Albania

  • Peccati madornali e abusi peccaminosi

    Pochi amano sentir parlare dei peccati che amano commettere.

    William Shakespeare; da “Pericle, il principe di Tiro”


    Non si sa con certezza se l’intero testo del dramma Pericle, il principe di Tiro sia stato scritto solo dal grande scrittore tra il 1607 ed il 1608. Ma tutti concordano però che tranne, forse, i due primi atti, il dramma è stato comunque attribuito a lui, a William Shakespeare. La trama dell’opera è stata trattata già nell’antichità greca e poi in quella latina. Anche altri autori, prima di Shakespeare, hanno scritto sullo stesso tema. Pericle, il principe di Tiro rappresenta un intreccio di diversi eventi drammatici e tragici che coinvolgono i personaggi del dramma. Pericle compreso. Tutto però prende via da un terribile, madornale peccato: quello dei rapporti incestuosi tra Antioco, re di Antiochia, e la sua bellissima ed unica figlia. Rapporti peccaminosi che il re faceva di tutto perchè nessuno venisse a conoscenza. Non volendo però che si pensasse ad un suo impedimento a sua figlia di sposarsi, aveva trovato anche la soluzione. Un indovinello. Sì, un indovinello, che chiunque pretendesse la mano di sua figlia, il nome della quale non ci viene mai detto, avrebbe dovuto trovare prima la giusta risposta. Si doveva, perciò, trovare un enigma nascosto nelle seguenti frasi: “Mi trasporta un delitto; mi cibo delle carni di mia madre; cerco un fratello mio, figlio di mia madre, marito di mia moglie e non lo trovo”. Un indovinello veramente difficile da capire. E chi sbagliava veniva subito ucciso. Nessuno però era riuscito a trovare la risposta, finché alla corte di Antioco arrivò Pericle, il principe di Tiro. Egli, dotato di intelligenza e di vasta cultura ed attratto dalla bellezza della figlia di Antioco, riuscì a capire l’enigma di quell’indovinello e diede la risposta ad Antioco. Il re però, molto turbato, negò che fosse quella giusta, ma diede a Pericle un mese di tempo per ripensare. Un stratagemma per farlo uccidere subito dopo, essendo il principe di Tiro l’unica persona che conosceva il suo terribile segreto. Segreto che, nel subconscio di Antioco, era diventato anche un tremendo e continuo incubo. Nel frattempo Pericle, avvisato dei crudeli piani del re, scappa e si salva, dando però inizio alle tante sue peripezie. Ma poi, dopo molti difficili e sofferti anni, anche per Pericle arrivano i giorni felici, avendo trovato finalmente la moglie e la figlia.

    “…Pochi amano sentir parlare dei peccati che amano commettere” scriveva Shakespeare nel suo dramma. E si riferiva al madornale peccato commesso da Antioco, quello dei rapporti incestuosi con sua figlia. Mettendo così in evidenza e stigmatizzando, tra l’altro, l’immoralità dei peccati. E di peccati, anche più gravi e tremendi di quello di Antioco, si commettono in tutte le parti del mondo. Anche in Albania. Ma se colui che commette peccati è proprio il primo ministro e se i peccati cadono non su una sola persona, ma su una moltitudine di persone e sul Paese stesso, allora i peccati diventano ben più gravi, perché tutto si fa abusando, in modo peccaminoso, del potere conferito [per modo di dire]. I fatti accaduti e che stanno accadendo, anche in queste ultimissime settimane, testimonierebbero che il primo ministro albanese sia realmente immerso in un pantano di madornali peccati contro gli interessi dello Stato, dei cittadini e della cosa pubblica. Peccati commessi soltanto per dei suoi interessi personali. Ragion per cui non ci dovrebbero essere dei dubbi: il peccato di Antioco, bensì tremendo, è minore se paragonato con quelli commessi consapevolmente dal primo ministro albanese e/o da chi per lui, soltanto durante queste ultimissime settimane. Sì, perché, tra l’altro, la cessione di territori marini del Paese alla Grecia, nonché la cessione, in “concessione”, di altri territori strategici a degli sceicchi arabi soltanto per degli occulti interessi e per delle convenienze personali, non possono essere che dei terribili peccati, severamente condannabili. Il nostro lettore deve sapere che, da secoli ormai, gli albanesi considerano e chiamano il loro Paese la “Madreterra” o la “Terramadre”. Perché lo considerano, in modo naturale e viscerale, proprio come una madre. Dimostrando così il più alto rispetto per il loro Paese e per la Madrepatria. Il primo ministro albanese però, dopo aver spezzettato il territorio del Paese, vende, a suo profitto, proprio parti del corpo della madre. Così facendo “…si ciba delle carni di mia madre”, come diceva Antioco nel suo indovinello.

    Circa due settimane fa a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, un folto gruppo di persone molto altolocate e vicine al primo ministro albanese è stato filmato durante una lussuosa cena in uno dei più noti ristoranti della città. Parte del gruppo erano alcuni ministri vicini al primo ministro, degli alti funzionari pubblici ed il suo fedele consigliere speciale, nonché uno dei più noti imprenditori albanesi, dei giornalisti ed altri. Bisogna sottolineare un “piccolo particolare” però: erano tutti albanesi. Il video con delle immagini di quella cena, girato dai dipendenti del ristorante, come prassi, appena divulgato ha generato subito scalpore e grande indignazione pubblica in Albania. In quei giorni però intere e vaste aree del Paese erano sommerse dalle inondazioni, mentre il primo ministro si trovava a discutere e consentire degli accordi peccaminosi con il presidente turco ed il primo ministro greco. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante le due ultime settimane. All’indomani della diffusione del video, che hanno cercato invano di cancellare dalla rete, la propaganda governativa, trovata completamente impreparata e presa alla sprovvista, ha cercato di “spiegare” che si trattava di una cena offerta da un noto sceicco arabo alla fine di un grande ed importante accordo che lui aveva firmato con l’Albania! Cena però dove non si vedeva ombra, né dello sceicco e neanche di altri suoi collaboratori. A niente sono servite tutte le “acrobazie” della propaganda e di alcuni partecipanti alla “peccaminosa cena”. In realtà, per lo sceicco arabo c’era molto da festeggiare, eccome! Perché, con alcuni accordi lui era riuscito ad avere, a lungo tempo, in “concessione” il porto di Durazzo, che è il più grande porto dell’Albania ed un ingresso strategico ed importante verso i Balcani. Ma oltre all’accordo sul porto di Durazzo, il sceicco arabo ha avuto in “concessione” anche altre aree importanti sulla costa ionica ed all’interno dell’Albania. Accordi ormai “consolidati” anche legalmente, dopo l’approvazione di una legge, il 3 dicembre scorso dal Parlamento, in clamorosa violazione delle leggi in vigore. Non solo, ma in piena violazione anche con quanto previsto dall’Accordo di Stabilizzazione e Associazione dell’Albania con l’Unione europea. Un accordo, quello con lo sceicco, che sancisce l’illecita cessione di territori dell’Albania! Le cattive lingue dicono che anche il primo ministro albanese ha avuto quanto ha voluto in cambio. Ma, ovviamente, non quello che ha detto dopo la sua visita, il 26 novembre scorso, negli Emirati Arabi Uniti! Lui sa anche il perché!

    Proprio negli stessi giorni che a Dubai si consumava la “cena peccaminosa”, il primo ministro albanese, dopo aver finito la sua “fruttuosa visita” in Turchia, di cui il nostro lettore è stato informato, è andato in Grecia. L’anfitrione, il primo ministro greco, lo ha invitato ad una “cena privata” a casa sua! Non si sa di cosa abbiano parlato e su cosa si siano accordati loro due. Si sa però che il 19 gennaio scorso il Parlamento greco ha approvato l’allargamento, con 12 miglia, del suo confine marino a scapito dell’Albania. Si tratta di un altro scandaloso accordo fatto in gran segreto per l’opinione pubblica albanese. Si sa però che il primo ministro albanese ha ceduto “privatamente” vaste superfici marine e sottomarine alla Grecia. Anche in questo caso, lui sa il perché!

    Chi scrive queste righe tornerà di nuovo su questi due argomenti importanti, convinto che altri particolari  usciranno durante le prossime settimane e mesi. Egli è altrettanto convinto però che il primo ministro e i suoi faranno di tutto per offuscare questi scandali. Anche perché sono veramente pochi quelli che amano sentir parlare dei peccati che, loro stessi, amano commettere.

  • Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.
    Aristotele; “Politica”


