Albania

  • Preferisce essere chiamato anche asino, ma mai e poi mai ladro

    Nei tempi antichi, barbari e feroci, i ladri s’appendevano alle croci:
    ma nei presenti tempi più leggiadri, s’appendono le croci in petto ai ladri.

    Giuseppe Mazzini

    Una mattina Pinocchio si accorse che qualcosa di strano era accaduto con le sue orecchie. Questo ci ha maestosamente raccontato Carlo Collodi nel capitolo 32 del suo famoso libro Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino. Proprio così, si accorse stordito che “…gli orecchi gli erano cresciuti più d’un palmo”. Si alzò, ma non trovando uno specchio per potersi vedere, Pinocchio empì d’acqua la catinella del lavamano, e specchiandovisi dentro, rimase stupefatto. Si, perché, come ci racconta Collodi, “…vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: vide, cioè, la sua immagine abbellita di un magnifico paio di orecchi asinini”. Era così grande la vergogna e la disperazione del povero Pinocchio, che subito “…cominciò a piangere, a strillare, a battere la testa nel muro”. Una Marmottina, che abitava nel piano di sopra, preoccupata dalle grida e dai pianti, entrò nella stanza di Pinocchio e cominciò a prendersi cura di lui. Gli tastò il polso e poi, sospirando, disse: “…tu hai una gran brutta febbre… la febbre del somaro”. Una grave malattia quella, che avrebbe fatto diventare Pinocchio, entro poche ore, un asinino. E Marmottina spiegò a Pinocchio anche che “…oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giuochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari”. Allora Pinocchio capì tutto e piangendo disse a Marmottina: “…Ma la colpa non è mia: la colpa, credilo, Marmottina, è tutta di Lucignolo!”. Si proprio di Lucignolo, di quel suo compagno di scuola, che un giorno lo aveva convinto a non andare più a scuola, perché lì si annoiava a studiare. Era, invece, il Paese dei Balocchi dove dovevano andare e divertirsi dalla mattina alla sera. Dopo aver finito di parlare con Marmottima, ficcando un gran berretto di cotone in testa, Pinocchio andò subito ad incontrare Lucignolo. Ma, guarda caso, trovò anche lui sofferente della stessa sua malattia; la febbre del somaro. E mentre si confidarono che “…erano colpiti tutt’e due dalla medesima disgrazia”, qualcosa di incredibile cominciò ad accadere. Prima con Lucignolo e poco dopo anche con Pinocchio. Tutti e due “…si piegarono carponi a terra e, camminando colle mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza”. Collodi, però, ci racconta anche che “…il momento più brutto e più umiliante fu quello in cui sentirono spuntarsi di dietro la coda”. Tutti e due erano diventati degli asini che, invece di parlare tra di loro, cominciarono a ragliare. Erano tutte le brutte conseguenze della febbre del somaro. Questo ci ha raccontato Carlo Collodi nel capitolo 32 del suo famoso libro Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino.

    Era il 3 dicembre 2020, quando il primo ministro albanese, durante un’intervista televisiva in prima serata, ha fatto quello che fa sempre quando si trova in difficoltà: ha mentito in pubblico, cercando di dare la colpa agli altri. Quella volta è capitato alla sua fedelissima ministra della Giustizia, la quale mai e poi mai avrebbe osato di agire di testa sua, senza aver ricevuto, prima, ordine dal primo ministro e/o da chi per lui! Si trattava di una proposta di legge “presentata” dalla ministra che, da alcuni giorni, aveva suscitato una forte reazione pubblica. Un suo articolo prevedeva addirittura la condanna in carcere per chi produceva e/o propagava memi attraverso internet! Durante quell’intervista televisiva il primo ministro ha cercato di apparire come uno che non sapeva niente! Proprio lui che controlla tutto e tutti! E per convincere e rassicurare che non era responsabile dell’inserimento di quel articolo ha cercato di fare quello che lui non è mai stato: ha cercato di fare l’innocente e l’onesto. A forza di sembrare credibile, in quell’occasione, il primo ministro albanese ha dichiarato che “…non ho nessun problema se qualcuno si esprime in modo negativo nei miei confronti. Se mi dicono [che sono un] somaro, questa è un’opinione e non è un problema per me”. Ma poi ha detto proprio quello che, più che dal suo conscio, è stato suscitato e dettato dal suo subconscio. E cioè ha dichiarato che “…nel caso in cui mi dicessero [che sono un] ladro, allora questa non è [più] un’opinione”. Lasciando così capire che, in quel caso, il suo atteggiamento sarebbe stato ben diverso e che sarebbero stati guai per colui che avrebbe fatto una simile intollerabile accusa nei suoi confronti. Sì, perché per il primo ministro è proprio insopportabile e intollerabile che qualcuno lo consideri e, men che meno, lo chiami ladro in pubblico. Si tratterebbe di una reazione del suo subconscio, che cerca in tutti i modi di reagire e di cancellare, anche per se stesso, la tremenda verità; quella di essere un ladro. Ma non un ladro comune però, un ladro qualsiasi, bensì un ladro che, consapevolmente, da anni ha abusato e continua ad abusare dei milioni della cosa pubblica. Anche adesso, in tempo di pandemia!

    Tanto è vero e reale questo suo incubo, questa sua sofferenza psichica, che il 15 ottobre 2020, sempre durante un dibattito televisivo in prima serata, il primo ministro albanese ha ripetuto se stesso, facendo un’altra “strana” dichiarazione. Una dichiarazione quella, sempre suscitata dal suo subconscio e che riguarda il suo incubo di essere chiamato ladro. Durante quel dibattito, per convincere tutti che lui, uomo politico, non era un ladro, ha detto ai giornalisti: “…voi dite che i politici sono tutti ladri. Ma dovete scordarlo, perchè non ci sono ladri e bugiardi sopra i due metri”. E visto che il primo ministro ha una spiccata altezza corporea, si capisce, intendeva se stesso con quella affermazione. Ma anche in questo caso, nonostante parlasse dei “politici” in generale, lui, nel suo subconscio, continuava a reagire diversamente, riferendosi, come sempre, a se stesso. Mentre per quanto riguarda la sua dichiarazione sui ladri, sì, forse non ci sarebbero molti ladri con quella altezza corporea. Anche perché la percentuale degli esseri umani con quella altezza è molto limitata in tutto il mondo. In più, per motivi “tecnici” del mestiere, i ladri comuni, che devono entrare/nascondersi anche in spazzi stretti e limitati, non possono avere quell’altezza e quel volume corporeo. Invece il primo ministro albanese non è un ladro comune. Lui, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, da primo ministro, ha abusato e continua ad abusare del bene pubblico. E come se non abusa! Anche in questo periodo di pandemia. Lui abusa, sempre usufruendo del suo potere istituzionale, tramite il controllo, la gestione e l’orientamento delle influenze. Sia nel settore pubblico, che in quello privato. Facilitando così anche la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti, locali ed internazionali, con lui alleati. Anche questa è una realtà ben nota. Nel frattempo non si sa niente del numero dei bugiardi sopra i due metri, ai quali si riferiva il primo ministro durante il dibattito televisivo del 15 ottobre 2020! Molto probabilmente, anche in questo caso sarebbe stato il suo subconscio che avrebbe reagito, visto che la bugia è uno dei sui vizi innati. E proprio per le irresponsabilità istituzionali del primo ministro, per i suoi abusi di potere, per le sue bugie e inganni, nonché per le sue vendette personali, gli albanesi devono continuare a subire. Una brutta e preoccupante notizia è stata resa pubblica il 2 aprile scorso. L’Albania ha perso definitivamente la causa giudiziaria avviata nel 2015. Una causa avviata dopo la chiusura fortemente voluta per “vendetta” dal primo ministro, di una televisione privata, proprietà di un imprenditore italiano. Con quella decisione definitiva in appello è stata confermata la delibera del 2019,con la qualle ICSID (l’acronimo di International Centre for the Settlement of the Investment Disputes; una struttura specializzata, facente capo alla World Bank; n.d.a.) condannò lo Stato albanese a pagare all’imprenditore italiano, per danni subiti, la somma di 110 milioni di euro! Anche in questo caso i poveri cittadini albanesi devono pagare di tasca propria i vizi del primo ministro. Di colui che preferisce essere chiamato anche asino, ma mai e poi mai ladro!

    Chi scrive queste righe pensa che il primo ministro è la persona istituzionalmente e direttamente responsabile della grave situazione in cui si trova attualmente l’Albania. Proprio lui, il quale ogni volta che si trova in difficoltà, per via degli innumerevoli scandali governativi e abusi di potere, cerca di passare la colpa a chicchessia e a trovare “nemici” ovunque. Lui però non riconosce mai le sue colpe e le sue responsabilità. Chi scrive queste righe ricorda bene che per Pinocchio era veramente tremendo, era insopportabile e vergognoso essere diventato un somaro. Mentre per il primo ministro albanese essere un somaro non è un problema! Lo ha dichiarato lui stesso. Basta che nessuno lo chiami ladro! Chissà perché?! Chi scrive queste righe pensa che quanto affermava circa due secoli fa Giuseppe Mazzini, il grande statista italiano, riferendosi ai ladri, purtroppo continua ad essere attuale in diversi Paesi del mondo. Anche in Albania. E cioè che “Nei tempi antichi, barbari e feroci, i ladri s’appendevano alle croci: ma nei presenti tempi più leggiadri, s’appendono le croci in petto ai ladri.”. Il primo ministro albanese però, invece di essere “appeso alla croce” per quello che ha fatto, con la sua ben nota arroganza e la sua irresponsabilità ha messo a se stesso la croce al petto. Fino a quando però un asino sarà anche un ladro?!

  • Ignavi per viltà, oppure volutamente parte del Male?

    Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
    vidi e conobbi l’ombra di colui
    che fece per viltade il gran rifiuto.

    Dante Alighieri; Divina Comendia, Inferno; Canto III/58-60

     “…Lasciate ogni speranza o voi che entrate!” (nel testo originale: “…Lascite ogne speranza, voi’ch’intrate”; Inferno, Canto III/9). Così si legge alla fine di un breve testo che precede il terzo canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Tutto si svolge nell’Antinferno, ovvero nell’oltretomba. Un luogo quello dove si trovano le anime degli ignavi, persone senza volontà ed energia morale, ai quali Dante ha dedicato il suo terzo canto dell’Inferno. Sono tutti quelli che durante la propria vita “…non operarono né il bene né il male, per loro scelta di vigliaccheria”. Il Sommo Poeta scriveva anche “…che questa era la setta d’i cattivi, a Dio spiacenti e a’nemici sui – che questa era la schiera dei vili, che spiacquero tanto a Dio, quanto ai suoi nemici” (Inferno III/61-63). Egli era convinto, riferendosi agli ignavi, che erano come “…questi sciaurati che mai non fur vivi – questi sciagurati che non vissero mai veramente” (Inferno; III/64). La loro condanna, nell’oltretomba, era quella di essere “…punti e tormentati da vespe e mosconi, che gli fanno colare il sangue dal volto, il quale cade a terra mischiato alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti.” (Inferno; III/65-69). E proprio lì, oltre l’ingresso dell’oltretomba, a Dante sembrò di aver visto e riconosciuto “…l’ombra di colui che per viltà fece il grande rifiuto” (Inferno; III/59-60). Sono in tanti gli studiosi di Dante, i quali credono che, con questi versi, egli si riferiva a Pietro Angelerio del Morrone, un monaco eremita, che, nel luglio 1294, dopo ventisette mesi di difficili e inconcludenti sedute del Conclave, diventò papa con il nome di Celestino V. Ma il suo pontificato durò soltanto pochi mesi, perché nel dicembre 1294 Papa Celestino V diede le sue dimissioni. Ma quei versi di Dante, che si riferiscono a “colui che per viltà fece il grande rifiuto”, possono benissimo riferirsi a tante altre persone, in tutti i tempi e in diversi Paesi del mondo. Persone che, con il loro comportamento non operano, oppure “…non operarono né il bene né il male, per loro scelta di vigliaccheria”, come scriveva Dante. Il che genera situazioni tali che possano creare gravi danni, non solo a poche persone, ma ad una intera popolazione.

