, di una nuova restaurata dittatura che si serve anche di un’opposizione politica che da anni ormai è semplicemente una “stampella” del primo ministro e serve come facciata, sfruttata ed usata per dei motivi propagandistici quando serve. E serve spesso, serve ogni giorno, vista la drammatica realtà, quotidianamente vissuta e sofferta in Albania. In una simile realtà, il 18 settembre scorso, durante la prima riunione del Consiglio dei ministri, subito dopo il giuramento del nuovo governo nelle mani del Presidente della Repubblica, tra i primi atti ufficiali approvati c’era anche la delibera della costituzione dell’Agenzia per i Media e l’Informazione! Un segnale veramente allarmante ed un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo, vista proprio la drammaticità e la gravità della testimoniata e facilmente verificabile realtà albanese. Si tratta di un altro passo pericoloso in avanti verso un ulteriore consolidamento del regime totalitario in Albania. L’appena costituita Agenzia per i Media e l’Informazione, sarà controllata direttamente dal primo ministro, tramite il suo direttore generale, che è uno dei veramente pochi fedelissimi del primo ministro, attualmente il suo direttore della comunicazione. L’atto ufficiale di costituzione della nuova Agenzia stabilisce che il direttore generale avrà lo stesso status di quello del ministro. La nuova Agenzia avrà il compito di coordinare la comunicazione con i media ed il pubblico di tutti i ministeri e delle altre istituzioni importanti governative in Albania. Sempre secondo l’atto di costituzione, l’Agenzia avrà anche il compito di controllare l’attività pubblica dei ministri, comprese le loro ufficiali dichiarazioni pubbliche, nonché le nomine e le sostituzioni dei portavoce delle istituzioni governative. Immediate e forti sono state tutte le reazioni ufficiali delle organizzazioni internazionali dei media. Nella loro dichiarazione ufficiale i rappresentanti di sei organizzazioni internazionali per la libertà dell’espressione hanno considerato l’Agenzia come un mezzo di repressione e di controllo dei giornalisti e chiedono alle istituzioni dell’Unione europea di “coinvolgere immediatamente il governo albanese per trattare simili preoccupazioni come questioni prioritarie durante i prossimi negoziati d’adesione [nell’Unione europea]”.

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire questo argomento e ad informare oggettivamente il nostro lettore, come sempre ha fatto. Nel frattempo è convinto però, che l’atto della costituzione dell’Agenzia per i Media e l’Informazione, proprio durante la prima riunione dell’appena costituito governo albanese, non può non destare serie preoccupazioni. Perché rievoca tutto quanto ha maestosamente scritto George Orwell nel suo ben noto e molto letto romanzo 1984 e fa pensare ad un ministero della propaganda. Ma, inevitabilmente, rievoca e ricorda il modello del ministero della Propaganda, diretto dal 1933 al 1945 da Joseph Goebbels, durante il famigerato regime nazista in Germania. E tutto ciò non può non essere considerato un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo, come conferma della restaurazione e del consolidamento della dittatura sui generis in Albania! Gli albanesi però devono tenere ben presente che, come scriveva George Orwell, la propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante, come trovare riparo durante un attacco aereo.

  • Ipocrisia istituzionale svanita dopo una decisione unanime

    Alla gran maggioranza di noi si richiede un’ipocrisia costante, eretta a sistema.