    Il 6 e il 7 gennaio scorso il primo ministro albanese è stato in Turchia per una visita ufficiale. L’anfitrione, il presidente turco, aveva riservato un’accoglienza in pompa magna per il suo discepolo e “caro amico” albanese. Secondo le informazioni ufficiali si trattava di una visita, durante la quale i due “amici” hanno rinnovato la loro stretta collaborazione. Sono stati firmati diversi accordi, tra i quali il più importante era l’Accordo del Partenariato Strategico tra i due Paesi. Sempre secondo le informazioni ufficiali, il presidente turco ha promesso al suo ospite albanese sostegno ed investimenti in Albania. Si tratta di investimenti per la costruzione di 522 unità abitative nelle zone colpite dai terremoti del 2019 e di un ospedale. Ma si tratta anche di investimenti per la costruzione/ricostruzione di diverse moschee in Albania. Bisogna ricordare che in pieno centro di Tirana, accanto al Parlamento, con il diretto interessamento del presidente turco e gli investimenti da lui garantiti, è stata costruita ormai la più grande moschea di tutta la penisola balcanica. Durante la comune conferenza stampa, il 7 gennaio scorso, il presidente turco ha dichiarato solennemente che “…l’Albania è un Paese amico, fratello e alleato. Siamo due popoli fratelli, che abbiamo combattuto insieme e che abbiamo lasciato segni nella storia”. Poi ha aggiunto che dappertutto in Albania attualmente si “trovano molte testimonianze della cultura comune”. Affermazioni che rispecchiano alcuni dei pilastri della cosiddetta Dottrina Davutoğlu, la quale è stata trattata la scorsa settimana dall’autore di queste righe (Relazioni occulte e accordi peccaminosi; 11 gennaio 2021). Durante la stessa conferenza stampa, il primo ministro albanese ha ringraziato il suo “caro amico” presidente per quanto ha fatto e sta facendo per l’Albania e, a sua volta, ha promesso la stretta collaborazione, sua e del suo governo, per combattere il terrorismo e le organizzazioni terroristiche. Una cosa che il presidente turco aveva da tempo chiesto al suo “amico” ed ha pubblicamente sottolineato anche durante la comune conferenza stampa. Secondo quest’ultimo “…la collaborazione nella lotta contro il terrorismo” rappresenta un’importanza particolare. Subito dopo ha specificato che si trattava di una sola organizzazione, considerata terroristica dal presidente turco. Ribadendo, convinto e determinato, anche che non permetterà mai che quell’organizzazione possa “…avvelenare le relazioni tra i due Paesi.”. Opinione, quella, condivisa anche dal primo ministro albanese. Ed era la sola richiesta che il presidente turco aveva fatto al primo ministro albanese durante la sopracitata visita. Almeno secondo quanto hanno ufficialmente dichiarato durante la loro comune conferenza stampa. Perché di quello sul quale  loro due si sono accordati in privato, e ne hanno avuto occasione, non si è saputo e non si saprà mai. Ma, leggendo tra le righe si capisce che non tutto è stato detto al pubblico, anzi! Perché non si possono dire le ragioni e neanche le reciproche promesse fatte per degli accordi e delle intese di interesse personale. Di entrambi. Per il momento il primo ministro albanese deve fare di tutto per avere un terzo mandato, costi quel che costi, durante le elezioni del 25 aprile prossimo. Ed al suo “caro amico”, al presidente turco, sono “sfuggite” alcune parole, durante la sopracitata conferenza stampa, che si riferivano proprio al suo appoggio per il primo ministro durante quelle elezioni. Parlando della sopracitata costruzione di un ospedale in una delle regioni roccaforti del primo ministro albanese, come parte importante degli accordi firmati, il presidente turco ha detto che “…finirà prima delle elezioni!”. In più, il presidente turco ha anche espresso la sua convinzione che “…le elezioni del 25 aprile saranno utili per il popolo albanese e l’Albania”. E, ovviamente, perché tutto ciò possa accadere, il presidente turco dovrebbe aver promesso al suo amico albanese tutto il suo appoggio. A patto, però, che quest’ultimo continuasse a garantire la collaborazione ed il suo personale impegno nella lotta comune contro quella “organizzazione terroristica” che potrebbe “avvelenare le relazioni tra i due Paesi”.

    Si tratta dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.). Secondo il presidente turco, il capo di quest’organizzazione, Fethullah Gülen, è stato proprio l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 16 settembre 2016 in Turchia. In realtà Gülen, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è anche tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, da allora ben radicata sia in Turchia, che in altri paesi. Albania compresa. Gülen è stato, fino al 2012, uno dei più stretti amici e collaboratori dell’attuale presidente turco. Amicizia e collaborazione che finì definitivamente nel 2013, quando Gülen denunciò pubblicamente gli scandali della corruzione, che vedevano direttamente coinvolto Erdogan e i suoi familiari. Da allora quest’ultimo ha dichiarato guerra all’ultimo sangue a Gülen, essendo anche ufficialmente considerato il capo della sopracitata organizzazione FETÖ dalle istituzioni turche della giustizia. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitense l’estradizione di Gülen. Estradizione che è stata sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti, che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei confronti di Gülen.

    Guarda caso però, l’Albania che sta proseguendo, anche se con risultati vistosamente negativi, il processo dell’adesione nell’Unione, è anche l’unico Paese europeo che da alcuni anni ormai sta condividendo ufficialmente quanto ritiene il presidente turco Erdogan. Mettendosi così, apertamente, contro tutti i Paesi occidentali e gli Stati Uniti. Chissà perché e chissà in cambio di cosa?! Non solo, ma era proprio a fianco del suo “caro amico” Erdogan che il primo ministro, durante la sopracitata conferenza stampa, ha accusato le istituzioni dell’Unione europea. Riferendosi agli Stati membri e all’Unione stessa, lui ha dichiarato che “…diversamente da alcuni altri […] la Turchia e il presidente Erdogan si sono trovati vicini al popolo albanese durante la pandemia, dimostrando valori di solidarietà”. Nessuno sa, però, a quali aiuti si riferiva il primo ministro albanese e in cambio di quale promessa fatta a lui [personalmente] dal presidente turco. E non è la prima volta, soprattutto in questi ultimi anni, mentre il processo europeo dell’Albania è vistosamente bloccato, per diretta responsabilità del primo ministro albanese, che quest’ultimo attacca e minaccia le istituzioni europee e/o i singoli Stati membri dell’Unione europea. Seguendo proprio l’esempio del suo “caro amico” Erdogan.

    Chi scrive queste righe pensa che la somiglianza tra loro va oltre ed è molto più ampia. O meglio dire, la smania del primo ministro albanese di imparare, di imitare e di somigliare al suo amico in tutto e per tutto è vistosa. E in tutto e per tutto li accomuna una caratteristica: per il loro potere personale sono disposti a qualsiasi cosa, ignorando principi e vendendo anche l’anima, se necessario. L’attaccamento al potere ha messo in evidenza i loro comportamenti da veri despoti. Essendo, però, anche molto attenti, con le loro note capacità demagogiche, di apparire come dei patrioti, come dei “padri della nazione”, premurosi e attenti al benessere dei rispettivi cittadini. Calpestando, però, le loro innate libertà e i loro sacrosanti diritti. E come la maggior parte dei tiranni, che sono stati anche demagoghi, si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

  • Relazioni occulte e accordi peccaminosi

    Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico:
    “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”.

    Vangelo secondo Giovanni; 8/34

    La Turchia, dall’inizio del nuovo millennio, sta cercando di diventare un fattore geopolitico non solo a livello regionale. Un obiettivo strategico, quello, reso pubblico negli anni ’90 del secolo scorso dall’allora presidente turco Turgut Özal. “… Il 21o secolo sarà il secolo dei Turchi” dichiarava lui convinto. E così si poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. Una posizione, quella, che la Turchia aveva cominciato a perdere, partendo dall’inizio del 20o secolo, ancora prima del crollo definitivo dell’Impero. Ed era proprio sull’eredità dell’Impero ottomano che si poteva e si puntava per raggiungere quell’obiettivo strategico. All’inizio di questo millennio è stato pubblicato un libro intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia. Un libro che, guarda caso, non è stato tradotto in inglese. L’autore era Ahmet Davutoğlu, allora un professore universitario di relazioni internazionali ad Istanbul. In quel libro l’autore aveva definito proprio la strategia da seguire per raggiungere l’obiettivo formulato e pubblicamente dichiarato dal presidente Özal. Prese vita così quella che ormai è, pubblicamente ed internazionalmente, nota come la Dottrina Davutoğlu. Egli era convinto che la Turchia doveva smettere di avere una politica estera passiva, dipendente dagli alleati. Il tempo era venuto per attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano. Davutoğlu considerava come molto importante la posizione geografica della Turchia: una crocevia tra i Balcani, il Mar Nero e Caucaso, il Mediterraneo orientale ed il Golfo Persico, arrivando fino all’Asia Centrale. La Dottrina Davutoğlu considera molto importante anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano. Davutoğlu riteneva che, nonostante le importanti riforme fatte da Mustafa Kemal Atatürk, il primo presidente della Repubblica (dal 1923 fino al 1938, quando morì; n.d.a.), considerato come il padre della Turchia moderna, i legami storici, religiosi e culturali con i paesi dell’ex Impero ottomano erano ancora presenti e validi. Secondo Davutoğlu, quei legami si dovevano soltanto riattivare. La sua dottrina si basava, tra l’altro, sulla costituzione di un raggruppamento, di un Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo la Dottrina Davutoğlu, la Turchia dovrebbe diventare un “…catalizzatore e motore dell’integrazione regionale. La Turchia non doveva più essere “un’area di anonimo passaggio”, ma diventare un “artefice principale del cambiamento”. Davutoğlu nella sua dottrina riteneva che la Turchia doveva “rivitalizzare la propria eredità storica, ricca, variegata e multiforme”. Perché solo in questo modo la Turchia potrebbe “…non solo contare sul piano regionale, ma esercitare la propria influenza nelle aree di crisi globali”. E perché questo obiettivo si potesse realizzare, la Turchia doveva organizzare diversamente i suoi rapporti “… con i centri di Potenza, creando un hinterland fondato su rapporti culturali, economici e politici storicamente consolidati.”.

    Davutoğlu era preoccupato del perenne scontro e gli attriti continui con la Grecia, nonché della crisi con la Bulgaria. Il che non ha permesso alla Turchia di attuare e garantire “un’incisiva politica per i Balcani”. Egli aveva fatto suo uno degli obiettivi del presidente Atatürk, “pace in casa, pace nel mondo”, proponendo la politica di avere “zero problemi con i vicini”. Una specie di Pax-Ottomana che dovrebbe permettere alla Turchia di diventare il rappresentante regionale e, perciò, anche il diretto interlocutore con le due attuali grandi potenze: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

    La Dottrina Davutoğlu è stata appoggiata fortemente dall’attuale presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, dall’inizio della sua ascesa politica, che cominciò nel 1994, con la fondazione del suo partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP: Adalet ve Kalkınma Partisi; n.d.a.). Il resto è ormai pubblicamente noto. Nel frattempo però Erdogan, allora primo ministro, apprezzando il contributo di Davutoğlu, lo nominò nel 2009 come il suo ministro degli Esteri. In seguito, quando Erdogan è stato eletto presidente della Repubblica, Davutoğlu diventò primo ministro e dirigente del partito di Erdogan, nell’agosto 2014. Cariche che ha avuto fino a maggio 2016, quando, per forti disaccordi con Erdogan, Davutoğlu diede le sue dimissioni come primo ministro, e nel settembre 2016 anche come capo del partito. Da allora Davutoğlu ha fondato e guida il Partito del Futuro. Un partito di orientamento islamico conservatore ed in aperta opposizione con Erdogan. Nel frattempo però, il presidente turco sembra si sia dimenticato della politica di “zero problemi con i vicini”. Adesso Erdogan si sta affrontando con una ben altra e preoccupante realtà, caratterizzata da “solo problemi con i vicini”. Grecia compresa.