    Il 25 marzo scorso in Italia è stato celebrato il Dantedì, proclamata nel 2020 come la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri (1265-1321). Una scelta non casuale della data visto che molti studiosi del Sommo Poeta riconoscono in quella data l’ingresso nell’oltretomba di Dante e del suo maestro, Virgilio, l’autore dell’Eneide. Un ingresso maestosamente descritto dal poeta nel terzo canto dell’Inferno. In più, quest’anno ricorreva anche il settimo centenario della morte di Dante Alighieri, riconosciuto ormai anche come il padre della lingua italiana.

    Ma il 25 marzo scorso ricorreva anche un’altro importante avvenimento; il 64o anniversario della firma dei Trattati di Roma. Era proprio il 25 marzo 1957, quando in Campidoglio a Roma, nella sala degli Orazi e Curiazi, sono stati firmati due importanti documenti. Si trattava di quegli atti che hanno sancito la costituzione di quella che ormai è diventata l’Unione europea. Il primo atto riguardava l’istituzione della Comunità economica europea (CEE), mentre il secondo atto la fondazione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA), conosciuta come l’Euratom. I Trattati sono stati firmati dai rappresentanti dei sei paesi fondatori (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Olanda). Con la sottoscrizione di quei due importanti documenti prese vita quel visionario progetto ideato da più di dieci anni prima, in piena seconda guerra mondiale. Il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941, ne è una testimonianza. In seguito, nel 1951 prese vita la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Sessantaquattro anni dopo la firma dei Trattati di Roma, l’Unione europea, composta da ventisette Stati europei membri e altri che ne hanno presentato la domanda di adesione, è diventata una funzionante realtà. Tutto ciò è dovuto anche alla lungimiranza e alla determinazione dei Padri Fondatori della Europa unita. L’autore di queste righe scriveva proprio quattro anni fa che “…La grande idea dei Padri Fondatori per un’Europa Unita si potrebbe sintetizzare, tra l’altro, nelle parole di Altiero Spinelli”. Spinelli, il quale era convinto della necessità di “…creare una sorta di Stati Uniti d’Europa”, perché, come scriveva lui, “…Solo in questo modo centinaia di milioni di esseri umani avranno la possibilità di godere di quelle semplici gioie e di quelle speranze che fanno sì che la vita valga la pena di essere vissuta”. (Doverose riflessioni; 27 marzo 2017).

    Ma, purtroppo, non sempre le cose funzionano come avevano previsto e voluto i Padri Fondatori. Per vari e ben diversi motivi. Basta pensare all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Un processo quello, noto anche come Brexit, che si ufficializzò dal referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea, svoltosi il 23 giugno 2016. Dopo circa quattro anni di trattative sulle modalità, finalmente il 31 dicembre 2020 il Regno Unito non è più ufficialmente uno Stato membro dell’Unione europea. Bisogna però, anzi è doveroso, ammettere anche che nell’arco di questi ormai sessantaquattro anni, non sempre i massimi rappresentanti delle varie istituzioni di quella che attualmente è l’Unione europea hanno rispettato, come previsto, i loro obblighi istituzionali. Non sempre essi hanno preso le decisioni giuste e non sempre hanno agito nell’interesse dell’Unione, vista come un insieme di Paesi membri, nonostante abbiano ceduto parte della loro sovranità, ma bensì, hanno deliberato nell’interesse di parte. Quanto è accaduto e sta accadendo durante questo difficile periodo di pandemia ne è una dimostrazione. Non sempre i massimi rappresentanti e gli alti funzionari delle istituzioni dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, sono stati oggettivi e “non influenzati” nelle loro decisioni prese e nelle loro dichiarazioni ufficiali pronunciate pubblicamente. E questo non solo nell’ambito dei diritti e i doveri comunitari dei Paesi membri. Ma anche e soprattutto, nell’ambito dei processi di allargamento dell’Unione ad altri Paesi.

    Una dimostrazione di ciò ne è il caso dell’Albania. L’autore di queste righe, da anni ormai, sta evidenziando sia le ingiustificabili preferenze dei massimi rappresentanti della Commissione europea, dal 2014 ad oggi, espresse anche, ma non solo, nei rapporti annuali di progresso, redatti dalla Commissione e indirizzati alle altre istituzioni dell’Unione europea, per essere pressi in considerazione durante i rispettivi processi decisionali. Egli, altresì, considera il comportamento “ambiguo” degli alti rappresentanti europei, soprattutto quelli della Commissione, come molto preoccupante e dannoso. Sia per gli effetti diretti causati, che per le derivate conseguenze. Da anni ormai l’autore di queste righe ha trattato spesso, per il nostro lettore, il comportamento da “ignavi” e le preoccupanti conseguenze, per gli albanesi e per l’Albania, dell’operato non solo dei massimi rappresentanti e i funzionari di vari livelli delle istituzioni dell’Unione europea. Ma anche di quelli che egli solitamente chiama come i “rappresentanti internazionali”. Tutti quelli, nonostante cambiano nome, rimangono simili nell’atteggiamento e nelle loro “preferenze” di parte. Sia quelli in Albania che gli altri, nelle sedi delle istituzioni dell’Unione europea ed oltreoceano. E guarda caso, sempre la parte da loro scelta è quella rappresentata dal primo ministro albanese. Da colui che, da anni ormai, ha volutamente ignorato le sue responsabilità e i suoi obblighi istituzionali, scegliendo determinato la connivenza con la criminalità organizzata, locale ed internazionale, e con certi raggruppamenti occulti, anche quelli locali ed internazionali. (Anime in vendita anche a Bruxelles, 24 settembre 2018; Di male in peggio, 21 ottobre 2019 ecc.). Lo stesso atteggiamento, i rappresentanti della Commissione europea e quelli in Albania lo stanno dimostrando con quanto stanno facendo anche adesso, durante queste ultime settimane prima delle elezioni del 25 aprile prossimo in Albania. Loro “non vedono, non sentono e non capiscono niente” della realtà vissuta e sofferta dai cittadini, mentre parlano e si riferiscono ad una realtà immaginaria. Proprio quella realtà “fabbricata’ negli uffici del primo ministro e della sua ben potente propaganda. A scapito, però, dei cittadini albanesi.

    Chi scrive queste righe, riferendosi agli alti rappresentanti della Commissione europea e/o ai soliti “rappresentanti internazionali” in Albania, è convinto che abbiano agito e stanno tuttora agendo per “viltade”, rifiutando di rispettare i loro obblighi istituzionali. Egli è convinto che tutti loro, per viltà, oppure per ben altre “ragioni”, sono schierati consapevolmente dalla parte del Male. Cosi facendo però, hanno scelto il “Grande Rifiuto”, quello di non rispettare i loro obblighi istituzionali e di non schierarsi dalla parte del Bene e degli interessi degli albanesi onesti. Chi scrive queste righe non sa con certezza, però, se loro siano degli ignavi per viltà, oppure sono diventati volutamente parte del Male. A loro la risposta. Ma anche se siano soltanto degli ignavi per viltà, le loro anime soffriranno lo stesso nell’oltretomba, “…punti e tormentati da vespe e mosconi, che gli fanno colare il sangue dal volto…”. Come lo descriveva Dante, nel suo terzo canto dell’Inferno.

  • Avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità

    Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello
    stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

    Paolo Borsellino

    Ieri in Italia è stata celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Non a caso è stato stabilito che una simile ricorrenza, dal 1996, avvenga proprio il 21 marzo, il primo giorno della primavera. Un giorno che simboleggia la rinascita della vita e la speranza. Il presidente Mattarella ieri, nel suo messaggio, ha ribadito che “Le mafie cambiano le forme, i campi di azione, le strategie criminali. Si insinuano nelle attività economiche e creano nuove zone grigie di corruzione e complicità. Sono un cancro per la società e un grave impedimento allo sviluppo”. Un chiaro e molto significativo messaggio per tutti, e non solo in Italia. Sì, le mafie, la criminalità organizzata, non si fermano di fronte a niente, anzi! Cambiano le strategie, approfittando senza scrupoli di qualsiasi opportunità creata. Anche della pandemia. Lo ha detto chiaramente Papa Francesco ieri durante l’Angelus, nell’ambito della stessa ricorrenza: “Le mafie sono presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione”. La criminalità organizzata, in qualsiasi parte del mondo, rappresenta una seria minaccia per tutti. Sì, perché prima o poi, in un modo o in un altro, chi più e chi meno, tutti saranno preda e vittime delle attività della criminalità organizzata. Compresi anche gli stessi dirigenti e/o membri, di qualsiasi livello, delle organizzazioni criminali. La storia sempre ci insegna. Come ci insegna che le conseguenze delle attività criminali, soprattutto quando si svolgono con la connivenza di coloro che devono gestire la cosa pubblica, sono gravi e creano vittime di ogni genere. Perché le vittime della criminalità organizzata non sono soltanto quelle che perdono la vita con le pallottole della criminalità. Sono molte di più le vittime causate dalle conseguenze dirette e/o indirette delle attività criminali e della connivenza della criminalità organizzata con il potere politico.

    Per definire un determinato modo di (mal)governare, c’è una parola particolare: la kakistocrazia. Come la maggior parte delle parole, usate ormai quotidianamente in molte lingue del mondo e che definiscono i sistemi sociali e politici, questa parola è stata coniata nell’antica Grecia. È una parola composta da due singole parole, kàkistos, che significa peggiore, e kratos, che significa comando. Perciò tradotta letteralmente, significherebbe “il potere dei peggiori”. Una parola che, da alcuni decenni, si sta riutilizzando sia in ambienti che si occupano degli studi che in quelli politici e mediatici. La kakistocrazia perciò è una parola che definisce e sintetizza il modo di governare dei peggiori. Il solo fatto che questa parola si sta utilizzando di nuovo testimonia, purtroppo, che in determinati Paesi del mondo la situazione è realmente drammatica e molto preoccupante. Una situazione che dovrebbe destare una reale preoccupazione, non solo per chi di dovere e i cittadini responsabili in questi Paesi, ma anche per le cancellerie degli altri Paesi confinanti e le istituzioni internazionali. Perché il Male non ha, non conosce e, men che meno, rispetta confini. Anche di tutto ciò la storia ci insegna.