    Boris Pasternak; da Il dottor Zivago

    Il 5 ed il 6 ottobre scorso si è svolto nel castello di Brdo, presso la capitale Ljubljana in Slovenia, il vertice del Consiglio europeo. Per il primo giorno era stato programmato un incontro informale, durante una cena di lavoro, dei massimi rappresentanti dei Paesi membri dell’Unione europea e dei dirigenti delle istituzioni dell’Unione. Le questioni sulle quali si è discusso si riferivano agli importanti sviluppi geopolitici e geostrategici accaduti durante questi ultimi mesi. Si è trattato, inevitabilmente, della situazione in Afghanistan. Ma si è discusso anche della rottura unilaterale, da parte dell’Australia, dell’accordo con la Francia per i sottomarini a propulsione nucleare. Un accordo quello che è stato sostituito con un altro tra l’Australia, il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America. Un altro tema sul quale si è discusso durante quella cena di lavoro il 5 ottobre scorso in Slovenia è stata la crescente e preoccupante influenza geostrategica della Cina. Il giorno successivo, il 6 ottobre, era stato previsto ed organizzato il vertice del Consiglio europeo con i massimi rappresentanti dei sei Paesi dei Balcani occidentali. In quel vertice erano presenti, oltre ai capi di Stato e di governo di tutti i Paesi membri dell’Unione europea, anche i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione, compresa la presidente della Commissione europea che ha visitato, negli ultimi giorni di settembre scorso, tutti i sei Paesi balcanici. Sia dopo i suoi incontri, che prima del vertice del Consiglio europeo, il 6 ottobre scorso, la presidente della Commissione europea, con le sue dichiarazioni ufficiali, ha espresso la sua ferma convinzione e dell’istituzione da lei rappresentata, che i sei Paesi balcanici avevano compiuti tutti gli obblighi previsti. Ragion per cui si meritavano il loro avanzamento nel percorso previsto dall’Unione europea per l’allargamento ai Paesi balcanici. L’autore di queste righe, riferendosi alla vera, grave e preoccupante realtà vissuta in Albania, come testimoniata e documentata anche dai rapporti ufficiali di diverse istituzioni internazionali specializzate, comprese quelle dell’Unione europea, ha considerato le dichiarazioni fatte dalla presidente della Commissione europea prive del tutto di veridicità e, perciò, anche di credibilità. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò la scorsa settimana (La verità rende liberi; 4 ottobre 2021).

    Ebbene, la decisione unanime presa dal Consiglio europeo il 6 ottobre scorso ha fatto svanire l’ipocrisia istituzionale della Commissione europea, almeno nel caso dell’Albania. Un’ipocrisia istituzionale, espressa dalle dichiarazioni ufficiali dalla sua presidente, dopo l’incontro con il primo ministro il 28 settembre scorso. Per l’ennesima volta in questi ultimi anni, si è evidenziata una palese discordanza tra i rapporti positivisti, entusiastici e permissivi della Commissione europea, nonché delle dichiarazioni del tutto non realistiche e di parte delle massime autorità della Commissione stessa, con la vera e vissuta realtà albanese. Realtà che la conoscono meglio e spesso anche nei minimi dettagli alcuni dei Paesi membri dell’Unione, grazie alle loro professionali, credibili, verificabili e verificate informazioni dal territorio. Ed è stato proprio in base a quelle informazioni preoccupanti ma realistiche, che la decisione presa il 6 ottobre scorso dal Consiglio europeo, anche se con delle frasi “diplomaticamente e politicamente corrette”, non ha confermato le aspettative della Commissione europea. Come è successo sempre, durante questi ultimi anni. Almeno nel caso dell’Albania. Chissà, però, se quelle dichiarazioni fatte dalle massime autorità della Commissione europea, nonché il contenuto dei rapporti di progresso della Commissione stessa, si basano, “senza accorgersi e sulla fiducia”, su delle informazioni del tutto non realistiche e prive di correttezza professionale, raccolte e inviate alla Commissione dai loro rappresentanti in Albania, oppure si basano su altre “motivazioni”?!