    Bisogna sottolineare comunque che la Turchia, cominciando dalla fine del secolo scorso e, soprattutto, durante il primo decennio degli anni 2000, ha raggiunto dei successi. E’ stato attuato un notevole e significativo sviluppo economico, con tassi di crescita inferiori soltanto alla Cina. Uno sviluppo basato sull’energia e le infrastrutture, su una politica economica che aveva permesso le dovute liberalizzazioni e l’apertura dei mercati, come si prevedeva anche negli acquis communautaire. Sì, perché la Turchia aveva firmato già dal 1963 il Trattato di associazione con l’allora Comunità europea (CE) ed in seguito, nel 1979, il Protocollo addizionale del Trattato di associazione. Nel 1999 il Consiglio europeo decise che la Turchia diventasse paese candidato all’adesione nell’Unione europea. I negoziati dell’adesione cominciarono nel dicembre 2005. Ma da allora ad oggi i negoziati non hanno fatto progressi, per delle ragioni ormai note. Non solo, ma da circa un decennio i rapporti della Turchia con l’Unione europea non sono progrediti; anzi! Da anni ormai Erdogan sembra non abbia più interesse ad aderire all’Unione europea. Non solo, ma proprio per “sfidare” l’Unione, dall’inizio dell’attuale decennio, lui ha cominciato e sta proseguendo, determinato e spesso anche minaccioso, ad assumere ed esercitare anche il ruolo del rappresentante internazionale dell’islamismo politico, tessendo, tra l’altro, rapporti di amicizia e di stretta collaborazione con l’Associazione dei Fratelli Musulmani.

    Proprio con Erdogan, ed invitato da quest’ultimo, c’è stato l’incontro del primo ministro albanese ad Ankara la scorsa settimana. Da notare che l’Albania, essendo stata per cinque lunghi secoli sotto l’Impero ottomano, dovrebbe aver a che fare anche con quanto prevede la Dottrina Davutoğlu. Essendo stata una visita “a sorpresa”, almeno in Albania, si sa ben poco di quello di cui, realmente, hanno parlato i due “amici” durante quei due giorni. Ma tenendo presente le realtà, sia in Turchia che in Albania, gli sviluppi e gli attriti nella regione, vivendo un periodo di “solo problemi con i vicini”, al contrario di quanto prevedeva la Dottrina Davutoğlu, quanto possano aver parlato e accordato il presidente turco ed il primo ministro albanese non si saprà mai.

    Chi scrive queste righe pensa, anzi è convinto, che quanto è stato deciso ed accordato durante quei colloqui segreti, non porterà niente di buono all’Albania e agli albanesi. L’autore di queste righe promette al nostro lettore di continuare a trattare l’argomento, con molta probabilità, la prossima settimana. Anche perché sono tante le cose che meritano la dovuta attenzione. Egli però è convinto che, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il primo ministro albanese si presenta, da anni ormai, come un “devoto” del presidente turco, cercando di imitarlo e di diventare come lui: un despota! E come Erdogan lui cerca, a tutti i costi, di rimanere al potere. Erdogan, con il referendum del 2017, diede a se stesso ulteriori poteri istituzionali per attuare i suoi obiettivi. Il primo ministro albanese ha fatto lo stesso. Gli ultimi emendamenti costituzionali di due mesi fa, riguardanti la riforma elettorale, lo dimostrerebbero palesemente. Nel frattempo Erdogan punta a controllare i Balcani, parte dei quali è anche l’Albania, come prevede la Dottrina Davutoğlu. E nonostante non si sa di cosa sia discusso ed accordato tra i due la scorsa settimana, tutto fa pensare che Erdogan ha ed avrà il consenso del “suo amico”, il primo ministro albanese. Ma quest’ultimo non vende l’anima per niente. In cambio avrà l’appoggio di Erdogan durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Come lo stesso presidente ha accennato durante la conferenza stampa comune. Perché il primo ministro albanese vuol avere, costi quel che costi, un terzo mandato. E per averlo sarebbe disposto a tutto. Anche ad accordi peccaminosi con il suo amico presidente, con il quale tutto fa pensare che abbia stabilito delle relazioni occulte. Chi scrive queste righe è convinto, da quanto è accaduto in questi ultimi anni, che il primo ministro albanese abbia veramente molto peccato. Perciò, come testimonia il Vangelo di Giovanni, chiunque commette il peccato è schiavo del peccato!

  • Riflessioni di fine anno

    Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti.

    Antico Testamento; Salmi; 11/4

    Stanno trascorrendo gli ultimi giorni di quest’anno. Un anno veramente diverso e difficile per l’umanità, questo che sta per finire. Un anno pieno di privazioni di ogni genere, di sofferenze e di perdite di molte, moltissime vite umane dovute alla pandemia di coronavirus. Le conseguenze di tutto quanto è accaduto e sta accadendo quest’anno e, soprattutto, delle lunghissime chiusure forzate delle attività produttive in tutto il mondo, purtroppo, si faranno sentire a lungo, causando ulteriori privazioni e sofferenze di ogni tipo per l’umanità. Sia nei singoli paesi, che su scala più ampia. L’unico auspicio, dopo una simile e brutta esperienza a livello mondiale, è che coloro i quali hanno delle responsabilità istituzionali possano trarre le dovute conclusioni ed, in seguito, agire di conseguenza. Sia nei singoli paesi, che su scala più ampia. Anche se, quanto è accaduto dopo la drammatica e grave crisi finanziaria, iniziata negli Stati Uniti d’America nel 2008 e poi diffusasi su scala mondiale e seguita da una altrettanta drammatica e grave crisi economica, non è servita da lezione. Purtroppo il genere umano non sempre riesce a trarre lezioni dalla storia. E poi ne paga tutte le conseguenze! Quello che è accaduto e sta accadendo da decenni ormai testimonierebbe la folle corsa dei pochi “potenti del mondo” verso gli sproporzionati e crescenti guadagni, calpestando consapevolmente con sadismo, indifferenza disumana e spietata arroganza gli interessi degli altri. Papa Francesco, consapevole di quanto possano essere pericolose per l’intera umanità le conseguenze dell’attuazione di simili strategie finanziarie ed economiche, ha reagito di nuovo. Lo ha fatto il 21 novembre scorso, inviando un videomessaggio ai partecipanti dell’Incontro internazionale “Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, svoltosi ad Assisi da 19 a 21 novembre scorso. Il Pontefice ha proposto e chiesto un patto per un nuovo modello economico. Papa Francesco ha ribadito che “Non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti, come unità di misura, e sulla ricerca di politiche pubbliche simili, che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale”. Essendo convinto che “… urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile”. A tutte le persone responsabili, sia a scala locale che più ampia, spettano le dovute e necessarie reazioni concrete!

    Un anno veramente difficile è stato questo che sta per finire anche in Albania. Non soltanto per le conseguenze causate dalla pandemia e dovute, soprattutto, al modo irresponsabile e del tutto inadeguato e “personalizzato” con cui è stata e si sta affrontando la crisi da parte delle istituzioni specializzate e le persone istituzionalmente responsabili. Partendo dal primo ministro, che ha “gestito” l’emergenza secondo i suoi interessi personali, legati al suo potere politico. Un anno questo che sta per finire, pieno, inevitabilmente, anche di innumerevoli e continui scandali e di abusi di potere. Un anno questo che sta per finire, durante il quale si è chiaramente evidenziato il [voluto e programmato] fallimento di diverse riforme. Riforme molto importanti e necessarie per la democratizzazione del Paese, che hanno avuto come garanti anche i soliti “rappresentanti internazionali”, ma che, invece, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, sono risultate [volutamente] fallite. In Albania, purtroppo, anche durante la pandemia, i soliti avidi ed insaziabili con il denaro pubblico hanno continuato imperturbabili a fare ingenti danni con degli appalti pubblici “segreti”, a causa della pandemia! Una nuova invenzione abusiva, in piena violazione delle leggi in vigore, che si sta attuando da mesi ormai. Una realtà che però “sfugge” all’attenzione delle nuove e “riformate” istituzioni del sistema di giustizia. Chissà perché?! In Albania, ormai da qualche anno, tutto può accadere ma, purtroppo, nessuno si stupisce più. Si è arrivati ormai fino a questo punto! Tutto è stato facilmente prevedibile e, allo stesso tempo, anche inevitabile però, viste le persone che gestiscono la cosa pubblica in questi anni.

    Durante quest’anno in Albania sono accaduti, evidenziati e testimoniati molti, veramente molti abusi di potere e milionari scandali governativi, pubblicamente e/o legalmente denunciati. Ma niente è accaduto. Tutte le “riformate” istituzioni del “riformato” sistema della giustizia hanno continuato “tranquilli”, come se niente fosse. Nella loro rete sono finiti soltanto dei “pesciolini piccoli”. Mentre i “pesci grandi”, come li chiamava, alcuni anni fa, uno dei più importanti “rappresentanti internazionali”, tenendo presente i vertici della politica e i massimi dirigenti delle istituzioni statali, sono sempre sfuggiti da quella rete. Chissà perché?! I diretti accusati e denunciati, pubblicamente e/o legalmente, primo ministro in testa, continuano però indisturbati a causare ulteriori danni alla cosa pubblica e non soltanto. Per trattare e analizzare tutto ciò non basterebbero centinaia di pagine. Il nostro lettore, ad ogni modo, è stato sempre informato di una parte di questi abusi e scandali.