    La kakistocrazia, purtroppo, è la parola che definirebbe propriamente il modo in cui, ormai da alcuni anni, stanno governando la cosa pubblica e tutto il resto in Albania. L’autore di queste righe, riferendosi alla realtà vissuta e sofferta dalla maggior parte della popolazione, da tempo sta sottolineando e ripetendo che in Albani è stata volutamente restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura. Un regime sui generis quello albanese, come espressione concreta dell’alleanza dell’attuale potere politico, rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Un regime dei peggiori, perciò una kakistocrazia, che sta generando gravi sofferenze per gli albanesi non coinvolti con il regime. Ragion per cui, chiunque cerca di trattare oggettivamente la realtà albanese non può chiudere gli occhi e le orecchie e far finta di niente di fronte a questa drammatica realtà e a quanto sta quotidianamente accadendo. Come hanno fatto da anni e continuano a farlo i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania e, spesso, anche a Bruxelles e in determinate cancellerie in Europa ed oltreoceano. Ragion per cui l’autore di queste righe continuerà a ribadire e sottolineare la pericolosità e la gravità delle conseguenze generate dalla kakistocrazia in Albania. Cercando, in questo modo, di descrivere quanto più oggettivamente possibile, riferendosi soltanto a dati e fatti pubblicamente noti, documentati e denunciati, la vissuta e sofferta realtà albanese.

    In qualsiasi Paese normale, dove si rispettano i sani principi morali, dove si garantisce il funzionamento dello Stato di diritto, come prevedono i criteri di Copenaghen (istituzioni statali e pubbliche stabili che possano garantire la democrazia, lo Stato di diritto ecc..), la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti si considerano parte integrante di un Male che danneggia seriamente la società. In qualsiasi Paese normale tutti loro sono considerati “dei peggiori”. Così come si considerano anche quelli, ai quali è stato conferito potere politico ed istituzionale e che, invece, cercano di mettere volutamente in atto la connivenza con la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti. Al contrario, i criteri morali e quelli “operativi” di coloro che gestiscono la cosa pubblica in Albania sono del tutto diversi. Il che, purtroppo, ha reso possibile, da qualche anno, la restaurazione e il consolidamento, in Albania, di una nuova dittatura sui generis, gestita dai “peggiori”, come rappresentanti di una funzionante e pericolosa kakistocrazia. Non a caso, in questi ultimi anni, i “peggiori’ in Albania, oltre a stabilire una stretta alleanza con la criminalità organizzata locale, hanno stabilito e rafforzato i legami anche con la criminalità internazionale. Compresa la ‘Ndrangheta italiana. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito e a più riprese. Anche alcune settimane fa (Pericolose e preoccupanti presenze mafiose; 1 febbraio 2021 e Pericoli che oltrepassano i confini nazionali; 8 febbraio 2021).

    Proprio in una simile grave e molto preoccupante realtà, il 25 aprile prossimo in Albania si svolgeranno le elezioni politiche. Il primo ministro, il rappresentante istituzionale del potere politico dei “peggiori”, sta cercando, costi quel che costi, un terzo mandato. Per se stesso ma anche per tutti gli altri “alleati”, rappresentanti della criminalità organizzata e dei raggruppamenti occulti, locali ed internazionali. Nel frattempo la situazione è tutt’altro che rassicurante in Albania. Anzi! La situazione si sta aggravando ogni giorno che passa. Lo stanno testimoniando le tante cose che stanno accadendo a ritmo pauroso e allarmante. La criminalità è diventata molto attiva. Attentati mafiosi e regolamenti di conti stanno insanguinando le vie e le piazza in diverse città. Ma la criminalità organizzata, quella alleata con il potere politico, si sta facendo valere. Ed è proprio questa criminalità che sta intimidendo anche i cittadini per costringerli a votare in modo tale da “facilitare” l’ottenimento del terzo mandato al primo ministro. Una testimonianza e una concreta dimostrazione di questa strategia ben ideata, programmata e messa in atto da qualche tempo ormai, è stata anche quella verificatasi il 14 marzo scorso. Durante la celebrazione di una festività di origini pagane, in una città albanese, si sono scontrati ed affrontati fisicamente due gruppi di sostenitori politici. Un significativo e molto eloquente caso, visto che si trattava di due gruppi capeggiati personalmente, uno dal primo ministro e l’altro dal capo dell’opposizione. Non si sa bene chi ha provocato chi. Quello che si sa ormai, perché è stato visto e rivisto da diverse registrazioni televisive e/o in rete, è che ci sono stati degli scontri fisici, con pugni e calci, tra i sostenitori del primo ministro e quelli del capo dell’opposizione. E i primi hanno avuto il meglio. Ma quello che è ancora più grave è che la maggior parte dei sostenitori del primo ministro erano membri della criminalità locale. Erano proprio quelli che circondavano il primo ministro, mentre lui camminava per le vie della città, come se fossero le sue guardie del corpo! Sono tutte persone con precedenti penali, ben note anche dalle strutture della polizia. Ma, nonostante la polizia di Stato fosse presente, nessuno degli aggressori è stato fermato. E poi, in seguito, anche dopo che l’opposizione ha denunciato l’accaduto con tanto di nomi e cognomi di tutti gli aggressori, accompagnatori del primo ministro quel 14 marzo scorso, le istituzioni del sistema “riformato” di giustizia non si sono mosse, come prevede la legge. Come se niente fosse accaduto!

    Chi scrive queste righe considera tutto ciò come un significativo anticipo di quello che accadrà in Albania durante questa vigilia delle elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Egli è convinto che sono delle preoccupanti avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità organizzata, per far vincere al primo ministro il suo terzo mandato. Egli teme, altresì, che anche adesso il potere politico, rappresentato dal primo ministro, e le mafie non fanno la guerra tra di loro. Macché, loro, i peggiori”, si sono messi di nuovo d’accordo per condizionare e controllare l’esito delle prossime elezioni e continuare a gestire la cosa pubblica insieme. Che tutto ciò sia un chiaro, significativo e serio messaggio non solo per le persone responsabili in Albania, ma anche per le cancellerie europee e i massimi rappresentanti dell’Unione europea!

  • Un nuovo e più preoccupante esodo

    Costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati,

    significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare,

    a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria.

    San Giovanni Paolo II

    Così scriveva Papa Giovanni Paolo II nel terzo paragrafo del suo messaggio per la 90ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, reso pubblico il 15 dicembre 2003, evidenziando proprio il diritto a non emigrare. E poi continuava, ribadendo che “…ogni Paese deve essere posto in grado di assicurare ai propri abitanti, oltre alla libertà di espressione e di movimento, la possibilità di soddisfare necessità fondamentali quali il cibo, la salute, il lavoro, l’alloggio, l’educazione, la cui frustrazione pone molta gente nella condizione di dover emigrare per forza”. Proprio così, considerando il diritto a non emigrare un sacrosanto diritto dei cittadini! Come quello della libertà d’espressione, per il quale i popoli hanno combattuto a lungo nel corso dei secoli. Diventa perciò obbligo dei governi e delle istituzioni di ogni Paese garantire questi diritti ai cittadini. Cosa che, purtroppo, non sempre si verifica, anzi! Come è dimostrato anche in questi ultimi anni in Albania. E come si è drammaticamente verificato trent’anni fa.

    Era il 6 marzo 1991. Mai i brindisini avrebbero immaginato quello che sarebbe accaduto nella loro città quella notte e nei giorni successivi.  Nelle ultime ore di quel giorno due navi entrarono nel porto di Brindisi. Due navi che portavano un carico mai visto prima in quel porto. Era un carico umano. Venivano dalla costa di fronte. Erano partite dall’Albania. Sul bordo di quelle due navi erano accatastati circa 6500 albanesi. Avevano attraversato, stremati, circa 50 miglia marine del canale d’Otranto, fino a raggiungere le coste pugliesi. In seguito, durante la notte del 6 marzo e le prime ore del 7 marzo 1991, al porto di Brindisi ed in altri porti sulla costa salentina arrivarono altre imbarcazioni. Tutte partite dall’Albania. Secondo dati mediatici del tempo, tra il 6 e il 7 marzo 1991, nei porti pugliesi arrivarono circa 25.000 albanesi. Erano uomini e donne, giovani e persone di una certa età, ma anche bambini, che scappavano dal loro Paese. Fuggivano speranzosi, sognando una vita migliore, dopo aver vissuto e sofferto sotto la dittatura comunista, una delle più atroci dittature in tutta l’Europa dell’Est. Quello del 6 e 7 marzo 1991 era soltanto l’inizio di un vero e proprio esodo che continuò, inarrestabile, anche nei mesi e negli anni seguenti, per circa un decennio. La mattina del 7 marzo 1991 si diede finalmente il permesso a quel “carico umano” di scendere a terra. Scendevano stremati, affamati e anche malvestiti, ma felici di aver finalmente toccato il suolo italiano. Come se fosse la terra promessa dei testi biblici. Colte impreparate di fronte ad una simile situazione di emergenza, le autorità locali si rivolsero alla popolazione con un breve messaggio “Gli albanesi arrivati a Brindisi hanno fame e freddo. Aiutateli!”. Subito dopo in tutta la città si allestirono i centri di assistenza, con cibo e vestiti. In più di trenta scuole, sia a Brindisi che nei suoi dintorni, gli appena arrivati trovarono una prima sistemazione. Con un’ordinanza delle autorità locali, le mense di Brindisi hanno preparato e distribuito i necessari pasti per gli albanesi. Rimarranno impresse nella memoria collettiva le immagini di quei giorni. Come non si dimenticherà mai la straordinaria generosità e l’ospitalità dei pugliesi nei confronti dei profughi arrivati dall’altra costa del mare.

    Purtroppo quell’esodo massiccio degli albanesi verso l’Italia e altri Paesi non finì nei primi anni ’90 del secolo passato. Un esodo quello, che allora era dovuto alle tante sofferenze e privazioni subite quotidianamente dagli albanesi, per più di 45 anni sotto la dittatura comunista. Purtroppo, dalla metà del decennio appena passato, si sta attuando un nuovo e più preoccupante esodo degli albanesi, ben più massiccio e preoccupante di quello del marzo 1991. L’autore di queste righe ha cominciato ad informare il nostro lettore di questo nuovo ed allarmante esodo dal 2015. Già da allora i richiedenti asilo con cittadinanza albanese erano secondi, come numero assoluto, soltanto ai siriani che scappavano da un devastante conflitto armato. Egli scriveva allora: “…E bisogna tenere presente che la popolazione albanese è di circa 3 milioni di abitanti, mentre quella siriana, secondo il World Population Review per il 2015, è di circa 22 milioni di abitanti!” (Accade in Albania; 7 settembre 2015). Ma, da allora la situazione si sta ulteriormente aggravando e il numero degli albanesi che decidono di lasciare tutto e di partire, senza neanche avere una minima garanzia, tranne la speranza per un futuro migliore, sta aumentando di anno in anno. L’autore di queste righe crede che ci sia proprio una ben ideata, programmata ed attuata strategia internazionale per lo spopolamento dell’Albania. Una strategia che, ovviamente, non riguarda soltanto l’Albania. Una strategia geopolitica ed occulta, quella, che sembrerebbe sia stata ideata e gestita da un raggruppamento che fa capo ad un miliardario speculatore di borsa di oltreoceano. L’autore di queste righe scriveva un anno fa che “…Da alcuni anni però, dati e fatti accaduti e che accadono di continuo alla mano, sembrerebbe che ci sia un “progetto” che prevederebbe anche l’allontanamento dei cittadini albanesi dalla madre patria. Lo dimostrano i numeri sempre più allarmanti di questi ultimi anni dei richiedenti asilo albanesi in diversi paesi europei e non solo”. In seguito continuava, specificando: “…guarda caso, sembrerebbe che il governo albanese, dal 2013 in poi, abbia adottato una strategia che porti a tutto ciò” (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). L’autore di queste righe continua a ritenere che “Un significativo e inconfutabile indicatore del funzionamento della “strategia di spopolamento” dell’Albania sarebbe anche il preoccupante incremento, in questi ultimi anni, del numero dei cittadini albanesi richiedenti asilo, spesso famiglie intere, in vari paesi europei. Non solo, ma per numero relativo, sono i primi, lasciando dietro i siriani, gli afgani ecc.” (Crescente spopolamento come sciagura nazionale; 10 febbraio 2020).