    Il 6 ottobre scorso, dopo il vertice del Consiglio europeo in Slovenia, è stato pubblicato anche il testo ufficiale della Dichiarazione approvata all’unanimità dai capi di Stato e di governo di tutti i Paesi membri dell’Unione europea. Nel primo punto della Dichiarazione si afferma: “…L’Unione europea ribadisce il suo impegno a favore del processo di allargamento”. Un impegno quello che si basa, però, sulle “…riforme credibili dei partner, di un’equa e rigorosa condizionalità e del principio meritocratico”. In questa affermazione gli analisti hanno evidenziato e sottolineato l’uso della parola “partner” invece dell’espressione “Paese candidato all’adesione nell’Unione“. In più si ribadisce che “…è importante che l’UE possa mantenere e rafforzare il suo sviluppo, compresa la capacità di integrare nuovi membri”. Un’altra affermazione che mette in evidenza la necessità, espressa da diversi Paesi membri dell’Unione europea, di “rafforzare il suo sviluppo” prima di attuare l’allargamento dell’Unione con altri Paesi, compresi quelli balcanici. In più, e riferendosi sempre ai Paesi balcanici, nel secondo punto della Dichiarazione si afferma che l’Unione europea “…accoglie con favore la conferma dell’impegno dei partner dei Balcani occidentali a favore del primato della democrazia, dei diritti e valori fondamentali e dello Stato di diritto, come pure della prosecuzione degli sforzi per lottare contro la corruzione e la criminalità organizzata e per sostenere la buona governance, i diritti umani, la parità di genere e i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. Mettendo così in evidenza alcune delle preoccupanti problematiche, con le quali ci si affronta e si subisce quotidianamente in diversi Paesi balcanici. Si tratta di problematiche ben presenti che hanno portato ad una simile grave ed allarmate realtà in Albania. Proprio lì, dove in questi ultimi anni, dati e fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, è stata restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura sui generis. Proprio in Albania, dove, invece dello Stato di diritto, tutto il sistema “riformato” della giustizia è controllato personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Proprio in Albania, dove la “lotta contro la corruzione” è solo e soltanto una frase di propaganda, essendo ormai testimoniato che la galoppante corruzione sta corrodendo tutto e tutti nelle istituzioni statali e nell’amministrazione pubblica. Proprio in Albania, dove il potere politico, rappresentato dal primo ministro e/o da chi per lui, convive e collabora in un modo ben strutturato ed organizzato con la criminalità organizzata. Una connivenza ed una collaborazione quella con la criminalità organizzata, locale ed internazionale, che ha permesso al primo ministro la “vittoria” elettorale del 25 aprile scorso ed il suo attuale terzo mandato governativo, come confermano anche diversi rapporti ufficiali delle più credibili istituzioni internazionali specializzate. E sono soltanto alcune delle preoccupanti e gravi problematiche con le quali si affrontano e ne subiscono quotidianamente gli indifesi cittadini albanesi. Problematiche che, però, non sono state mai evidenziate né dai rapporti permissivi della Commissione europea e neanche dalle dichiarazioni “entusiastiche e positiviste” che da anni stanno rilasciando i massimi rappresentanti della Commissione stessa sulla situazione e sui continui progressi che sta facendo l’Albania (Sic!). Mentre nel quarto punto della sopracitata Dichiarazione del Consiglio europeo si afferma che il sostegno dell’Unione europea “…continuerà a essere legato al conseguimento di progressi tangibili in materia di Stato di diritto e di riforme socioeconomiche nonché all’adesione dei partner ai valori, alle regole e agli standard europei”. Il che, nel caso dell’Albania, significa semplicemente posticipare ad una data non determinata la convocazione della prima conferenza intergovernativa, come parte integrante del previsto ed obbligatorio percorso europeo. Proprio di quella conferenza, per la cui convocazione la presidente della Commissione europea si era personalmente impegnata e determinata a realizzarla “al più presto”, in modo da avviare in seguito “i negoziati dell’adesione prima della fine dell’anno. Questo è l’obiettivo”. Così dichiarava lei il 28 settembre scorso, durante la sua visita ufficiale in Albania! E tutto ciò soltanto una settimana prima dello svolgimento del sopracitato vertice del Consiglio europeo in Slovenia. Vertice la cui Dichiarazione finale, tra l’altro, testimonia e dimostra anche l’ipocrisia delle dichiarazioni dei massimi rappresentanti della Commissione europea, nonché la non veridicità del contenuto dei rapporti ufficiali di progresso della Commissione stessa sull’Albania.