    L’autore di queste righe distingue e valuta però come molto significativo e rappresentativo un brutto avvenimento accaduto quest’anno, il quale, da solo, testimonia la restaurazione di una nuova dittatura in Albania, durante questi ultimi anni. Si tratta proprio del barbaro e vigliacco abbattimento dell’edificio del Teatro Nazionale, in pienissimo centro della capitale. Un abbattimento fatto notte tempo, il 17 maggio scorso, in piena chiusura per la pandemia, violando consapevolmente e con arroganza sia la Costituzione che la legislazione in vigore. Di tutto ciò il nostro lettore è stato ben informato (I vigliacchi della notte hanno distrutto il Teatro Nazionale; 18 maggio 2020). Il nostro lettore è stato informato, a più riprese, anche di quanto è accaduto, da quando cominciò la protesta per la difesa del Teatro Nazionale. Una lunga, quotidiana, pacifica e civile protesta, cominciata il 15 giugno 2018. Protesta che è stata però brutalmente interrotta il 17 maggio scorso, dopo un ‘talebano’ intervento da parte della polizia [non] di Stato e delle truppe paramilitari volutamente non identificabili. Tutti armati e che hanno agito violando tutte le leggi in vigore. È stato barbaramente demolito un simbolo nazionale, non solo di cultura ma anche di storia. E’ stato distrutto per costruire, al suo posto, dei grattacieli di cemento armato. E’ stato distrutto il Teatro Nazionale, secondo le cattive lingue, per riciclare nell’edilizia ingenti somme di denaro, provenienti dalle attività illecite. Ma non lo dicono solo le cattive lingue. Quel tipo di riciclaggio è stato evidenziato e ribadito anche dall’ultimo rapporto ufficiale del 2019 di MONEYVAL (il Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo; una struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.), nella parte dedicata all’Albania. E’ stato abbattuto il Teatro Nazionale, nonostante gli appelli ufficiali e le tante richieste, fatte al primo ministro, da parte delle più importanti istituzioni internazionali specializzate e dai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Il primo ministro però, come risposta e come suo solito, ha usato le bugie e gli inganni per i rappresentanti delle istituzioni internazionali. Mentre per gli indignati e offesi cittadini albanesi ha usato, tra l’altro, anche le parole arroganti. Sempre come suo solito.

    Chi scrive queste righe, riflettendo su quanto è accaduto quest’anno in Albania, è convinto che l’unica salvezza è la ribellione dei cittadini responsabili per rovesciare di nuovo la dittatura. Come nel 1991. Speranzoso anche che, come si scriveva nell’Antico Testamento, il Signore possa recidere tutte le labbra bugiarde e le lingue che dicono parole arroganti. Compresa anche quella del primo ministro albanese.

  • Despoti, violenza statale e rivolta

    Se la legalità è l’essenza del governo non tirannico e l’illegalità

    quella della tirannide, il terrore è l’essenza del potere totalitario.

    Hannah Arendt

    Gaio Giulio Cesare Germanico, meglio conosciuto come Caligola, è stato, dal 37 al 41 d.c., uno degli imperatori romani. Da fonti storiche dell’epoca risulterebbe che da giovane egli abbia avuto il sopranome Caligola proprio dalla caliga, una calzatura usata in quel periodo. Risulterebbe anche che siano stati proprio i legionari del suo predecessore, Tiberio, a chiamarlo così, nonostante a lui non piacesse. Sempre dai dati storici, risulterebbe che all’inizio lui sia stato un imperatore liberale. Ma nell’autunno del 37 d.c. subì una ricaduta, dovuta ad una grave malattia. Da fonti storiche del tempo, nonché da studi recenti, si presume che si trattasse di gravi alterazioni mentali dovute a disturbi bipolari. Risulterebbe che, in seguito, Caligola abbia cambiato completamente il modo di gestire l’impero, diventando un despota. Tutti riconoscevano in lui un imperatore irascibile e stravagante, con una condotta pubblica irresponsabile, folle ed imprevedibile. Sempre riferendosi alle fonti storiche, risulterebbe che Caligola amasse molto i cavalli e particolarmente uno, il suo preferito: Incitatus. Un cavallo che aveva una scuderia di marmo e che lo coprivano con delle bardature ricamate con fili d’oro e coperte di pietre preziose. Secondo alcune fonti storiche risulterebbe anche che Caligola avesse promesso di far nominare il suo cavallo console. C’è chi dice senatore. E c’è chi sostiene, addirittura, che non sia stata un’intenzione ma addirittura un fatto compiuto. Chissà se è vero o no? Ma anche se tutto ciò che viene tramandato da secoli e riferito allo strano rapporto tra Caligola e il suo cavallo fosse stata una pura invenzione resta però il fatto che egli viene riconosciuto, comunque, come un despota che pretendeva di essere divinamente onorato e venerato da tutti. Tuttora, sentendo il suo nome, si fa sempre riferimento ad un autocrate che ha massacrato i suoi oppositori. Ormai tutti riconoscono e concordano che Caligola, con le sue stravaganze, le sue eccentricità e bizzarrie, con le sue depravazioni e le sue irresponsabilità, ha sperperato e dilapidato il patrimonio imperiale e la cosa pubblica. Caligola è stato assassinato nel 41 d.c. da alcuni pretoriani.

    All’inizio del 21o secolo in Albania cominciò la sua ascesa al potere colui che adesso è il primo ministro del Paese. All’inizio, e cioè circa venti anni fa, anche lui veniva considerato come liberale nel modo in cui esercitava il suo potere. Come Caligola. Ma durò poco. Proprio in quel periodo, in un giornale, diretto da colui che attualmente è uno dei suoi più stretti collaboratori, sostenitori e consiglieri, veniva pubblicata la sua cartella clinica. Da quella cartella risultava che l’attuale primo ministro albanese, da anni, soffrisse di disturbi mentali e più precisamente di disturbi bipolari. Come Caligola. Nessuno però, nemmeno il diretto interessato, ha negato la veridicità del contenuto di quella cartella clinica, allora e/o in seguito. Nessuno, allora e/o in seguito, ha denunciato per calunnia il direttore di quel giornale. Anzi, adesso lui, che continua ad essere a capo dello stesso giornale, è in ottimi rapporti con il primo ministro e quel giornale è molto attivo e importante per la propaganda governativa. Con gli anni il primo ministro albanese ha dimostrato sempre più chiaramente il suo vero carattere, quello di un despota, di un arrogante irascibile, di un vendicatore, di uno stravagante, di un individuo che, abusando senza scrupolo alcuno, ha dilapidato e sperperato il patrimonio dello Stato, il denaro e la cosa pubblica. Come Caligola. Negli ultimi anni, da quando, nel 2013, è diventato finalmente la persona più potente in Albania, dati e fatti accaduti e che stanno attualmente accadendo alla mano, lui volutamente ha restaurato la dittatura in Albania, diventando così un despota. Come Caligola. Il primo ministro albanese pretende di essere considerato e venerato come il padre della Patria, “rappresentante di Dio”, venuto per emancipare ed educare i cittadini. Come Caligola. In una recente intervista ad una rivista francese, il primo ministro ha “confessato” la sua grande tristezza e la sua profonda delusione perché, nonostante lui avesse fatto il suo meglio tutto era stato invano. “…Gli albanesi non mi hanno capito; io non posso educarli” dichiarava in quell’intervista il primo ministro! Proprio lui che opprime con violenza ogni sorta di seria e vera opposizione, soprattutto quella dei cittadini rivoltati, e che denigra ogni oppositore che gli dà “fastidio”. Come Caligola. E come Caligola, che voleva nominare console Incitatus, il suo cavallo preferito o, addirittura, lo aveva veramente fatto, anche il primo ministro albanese sceglie come deputati e nomina come ministri semplicemente dei leccapiedi, delle persone senza integrità alcuna, per poi usarli a suo piacimento in caso di necessità e buttarli poi, appena non ne sente più il bisogno. Nel 41 d.c., dopo tante bizzarrie, depravazioni e clamorosi abusi di potere, alcuni pretoriani uccisero Caligola, ponendo così fine alla sua dittatura. Adesso, nel 21o secolo, spetta ai consapevoli e responsabili cittadini albanesi di ribellarsi contro il dispotismo del primo ministro e cacciarlo via il prima possibile. Poi, con un vero, indipendente e funzionante sistema di giustizia, giudicare tutto quello che lui ha fatto in questi circa venti anni per dargli il verdetto che si merita.

    La settimana scorsa si è avuto un’ulteriore dimostrazione, l’ennesima, della confermata violenza estrema causata dalla polizia, che invece di ubbidire e servire lo Stato e difendere i cittadini, ubbidisce e serve il regime e uccide inermi ed innocenti cittadini. Nelle primissime ore dell’8 dicembre scorso, due poliziotti avevano visto e poi seguito un giovane di 25 anni, il quale, stando vicino casa, aveva comunque “violato” l’ordinanza governativa dovuta alla pandemia. Non si sa perché il giovane si trovasse fuori in quell’ora. Non si sa neanche cosa sia realmente accaduto in quei pochi minuti. Si sa però che il giovane è stato trovato ucciso a due passi dall’ingresso della sua casa. Si è saputo in seguito che era un ragazzo tranquillo e per bene. Lo aveva ucciso uno dei due poliziotti che lo seguivano, con una pallottola alle spalle. Lo scandalo però comincia nelle ore successive. La polizia ha diramato, durante la giornata, alcune versioni “ufficiali” su quello che era accaduto, tutte diverse l’una dall’altra e che si contraddicevano a vicenda. Tutte le versioni però cercavano, intenzionalmente e consapevolmente, di “coprire” e difendere l’operato del poliziotto e di “colpevolizzare” il giovane ucciso. Il che rappresenta l’ennesimo scandalo in cui viene direttamente coinvolta la polizia [politica] al servizio della dittatura. Il che evidenzia palesemente, però, anche l’esistenza ed il funzionamento di un diabolico meccanismo, gestito dai massimi dirigenti della polizia, per falsificare ed alienare la realtà, presentando come verità soltanto quella che giustifica il suo operato e che suggerisce la propaganda governativa.

    Da mercoledì scorso centinaia di giovani arrabbiati hanno cominciato a protestare contro quella uccisione e soprattutto contro l’operato della polizia politica, che prende ordini direttamente dal primo ministro e/o da chi per lui. Una protesta che non solo non si è placata dalle [comandate] “dimissioni” del ministro degli Interni, ma anzi, si è rinvigorita e diffusa anche in altre città. Una protesta che continua ormai da cinque giorni, nonostante la sproporzionata ed ingiustificata violenza delle strutture speciali della polizia e altre strutture paramilitari molto attive.