    L’esodo degli albanesi non si è fermato neanche dalla pandemia. Lo dimostrano i dati pubblicati dall’Ufficio europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO, una struttura dell’Unione europea; n.d.a.). In base al rapporto ufficiale per il 2020 dell’EASO risulta che “… in proporzione alla rispettiva popolazione, l’Albania ha continuato ad essere seconda al mondo, dopo la Siria, i cui cittadini scappano dalla guerra”! Una guerra, quella in Siria, che, guarda caso, cominciò esattamente dieci anni fa, proprio il 15 marzo 2011. E durante questi drammatici dieci anni di guerra in Siria risulterebbero circa 400 mila vittime, 12 milioni di sfollati e 12,4 milioni persone, pari al 60% della popolazione, colpite dall’insicurezza alimentare. In Albania, durante questi anni, non c’è stata una guerra come in Siria, ma purtroppo in Albania, dal 2013 ad oggi, una sola persona, il primo ministro, abusa sempre più del potere istituzionale conferito, controllando quasi tutte le istituzioni dello Stato, sistema della giustizia compreso! Diventando così un autocrate, con tutte le drammatiche conseguenze. Una delle quali è anche il continuo spopolamento del Paese. Da alcuni anni ormai in Albania si è restaurata una nuova e sui generis dittatura, controllata e gestita da un’alleanza tra il potere politico e la criminalità organizzata e alcuni raggruppamenti occulti internazionali. Una realtà quella che sta costringendo gli albanesi a scappare, come i siriani, nonostante in Albania non c’è la guerra!

    E proprio al primo ministro albanese, il 5 marzo scorso, veniva conferito in Italia un premio. Il presidente della Regione Puglia, in presenza anche del ministro italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, consegnò al primo ministro il premio “Radice di Puglia”. Un riconoscimento per “un pugliese di nazionalità albanese” (Sic!), come ha dichiarato il presidente della Regione Puglia. Una “novità” questa, perché, ad oggi, nessuno sapeva che il primo ministro albanese fosse pugliese! In realtà, il motivo di quella inattesa e ingiustificata premiazione dovrebbe essere stato ben altro. Comunque viene naturale la domanda: chissà perché proprio a lui, che è anche il principale responsabile del secondo esodo massiccio degli albanesi di questi ultimi anni?! Il secondo, dopo quello drammatico del marzo 1991 sulle coste pugliesi. Un’altra “premiazione” questa conferita per delle ben altre ragioni da quelle pubblicamente dichiarate. Un “premio” molto simile a quegli altri, di cui l’autore di queste righe informava il nostro lettore due settimane fa (Un vergognoso, offensivo e preoccupante sostegno alla dittatura; 1 marzo 2021).

    Chi scrive queste righe considera il conferimento del premio “Radice di Puglia” al primo ministro Albanese, il 5 marzo scorso, una vera e propria ipocrisia, un affronto ed un’offesa agli albanesi e alle loro sofferenze, causate proprio da quel “pugliese di nazionalità albanese”. Ma lo considera un affronto ed un’offesa fatta anche a tutti i pugliesi che trent’anni fa accolsero con tanta generosità gli albanesi che arrivarono nella terra di Puglia. Chi scrive queste righe da tempo è convinto che il primo ministro albanese ha volutamente ignorato e violato, tra molte altre cose, anche il diritto a non emigrare degli albanesi. Proprio quel diritto, al quale si riferiva San Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la 90ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, reso pubblico il 15 dicembre 2003. Ma il Santo Padre si riferiva a dei governanti responsabili e non a degli individui che hanno fatto patto con il Male.

  • Influenze di un potere occulto

    Quanto più grande il potere, tanto più pericoloso l’abuso.

    Edmund Burke

    Il 1o marzo scorso a Bruxelles si è svolta l’undicesima riunione del Consiglio di Stabilizzazione e Associazione tra l’Unione europea e l’Albania. Alla fine della riunione si è tenuta anche una conferenza stampa. Dalle dichiarazioni, sia dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza che del Commissario per la Politica di Vicinato e i Negoziati per l’Allargamento della Commissione europea, si è capito subito, però, che si stava continuando con le stesse frasi “zuccherate”. Frasi che purtroppo non hanno niente a che vedere con la vera realtà albanese. Proprio con quella grave realtà, vissuta e sofferta ogni giorno dai semplici cittadini. In sostanza, rimangono sempre le stesse dichiarazioni fatte e rifatte, dal 2014 in poi, dai massimi rappresentanti della Commissione europea, che si riferiscono ad una realtà immaginaria, identica a quella che, dal 2013, stanno sfornando continuamente il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa e mediatica. Si tratta di dichiarazioni che, nella migliore delle ipotesi, rappresenterebbero semplicemente una superficialità ingiustificabile nella conoscenza e nella descrizione di quello che realmente accade quotidianamente in Albania. Si tratta di dichiarazioni che rappresenterebbero anche un forzato tentativo di coprire quello che si doveva fare e che, però, non è stato fatto dai rappresentanti della Commissione europea, sia a Bruxelles che in Albania. Purtroppo, sarebbero dei ragionevoli e convincenti indizi i quali indurrebbero a pensare che dietro quelle continue dichiarazioni “zuccherate” dei massimi rappresentanti della Commissione europea, con le quali si applaude il successo del percorso europeo dell’Albania, ci siano degli interventi lobbistici profumatamente pagati da parte dei diretti interessati in Albania. Quanto è accaduto e continua ad accadere, indurrebbe a pensare,che tutto potrebbe essere dovuto a delle dirette influenze di un potere occulto internazionale, che spesso oltrepassa gli oceani. Un potere reale quello, di cui beneficiano, come riconoscimento e compenso per i servizi resi, anche alcuni dirigenti autocrati nei Balcani. Compreso il primo ministro albanese. Tra l’altro, le stesse decisioni prese dal Consiglio europeo sull’Albania, dal 2014 in poi, rappresentano delle ulteriori ed inconfutabili prove, che evidenziano chiaramente le vistose incongruenze nelle dichiarazioni dei massimi rappresentanti della Commissione europea sulla realtà Albanese. E sono state proprio le ferme e ben argomentate convinzioni di non pochi capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione che hanno bloccato il percorso europeo dell’Albania per non aver adempito i propri obblighi. Obblighi ai quali, oltre a quelli normalmente richiesti a tutti i Paesi che mirano all’adesione all’Unione europea, si sono aggiunti altri, noti ormai come delle condizioni sine qua non, posti specificatamente all’Albania dal Consiglio europeo. Purtroppo, quelle condizioni sono aumentate con il tempo. Da cinque che erano nel 2014 sono diventate ben quindici, come reso noto dopo il vertice del marzo 2020 del Consiglio europeo.

    Durante la sopracitata conferenza stampa, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza ha dichiarato che l’Albania rappresenta “…un modello per la regione”. Per poi specificare, sempre riferendosi all’Albania, che è “…un esempio nei Balcani e che  non possiamo dirlo per tutti i Paesi dei Balcani occidentali”. Ribadendo anche che “…ci siamo congratulati con l’Albania per la sua insistenza ad andare avanti con le riforme”. Che qualcuno informi però l’Alto rappresentante dell’Unione europea, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, che la vera, vissuta e sofferta realtà albanese, purtroppo, è tutt’altra e ben peggiore di quella descritta da lui durante la conferenza stampa a Bruxelles, il 1o marzo scorso.

    Sempre durante quella conferenza stampa, all’Alto rappresentante è “sfuggita” però anche una piccola contraddizione logica, che non era in sintonia con la situazione “tutta rose e fiori” da lui descritta precedentemente. Si, perché, riferendosi alle elezioni politiche del 25 aprile prossimo in Albania, ha sottolineato “…la necessità che tutti [i partiti] facciano l’impossibile perché nelle liste dei candidati vi siano delle persone con integrità.”. E si riferiva proprio all’integrità morale e alla fedina penale dei candidati. Evidenziando così uno dei reali e preoccupanti problemi di questi ultimi anni in Albania. Ragion per cui, il 17 dicembre 2015, con l’insistenza dell’opposizione e con l’assistenza delle istituzioni specializzate internazionali, comprese anche quelle dell’Unione europea, il Parlamento albanese approvò la cosiddetta legge sulla decriminalizzazione della politica e dell’amministrazione pubblica. Il nostro lettore, da anni ormai, è stato informato su questo argomento. L’autore di queste righe, riferendosi proprio alle peripezie affrontate prima dell’approvazione della legge, alcuni anni fa scriveva (Non potete dire più che non lo sapevate; 22 febbraio 2016): “…All’inizio il primo ministro e la propaganda governativa hanno cercato, con tutti i modi e mezzi, di ostacolare e di ridicolizzare quest’iniziativa. Il fatto diventò internazionale, coinvolgendo le istituzioni dell’Unione Europea e degli Stai Uniti. Grazie al loro impegno, il 24 dicembre 2014 c’è stato un primo accordo bipartisan, per arrivare poi, sempre alla vigilia del Natale 2015 all’approvazione della legge, conosciuta come la legge sulla decriminalizzazione”. E, da quanto ormai è accaduto e pubblicamente noto, risulta che il partito del primo ministro ha avuto come deputati in Parlamento, come sindaci e come alti funzionari dell’amministrazione pubblica non poche persone con precedenti penali!

    Durante la stessa conferenza stampa, il Commissario per la Politica di Vicinato e i Negoziati per l’Allargamento della Commissione europea, riferendosi allo spinoso problema delle elezioni, ha detto: “…abbiamo espresso la speranza che saranno libere e oneste”. Basterebbe soltanto questa affermazione “speranzosa” per capire la vera realtà in Albania! Allora come potrebbe essere possibile che, allo stesso tempo, un simile Paese, dove si mette in dubbio lo svolgimento delle elezioni “libere ed oneste”, meriterebbe anche tutte quelle dichiarazioni “zuccherate” e gli “applausi di successo” espresse non soltanto durante la conferenza stampa del 1o marzo scorso, ma anche,  ufficialmente, in tutti i Rapporti della Commissione europea, dal 2014 in poi?!