    Nel frattempo, dopo il vertice del Consiglio europeo del 6 ottobre scorso, per il primo ministro albanese, trovatosi in difficoltà e come sempre accade, la colpa è ovunque, la colpa è di tutti, di chicchessia, tranne la sua. Invece, dati e fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo alla mano, la vera verità grida ai quattro venti che per tutto quello che da anni sta accadendo in Albania, almeno istituzionalmente, la colpa è proprio del primo ministro! Dopo il vertice del Consiglio europeo del 6 ottobre scorso, per il primo ministro albanese la colpa è dei singoli Paesi dell’Unione europea e dell’Unione stessa! Sì, perché secondo lui l’Europa sta attraversando un momento non così buono, “con tanti problemi interni e l’allargamento non si attende con entusiasmo”! La sua irrefrenabile spinta interna di mentire e di ingannare, come suo solito in casi simili, anche in questo caso fa sì che lui, il primo ministro albanese, per salvare la sua faccia, dia la colpa ad altri. Mentre mente consapevolmente nell’affermare che “…l’Albania ha fatto i compiti di casa”, ma purtroppo l’Unione europea “non è in grado di rispettare le sue promesse”!

    Chi scrive queste righe, come spesso accade, avrebbe avuto di nuovo bisogno di molto più spazio per trattare le conseguenze dell’ipocrisia istituzionale delle massime autorità della Commissione europea sugli sviluppi politici e sociali in Albania. Egli però è convinto che quelle dichiarazioni, essendo prive di fondamenta e non rispecchiando per niente la vera, vissuta e sofferta realtà albanese, favoriscono semplicemente il primo ministro e tutti coloro che, insieme con lui, stanno traendo beneficio da simili affermazioni. Così facendo si cerca di spingere anche altri, tanti altri, a credere ad un’ipocrisia del genere. Si richiede anche ai cittadini albanesi, come scriveva Boris Pasternak, nel suo rinomato romanzo Il dottor Zivago, di farsi portatori di questa ipocrisia costante, eretta a sistema.

  • La verità rende liberi

    Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto
    di dire alla gente cose che non vogliono sentire.

    George Orwell

    Erano convinti i latini che veritas vos liberat, cioè che la verità vi rende liberi. Lo testimonia anche l’evangelista Giovanni: “…Gesù allora disse a quei Giudei: conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Vangelo secondo Giovanni; 8/32). Ne era convinto anche Epitteto, un filosofo della scuola degli stoici, secondo il quale “Nessuno è libero se non è padrone di se stesso”. Essendo nato schiavo a metà del primo secolo d.C. secondo i documenti storici dell’epoca, perché sua madre era una schiava, questo pensiero di Epitteto assume un particolare significato. Ma non tutti dicono la verità e per vari motivi e ragioni. Non lo fanno neanche gli ipocriti. Anzi, sono proprio loro che con le loro parole, con le loro “mezze verità”, riescono spesso a diffondere delle realtà illusorie e fittizie. Così facendo gli ipocriti, soprattutto quelli che rivestono delle cariche politiche ed istituzionali, generano, nolens volens, delle preoccupanti situazioni e delle altrettanto preoccupanti e pericolose conseguenze.

    Il vero e diretto significato dell’ipocrisia è stato trattato semplicemente e significativamente anche da Papa Francesco durante l’Udienza generale del 25 agosto scorso.  “Cos’è l’ipocrisia?” si chiedeva il Pontefice. E la sua risposta era: “…Si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi”. Il Santo Padre ha poi specificato che “…la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto. La finzione ti porta a questo: alle mezze verità. E le mezze verità sono una finzione”. Per il Papa la verità è una ed una sola. Non possono essere due o più verità. Lo ha ribadito in modo inequivocabile: “…la verità è verità o non è verità”! Mentre: “…le mezze verità sono questo modo di agire non vero”. Per Papa Francesco “L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno, perché vive con una maschera sul volto e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità”. Essendo convinto che “…Ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia”, il pontefice ha detto che anche nella politica “…non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato”, mettendo così in evidenza proprio quel preoccupante “sdoppiamento”, quel presentarsi con due facce, quelle apparenze mascherate di non pochi rappresentanti politici ed istituzionali, in varie parti del mondo. Papa Francesco, ha usato delle parole semplici, durante l’Udienza generale del 25 agosto scorso, per esprimere le sue convinzioni. Anche perché la verità è semplici. Sono però quelli che, interessati a nascondere la verità, ipocriti compresi, usano sempre le parole, tante parole, per renderla “complicata” la verità, per nasconderla la verità, per alienarla la verità. E purtroppo coloro che sono interessati ed intenzionati a nascondere la verità, a “coprire” la verità e sostituirla con una loro “verità”, spesso ci riescono. Con tutte le derivanti conseguenze. Perché, come ci insegnano la saggezza umana e le Sacre Scritture, alla fine dei conti è “la verità che ci rende liberi”! Perché sono e saranno proprio gli uomini liberi e con lo spirito libero che hanno cambiato e continueranno a cambiare in meglio la società ed il mondo. Questo ci insegna la storia.