    Chi scrive queste righe, come spesso accade, avrebbe molte altre cose da scrivere sul caso, per meglio informare il nostro lettore. Lo farà in seguito. Egli è però convinto che la tirannia in Albania deve essere demolita e annientata solo dalla sacrosanta rivolta dei cittadini responsabili. I giovani, durante questi giorni, stanno dando dei segnali ed un buon esempio per tutti. Perché tutti devono finalmente capire che il terrore è l’essenza del potere totalitario. Tutti!

  • Cronaca di una settimana carica di avvenimenti

    Niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi.

    Francis Bacon

    La settimana appena passata è stata carica di avvenimenti e di sviluppi che riguardano sia il processo europeo che la preoccupante situazione in l’Albania. Purtroppo si è trattato di notizie negative. Notizie che rispecchiano una crisi multidimensionale, presente da circa due anni, e che si sta aggravando ogni giorno che passa. E non poteva essere altrimenti. La vera realtà, quella vissuta e sofferta in Albania, e non quella virtuale, presentata dalla propaganda governativa, dovrebbe far seriamente preoccupare tutti, sia in Albania che nelle cancellerie occidentali e nelle istituzioni dell’Unione europea. Durante le settimana passata si è saputo che per l’Albania è stata rimandata, a data da stabilire, la convocazione della prima conferenza intergovernativa con l’Unione europea. Una decisione quella, presa dal Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’Unione europea (noto come COREPER; n.d.a.). Sempre durante la scorsa settimana è stato reso pubblico il Rapporto del Fondo Monetario Internazionale nel quale si evidenziava la grave situazione finanziaria ed economica in cui si trova in Paese. Tutto dovuto all’incapacità e alle [consapevoli] scelte corruttive del governo. All’inizio della settimana appena passata, la Commissione di Venezia (Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto; n.d.a.), seguendo una sua ed ormai nota prassi di comunicazione, ha fatto sapere quali saranno, con ogni probabilità, le sue opinioni sulle modifiche unilaterali fatte da parte della maggioranza governativa alla Riforma elettorale e approvate dal Parlamento il 5 ottobre scorso. Modifiche che, secondo il Presidente della Repubblica e gli specialisti in giurisprudenza, violerebbero sia la Costituzione che la legislazione in vigore. Quelle opinioni preliminari della Commissione di Venezia evidenziano proprio le consapevoli violazioni fatte.

    Sempre durante la scorsa settimana è stato reso noto il Rapporto della Commissione degli Affari esteri del Parlamento europeo per il periodo 2019-2020. In quel Rapporto si evidenziavano, tra l’altro, anche le serie problematiche che si stanno verificando in Albania e che comprometterebbero seriamente il percorso europeo del Paese. L’autore di queste righe valuta di trattare in seguito soltanto quanto è stato deliberato dai rappresentanti permanenti presso l’Unione europea, promettendo, però, al nostro lettore che tratterà presto gli altri avvenimenti sopramenzionati.

    Il 1o dicembre scorso si è svolta la riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’Unione europea. Il Comitato è un’importante struttura del Consiglio europeo i cui membri sono gli ambasciatori e/o i rappresentanti delle delegazioni accreditate presso l’Unione europea. Ebbene, durante quella riunione, i rappresentanti permanenti hanno deciso di suggerire al Consiglio degli Affari generali, composto dai ministri degli Affari europei di tutti gli Stati membri dell’Unione, di non aprire la prima Conferenza intergovernativa con l’Albania. I rappresentanti permanenti degli Stati membri dell’Unione europea, il 1o dicembre scorso, hanno espresso la loro motivata e argomentata convinzione, secondo la quale “…l’Albania non è ancora pronta a partecipare alla prima Conferenza intergovernativa con l’Unione europea perché ha ancora molto lavoro da fare con le condizioni poste [dal Consiglio europeo] nel marzo 2020”.

    L’apertura della prima Conferenza intergovernativa per l’Albania è stato uno degli obiettivi posti dalla cancelliera Merkel, l’8 luglio scorso, durante la sessione plenaria del Parlamento europeo. L’occasione era l’assunzione, da parte della Germania, della Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea. Un obiettivo quello che non è stato raggiunto. Lo ha ammesso la stessa cancelliera, il 30 novembre scorso, durante una videoconferenza con tutti i rappresentanti dei parlamenti dei Paesi membri dell’Unione europea e dei Paesi che mirano a diventare tali. Lei ha “diplomaticamente” dichiarato, riferendosi all’apertura della prima Conferenza intergovernativa per l’Albania, che “…non posso promettere che accadrà quest’anno”. Non solo, ma per la prima volta, si potrebbero finalmente dividere il percorso europeo della Macedonia del Nord da quello dell’Albania. Una questione tanto discussa quella, durante questi ultimi anni, dai rappresentanti dei singoli Stati membri dell’Unione europea. Nel caso della Macedonia del Nord l’apertura della prima conferenza intergovernativa viene contrariata soltanto dalla Bulgaria. Invece tutti gli altri Paesi membri dell’Unione europea sono d’accordo all’apertura della prima conferenza, argomentando che la Macedonia del Nord ha adempito tutte le richieste fatte dalle istituzioni dell’Unione, compreso anche il cambiamento del nome, che per anni è stato un contenzioso tra la Grecia e la Macedonia. La ragione del veto bulgaro è la richiesta fatta dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord di concordare ed accettare ufficialmente che la lingua macedone sia soltanto un dialetto della lingua bulgara e che in Bulgaria non esiste una minoranza macedone. Per quanto riguarda l’apertura della prima conferenza intergovernativa, prevista dalle procedure europee, bisogna evidenziare però che, mentre per la Macedonia del Nord si tratta di una questione tra due Stati, nel caso dell’Albania il rifiuto europeo dell’apertura della conferenza è legato soltanto e direttamente alle inadempienze delle condizioni poste dal Consiglio europeo all’Albania nel marzo scorso. E quelle condizioni sono delle responsabilità dirette del governo albanese.

    Il 1o dicembre scorso, i rappresentanti permanenti degli Stati membri accreditati presso l’Unione europea, riferendosi alla convocazione della prima conferenza intergovernativa, hanno ribadito che sarà attuata “prima possible” ma che comunque soltanto nel caso che “… si adempiono le condizioni poste dal Consiglio [europeo] nel marzo 2020”. La riunione del Consiglio degli Affari generali, che si svolgerà domani, 8 dicembre, con tutta probabilità, suggerirà, a sua volta, alla riunione dei capi di Stato e di governo dei paesi membri dell’Unione, prevista per il 10 dicembre prossimo, di rimandare a tempo da stabilire la convocazione della prima Conferenza intergovernativa tra l’Albania e l’Unione europea.

    Dal 1o dicembre scorso ad oggi, guarda caso, il primo ministro albanese, lui che scrive di tutto e di tutti, non ha detto una sola parola. Chissà perché?! Analizzando però tutto il percorso europeo dell’Albania, cominciato subito dopo il crollo della dittatura comunista, risulterebbe che sia stato seriamente compromesso durante questi ultimi anni. Da quando l’attuale primo ministro è salito al potere, nel settembre 2013. Ormai sta diventando un’opinione sempre più diffusa che è proprio il primo ministro che sta volutamente ostacolando il percorso europeo dell’Albania. Sono tanti i fatti accaduti, durante questi anni, che testimonierebbero quest’opinione. Sono tanti i fatti accaduti che testimonierebbero che il primo ministro si presenta come un “convinto europeista” soltanto per motivi di propaganda e per ingannare sia le cancellerie occidentali che le istituzioni dell’Unione europea. E sembrerebbe sia riuscito. Ma la cronaca della settimana appena passata, carica di avvenimenti e di notizia, dimostrerebbe che ormai anche nelle cancellerie occidentali e nelle istituzioni dell’Unione europea si stanno rendendo conto che colui che hanno visto nella persona del primo ministro albanese sia stato e sia semplicemente un commediante che ha cercato di imbrogliare tutti per poi avere le mani libere ed agire da dittatore in Albania.

    Chi scrive queste righe è convinto che quel commediante, purtroppo, sta malignamente abusando del potere conferitosi, recando danni enormi al Paese e ai cittadini. Perché niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi.

  • Una riforma volutamente programmata fallita

    L’inganno è nel cuore di chi trama il male.

    Dal libro dei proverbi; 12/20

    Da migliaia di anni gli esseri umani si sono resi conto e, in seguito, sono diventati consapevoli della necessità di avere delle regole per gestire la loro vita in società. Regole che stabilivano i diritti e i doveri di ciascuno nei rapporti con gli altri. L’insieme di quelle regole, chiamate anche legislazioni e/o codici, hanno cercato di mettere ordine e di far rispettare i concetti del diritto e del dovere, delle libertà e degli obblighi in quelle società. Uno dei primi legislatori della storia si ritiene sia stato Zaleuco di Locri, vissuto nel VII secolo a.c. (Locri Epizefiri, città della Magna Grecia, secondo gli storici è stata l’ultima colonia greca in Calabria, n.d.a.). Da documenti scritti, risulterebbe che Strabone, uno dei più noti storici dell’antichità, considerava addirittura che le leggi stabilite da Zaleuco di Locri, riconosciute anche come il suo Codice o legislazione, sono state le prime leggi scritte ed applicate dagli antichi greci stabiliti nella Magna Grecia. Leggi che rispecchiavano anche le esperienze delle altre città dell’antica Grecia. Riferendosi ai documenti storici, risulterebbe che la legislazione di Zaleuco abbia consolidato il buon funzionamento del sistema giuridico, servendo come base per i secoli a venire. Secondo Demostene, noto oratore e politico ateniese, vissuto nel quarto secolo a.c., parte integrante della legislazione di Zaleuco era anche una legge, secondo la quale “…l’abrogazione o la modificazione di una legge poteva essere proposta solo dopo essersi presentati dinnanzi all’assemblea con un laccio al collo che, in caso di rifiuto della proposta, sarebbe diventato strumento di morte per il proponente”. L’esistenza di questa legge la confermerebbe anche lo storico Polibio, vissuto nel secondo secolo a.c. Secondo documenti storici, che si riferiscono a Polibio, risulterebbe che egli abbia affermato che “… nel caso in cui, rispetto all’interpretazione di un decreto, magistrato e cittadino presentassero opinioni differenti, dovrebbero entrambi presentarsi davanti all’assemblea cittadina, indossando un laccio che sarebbe poi stato stretto attorno al collo di colui la cui interpretazione si sarebbe rivelata errata”. Un obbligo, quello proposto da Zaleuco di Locri, che evidenziava l’esigenza della massima responsabilità, sia dei legislatori che proponevano, abrogavano e modificavano le leggi, che dei giudici che le interpretavano quelle leggi e dei cittadini che pretendevano i loro diritti.