    Il 4 marzo scorso, la Commissione per gli Affari esteri del Parlamento europeo ha approvato il Rapporto di progresso per l’Albania, dopo aver discusso e poi inserito anche gli emendamenti proposti da alcuni membri della Commissione. Nel Rapporto vengono ribadite le problematiche affrontate in Albania, tra le quali il riciclaggio del denaro sporco e la compravendita dei voti durante le elezioni. Ma, guarda caso, nel comunicato stampa del Parlamento europeo, hanno “dimenticato” di inserire una frase importante. Lo ha denunciato il 5 marzo scorso uno dei due relatori per l’Albania del Parlamento europeo. Lui ha dichiarato: “Nel comunicato stampa del Parlamento europeo sul Rapporto per l’Albania si afferma che ‘noi appoggiamo lo svolgimento della prima conferenza intergovernativa (tra l’Unione e l’Albania; n.d,a.) prima possible e l’avvio dei negoziati dell’adesione senza ulteriori ritardi’”. Poi il relatore continua, denunciando che si era “stranamente” dimenticato di affermare che tutto ciò avverrà soltanto “…seguendo il pieno adempimento delle [quindici] condizioni poste dal Consiglio europeo”. Per l’eurodeputato un fatto simile rappresenta un “…errore di fatto, molto importante, perché il condizionamento è vitale in questo contesto”. Prima però che la correzione venisse fatta nel successivo comunicato stampa del Parlamento europeo, la propaganda governativa e mediatica in Albania ha subito “sbandierato” la lieta notizia arrivata da Bruxelles! Anche questo “fatto” potrebbe essere considerato come una conseguenza delle influenze dei poteri occulti.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto, anche oggi, molti altri fatti ed argomenti da trattare e commentare, ma lo spazio non glielo permette. Egli però è pienamente convinto che i massimi rappresentanti della Commissione europa, sia a Bruxelles che a Tirana, da anni ormai, da quando è salito al potere l’attuale primo ministro albanese, stanno presentando ufficialmente, sia nei Rapporti annuali di progresso, che con le loro dichiarazioni pubbliche, una realtà immaginaria, mai verificata e vissuta in Albania! Loro sanno anche il perché. Ma quanto hanno fatto e stanno facendo aggrava ulteriormente la già preoccupante e pericolosa situazione. Permettendo così al primo ministro di avere sempre più potere e diventare, di fatto, un dittatore sui generis. “Quanto più grande il potere, tanto più pericoloso l’abuso” affermava Edmund Burke. Questo si sta verificando realmente in Albania. Grazie anche delle influenze di un potere occulto che spesso oltrepassa gli oceani.

  • Un vergognoso, offensivo e preoccupante sostegno alla dittatura

    Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.

    Totò: dal film “I Tartassati”

    Nell’ultimo decennio del secolo passato la situazione in Albania stava seriamente e gravemente peggiorando di anno in anno. La dittatura era diventata sempre più atroce ed insopportabile. Ma non erano soltanto le perpetue, consapevoli, irresponsabili e arroganti violazioni dei diritti e delle libertà innate che preoccupavano i cittadini. Essi erano, altresì, quotidianamente costretti anche a delle restrizioni economiche di vario tipo. Restrizioni che evidenziavano e testimoniavano l’inevitabile ed il totale fallimento del sistema economico adottato dalla dittatura. La situazione era gravemente e ulteriormente peggiorata durante la seconda metà degli anni ‘80 del secolo passato. Mancavano i generi alimentari di prima necessità. Tutto era razionato e le quantità previste, per ogni nucleo familiare, erano ai limiti della sopravvivenza. Ma non sempre i cittadini riuscivano ad avere anche quello. Le file davanti ai negozi erano lunghe e non sempre i cittadini, messi uno dietro l’altro spesso anche dalla notte precedente, riuscivano a portare a casa tutto quello di cui avevano un vitale bisogno. Gli scaffali dei negozi erano sempre più vuoti. E proprio in quel drammatico periodo la propaganda del regime riuscì a trovare una “soluzione”. Ma non si trattava di garantire alla popolazione le forniture dei tanto necessari generi alimentari. No, si trattava, bensì, di un “Premio”. Proprio di un premio, con il quale la propaganda della dittatura comunista poteva fare uso ed abuso! Il 6 aprile 1987, durante una conferenza internazionale che si stava svolgendo in Messico, all’Albania è stato conferito il “Premio internazionale per la Nutrizione” (Sic!). Quale affronto e quale sarcasmo era quel “Premio” per gli affamati cittadini albanesi! E quale sfacciata ipocrisia quella della propaganda del regime! Ma la propaganda comunista allora aveva un vitale bisogno di quel “riconoscimento internazionale”. Per il resto, per quello che poteva pensare la gente, non gli importava nulla. Anche perché il famigerato “articolo 55” del Codice penale portava direttamente in prigione chiunque dicesse, o addirittura, alludesse a qualcosa. Ma la sfacciataggine della propaganda comunista non si fermò lì. Per dare più importanza e peso alla “lieta notizia”, annunciò che il “Premio”, espressione di un alto riconoscimento, era stato conferito all’Albania dalla FAO (Food and Agriculture Organization – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura; n.d.a.). In realtà si è venuto a sapere, dopo il crollo della dittatura, che in quella conferenza la FAO partecipava semplicemente, come tutte le altre delegazioni! Mentre il premio era stato conferito all’Albania dalle autorità messicane, come un dovuto, ma anche richiesto riconoscimento. Tutto ciò perché l’Albania nel 1976 era uno dei tre Paesi soltanto che avevano sostenuto la candidatura messicana per il posto del Segretario generale dell’ONU. Un’assegnazione quella che, quasi unanimemente, è stata riconosciuta, per la seconda volta, al Segretario uscente Kurt Waldheim.

    Il 29 marzo 2017, mentre in Albania la coltivazione della cannabis era pericolosamente diffusa in tutto il territorio, in Francia veniva premiato l’attuale primo ministro albanese. Per lui il suo omologo francese aveva chiesto ed ottenuto il conferimento della tanto ambita e prestigiosa medaglia francese: quella del “Comandante della Legione d’Onore”! Proprio a lui che, almeno istituzionalmente, era la persona direttamente responsabile della cannabizzazione del Paese. Si trattava di un’attività criminale, verificata, documentata e denunciata non solo in Albania, dall’opposizione e da quei pochi media non controllati dal governo albanese, ma anche, anzi e soprattutto dalle istituzioni specializzate e dai media internazionali. Si trattava allora, nel 2017, di una preoccupante attività criminale, nella quale sono stati coinvolti almeno un ex ministro degli Interni, molti alti funzionari della polizia di Stato, ormai ricercati, ed altre istituzioni governative. E tutto ciò non poteva accadere senza il diretto beneplacito del primo ministro. Proprio di colui che, il 29 marzo 2017, ha ricevuto dalle mani del suo omologo francese la medaglia di “Comandante della Legione d’Onore”. Allora lo stesso primo ministro francese, alcuni mesi prima, riferendosi ad uno scandalo che vedeva coinvolto il suo ministro degli Interni, dichiarava: “Quando si è legati all’autorità dello Stato occorre essere impeccabili riguardo le istituzioni e le regole che le reggono”! L’autore di queste righe scriveva allora per il nostro lettore che “…Le motivazioni ufficiali dell’onorificenza non convincono e non potevano convincere nessuno in Albania… Quelle motivazioni urtano fortemente con la realtà albanese e offendono l’intelligenza di tantissimi cittadini che ne soffrono le conseguenze”. E poi continuava: “Le informazioni non mancano e sono tante, dettagliate e attendibili. Le dovrebbero conoscere anche le autorità francesi” – (A chi e cosa credere ormai in Francia?; 3 aprile 2017).

    Il 23 febbraio scorso, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ha conferito un nuovo Premio, quello dei “Campioni Internazionali dell’Anticorruzione”, a dodici personalità scelte che operano nel campo della giustizia in altrettanti Paesi del mondo (come Ecuador, Micronesia, Guatemala, Kirghizistan, Iraq, Sierra Leone, Guinea, Libia, Filippine ecc.). Tra quei dodici premiati c’era anche un giudice albanese. E guarda caso, si tratta proprio di una persona molto “chiacchierata” in questi ultimi anni. Non solo perché è un ex inquisitore del regime comunista, un procuratore che, alcuni mesi prima del crollo della dittatura, chiedeva ed otteneva la condanna a quindici anni di reclusione per alcuni cittadini, solo perché avevano abbattuto la statua di Stalin nel dicembre 1990. Tutto ciò soltanto due mesi prima del crollo della dittatura in Albania! Ma si tratta anche di un “uomo della legge” che, dati e fatti accaduti alla mano, ha continuamente infranto la legge. Anche quando, per rimanere in carica come giudice della Corte Suprema, nonostante il suo mandato fosse finito da sei anni, ha usato dei “trucchetti” ed ha beneficiato del diretto appoggio governativo. Si tratta di un “giusto” che aveva “dimenticato” di dichiarare parte dei beni in suo possedimento, come prevede proprio la legge! Si tratta della stessa persona che, nell’autunno del 2019, è stata direttamente coinvolta in un grave scandalo istituzionale. Scandalo denunciato ufficialmente dal Presidente della Repubblica. Uno scandalo che riguardava la palese violazione delle procedure per la selezione dei candidati giudici dell’allora non funzionante Corte Costituzionale. Corte che il primo ministro voleva e tuttora vuole controllare direttamente. Uno scandalo quello, sul quale è stata chiesta anche l’opinione della Commissione di Venezia (La Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto; n.d.a.). Opinione che ha dato però pienamente ragione alle accuse del Presidente della Repubblica. Ragion per cui anche il primo ministro e i suoi hanno subito dopo “abbandonato” il giudice, come la scorza di un limone spremuto, E per rendere tutto più convincente, hanno messo in campo anche l’Alto Consiglio dei Giudici che, con una sua delibera, costrinse quel “giudice illustre” a lasciare il suo importante incarico istituzionale, come presidente del Consiglio delle Nomine nella Giustizia. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito. Guarda caso però, proprio quel giudice è stato selezionato tra tanti altri, per essere premiato dal Dipartimento di Stato, il 23 febbraio scorso, con la nuova onorificenza dei “Campioni Internazionali dell’Anticorruzione”! Nella dichiarazione del Dipartimento di Stato si sottolineava, tra l’altro, anche che quel premio veniva conferito a quelle persone che, secondo l’opinione degli Stati Uniti d’America “…hanno instancabilmente lavorato, spesso affrontandosi con delle inimicizie, per difendere la trasparenza, per combattere la corruzione e per garantire il rendiconto nei propri Paesi”. Rispettando la valutazione per gli altri undici premiati, non si potrebbe dire lo stesso per il giudice albanese, anzi! Chissà perché una simile scelta fatta del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America?!

    Chi scrive queste righe, anche questa volta, avrebbe avuto bisogno di più spazio per analizzare e trattare come meriterebbe una così inattesa, immeritata e ingiustificata premiazione da parte del Dipartimento di Stato al giudice albanese. Ma tutto fa pensare ad una densa e ben pagata attività lobbistica. Come nell’aprile del 1987 con il “Premio internazionale per la Nutrizione”. E come nel marzo 2017, con la medaglia di “Comandante della Legione d’Onore”, conferita all’attuale primo ministro albanese. Peccato che non c’è più spazio per continuare! Ma tutto ciò, chi scrive queste righe lo considera convinto e semplicemente un vergognoso, offensivo e preoccupante sostegno alla dittatura ormai funzionante in Albania. Per il resto, egli pensa che aveva pienamente ragione Totò quando diceva che ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.

  • Deliri e irresponsabilità di un autocrate

    Temo che gli animali vedano nell’uomo un essere loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale: vedano cioè in lui l’animale delirante.