    Il 1 ottobre scorso il presidente del Consiglio europeo ha inviato una lettera a tutti i membri del Consiglio europeo in vista della loro riunione informale e del vertice dei Balcani occidentali in Slovenia (5 – 6 ottobre 2021). Il 5 ottobre è stato previsto un incontro informale dei massimi rappresentanti degli Stati membri dell’Unione europea, durante il quale si discuterà sul ruolo dell’Unione nell’ambito degli sviluppi internazionali. Un tema che diventa di grande importanza soprattutto dopo quello che è accaduto e sta tuttora accadendo in Afghanistan. Ma anche dopo la rottura unilaterale dell’accordo tra la Francia e l’Australia per i sottomarini a propulsione nucleare. L’autore di queste righe ha trattato questi argomenti recentemente per il nostro lettore (Paese che vai, realtà che trovi; 20 settembre 2021). I rapporti con la Cina saranno un altro argomento da discutere il 5 ottobre prossimo. Mentre il giorno successivo, il 6 ottobre prossimo è previsto il vertice tra i massimi rappresentanti del Consiglio europeo e dei Paesi dei Balcani occidentali. Un vertice previsto da svolgersi in due sezioni. In una sezione si esamineranno i modi “…per approfondire ulteriormente il dialogo politico, la cooperazione in materia di sicurezza e l’impegno strategico, ribadendo la volontà comune di lavorare per un’Europa forte, stabile e unita”, come scriveva il presidente del Consiglio europeo. Nell’altra sezione si esamineranno e si valuteranno i progetti nei Balcani occidentali da essere finanziati per “promuovere la ripresa socioeconomica e lo sviluppo sostenibile della regione”.

    La scorsa settimana, in attesa del sopracitato vertice in Slovenia, la presidente della Commissione europea ha visitato i sei Paesi dei Balcani occidentali. Tra il martedì ed il giovedì della settimana scorsa lei è stata in Albania, nella Macedonia del Nord, in Kosovo, in Montenegro, in Serbia ed in Bosnia-Erzegovina. Durante la sua visita in Albania, la presidente della Commissione europea ha dichiarato, dopo l’incontro con il primo ministro, che “…con un buon progresso nella riforma della giustizia, l’Albania ha raggiunto un risultato. Adesso l’Unione europea deve mantenere la [sua] parola”. Riferendosi poi alle procedure di adesione dell’Albania e della Macedonia del Nord, la presidente della Commissione europea ha altresì dichiarato la sua determinazione per realizzare al più presto la prima conferenza intergovernativa “…in modo da avviare i negoziati dell’adesione prima della fine dell’anno. Questo è l’obiettivo”.