    Nel corso dei secoli tutte quelle regole e leggi, proposte ed attuate nell’antichità, ovviamente sono state modificate e adattate alle realtà vissute in varie parti del mondo e secondo la forma dell’organizzazione [statale] delle società. Ma una cosa deve essere riconosciuta a quelle regole e leggi, traendo anche i dovuti insegnamenti. E cioè l’imparzialità nel giudicare il colpevole e nel condannare in base alle responsabilità riconosciute. Secondo alcune testimonianze tramandate da secoli, risulterebbe che anche Zaleuco di Locri si sia tolto un occhio per non far togliere tutti e due al figlio, colto in flagranza mentre stava commettendo adulterio. Perché chi infrangeva le regole doveva essere condannato, chiunque esso fosse! Un ottimo insegnamento per tutti i tempi, anche per questi in cui viviamo!

    Insegnamento che purtroppo rimane del tutto ignorato, deriso e inapplicabile in Albania. Perché coloro che infrangono per primi le regole sono proprio quelli che hanno il dovere di rispettarle, compresi legislatori, governanti e giudici. Sono innumerevoli le testimonianze che, senza ombra di dubbio, confermerebbero e dimostrerebbero questa realtà, dati e fatti accaduti quotidianamente e pubblicamente noti alla mano. Sono veramente tanti gli scandali e gli abusi che danneggiano la cosa pubblica, ma che, purtroppo, “sfuggono” all’obbligatoria attenzione delle diverse istituzioni del sistema “riformato” della giustizia in Albania. E non poteva essere altrimenti. Perché gli “strateghi” della riforma del sistema di giustizia avevano ideato proprio una riforma che doveva servire per raggiungere un preciso e ben concepito obiettivo: quello di costituire un sistema “riformato” di giustizia, che doveva ubbidire ai governanti e ai legislatori, a scapito dei cittadini, della comunità e della cosa pubblica. Una “riforma” che doveva permettere al primo ministro di controllare personalmente e/o da chi per lui, tutto il sistema della giustizia, e a tutti i livelli.

    Da quando, nel dicembre 2015, è stato presentato pubblicamente per la prima volta il contenuto della Riforma del sistema della giustizia, si era capito subito che quella riforma mirava la messa sotto controllo del sistema. Obiettivo che, soltanto sulla carta, prevedeva e garantiva la totale indipendenza istituzionale del sistema della giustizia dalla politica. Allora il primo ministro, la propaganda governativa e molti “opinionisti assoldati” hanno cercato di convincere l’opinione pubblica sulla bontà dell’obiettivo strategico della “Riforma”. A loro si sono uniti, determinati e perentori, i soliti “rappresentanti internazionali”, spesso infrangendo anche quanto previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Sono stati proprio quei “rappresentanti internazionali” che hanno dato delle convincenti ragioni e dei solidi argomenti sulla necessità dell’avvio della Riforma del sistema di giustizia in Albania. Loro si sono presentati al pubblico come i credibili garanti di tutto il processo e della bontà della Riforma, una volta approvata e attuata. Poi, nell’arco di pochi anni, si verificò e continua quotidianamente a verificarsi che, purtroppo, tutto era stato ideato, voluto, programmato ed attuato in modo tale da permettere la realizzazione dell’obiettivo posto da prima che la “Riforma” stessa avesse inizio ufficialmente. E cioè di fare una “Riforma” per controllare il sistema, proprio dalla politica, il che significa dal primo ministro e/o da chi per lui, compromettendo seriamente l’indipendenza del sistema della giustizia dagli altri due poteri dello Stato e/o da altre istituzioni. Quanto è accaduto e sta accadendo dal 2016 ad oggi, dati e fatti accaduti e denunciati alla mano, dimostrerebbe proprio questa realtà pericolosa e seriamente preoccupante. Realtà che testimonia la restaurazione e il consolidamento di una nuova dittatura in Albania, gestita da un’alleanza, ormai operativa, tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi clan occulti locali ed internazionali.

    In una simile pericolosa e preoccupante realtà, il sistema “riformato” di giustizia si è sottomesso ubbidiente agli ordini dei “potenti”. Dimostrando così, palesemente, la realizzazione del vero obiettivo della Riforma”. Sono tante, ma veramente tante le evidenze che testimonierebbero la cattura ed il controllo del sistema di giustizia in Albania. Mentre i “rappresentanti internazionali” continuano a parlare ancora di “successi”! Chissà perché?! Nel frattempo però, da circa tre anni ormai, non funzionano la Corte Costituizionale e la Corte Suprema. Il che significa “mani libere” per tutti coloro che vogliono infrangere le leggi. Proprio quelle leggi approvate e/o modificate da coloro che adesso le ignorano. E si sa benissimo e pubblicamente chi sono.

    Chi scrive queste righe è convinto che la “Riforma” della giustizia in Albania è stata volutamente programmata perché fallisse da coloro che gestiscono la cosa pubblica. Di tutto ciò egli ha spesso informato il nostro lettore. E continuerà a farlo, considerando il sistema di giustizia uno dei tre poteri di uno Stato democratico che devono essere realmente indipendenti. Chi scrive queste righe trova molto significativo il contenuto di quella legge di Zaleuco di Locri che prevedeva un laccio al collo dei legislatori che abrogavano e modificavano le leggi. Sarebbe stato un deterrente per tutti coloro che hanno voluto, programmato e attuato il fallimento della Riforma del sistema di giustizia in Albania. Compresi anche i soliti e sempre presenti “rappresentanti internazionali”. Di tutti coloro che hanno l’inganno nel cuore, perché hanno tramato e tramano il male.

  • Che siano semplicemente delle fortuite coincidenze!

    Io credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

    Leonardo Sciascia

    Da molto tempo i rapporti tra la Serbia ed il Kosovo sono stati e rimangono tesi. I primi conflitti sono cominciati già dal 19o secolo, per poi continuare all’inizio del secolo passato, soprattutto durante la prima guerra balcanica (1912-1913). I conflitti non si sono placati neanche dopo la seconda guerra mondiale, nonostante fossero sporadici e localizzati. Gli scontri tra i serbi e gli albanesi del Kosovo si sono riattivati soprattutto dopo la morte di Tito nel 1980, continuando per tutto il decennio per poi accentuarsi dopo che la Repubblica Federale di Jugoslavia (costituita nel 1992 e che, in quel periodo, comprendeva la Serbia, il Kosovo ed il Montenegro; n.d.a.) cominciò a disgregarsi all’inizio degli anni ’90. In seguito tra i due Paesi c’è stata anche una guerra che ebbe inizio a febbraio del 1998. Il 5 marzo 1998 a Prekaz, un villaggio in Kosovo, c’è stato un massacro. Numerosi soldati serbi attaccarono alcune abitazioni dove vivevano famigliari e parenti di uno dei più noti comandanti dell’Esercito di Liberazione del Kosovo, che era stato costituito alcuni anni prima per far fronte alle crescenti frustrazioni della popolazione albanese da parte dei militari serbi. In quel massacro sono stati uccisi 60 albanesi, di cui diciotto donne e dieci minorenni. Quanto accadde quel 5 marzo ha attirato subito l’attenzione pubblica internazionale. Immediata ed unanime è stata la condanna da parte delle cancellerie europee e di quella statunitense. L’allora segretaria di Stato dichiarò che ” Questa crisi non è un affare interno della Repubblica Federale di Jugoslavia”. In seguito ci furono diverse decisioni prese dalle istituzioni internazionali. Proprio il 23 settembre 1998, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una Risoluzione, la 1199, con la quale si esprimeva una “grave preoccupazione” per quello che stava accadendo in Kosovo. Perché allora da credibili fonti dell’ONU risultava che oltre 230.000 persone, albanesi del Kosovo, erano state sfollate dalle loro case a causa di “eccessi ed uso indiscriminato della forza da parte delle forze di sicurezza serbe e dell’esercito jugoslavo”. Un altro barbaro massacro è stato attuato il 15 gennaio 1999 a Račak, un villaggio in Kosovo. I militari serbi hanno prima radunato e poi ucciso 45 contadini albanesi. I corpi, seppelliti in una fossa comune, sono stati scoperti in seguito dagli osservatori internazionali dell’OSCE, mentre i serbi hanno sempre negato il massacro. Quel massacro però ha rappresentato une delle principali accuse per i crimini di guerra con le quali sono stati accusati e poi condannati Slobodan Milošević, presidente dell’allora Repubblica Federale di Jugoslavia ed altri alti funzionari serbi dal Tribunale penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. La guerra tra la Serbia ed il Kosovo si concluse l’11 giugno 1999, dopo l’intervento militare della NATO. Determinanti sono stati i bombardamenti aerei su Belgrado ed altri siti della Serbia.

    Valutando la gravità di un probabile conflitto armato tra la Serbia ed il Kosovo, già prima della guerra, le cancellerie occidentali hanno cercato di negoziare degli accordi per garantire la pace tra i due Paesi. Il 18 marzo 1999 è stato firmato in Francia l’Accordo di Rambouillet soltanto dai rappresentanti del Kosovo, degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito. Accordo che però non è stato firmato dai rappresentanti della Serbia e della Russia. Dopo la fine della guerra in Kosovo sono stati sempre presenti ed attivi i rappresentanti  internazionali e truppe di pace del KFOR (KFOR – Kosovo Force è stata la Forza militare internazionale, costituita in base alla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, guidata dalla NATO ed entrata nel territorio del Kosovo il 12 giugno 1999; n.d.a.). Alcuni anni dopo il Kosovo, con il pieno sostegno di tutti i Paesi membri del G7, ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. In seguito più di cento altri Paesi di tutto il mondo hanno riconosciuto il Kosovo come Paese indipendente. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore in passato dei rapporti tra i due Paesi. Compreso anche l’ultimo articolo di circa due mesi fa (Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?14 settembre 2020).