    Friedrich Nietzsche

    Il crollo del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 segnò anche l’inizio della disgregazione del blocco comunista, guidato dall’Unione Sovietica (l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, costituita il 30 dicembre 1922 e smembrata  il 26 dicembre 1991; n.d.a.).  Un anno dopo, in tutti i Paesi dell’Europa dell’est erano caduti i regimi totalitari comunisti. L’ultimo che resisteva ancora, in quel periodo, era il più crudele di tutti, il regime albanese, nonostante avesse le sue ore contate. Ed era il 20 febbraio del 1991 quando migliaia cittadini, che avevano ucciso finalmente la paura, si diressero verso il centro di Tirana. Proprio lì, nella piazza principale della capitale, dove una gigantesca statua del dittatore comunista sfidava tutti. Una statua che i cittadini erano ben determinati e motivati a buttarla giù. Non sono valsi a niente neanche gli attacchi delle forze speciali del regime di fronte alla sacrosanta rivolta dei cittadini oppressi, da decine di anni, dalla dittatura. Finalmente, alle 14.06 di quel memorabile 20 febbraio 1991, la statua del dittatore è stata buttata giù, tirata con un cavo d’acciaio da un vecchio camion. Crollò così l’ultimo regime comunista dell’Europa dell’est. Il simbolismo di quella data era molto significativo ed importante. Lo esprimevano bene le frasi, gridate con cuore in quel periodo, dai cittadini in ogni parte dell’Albania. “Vogliamo l’Albania democratica!”. “Vogliamo l’Albania come tutta l’Europa!”. Così echeggiavano le strade e le piazze trent’anni fa in Albania.

    Purtroppo adesso, trent’anni dopo quel memorabile 20 febbraio 1991, l’Albania non è ancora un Paese democratico. Anzi, in Albania da alcuni anni, si sta consolidando una nuova e camuffata dittatura. Ma non per questo, meno pericolosa. Guarda caso, alcuni dei dirigenti delle massime istituzioni pubbliche sono proprio i diretti discendenti dei dirigenti della nomenklatura durante la dittatura comunista. Primo ministro in testa. E, guarda caso, l’ultimo ministro degli Interni della dittatura comunista attualmente è il presidente del Parlamento! Purtroppo adesso, dopo trent’anni, l’Albania si sta allontanando, ogni giorno di più, da quell’Europa che ha sempre rappresentato la libertà, la democrazia e la prosperità per gli albanesi. Non solo, ma purtroppo adesso, trent’anni dopo, si sta consapevolmente e diabolicamente cercando di dimenticare il 20 febbraio 1991 e tutto il suo simbolismo. Sabato scorso correva il trentesimo anniversario del simbolico crollo della famigerata e crudele dittatura comunista in Albania. Ma sabato scorso, tranne qualche “cinguettio” nelle reti sociali, quasi niente è stato fatto per ricordare e celebrare quanto è accaduto quel lontano ormai 20 febbraio 1991. Purtroppo, da alcuni anni, si stanno vistosamente riducendo le attività pubbliche per commemorare quella data ed il suo simbolismo! Ovviamente non ci si poteva aspettare che il primo ministro e i suoi facessero qualcosa in proposito. Ma non hanno organizzato e non hanno fatto nessuna attività celebrativa neanche i dirigenti del maggiore partito dell’opposizione albanese. Proprio di quel partito che, costituito nel dicembre 1990, ha motivato e guidato i cittadini nelle loro proteste, compresa anche quella del 20 febbraio 1991. Proteste che hanno fatto cadere l’ultima dittatura comunista nell’Europa dell’est. Chissà perché un simile comportamento da parte dei dirigenti dell’opposizione albanese?!

    Purtroppo, come dimostrano innumerevoli fatti accaduti e che stanno continuamente accadendo, fatti documentati e testimoniati, fatti pubblicamente noti e denunciati, la situazione in Albania sta peggiorando ogni giorno che passa. Il nostro lettore, da anni ormai, è stato continuamente informato di una simile e drammatica realtà. E di questa grave e preoccupante realtà il principale responsabile è il primo ministro del Paese. Proprio colui che, come sancito dalla Costituzione della Repubblica, ha il compito e l’obbligo istituzionale di gestire, nel migliore dei modi, la cosa pubblica e di garantire tutti i processi necessari per la democratizzazione del Paese, il rispetto di tutti i diritti dei cittadini, nonché il loro benessere, in tutte le sue forme. Purtroppo quanto è accaduto in Albania, anche durante quest’ultimo anno, dimostrerebbe proprio il contrario. Un anno questo, reso ancora più difficile dalla pandemia. Una grave situazione che non è stata affrontata con la dovuta serietà e responsabilità, istituzionale ed umana, da parte del primo ministro. Anzi, quanto è accaduto e sta accadendo, anche in questi ultimi giorni, sta palesemente evidenziando e testimoniando proprio un comportamento irresponsabile e delirante del primo ministro. Lui e la sua potente e ben organizzata propaganda stanno cercando di mentire e di ingannare di nuovo e per l’ennesima volta i sofferenti cittadini. Anche durante questo difficile e seriamente grave periodo di pandemia. Come sempre hanno fatto in questi otto anni, da quanto lui è salito al potere. E durante questi ultimi otto anni il primo ministro non ha fatto altro che abusare del potere conferito. Tenendo, però, presente che l’Albania è uno tra i più poveri Paesi europei. Un Paese dove, purtroppo, non funzionano più le istituzioni. O meglio, dove quasi tutte le istituzioni sono direttamente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui. Comprese anche le istituzioni del “riformato” sistema della giustizia! Anche questo è ormai un fatto noto pubblicamente ed internazionalmente. E tutto ciò, per raggiungere un solo obiettivo: far vincere a tutti i costi il tanto ambito e vitale terzo mandato all’attuale primo ministro albanese.

    Proprio di colui che, con la sua ormai ben nota irresponsabilità, non ha fatto niente, diversamente da tutti i suoi simili, anche nei paesi balcanici confinanti, per procurare in tempo i tanto necessari vaccini contro la pandemia. E mentre adesso che la pandemia si sta paurosamente propagando, uscendo da ogni controllo, in Albania mancano i vaccini, nonostante le continue “promesse” del primo ministro. “Promesse” ripetute ogni settimana con la stessa “fermezza e convinzione” da lui e che, poi, ogni settimana regolarmente non sono mantenute. L’unica cosa che il primo ministro sta cercando in tutti i modi di fare è continuare a mentire e ingannare spudoratamente per fare tutto il possible per nascondere questa realtà molto drammatica. Proprio lui che, soprattutto durante la pandemia, ha sperperato milioni per i suoi “soliti clienti”, tramite “appalti” privi di ogni dovuta e obbligatoria trasparenza. Proprio lui però che non ha speso niente per affrontare la pandemia. Ha sperperato il denaro pubblico, con il quale ogni persona responsabile che ha, come lui, simili obblighi istituzionali dovrebbe aver garantito in tempo, tra l’altro, anche la necessaria quantità di vaccini. Ma lui ha scelto, come sempre in questi otto anni, di abusare del potere e della cosa pubblica, a scapito dei cittadini.

    Da persona irresponsabile qual è, il primo ministro albanese sta cercando di sfuggire dai suoi obblighi istituzionali. Come sempre ha fatto. Ma ha però la delirante sfacciataggine di far credere agli albanesi che essi verranno vaccinati solo e soltanto perché, come dichiarava alcuni giorni fa, “… avete me come primo ministro”! Come ha già dichiarato prima, che lui è “il rappresentante di Dio”. Proprio lui, il “Padre degli albanesi”! Un “Padre” che, nel suo irrefrenabile delirio, riconosce a se stesso anche il diritto di selezionare chi deve essere vaccinato, per essere salvato, e chi deve subire dalla pandemia. Compresi, tra questi ultimi, anche la maggior parte dei medici, infermieri ed altro personale sanitario che devono, ogni giorno, essere esposti al contagio dal coronavirus. Generando così, irresponsabilmente e pericolosamente, nel pieno del suo delirio di onnipotenza, anche l’avvio di un processo di genocidio tra gli albanesi.

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che c’è solo e soltanto una soluzione contro i deliri e l’irresponsabilità di un autocrate come l’attuale primo ministro albanese. La soluzione contro un simile “animale delirante”, come scriveva Friedrich Nietzsche, è una ribellione e una determinata rivolta continua dei cittadini consapevoli e responsabili. Proprio di quei cittadini che valutano come sacrosanti ed alienabili i valori della Libertà e della Democrazia. Di quei cittadini che capiscono e condividono consapevolmente quanto scriveva Primo Levi. E cioè che “Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo!”. Una frase, quest’ultima, che ricorda anche quanto è stato scritto, in trenta lingue diverse, su un monumento commemorativo nel primo campo di concentramento in Germania, quello di Dachau,. Soltanto così gli albanesi possono arginare e rovesciare l’ormai funzionante regime autocratico in Albania. Soltanto così essi possono portare avanti quel processo di democratizzazione cominciato il 20 febbraio 1991. A loro la scelta!

  • La consapevole e arrogante violazione dei criteri

    L’arroganza, la presunzione, il protagonismo, l’invidia:
    questi sono i difetti da cui occorre guardarsi.

    Plutarco

    Il mondo in cui viviamo, da che è nato, da che fa parte di quest’immenso, infinito Universo, va avanti grazie all’incessante ed infallibile funzionamento di un insieme di fenomeni e di processi intrinsechi. Fenomeni e processi che sono nati con l’Universo, dalla notte dei tempi, molto prima dell’apparizione del Homo sapiens. Fenomeni e processi che garantiscono non solo l’esistenza e la sopravvivenza del mondo, ma soprattutto il suo sviluppo multiforme e multidimensionale. Con il passare del tempo e con il continuo sviluppo ed arricchimento del sapere, il genere umano ha cominciato a definire e descrivere tutto, fenomeni e processi compresi, usando come base quelle che ormai, in senso generico, vengono semplicemente riconosciute come leggi e regole. Sono delle espressioni concise e sintetiche, non solo matematiche, le quali cercano di descrivere lo stato d’essere e quello che potrebbe accadere con qualsiasi sistema. Sia quelli naturali, che sociali ed altri. Sono delle leggi e regole che, tra l’altro, descrivono, spiegano e prevedono l’evoluzione del sistema, fluttuazioni comprese, in base alle conoscenze acquisite. Evoluzione che porterà sempre a degli equilibri, nuovi o preesistenti, del sistema. Si tratta proprio di quei fenomeni e processi che determinano il comportamento e l’evoluzione del sistema, sia quello naturale, che sociale ed altro. E grazie a un simile, continuo, infallibile, intrinseco, nonostante spesso sconosciuto funzionamento, il sistema stesso non si [auto] distrugge. Anche quando, in seguito a delle “perturbazioni” interne e/o esterne al sistema, altri fenomeni e processi tendono a farlo. Questo ci insegnano le scienze che studiano l’Universo, sia a livello dell’infinitamente piccolo delle particelle, che a quello intergalattico. Questo ci insegnano le scienze che studiano l’essere umano e il funzionamento del suo organismo, partendo da una singola cellula. Questo ci insegnano anche le scienze che studiano i raggruppamenti e le società umane. E nell’ambito della coesistenza sociale, il genere umano, da quando è stato dotato di consapevolezza ed, in seguito, anche di responsabilità, ha cominciato tra l’altro a concepire dei criteri e a darsi delle regole. Non solo, ma in base a quei criteri, dall’antichità ai giorni nostri, ha legiferato per rispettare le regole date. Costituendo così un insieme di diritti ed obblighi condivisi, o che si dovrebbero condividere da tutti e che dovrebbero garantire la stabilità e lo sviluppo delle società stessa.