    Da anni ormai i massimi rappresentanti della Commissione europea presentano al Parlamento e al Consiglio europeo dei rapporti di progresso tramite i quali si garantiscono i successi raggiunti. Da anni però il Consiglio europeo rimanda l’apertura della prima conferenza intergovernativa tra l’Unione europea e l’Albania e la successiva apertura dei negoziati di adesione. Ci sarà forse una ragione? Si che c’è. Ci sono ben quindici condizioni sine qua non che l’Albania deve esaudire prima della decisione positiva da parte del Consiglio europeo. E quelle condizioni non solo non sono esaudite, ma la realtà vissuta e sofferta in Albania testimonia ben altro. Chissà però perché questi simili “entusiastici” rapporti della Commissione e queste dichiarazioni piene di elogi per i “successi raggiunti dall’Albania” da parte dei massimi rappresentanti della Commissione europea?! Una cosa è ben certa però: quei rapporti e quelle dichiarazioni non rispecchiano per niente la vera, vissuta, sofferta e preoccupante realtà albanese. Anzi, quei rapporti e quelle dichiarazioni sembra si riferiscano ad un paese immaginario, che esiste soltanto per il primo ministro e la sua potente e ben organizzata propaganda, appoggiata anche internazionalmente. Purtroppo, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, quei rapporti e quelle dichiarazioni sarebbero, tra le altre cose, anche delle espressioni di pura ipocrisia, se non altro. E l’ipocrisia “è paura per la verità”, come ha detto Papa Francesco durante l’Udienza generale del 25 agosto scorso. Mentre l’ipocrita “è una persona che finge, lusinga e trae in inganno”. L’autore di queste righe ha trattato spesso per il nostro lettore, durante questi ultimi anni, questa ipocrisia dei massimi rappresentanti della Commissione europea e quel loro “inspiegabile”, nonché ingiustificato ed ingiustificabile appoggio che, da anni, stanno dando al primo ministro albanese. E continuano a farlo, nonostante l’Albania risulta essere, secondo le istituzioni specializzate internazionali, quelle dell’Unione europea comprese, un Paese dove la coltivazione ed il traffico illecito delle droghe sta preoccupando sempre di più. Per le stesse istituzioni, l’Albania è un paese dove la corruzione galoppante è una ben evidenziata realtà. L’Albania è un Paese dove la connivenza tra il potere politico e la criminalità organizzata è ormai un dato di fatto. L’Albania, sempre secondo i rapporti delle istituzioni specializzate internazionali, quelle dell’Unione europea comprese, risulta essere uno tra i primi Paesi, non solo in Europa, per il riciclaggio del denaro sporco. Risulta essere, altresì, uno tra i primi Paesi al mondo per il numero dei richiedenti asilo in Europa. Anzi, proprio per questa ragione sono diversi i Paesi membri del Consiglio europeo che rifiutano di aprire i negoziati dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea. Purtroppo l’Albania è anche un Paese tra i più poveri d’Europa che, con la continua fuga disperata dei propri cittadini verso altri Paesi europei, si sta continuamente e paurosamente spopolando. Con tutte le conseguenze derivanti. Ma per i massimi rappresentanti della Commissione europea queste realtà non esistono. Esistono però quelle realtà diffuse dal primo ministro e dalla sua propaganda. Chissà perché?! Certo non si capirà neanche durante il vertice in Slovenia che comincia domani e dove dopodomani, 6 ottobre, si tratterà anche il futuro europeo dei Paesi dei Balcani occidentali. Ma secondo alcune indiscrezioni mediatiche, pubblicate il 28 settembre scorso dall’agenzia Reuters, quel futuro sarebbe tutt’altro che garantito, come cercano di far credere i massimi rappresentanti della Commissione europea.

    Chi scrive queste righe avrebbe tante, tantissime altre cose da trattare su questo argomento, ma lo spazio non lo permette. Egli però è convinto che le verità si devono dire per quelle che sono. Perché la verità rende gli uomini liberi. Anche gli albanesi devono riuscire finalmente a dire le loro verità. Le verità che hanno a che fare con coloro che volutamente, da anni, malgestiscono la cosa pubblica, che rubano il denaro dei contribuenti, che abusano paurosamente e pericolosamente con il potere, ormai usurpato, più che conferito dai cittadini. Il che significa che gli albanesi devono dire anche la verità sul comportamento, del tutto non istituzionale e con delle gravi conseguenze, dei soliti “rappresentanti internazionali”. Loro devono dire la verità anche sul contenuto delle dichiarazioni ipocrite dei massime autorità della Commissione europea, essendo la verità una sola! Perché, come scriveva George Orwell, se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire. Ed è certo che anche nella Commissione europea ci sono persone che non vogliono sentire la verità.

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