    Ventuno anni dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, il 12 novembre scorso, si è svolto a Belgrado un incontro tra il presidente della Repubblica serba e i cinque ambasciatori dei Paesi più industrializzati del mondo, accreditati in Serbia. Subito dopo l’incontro il presidente serbo ha fatto alcune dichiarazioni che hanno immediatamente suscitato delle dure reazioni, non solo in Kosovo, ma anche delle istituzioni internazionali. Secondo il presidente serbo “… Tanti pensano che ci troviamo in un’ottima posizione per quanto riguarda il Kosovo, per causa della situazione interna lì […] Ma il conflitto a Nagorno-Karabakh ha dimostrato che un conflitto congelato potrebbe trasformarsi in una vera e propria catastrofe”. In seguito, per essere “diplomaticamente corretto” il presidente serbo ha anche detto che “…La soluzione migliore che si possa ottenere è [quella] attraverso il dialogo e che sarebbe meglio ottenerla prima che sia tardi e [quando potrebbe] accadere qualche conflitto”. Il presidente serbo ha ribadito che la Serbia, per far fronte a qualsiasi evenienza “…continuerà a rafforzarsi economicamente e militarmente”!

    “Stranamente” c’è una significativa somiglianza tra il conflitto a Nagorno Karabakh iniziato il 27 settembre scorso e il Kosovo. Dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, la regione di Nagorno Karabakh, nonostante abitata da più del 90% da armeni, apparteneva all’Azerbaigian. La regione da allora ha cercato l’indipendenza dall’Azerbaigian. Ci sono “strane coincidenze” nelle somiglianze tra il Nagorno Karabakh ed il Kosovo. Chissà se il riferimento a Nagorno Karabakh sia stato semplicemente anche una fortuita coincidenza nella dichiarazione del presidente serbo?! Ma bisogna ricordare al nostro lettore che lui è stato anche il ministro dell’Informazione dal 1998 fino al 2000, proprio durante la guerra tra la Serbia ed il Kosovo. Promotore di una legge sull’informazione che sanzionava duramente i media che contrastavano il regime di Milošević e la guerra con il Kosovo, l’attuale presidente della Serbia, in quel periodo, è stato messo nella cosiddetta black list e gli era vietato l’accesso nell’Unione europea. Sono note le sue ufficiali prese di posizione contro la libertà dei media ed altro, anche negli anni successivi. Nel 2014 lui, facendo riferimento a quegli atti compiuti, ha riconosciuto i suoi errori. Chissà però quanto siano state sentite quelle scuse?!

    Una decina di giorni fa venivano arrestati il presidente della Repubblica del Kosovo ad alcuni altri alti rappresentanti politici del Kosovo. Proprio a quegli arresti si riferiva il presidente serbo nella sua sopracitata dichiarazione, quando parlava di “un’ottima posizione [della Serbia] per quanto riguarda il Kosovo”. Il Tribunale speciale per i crimini di guerra in Kosovo, con sede all’Aia (Olanda) accusa gli arrestati di omicidi, torture e sparizioni forzate di cittadini serbi del Kosovo ecc., durante la sopracitata guerra tra i due paesi. Lunedì 9 novembre scorso sono cominciate le sedute nell’aula del Tribunale. Tutto il reso sarà reso ufficialmente noto in seguito. I giudici del Tribunale devono dimostrare tutta la loro professionalità e prendere tutto il tempo necessario per dare una giusta e vera giustizia alla fine del processo.

    Chi scrive queste righe, seguirà tutti gli sviluppi ed informerà in modo oggettivo il nostro lettore. Come ha sempre cercato di fare. Ma nel frattempo non può nascondere che trova difficile credere che il sopracitato riferimento del presidente serbo a Nagorno Karabakh sia stato una fortuita  coincidenza. Egli condivide però quanto scriveva Leonardo Sciascia. E cioè che [spesso] le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.

  • Dittature abbattute e da abbattere

    È nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature.
    Visconte Alexis de Tocqueville

    Era il 9 novembre del 1989. Proprio trentuno anni fa si abbatteva il muro di Berlino. Si abbatteva il famigerato simbolo delle dittature comuniste. Ormai è pubblicamente noto quanto accadde durante quel giorno a Berlino. Era Günter Schabowski, l’allora ministro della propaganda della Repubblica Democratica tedesca (DDR) a cui fu dato il compito di dichiarare la decisione presa dal politburò del partito. Decisione secondo la quale i cittadini potevano attraversare il confine che divideva le due Germanie. Confine che il muro di Berlino delimitava. Alla domanda dell’inviato ANSA sull’apertura dei posti di blocco in diversi punti del Muro, il ministro rispose “…Se sono stato informato correttamente quest’ordine diventa efficace immediatamente”. La notizia si diede in diretta televisiva. Ci volle poco che i cittadini del Berlino Est, avendo seguito la dichiarazione del ministro della propaganda, corressero subito verso il Muro. Le guardie, non essendo state avvertite in tempo, comunque non potevano opporsi a quella inarrestabile onda umana ed aprirono i punti di controllo. Finalmente, dopo ventotto anni (la costruzione del muro iniziò il 13 agosto 1961; n.d.a.), i cittadini berlinesi potevano andare liberamente dall’altra parte. Quel 9 novembre 1989 segnò l’abbattimento simbolico del Muro di Berlino. Proprio quell’abbattimento che il 12 giugno 1987 il presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan chiese a distanza a Michail Gorbačëv, Segretario Generale del Politburò dell’Unione Sovietica, davanti alla Porta di Brandeburgo, a Berlino Ovest. Erano provvidenziali e rimarranno nella memoria pubblica quelle parole pronunciate da Regan. Rivolgendosi a Gorbačëv disse: “Se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e per l’Europa orientale, se cerca liberalizzazione, venga qui a questa porta. Signor Gorbačëv apra questa porta! Signor Gorbačëv, signor Gorbačëv, abbatta questo muro!” (Tear down this wall! – Abbatta questo muro!). Quelle erano parole che tuonarono forti e saranno ricordate a lungo. Quella richiesta e quella sfida diretta si realizzarono due anni dopo, proprio il 9 novembre 1989! In seguito cominciò un processo inarrestabile che sancì l’abbattimento dei sistemi autoritari e dittatoriali costituiti in tutti i paesi dell’Est europeo, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Quella data, il 9 novembre 1989, sarà ricordata sempre come una delle più importanti e significative date del ventesimo secolo.

    L’Albania è stato l’ultimo Paese dove, nel dicembre del 1990, con le proteste degli studenti di Tirana, cominciò finalmente l’abbattimento della dittatura comunista. Ed, a confronto delle altre, era la dittatura più spietata, fatti storici e realtà vissute e drammaticamente sofferte alla mano. Cominciò allora in Albania il periodo della difficile transizione verso un sistema democratico. Ma nessuno allora avrebbe pensato che quel processo di transizione durasse così a lungo. Perché purtroppo rimane ancora un processo in corso, essendo l’Albania considerato come un Paese con una “democrazia ibrida” dalle istituzioni internazionali specializzate. In realtà sta accadendo ben peggio. Sì, perché da alcuni anni risulterebbe che in Albania si stia restaurando e consolidando una nuova dittatura. Una dittatura sui generis, che la propaganda governativa cerca, in tutti i modi, di nasconderla come realtà vissuta e sofferta e di camuffarla dietro delle facciate fasulle di una democrazia in crescita. Ma dati, fatti accaduti e documentati alla mano, risulterebbe che si tratti proprio di una nuova, restaurata e funzionante dittatura, ormai gestita da una pericolosa alleanza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti internazionali. Il che, per certi aspetti, sarebbe anche peggio della stessa dittatura comunista.

    L’autore di queste righe, da anni ormai, ha informato il nostro lettore di una simile preoccupante realtà in Albania. Anche quanto egli scriveva la scorsa settimana era un’ulteriore testimonianza del consolidamento di questa dittatura in azione (Irresponsabilmente determinato nella sua folle corsa; 2 novembre 2020). Si trattava dell’ultimo atto, in ordine di tempo, che testimoniava il continuo consolidamento della nuova dittatura in Albania. Il 29 ottobre il Parlamento, totalmente controllato dal primo ministro, approvò di nuovo gli emendamenti costituzionali e del Codice elettorale, dopo che il presidente della Repubblica non gli aveva decretati. E dopo che anche i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea avevano chiesto al primo ministro di attendere le opinioni della Commissione di Venezia. Emendamenti quelli che potrebbero facilitare al primo ministro la sua corsa verso un terzo mandato. Nel frattempo però, proprio la scorsa settimana, è stata resa nota una proposta di legge, che il governo presenterà in Parlamento nei prossimi giorni. Si tratta di una proposta di legge che riguarda la significativa ed allarmante restrizione dei poteri costituzionali proprio del Presidente della Repubblica, dando quei poteri al Parlamento. Tutto ciò, mentre da più di tre anni ormai in Albania non funziona più [volutamente] anche la Corte Costituzionale. E mentre il primo ministro, in seguito alla “Riforma” del sistema della giustizia, controlla ormai tutto il sistema. Una “Riforma” quella, diabolicamente concepita ed in seguito anche attuata, che adesso permette al primo ministro di controllare personalmente, e/o da chi per lui, tutte le decisioni prese dalle istituzioni “riformate” del sistema di giustizia.