    Tale è anche quell’insieme di criteri che, dal 1993, vengono riconosciuti da tutti come i Criteri di Copenaghen. Sono tre i criteri i quali devono essere presi in considerazione e rispettati da ogni Stato che ha come obiettivo l’adesione nell’Unione europea. Si tratta del criterio politico, quello economico e i cosiddetti “Acquis communautaire”. Sono stati approvati dal Consiglio europeo a Copenaghen nel 1993, prevedendo già allora l’allargamento dell’Unione con i Paesi dell’Europa dell’est. Sono dei criteri che derivano dagli articoli 6 e 49 del Trattato di Maastricht e delineano quello che uno Stato candidato deve obbligatoriamente fare per rendere possibile l’adozione e l’attuazione delle normative e della legislazione dell’Unione europea. Il criterio politico prevede la presenza, nello Stato candidato, di istituzioni statali e pubbliche stabili che possano garantire la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela. Il criterio economico, prevede il funzionamento di un’economia di mercato, capace di affrontare le forze del mercato e la pressione concorrenziale all’interno dell’Unione Europea. In più, lo Stato candidato deve altresì rispettare gli “Acquis communautaire”; quell’insieme di diritti ed obblighi accettati e condivisi da tutti i Paesi membri dell’Unione europea. Diritti ed obblighi che devono essere accettati e rispettati anche da ogni Paese candidato all’adesione nell’Unione europea.

    L’Albania è uno dei Paesi che ha cominciato il suo percorso per aderire all’Unione europea da più di venti anni fa. Nel 2000 è stato riconosciuto come un “Paese candidato potenziale”. Poi, nel 2003 l’Albania ha avviato i negoziati sull’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, firmato nel 2006. Nel 2009 l’Albania ha consegnato ufficialmente l’applicazione per l’adesione all’Unione europea. Poi nel 2014 l’Albania è stata riconosciuta dal Consiglio europeo come un “Paese candidato” all’adesione, ancora in attesa, però, di aprire i negoziati, come tale, con l’Unione europea. Un’apertura quella, condizionata, nel 2014, non solo dall’adempimento dei criteri comunitari, ma anche dal superamento di cinque condizioni poste dal Consiglio europeo. Purtroppo, ad oggi, i criteri dell’adesione continuano a non essere rispettati, mentre le condizioni, da cinque, sono diventate quindici! Un lungo, difficile processo europeo quello dell’Albania, che negli ultimi anni si sta rendendo ancora più difficile, al limite dell’impossibile. Da anni ormai e a più riprese, il nostro lettore è stato informato di quel processo e delle realtà locali che lo stanno rendendo sempre più difficile e lo stanno [volutamente] ostacolando. Sono tanti i fenomeni negativi generati, ufficialmente verificati e denunciati nel “sistema Paese”. Sono numerosi e, purtroppo, sempre in aumento anche i preoccupanti processi che impediscono l’apertura dei negoziati come “Paese candidato” con l’Unione europea. Ed è proprio una simile ed aggravata realtà che ha costretto i rappresentanti di alcuni Stati membri dell’Unione, anche nell’ambito del Parlamento e del Consiglio europeo, a bloccare il percorso europeo dell’Albania. Un blocco quello che verrebbe tolto solo e soltanto dopo l’adempimento delle ormai quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo durante il suo vertice del marzo 2020.

    Purtroppo, dati e fatti ormai accaduti e che stanno accadendo alla mano, il governo albanese sta volutamente e con arroganza violando i criteri dell’adesione all’Unione europea. Riferendosi ai Criteri di Copenaghen, quello politico prevede la presenza di istituzioni che possano garantire la democrazia. Ebbene tutti sanno che ormai l’Albania ha poco o, addirittura, niente in comune con una vera democrazia, tranne una facciata che si sta sgretolando ogni giorno che passa. Non solo, ma in Albania si sta paurosamente restaurando una nuova e camuffata dittatura. Il criterio politico di Copenaghen prevede il funzionamento dello “Stato di diritto”. Purtroppo, sempre dati e fatti ormai accaduti e che stanno accadendo alla mano, in Albania spesso e volutamente non si rispettano neanche le leggi in vigore. E sempre dati e fatti ormai accaduti e che stanno accadendo alla mano, ciò che rappresenta una vera e propria preoccupazione è la cattura ed il controllo del sistema “riformato” della giustizia da parte del primo ministro e/o dai suoi pochi “fedelissimi”. Durante questi ultimi anni, ma anche nelle ultime settimane, si sta verificando, testimoniando e denunciando una consapevole e pericolosa connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti. In quanto al criterio economico, tutto è ormai controllato da pochissimi oligarchi, “amici” dei massimi rappresentanti politici. Perciò, una simile realtà vissuta e sofferta in Albania, non potrebbe, mai e poi mai, avere niente in comune neanche con gli “Acquis communautaire”. Al nostro lettore la valutazione e le conclusioni!

    Chi scrive queste righe pensa che quella albanese rappresenta veramente un’allarmante realtà che si sta aggravando ogni giorno che passa. Una realtà che diventerà ancora più preoccupante nelle settimane seguenti, tenendo presente le elezioni del 25 aprile prossimo. Una realtà ormai nota e presa sempre più seriamente in considerazione anche dalle cancellerie occidentali. Una realtà che ha fatto aumentare da cinque a quindici le condizioni sine qua non poste nel 2020 dal Consiglio europeo. Una realtà che, guarda caso, viene “stranamente” ignorata però dalla Commissione europea, come lo dimostrano tutti i suoi rapporti ufficiali dal 2014 ad oggi. Nel frattempo il primo ministro albanese, sta consapevolmente e con arroganza violando regole, leggi e criteri, compresi anche quelli di Copenaghen. Lui, con la sua ormai ben nota arroganza, la sua innata presunzione, il suo smisurato protagonismo, nonché con la sua testimoniata invidia di “avere di più”, ha dimostrato la determinazione ad avere un terzo mandato, costi quel che costi! Questi sono però anche i sui difetti che lo spingono in questa sua folle, pericolosa ed irresponsabile corsa. Difetti dai quali occorre guardarsi bene. Guardarsi bene tutti, sia in Albania che nell’Unione europea, per non permettere mai l’[auto] distruzione del sistema Paese!

  • Pericoli che oltrepassano i confini nazionali

    I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene,

    quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori.

    Catone

    In Italia, in questi giorni, si sta cercando di porre fine alla crisi e di costituire un nuovo governo, guidato da Mario Draghi. L’Italia merita ed ha veramente bisogno di un governo forte, in grado di affrontare ed oltrepassare le tante difficoltà, adempiendo con successo agli impegni, nazionali ed internazionali, dei prossimi mesi. E che sia veramente la volta buona! Ma quanto è successo e sta succedendo però durante questi giorni, purtroppo, ha messo in chiara evidenza, tra l’altro, anche tanta ipocrisia, tante falsità ed incoerenze e la mancanza della moralità politica e civile da parte di non pochi rappresentanti dei partiti politici che potrebbero appoggiare il nuovo governo. Sono ormai di dominio pubblico le “forti e perentorie” dichiarazioni, così come le tante “contrapposizioni programmatiche e/o di principio”, che distinguevano e dividevano i diversi partiti fino ad alcuni giorni fa. Ma poi, come per magia, tutto cambiò. Si è dimenticato tutto quanto sia stato detto, come se niente fosse, e adesso i rappresentanti politici parlano di doveri patriottici, di responsabilità ed altro, “convinti” che tutto deve essere fatto solo e soltanto per il bene e nell’interesse dell’Italia! All’autore di queste righe tutto ciò fa ricordare le parole di Totò, in uno dei suoi bellissimi film: “Quello che ho detto, ho detto; e qui lo nego!”. In Italia, in questi giorni però non si parla e non si va più a “caccia” di “responsabili”, di “costruttori”, di “meritevoli”, di “europeisti” e altri simili. Cioè di tutti coloro che, fino ad una settimana fa, erano la speranza del presidente del Consiglio dimissionario. Ormai alcuni dei più ben noti e convinti “avversari” politici stanno diventando dei “responsabili collaboratori”. Ma che, con la solita ipocrisia e demagogia, con la stessa mancanza di moralità politica e civile, stanno semplicemente cercando di nascondere il loro attaccamento al potere e alle poltrone.

    In Albania, almeno da due anni ormai, purtroppo, si sta “convivendo” con una ben più grave crisi. Una crisi multidimensionale, che il primo ministro e la propaganda governativa fanno di tutto per nasconderla e/o offuscarla. Una crisi dovuta e causata dalla completa irresponsabilità di gestire la cosa pubblica, dalla consapevole e decisa scelta per la connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Una connivenza quella, testimoniata da tanti scandali documentati, e altrettante denunce pubbliche. L’ultima evidenza, in ordine di tempo, è quella risultata dalle intercettazioni ambientali e telefoniche nell’ambito dell’operazione “Basso profilo”. Un’operazione quella, condotta e finalizzata con successo in Italia, dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro il 21 gennaio scorso. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana dell’esito di questa operazione (Pericolose e preoccupanti presenze mafiose; 1o febbraio 2021). Ma, diversamente da una decina di giorni fa, dopo che tutto è diventato di dominio pubblico, adesso la propaganda governativa non risponde e non reagisce più alle pubbliche accuse. Anzi, adesso gli “strateghi” della propaganda governativa stanno cercando di spostare l’attenzione altrove. Non importa dove e come. Non importa su cosa e/o chi. Basta che si sposti l’attenzione. Basta che si possa parlare di altro, anche per pochi giorni! Anche con la consapevolezza di “screditare” un ex primo ministro e capo storico del partito socialista albanese: quello attualmente al potere. E lo hanno fatto, con la regia centrale coordinata dagli uffici del primo ministro. Giovedì scorso hanno convinto proprio quell’ex primo ministro e capo storico del partito socialista a fare delle misere e vergognose dichiarazioni, durante una trasmissione televisiva in prima serata. Proprio da colui, che nel 1998 nominò l’attuale primo ministro come ministro della cultura. Ed è stato proprio lui che, pochi anni dopo, riferendosi alla stessa persona, dichiarava: “…L’ho preso con le unghie non tagliate da Parigi, dove faceva il rifugiato”. Proseguendo, durante la stessa dichiarazione, e dicendo che “…L’ho tirato fuori dal pantano [dov’era caduto] come rifugiato e venditore di icone rubate […] e l’ho fatto ministro e sindaco del più grande comune dell’Albania (di Tirana; n.d.a.)”. Un’accusa pubblica quella, molto pesante, della quale l’accusato non ha detto mai una sola parola! Ma giovedì scorso però, l’ex primo ministro e il capo storico del partito socialista albanese ha detto dell’attuale primo ministro, quel “venditore di icone rubate”, che ormai “…è vistosamente maturato nell’ufficio del primo ministro”! Anche in questo caso l’autore di queste righe si è ricordato delle parole di Totò: “Quello che ho detto, ho detto; e qui lo nego!”. Le cattive lingue, che sono sempre a conoscenza di cose che sfuggono agli altri, hanno subito detto che quelle dichiarazioni sono state profumatamente compensate, perché i mezzi non mancano, anzi! Basta che si possa spostare l’attenzione dal nuovo scandalo; quello del diretto e/o indiretto coinvolgimento di alcune delle massime autorità politiche e amministrative in Albania. Primo ministro compreso, come risulterebbe dalle intercettazioni telefoniche e dalle indagini effettuate in Italia, nell’ambito dell’operazione “Basso profilo”.

    Da quelle intercettazioni ed indagini, nonché dall’inchiesta in corso, portata avanti dalla procura di Catanzaro, risulterebbe che la ‘Ndrangheta calabrese ormai sia presente anche in Albania con investimenti, appalti milionari ed altro. Il che permetterebbe alla ‘Ndrangheta, tra l’altro, anche di riciclare ingenti somme di denaro sporco, di illecita provenienza. E guarda caso, dalle stesse intercettazioni e dalle indagini fatte, risulterebbe anche che alcuni rappresentanti politici italiani, a livello locale, nazionale ed europeo, in “ottimi rapporti di amicizia e di collaborazione” con certi loro colleghi albanesi, contattati in questi ultimi anni da imprenditori e/o da intermediari della ‘Ndrangheta, abbiano “facilitato gli affari” in Albania. Bisogna sottolineare anche che, guarda caso, i governi italiani hanno sempre appoggiato l’attuale primo ministro albanese durante questi anni. Lo hanno fatto mentre si sapeva della criminalità organizzata in Albania, della connivenza di quella criminalità organizzata con il governo, della cannabizzazione diffusa del Paese e di tanto altro. E tutto ciò non poteva mai e poi mai essere attuato senza il beneplacito ed il diretto supporto governativo. Ormai è ben nota ed ufficialmente evidenziata anche la pericolosa e preoccupante collaborazione della criminalità organizzata albanese con quella italiana, ‘Ndranghta compresa. Una collaborazione che rappresenterebbe un grande pericolo per tutti e due i Paesi! Perché sono pericoli che oltrepassano i confini nazionali. Allora chissà perché però, tutto quell’appoggio dei governi italiani, o di alcuni loro ministri in particolare, per il primo ministro albanese durante questi ultimi anni?!

    Chi scrive queste righe nota, non senza rammarico, come alcuni “rappresentanti politici” cambino, di punto in bianco, le proprie “convinzioni ideologiche e programmatiche”. Come in Italia anche in Albania. E lo fanno semplicemente per riuscire a rimanere al potere, attaccati alle loro poltrone. Tutto il resto è ipocrisia e demagogia! In Italia, fino ad una settimana fa, si cercava, costi quel che costi, di far sopravvivere un governo, da mesi traballante, con l’appoggio dei “responsabili”. In Albania, il primo ministro sta cercando, costi quel che costi, di avere un terzo mandato nelle elezioni del 25 aprile prossimo! Anche con l’appoggio occulto delle cosche malavitose, come risulta averlo fatto anche in precedenza. Ma, a differenza dell’Italia, dove si indagano anche i politici, in Albania il sistema “riformato” della giustizia ubbidisce agli ordini del primo ministro. Ragion per cui “…I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori” come scriveva Catone.

  • Pericolose e preoccupanti presenze mafiose

    Quanto terribile è il pericolo che giace nascosto!

    Publilio Siro

    “In Europa, nel futuro, credo che ci impegneremo molto con l’Albania, perché la mafia albanese è molto forte. In Albania c’è un pauroso livello della [sua] diffusione e della corruzione”. Così dichiarava, nel 2019, ad un media italiano, Nicola Gratteri, il procuratore capo della Dda (Direzione distrettuale antimafia; n.d.a.) di Catanzaro. Un procuratore di lunga, spiccata ed apprezzata carriera professionale nella lotta contro le organizzazioni malavitose in Italia e, in particolare, contro la ‘Ndrangheta calabrese. Lo stesso procuratore ha coordinato e condotto con successo anche l’operazione denominata “Basso profilo”. Un’operazione avviata nel 2016 e finalizzata una decina di giorni fa. Sono state 48 le persone raggiunte da un provvedimento restrittivo; 13 sono finite in carcere e 35 agli arresti domiciliari. In più, l’operazione ha portato anche al sequestro di ingenti valori monetari, oggetti preziosi ed altri beni materiali. Il principale indagato è un imprenditore, Antonio Gallo, accusato di “associazione a delinquere di stampo mafioso e di essere l’imprenditore in grado di interloquire, anche direttamente, con i boss delle cosche”. In seguito l’imprenditore, ritenuto il “braccio imprenditoriale delle cosche”, durante gli interrogatori di garanzia si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il 21 gennaio scorso, durante una conferenza stampa, il procuratore capo Gratteri ha reso noto anche alcuni importanti dettagli di quell’operazione contro la ‘Ndrangheta nella provincia di Crotone. “Quella di oggi è un’indagine che dimostra il rapporto diretto tra ‘Ndrangheta, imprenditoria e politica. Epicentro di tutto è l’imprenditore Antonio Gallo, una persona eclettica che lavorava su più piani, che si muoveva con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ’ndranghetista doc, l’imprenditore o il politico” ha dichiarato Gratteri. L’obiettivo dell’imprenditore, secondo il procuratore, era quello di “…creare un monopolio sul territorio, per avere la possibilità di vincere gare truccate per la fornitura di prodotti per la sicurezza sul lavoro o per le pulizie anche a livello nazionale. Ed ecco qui che avviene l’aggancio con la politica”.

    Subito dopo la conferenza stampa del procuratore Gratteri, i media in Albania sono riusciti ad avere anche altre informazioni più dettagliate, contenute in centinaia di pagine. Si tratta di trascrizioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche degli indagati dal 2016 in poi. In Albania l’impatto è stato immediato e forte, suscitando irritazione e sdegno pubblico e reazione politica e mediatica, soprattutto da parte di quei pochi media non controllati dal governo. E non poteva essere altrimenti. Dalle intercettazioni telefoniche, nell’ambito dell’operazione “Basso profilo”, risultava che il soprannominato imprenditore calabrese, il “braccio imprenditoriale delle cosche”, parlava e si riferiva anche ai suoi altolocati contatti in Albania. Contatti che, grazie alle sue conoscenze ed amicizie con politici in Italia portavano, oltre a degli imprenditori e funzionari pubblici albanesi, anche direttamente al sindaco di Tirana e al primo ministro. L’imprenditore calabrese si è già inserito in Albania da qualche anno ormai, aprendo, in un’area centrale e molto frequentata di Tirana, un negozio di prodotti per la sicurezza sul lavoro. Una delle attività che cita anche il procuratore Gratteri durante la sua sopracitata conferenza stampa. Un negozio che è stato tra gli argomenti discussi in questi giorni in Albania. L’imprenditore era molto interessato a trovare i giusti contatti ed appoggi istituzionali in Albania per avere delle licenze di costruzione, soprattutto a Tirana. Ma era altresì interessato a vincere degli appalti nel campo delle infrastrutture, del trattamento dei rifiuti, della sanità ed altro. Era disposto, lui e/o chi lui rappresentava, di riconoscere e pagare anche le dovute “percentuali” che, nel caso delle costruzioni a Tirana, arrivavano fino al 20%! E, “guarda caso”, tutti gli scandali milionari in Albania durante questi ultimi anni, alcuni dei quali confermati anche dalla Corte dei Conti, riguardano proprio quelle attività. Attività che risulterebbero essere molto “ambite” ed altrettanto “appetitose” anche per la ‘Ndrangheta, come viene confermato dalle intercettazioni telefoniche relative all’operazione “Basso profile”. Come mai e chissà perché?!

    Sia dalla conferenza stampa del procuratore Gratteri che dalle affermazioni di questi giorni degli specialisti, italiani ed albanesi, risulterebbe che in Albania la ‘Ndrangheta stia cercando, tra l’altro, di riciclare ingenti somme di denaro sporco provenienti dalle sue attività malavitose. Una realtà questa, evidenziata e confermata durante questi ultimi anni anche da diverse istituzioni specializzate internazionali. Secondo il rapporto per il 2019 del MONEYVAL (Istituzione del Consiglio d’Europa, specializzata nella lotta contro il riciclaggio del denaro sporco ed il terrorismo; n.d.a.), l’Albania è stata inserita nella “zona grigia”, dove si raggruppano tutti i Paesi con grande rischio per il riciclaggio del denaro sporco. Dagli studi delle istituzioni internazionali specializzate risulterebbe altresì che delle 141 imprese edili che tra il 2017 ed il 2019 hanno avuto delle licenze di costruzioni più alte di sei piani il 59% di queste non avevano le necessarie capacità finanziarie per finire le costruzioni stesse. Ma hanno, comunque, finito di costruire! Il che significherebbe che in Albania realmente si stanno riciclando ingenti somme di denaro sporco provenienti dalle attività illecite e dalla corruzione.

    La pubblicazione del contenuto delle intercettazioni telefoniche ha travolto e scombussolato i massimi rappresentanti della maggioranza governativa in Albania ed ha colto alla sprovvista e del tutto impreparata la propaganda governativa. Ma non è la prima volta durante queste ultime settimane (Peccati madornali e abusi peccaminosi, 25 gennaio 2021). Per cinque lunghi giorni, dopo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, il primo ministro albanese non ha detto e neanche ha scritto niente in merito. Ha lasciato quel difficile compito ad alcuni, pochissimi suoi zelanti e fedeli collaboratori e a degli opinionisti a pagamento. Ma siccome l’eco dello scandalo stava seriamente e gravemente aumentando, allora, il 26 gennaio scorso, lui ha deciso finalmente di parlare. E parlando, con area molto turbata, non ha fatto altro che ripetere uno scenario già noto e mettere in scena tutte le volte in cui lui si è trovato in grandi difficoltà. Il primo ministro, come suo solito in queste situazioni, ha negato tutto, ha cercato di minimizzare e ridicolizzare quanto risultava dalle intercettazioni ed ha anche minacciato i giornalisti, gli opinionisti e i media che lui non controlla. Ha offeso tutti loro con parole degne soltanto degli ubriaconi e dei coatti. Il primo ministro ha dichiarato tra l’altro, ma con aria cupa, anche che il negozio di Tirana del “braccio imprenditoriale delle cosche” era ormai un’attività fallita. Mentre, guarda caso, circa un mese fa, il ministero degli Esteri aveva fatto molti acquisti proprio in quel “negozio fallito”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per meglio informare il nostro lettore su questi gravi sviluppi. Perché ci sono tanti significativi dettagli che confermerebbero le attività della criminalità organizzata, sia locale che internazionale, in Albania. Compresa quella della ‘Ndrangheta. Presenze apparentemente di “basso profilo” con dei “negozi”, spesso sull’orlo di “fallimento”, ma che, in realtà, sono stati concepiti proprio per permettere diverse operazioni societarie e trasferimenti bancari offshore, nonché per intervenire, raccomandati, ad avere appalti pubblici e rappresentare grandi interessi occulti e criminali. L’autore di queste righe è convinto che negare tutto e con forza, quando si trova in grandi difficoltà, è la prima propensione del primo ministro albanese. Negare tutto con arroganza e determinazione, usando insulti, offese e minacce, è ormai un misero ed accusatorio “déjà vu”. Il suo modo di reagire, negando tutto, dimostra e testimonia proprio l’opposto contrario di quello che lui cerca di affermare. Nel caso in questione, la sua reazione testimonierebbe la reale, pericolosa e preoccupante presenza delle cosche mafiose in Albania, ‘Ndrangheta compresa. Ma niente di tutto ciò poteva facilmente accadere senza il suo consenso e il suo beneplacito. E se lo ha fatto avrà avuto, senz’altro, anche lui il suo tornaconto. I cittadini albanesi e chi di dovere nelle cancellerie occidentali e nelle istituzioni dell’Unione europea devono sapere, però, che si tratta sempre di presenze terribili. Anche perché si sta cercando di tenere nascosto il pericolo. Un pericolo non solo per l’Albania e gli albanesi, ma anche per molti altri Paesi europei, Italia compresa. Come ha dichiarato già nel 2019 anche il procuratore capo Nicola Gratteri. E cioè che “In Europa, nel futuro, credo che ci impegneremo molto con l’Albania”.

Pulsante per tornare all'inizio