    Nel frattempo però il primo ministro sembra determinato di approvare in Parlamento anche la legge “anti-calunnia”, come a lui piace chiamarla. Una legge fortemente contrastata e criticata, sia dalle organizzazioni locali ed internazionali dei giornalisti che dalle istituzioni dell’Unione europea e dalla Commissione di Venezia. La preoccupazione delle istituzioni internazionali per il contenuto di quella legge è talmente alta che addirittura il Consiglio europeo, nel marzo scorso, lo annoverò tra le 15 condizioni sine qua non poste all’Albania da adempiere, prima dell’avvio delle procedure dell’Adesione nell’Unione europea. Ma visto il sopracitato precedente del 29 ottobre scorso però, le aspettative sono tutt’altro che positive. Quello che è accaduto e sta accadendo in Albania in questi ultimi mesi dimostrerebbe e testimonierebbe palesemente che il primo ministro sta ormai ignorando tutto e tutti, compresi anche i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Lui ha così gettato finalmente anche la maschera del “convinto europeista” e sta proseguendo deciso la sua folle corsa verso un terzo mandato. Perché per lui adesso è indispensabile, è vitale avere un terzo mandato, visto i tanti e innumerevoli scandali milionari. Scandali che sono paurosamente aumentati in questi ultimi mesi, abusando clamorosamente dei soldi pubblici. Il primo ministro però continua indisturbato e incurante di tutto e di tutti. Come il suo “carissimo amico” Erdogan, come il suo simile Lukashenko e come tutti i dittatori del mondo! Se questa non è una dittatura, allora cos’è?!

    Chi scrive queste righe ricorda le parole di Erich Honecker, Segretario generale del Politburo del DDR, dimessosi soltanto il 18 ottobre 1989, tre settimane prima dell’abbatimento del Muro di Berlino. Secondo lui “…Il Muro esisterà ancora fra cinquanta e anche fra cento anni, fino a quando le ragioni della sua esistenza non saranno venute meno”. Esattamente trentuno anni fa, il 9 novembre 1989, cominciò l’abbattimento delle dittature dell’Est europeo. Sono state abbattute ormai quasi tutte. Rimane però ancora da abbattere la nuova restaurata dittatura in Albania. Chi scrive queste righe è fermamente convinto che le sorti del Paese, nelle drammatiche condizioni in cui si trova, le dovono decidere i cittadini. E se ci sarà qualcuno, come Ronald Reagan che nel 1987 chiedeva di abbattere il Muro, il quale possa contribuire per abbattere la nuova dittatura in Albania che ben venga! Ma gli albanesi non devono mai dimenticare che “È nel sonno della pubblica coscienza che maturano le dittature.”

  • Irresponsabilmente determinato nella sua folle corsa

    È tutta colpa della Luna, quando si avvicina troppo alla Terra fa impazzire tutti.

    William Shakespeare, Otello

    La determinazione irresponsabile del primo ministro albanese di andare avanti ed in fretta, nella sua folle corsa verso un suo terzo mandato, risulta essere veramente preoccupante e pericolosa. Quanto è accaduto e sta accadendo realmente durante questi ultimi mesi in Albania dovrebbe far riflettere seriamente e responsabilmente tutti coloro che hanno l’obbligo istituzionale di agire, per fermarlo in tempo. Non solo in Albania, ma anche nelle istituzioni dell’Unione europea, visto che l’Albania è un paese candidato all’adesione. Si tratta però di un lungo, travagliato e, purtroppo, sempre più in salita processo, quello dell’adesione. E, guarda caso, da quanto è accaduto e sta accadendo durante queste ultime settimane, fatti alla mano, risulterebbe proprio che colui che sta seriamente e intenzionalmente ostacolando tutto sia proprio il primo ministro albanese! E guarda caso, è stato proprio lo scontro istituzionale, ma non solo, di questi giorni, tra il presidente della Repubblica e il primo ministro che ha messo in evidenza, senza equivoci, chi sta facendo di tutto per aggravare ulteriormente il percorso europeo dell’Albania. Uno scontro iniziato da più di un anno ormai, quello tra il primo ministro e il presidente della Repubblica. Uno scontro che però, negli ultimi giorni, è diventato ancora più duro e spesso accompagnato anche da “colpi bassi”, nonché da frasi per niente istituzionalmente idonee.

    Tutto cominciò in seguito ad una lettera ufficiale del presidente della Repubblica inviata, il 21 ottobre scorso, al presidente della Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come la Commissione di Venezia. Con quella lettera il presidente della Repubblica chiedeva l’opinione della Commissione sugli emendamenti costituzionali e del Codice elettorale, approvati il 5 ottobre scorso dal Parlamento albanese. Emendamenti che non sono stati però decretati dal presidente della Repubblica. Secondo lui, l’approvazione di quegli emendamenti da parte del parlamento rappresenterebbe un’ulteriore prova che il primo ministro stia volutamente violando l’Accordo del 5 giugno scorso sulla Riforma elettorale. Un Accordo, quello del 5 giugno, che è stato firmato dai rappresentanti politici della maggioranza e dell’opposizione, tutti “segregati” nella residenza dell’ambasciatrice statunitense a Tirana. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito sia di tutto ciò che delle opinioni e dei dubbi dell’autore di queste righe sull’Accordo stesso. Nella sua lunga lettera, il presidente presentava alla Commissione di Venezia tutti i suoi argomenti legali che, secondo lui, dimostrerebbero l’anticostituzionalità degli emendamenti della Costituzione e del Codice elettorale votati il 5 ottobre scorso in Parlamento. La settimana scorsa è arrivata anche la risposta del presidente della Commissione di Venezia, con la quale si informava ufficialmente il presidente della Repubblica che la Commissione tratterà la sua richiesta il prossimo dicembre e subito dopo manderà le sue opinioni.

    Nel frattempo però il primo ministro albanese aveva dimostrato, con le sue dichiarazioni e non solo, che non era intenzionato ad attendere le opinioni della Commissione di Venezia, chieste ufficialmente dal presidente della Repubblica. Dichiarazioni ed espresse intenzioni quelle del primo ministro che hanno attirato subito l’attenzione delle istituzioni dell’Unione europea, suscitando anche le loro reazioni tramite i rispettivi rappresentanti. Tutti loro hanno chiesto al primo ministro di attendere la risposta da parte della Commissione di Venezia prima di votare di nuovo in parlamento contro il sopracitato decreto del Presidente della Repubblica. Tutti loro hanno auspicato e hanno fatto appello alla responsabilità istituzionale del primo ministro di non aggravare ulteriormente sia l’attuale crisi istituzionale, che dura da più di un anno in Albania, che il percorso europeo del paese. Lo hanno detto e scritto chiaramente il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, il presidente della Commissione per gli Affari esteri del Parlamento europeo, un gruppo di eurodeputati, il relatore per l’Albania del Parlamento europeo, la portavoce della Commissione europea ed altri ancora. Ma il primo ministro albanese ha ignorato tutte queste richieste ed appelli istituzionali ed ha dato ordine ai suoi deputati, ma anche quelli della sua “nuova opposizione”, di votare contro il sopracitato decreto del presidente della Repubblica. E i suoi “sudditi ubbidienti” hanno votato il 29 ottobre scorso secondo l’ordine preso. Quanto è accaduto il 29 ottobre scorso ha ulteriormente dimostrato e testimoniato la fretta del primo ministro albanese di preparare e ufficializzare tutto quello che servirà a lui e ai suoi per controllare, condizionare e manipolare il risultato delle elezioni politiche previste per il 25 aprile 2021. Quanto è accaduto il 29 ottobre scorso, ha ulteriormente dimostrato e testimoniato che il primo ministro rifiuta tutti e tutto e continua irresponsabilmente determinato nella sua folle corsa verso un suo terzo mandato. Costi quel che costi! E poi, dopo che il parlamento ha votato contro il decreto del presidente della Repubblica, ignorando anche le richieste dei rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, il primo ministro si è “stupito” della loro preoccupazione. E poi si è domandato: “Come possiamo attendere la [risposta] della [Commissione di] Venezia fino a dicembre?”! Il suo subconscio ha messo in evidenza di nuovo quello che lui cerca di nascondere, ma che non riesce. E cioè la sua fretta di legalizzare tutto ciò che ha previsto di fare prima, durante e dopo le elezioni del 25 aprile prossimo per avere il suo terzo mandato. Una vera e propria scusa quella del primo ministro sulla mancanza di tempo, che l’ha “costretto” di votare contro il decreto presidenziale senza attendere le opinioni della Commissione di Venezia. Andando così contro tutti coloro che gli chiedevano e consigliavano proprio l’attesa, prima di votare, di quelle opinioni. Una vera e propria scusa quella del primo ministro, che è stata immediatamente smentita dagli specialisti dei processi elettorali. Secondo loro non c’è nessun impedimento legale e legittimo, che vieta di attendere fino a dicembre e poi agire di conseguenza, secondo le opinioni della Commissione di Venezia. Una Commissione quella, alla quale, quando interessa, il primo ministro albanese si rivolge e/o fa riferimento per sostenere le sue decisioni e/o azioni di facciata e per motivi di propaganda. Lo ha dimostrato anche durante quest’ultimo anno. Lo ha fatto il 22 luglio 2019, quando il presidente del Parlamento, suo stretto collaboratore, che guarda caso è anche l’ultimo ministro degli interni della dittatura comunista, ha mandato una lettera alla Commissione di Venezia per chiedere la sua opinione su un decreto del Presidente della Repubblica con il quale si voleva annullare le elezioni amministrative del 30 giugno 2019. Lo ha fatto anche il 30 dicembre 2019, quando il presidente del Parlamento ha chiesto di nuovo alla Commissione di Venezia le opinioni sulle procedure svolte dal presidente della Repubblica per le nomine dei nuovi giudici della Corte Costituzionale. Tutte le opinioni non solo non hanno colpevolizzato, ma, per i giudici, hanno dato piena ragione al presidente. Come, probabilmente, saranno anche quelle chieste il 21 ottobre scorso dallo stesso presidente della Repubblica.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese non ha voluto mai realmente l’integrazione europea. Come il suo “carissimo amico” Erdogan. Perché un dittatore non vuole e non accetta regole. Perché ad un dittatore non può mai convenire mettersi “sotto” gli obblighi comunitari. Lui ha sempre usato l’integrazione europea per scopi puramente propagandistici, aiutato anche dai soliti “rappresentanti internazionali”. Nel frattempo sta proseguendo la sua folle corsa per avere un terzo mandato. Ma la colpa in tutto ciò non è sua. No, la colpa è ovviamente della Luna, che sembra si sia avvicinata troppo alla Terra e gli si è fermata accanto.

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